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Full text of "L'Eneide di Virgilio"

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DI  VIRGILIO 


v .VOLGA  UZZATA 


ANNUI 


CARO 


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DI  VIRGILIO 


VOLGARIZZATA 

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ANNIBAL  CARO. 

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FIRENZE, 

HA  UH  Fi  II  A , HI  ANGUI  K O 

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AI  LETTORI. 


Ogni  studioso  clic  acquista  un’  edizio- 
ne nuova  di  un  libro  vecchio,  ha  diritto 
di  sperare  che  questa  nuova  edizione 
vinca  di  pregio  tutte  le  precedenti  •,  ed 
ha ‘pure  il  diritto  di  conoscere  quali 
cure  vi  siano  state  spese  attorno,  per- 
chè la  sua  giusta  speranza  non  fosse 
delusa.  È mio  dovere  pertanto  di  sod- 
disfare a questo  secondo  diritto,  per  in- 
durre nell*  animo  dei  lettori  la  persua- 
sione clic  anche  al  primo  si  è cercalo 
ili  soddisfare. 

Da  un  attento  esame  delle  più  pre- 
giate fra  le  molte  edizioni  di  questo 
libro,  mi  venne  fatto  di  scorgere  che  qua 

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Caro. 


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* C 


VI 


Al  LETTORI. 


e là  in  più  luoghi  esse  discordavano 
essenzialmente;  tanto  che  a voler  dare 
un*  edizione  più  genuina  che  fosse  pos- 
sibile, era  mestieri  di  risalire  alle  fonti  ; 
cioè  all’ edizione  principe,  fatta  in  Ve- 
nezia dal  Giunti  l’anno  4581,  ed  assi- 
stita da  .Lepido  Caro,  nepote  di  Anni- 
baie.  Ma  per  mala  sorte  cotesta  fonte 
era  avuta  in  conto  di  molto  impura  da- 
gli uomini  di  lettere;  onde  il  ritornare 
ad  essa,  e riprodurla  tal  quale,  non  sa- 
rebbe stato  altro  che  un  ripristinare  gli 
errori.  Volli  nondimeno  toccar  con  mano, 
- e mi  avvidi  che  il  giudizio  dei  letterali 
non  era  ingiusto.  Ma  insieme  conobbi 
che  ciò  era  bastato  per  isbrigliare  l’ar- 
bitrio degti  editori,  la  cui  licenza  crasi 
andata  esercitando  in  molti  e molti  mu- 
tamenti, suggeriti  ora  dal  desiderio  di 
far  troppo  bene,  che  torna  a male,  e ora 
dall’  ignoranza  della  nostra  lingua  e di 
certe  sue  forme  invecchiate. 

La  fama  di  scorretto  nuoce  ad  un  libro, 
come  la  fama  di  bugiardo  ad  un  uomo  : 


Al  LETTORI.  VII 

« anche  se  dice  i!  ver  non  gli  è creduto.  » 
Tale  mi  è sembrata  la  sorte  di  questa 
edizione  Giuntina;  che  se  non  è delle 
più  accurate,  ha  veduto  però  nascer  da 
sè  figlie  molto  più  trascurate  di  lei. 
Quanto  a me,  io  non  ho  voluto  che  que- 
sta sua  mala  fama  fucesse  velo  alla  più 
severa  imparzialità;  e dove  Terrore  non 
era  manifesto,  alla  Giuntina  mi  sono  at- 
tenuto piuttosto  che  ad  altra  qualunque 
edizione.  Ma  come  discernere  il  vero  dal 
falso?  In  ciò  appunto  credo  che  consi- 
sta T ufficio  e lo  studio  di  chi  invigila 
ad  una  ristampa.  Il  riscontro  dell' origi- 
nale latino,  Tesarne  del  contesto,  l’in- 
vestigazione delle  proprietà  di  nostra 
lingua,  sono  stati  i miei  criterii.  Ma  que- 
sti criterii  qualche  volta  sono  fallaci,  e 
spessissimo  insufficienti  ; onde  io  posso 
bene  essermi  ingannato.  Il  lettore  ne 
giudichi  da  qualche  saggio: 

. Lmno  I , verso  123.  G.  1 Eolo  a rin- 


’ Significa:  L’Edizione  Gicntina  i.eggf. 


Vili 


AI  LETTORI. 


contro:  a lo,  regina , disse , Convicnsi 
che  tu  scorga  i tuoi  desiri;  Al.:  1 scopra. 
Clic  scorgere  sigili  fieli  i miche  scoprire , 
manifestare  lo  dice  nuche  il  vocabolario,' 
e chi  al  vocabolario  non  credesse  tro- 
verà in  Marcello  Adriani  il  "iovane,  Trud. 
di  Plutarco , Vita  di  Aristide , § 3,  le  pa- 
role si  scorse  in  senso  di  si  palesò , si 
manifestò  , avendo  il  greco  la  voce 
é^aivexo  — I,  v.  144.  G.  Le  sarti  ; Al.:  le 
sarte.  Quantunque  non  vi  sia  alcuna 
dilìicolla  a credere  che  il  Caro  scrivesse 
le  sarti , come  il  Machiavelli  disse  le 
pianti,  il  Berni  le  spesi,  il  Boccaccio  le 
erbetti , ed  infiniti  altri  similmente,  2 
pure  il  leggersi  poi  sempre  sarte  in  tutto 
il  resto  dell’ Eneide  mi  ha  fatto  forse 
pentire  di  aver  lasciato  le  sarti.  — 
I,  v.  328.  G.  Per  vari  casi  c per  acerbi  e 
duri  Perìgli  è d’uopo  a far  d’Italia 

1 Significa:  Altre  fdizioni  leggono;  e in- 
tendi.imo  le  più  recenti. 


5 Vedi  il  Nanuucci,  Teoria  dei  nomi,  ecc* 
l*ag.  258  segg. 


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Al  LETTORI.  IX 

acquisto;  Al.:  è d*  uopo  far  d*  Italia 
acquisto.  Quell’  a pare  clic  abbia  dato 
molta  noia  agli'  editori,  perchè  lutti  la 
vollero  bandita,  e con  questo  ci  rega- 
larono un  verso  molto  cadente  e slom- 
bato. Supponendo,  quel  che  essi  dovc- 
van  supporre,  clic  quell’  a faccia  le  veci 
di  per,  a fine  di,  certamente  non  se  ne 
cava  senso:  ina  supponiamo  che  stia 
invece  della  particella  di;  nessuno  avrà 
difficoltà  d’ intendere  queste  parole:  È 
d*  uopo  di  far  acquisto  d’ Italia  per  vari 
casi  c pericoli.  Resta  però  sempre  a pro- 
vare che  I’  a stia  invece  del  di  e che  si 
possa  indistintamente  dire:  E d*  uopo 
ni  fare  una  cosa,  o Ed*  uopo  a fare  una 
cosa.  Io  credo  che  una  tal  prova  si  abbia 
in  questi  esempi  dello  stesso  Caroì  VI, 
v.  4415,  Indi  a venir  n * è dato  Negli 
ampi  elisii  campi ; e XII,  v.  4167  : Stun 
dubie  a • cui  di  lor  marito  e donno  Sia 
de  l*  armento  a divenir  concesso  ; nei 
quali  casi  noi  ora  diremmo,  ne  è dato 
di  venire,  o,  ve  è dato  venire  ; concesso 


X Al  LETTOR'. 

i»i  divenire,  o,  concesso  divenire:  mentre 
invece  Io  stesso  Caro,  VII,  v.  433  Ita 
detto:  Incominciava  d’ alzar  gli  alberghi 
e di  fondar  le  mura , ove  noi  ora  comu- 
nemente diremmo,  Incominciava  ad  alzar 
gli  alberghi  c a fondar  le  mura.  — 
I,  v.  59G,  G.  0 Deaj  se  da  principio  i no- 
stri affanni  Io  contar  ti  volessi  c tu  con 
agio  Udiste  una  da  me  si  lunga  istoria , 
Pi on  finirci  che  fine  avrebbe  il  giorno. 
Nella  parola  udiste  a tutti  gli  editori  è 
sembrato  di  scorgere  un  errore,  ed  anche 
a me  sembra;  poiché,  supponendo  pure 
che  udiste  sija  in  luogo  di  udisti , non 
è questo  il  modo  e il  tempo  del  verbo 
che  il  contesto  richiede.  Gli  altri  editori 
vi  hanno  sostituito  udir  ; io,  per  osar 
meno,  ho  mutato  il  t in  s,  e ne  ho  fatto 
udisse.  — I,  v.  1031,  G.  Enea , cui  la  pa- 
terna tenerezza  Quotar  non  lascia,  a lo 
sue  navi  innanzi  Spedisce  Acute ; Al.: 
Enea,  la  cui  paterna  tenerezza  Quclar 
non  lascia,  ec.  Una  tale  trasposizione, 
oltreché  dà  un  verso  fiacchissimo,  di- 


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Al  LETTORI.  XI 

strugge  a mio  credere  la  sintassi.  — III, 
v.  698,  G.  Sovr*  a tutto  io  t*  asseto,  ti 
predico , Ti  ripeto  più  volte  e li  ram- 
mento; Al:  t*  accenno;  Virg.  Unum 

illud  libi,  nate  dea , proque  omnibus  unum 
Praedicam,  et  repetens  iterumque  itcrum- 
que  monebo.  — III,  v.  895,  G.  È ....  ca- 
pace Di  molti  legni  il  poi'to  ove  sorgemmo  ; 
Al.  : ove  giugnemmo.  Il  verbo  sorgere  ha 
il  significato  di  approdare,  e glielo  danno 
anche  i vocabolarietti  ad  uso  delle  scuole. 
Eppure  qui  gli  editori  hanno  creduto 
di  negarglielo,  mentre  poi  glielo  hanno 
concordemente  concesso  al  L.  VI,  v.  1042, 

A la  riva  Del  mar  Tirreno  il  mio  navde 

« 

è sorto.  — IV,  v.  733,  G.  Or  poi  che  la 
meschina  Fu . da  tanto  dolor  da  tanto 
affanno  Appresa  e vinta  ; Al.  : Oppressa  ;. 
Virg.  Ergo  ubi  concepit  furias  evicta 
dolore.  — V,  v.  '1016.  E tu  de*  tuoi  Ciò 
che  t'avanza  ....  a lui  si  lasci.  Cosi  leg- 
gono tutte  le  edizioni;  e noi  per  dar 
sintassi  al  periodo  eravamo  tentati  di 
scrivere  o lui  qui  lascia  o,  a lui  si  lascia  : 


XII 


Al  LETTORI. 


ma  non  abbiamo  osato.  — VII,  v.  975, 
G.  Tirar  lame  (/'acciaio  fila  dr  argento  ; 
Al.:  (Tacciar.  Come  noia,  gioia  c simili 
sono  monosillabi  nei  versi  «li  molti  poeti, 
e fin  del  Parini,  cosi  acciaio  qui  è bi- 
sillabo, quantunque  in  altri  luoghi  il 
Caro  stesso  lo  faccia  trisillabo.  — VII, 
V.  1018,  G.  Con  la  madre  il  poderoso 
iddio  Quivi  si  mescolò  quando  di  Spa- 
gna, Da  Gerioue  estinto  (cioè,  dopo 
avere  estinto  Gerìone)  ai  caìnpi  venne 
Di  Laureato  ; AL: ...  Di  Spagna,  istinto 
(i ertone,  ai  campi  venite  oc.  Io  non  so  se 
possa  darsi  mutazione  "più  temeraria. — 
IX,  .177,  Quante  ....  Eran  le  itavi,  tante 
"di  donzelle  Si  tidcr  per  lo  mar  sereni 
aspetti.  Così,  dietro  alla  Giuntina,  tutte 
. le  edizioni*,  io  ho  creduto  di  dover  mu- 
tare il  tante  in  tanti.  — IX.  986,  G.  To- 
nò dal  manco  Sereno  ' lato  ; Viro.  De 
parte  serena  Intorniti  lacvnm;  Al.:  Tonò 
dal  manco  Sinistro  (!)  lato.  — IX,  v.  1117, 
G.  Il  grave  sasso  ....  Da  T alto  ordigno, 
ov*  era  dianzi  appreso,  Si  spicca  c piovi- 


Al  LETTORI.  XIII 

ha;  Al. appeso.  Mi  pure  che  il  testo  <1  i;i 
ragione  alla  Giuntina:  Saxca  pila  cadi t, 
magni  s rjuam  inolibus  ante  cojstructam 
ponto  iacinti t.  — X,  v.  4249,  G.  E *1 
tuo  fatto ; A!.:  E Jl  ino  fato;  Vino. 
Foctaquc. 

L’addurre  v-  molti  altri  esempi  clic 
potrei,  e I’  additare  i luoghi  in  cui  ho 
creduto  dovermi  scostare  dalla  Giuntino 
e seguire  le  altre  edizioni,  riuscirebbe 
non  meno  grave  al  leìtore  che  a ine.  K 
già  le  mie  parole  son  troppe.  Mi  occor- 
re però  ancora  di  dire’  che  non  m’ è 
piaciuto  d’ imitare  1’  esempio  degli  altri 
editori,  i- quali  haqno  ammodernato  molti 
vocaboli.  Ed  ho  lascialo  il  suffocare , il 
Bora,  il  fulgurò,  il  virtù,  lo  sherqn, 
V occhione,  1’  occiso,  1’  effigi»  il  profetez-  » 
za,  le  redine , il  sossidio,  1’  es  seguire; 
il  Volcano,  e moltissimi  altri.  Ma  come 
I’  uso  di  queste  forme  non  era  costante 
nella  Giuntina,  così  anche  qui  si  è man- 
tenuta la  stessa  incostanza  c vi  si  legge 
pure  sussidio,  uccise,  folgorare,  Vulca - 


XIV 


Al  LETTORI. 


no  cc.  cc.  Queste  minuzie  mi  pare  che 
giovino  alla  storia  delle  parole. 

Quanto  all’  ortografia  ho  tenuto  que- 
sta regola,  clic,  trattandosi  di  versi,  mi 
è sembrata  la  più  sicura  : se  1’  uso  odier- 
no non  induceva  alcuna  variazione  di 
armonia,  di  accenti,  di  suoni  o di  con- 
sonanze, ho  seguito  l’uso  odierno:  c 
cosi  di  a ij  de  i,  ne  i,  e simili  ho  fatto 
ai,  dei , nei  ; ma  dove  per  seguire  que- 
st’ uso  era  mestieri  aggiungere  o togliere 
una  qualche  lettera,  onde  ne  usciva  qual- 
cuna delle  dette  variazioni  ,•  1’  uso  antico 
mi  è parso  da  preferire:  e però  di  si 
come,  di  poi  che , di  a le,  di  ne  la, 
non  ho  fatto  siccome , poiché , alle, 
nella. 

Dirò  per  ultimo  clic  ad  utilità  degli 
studiosi  è stato  fatto  precedere  il  poe- 
ma dagli  argomenti  che  testò  dettava 
in  latino  il  Dùbner  per  la  elegantissima 
edizione  del  Virgilio  di  Didot,  c che 
tradotti  e così  riuniti  in  principio  del 
libro,  formano  una  succinta  narrazione 


# 


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Al  LETTORI.  XV 

ilei  fatti  (l’Enea.  Si  è creduto  pure  di 
provvedere  al  comodo  dei  lettori  met- 
tendo nel  margine  superiore  di  ciascuna 
pagina  la  numerazione  dei  versi  italia- 
ni, e nell’  inferiore,  quella  dei  versi  la- 
tini corrispondenti. 

/ 

Attelmo  Severini. 


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ARGOMENTI. 


LIBRO  I. 

* • 

Protasi  ed  invocazione  della  Musa  1-1 1. 
Giunone  a danno  dei  Troiani  domanda  ed 
ottiene  da  Eolo  che  scateni  una  violentis- 
sima tempesta  contro  di  loro,  che  naviga- 
no dalla  Sicilia  in  Italia,  12-123.  Nettuno 
sorge  a sedare  la  burrasca;  e i Troiani, 
balestrati  dal  mare  e dai  venti  verso  la 
Libia,  vi  approdano,  124-158.  Enea,  preso 
terra,  fa  preda,  alla  caccia,  di  sette  grossi 
cervi,  che  distribuisce,  uno  p^r  ciascuna, 
alle  sette  navi  campate  dal  naufragio; 
quindi  cerca  di  rianimare  i suoi  compa- 
gni, già  stanchi  del  lungo  errare,  colla 
speranza  del  vicino  riposo,  159-222.  Frat- 
tanto Venere  patrocina  appo  Giove  la 
causa  del  suo  Enea  e de' Troiani:  e Gio- 


XVIII 


ARGOMENTI. 


ve,  svelatole  l'arcano  dei  fati,  consola  il 

dolore  della  figlia  colla  speranza  di  una 
felice  posterità,  e della  futura  grandez- 
za di  Roma,  223-290;  e intanto  nascosta- 
mente  manda  Mercurio  per  disporre  a 
mitezza  verso  i nuovi  arrivati  l’animo  de' 
Peni, 297-304. Quindi  Venere  si  fa  incontro 
ad  Enea,  che  ignaro  de’  luoghi  andavo  at- 
torno per  esplorarli;  gli  annunzia  che  le 
navi  disperse  erano  salve,  e in  pari  tempo 
gli  mostra  Cartagine,  cui  poco  lungi  di  là 
stava  fabbricando  Didone,  305-489.  Enea, 
per  favore  della  madre  nascosto  con  Acate 
dentro  di  una  nube,  entra  in  Cartagine; 
quivi  ammira  le  opere  a cui  si  dà  mano, 
e vede  i suoi  compagni  amorevolmente 
accolti  da  Didone,  490-585.  S’apre  la  nube: 
e Didone  stupisce  alla  vista  e all’avventu- 
ra d' Enea,  lo  conduce  alla  reggia,  manda 
per  Ascanio  con  doni,  ed  invia  gran  copia 
di  vettovaglie  ai  compagnid’Enea, 586-656. 
Ma  Venere  diffidando  di  un’ospitalità  con- 
cessa in  terra  devota  a Giunone,  ed  anco 
dell’indole  fiera  de’ Peni,  rapisce  Ascanio 
ai  boschi  d’ Idalia,  e in  sembianza  di  lui 
manda  il  suo  Cupido,  perchè  fra  gli  ab- 
bracciamenti e i baci  della  regina,  le  in- 


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ARGOMENTI.  XIX 

spiri  insensibilmente  focoso  amore  d Enea, 
657-722.  Gran  convito  nell'aula.  Didone 
prega  Enea  che  le  narri  l'eccidio  di  Troia, 
i suoi  casi,  i suoi  lunghi  errori,  723-756- 


LIBRO  n. 

A malincuore  s’inducoEnea  al  racconto 
dei  luttuosissimi  eventi,  1-13. 1 Greci  af- 
franti dalla  decenne  guerra  e diffidando 
del  proprio  valore,  ricorrono  all’  inganno  : 
facendo  vista  di  fuggire,  veleggiano  a Te- 
nedo,  e dietro  quell’ isola  si  nascondono, 
dopo  aver  lasciato  sul  lido  un  cavallo 
di  legno,  in  cui  avevano  rinchiuso  i più 
eletti  fra  i capi  dell’  esercito,  e che  ave- 
vano costruito  di  tanta  grandezza,  da  non 
lo  potere  accogliere  entro  le  porto  di 
Troia.  I Troiani  parte  indotti  dalle  frodi 
di  Sinone,  parte  atterriti  dal  supplizio  di 
Laocoonte,  demolita  una  parte  del  muro, 
trascinano  il  cavallo  fin  sulla  ròcca,  14-249. 
A notte  avanzata  i Greci  rivenuti  da  Tc- 
nedo  invadono  la  citta,  le  cui  guardie 
erano  già  state  uccise  dai  guerrieri  usciti 
dal  cavallo,  250-267.  Intanto  Ettore  oppa- 


¥ 


XX  ARGOMENTI. 

riscc  in  sogno  ad  Enea  e lo  esorta  di  prov- 
vedere al  suo  scampo  colla  fuga,  e di  sal- 
vare dall’ incendio  gli  Dei  patrii , 268-297. 
Ma  egli  anteponendo  alla  fuga  una  morte 
onorata,  corre  alle  armi;  e in  sul  primo 
far  impeto  la  fortuna  arride  ai  Troiani  ; 
onde,  seguendo  il  consiglio  di  Corebo, 
indossano  le  armi  dei  nemici  uccisi  : ma 
poi  riconosciuti  dai  Greci  e presi  in  iscam* 
hio  dagli  amici,  finiscono  oppressi  dalle 
armi  degli  uni  e degli  altri,  298-437.  Frat- 
tanto si  dà  l’assalto  alla  reggia  di  Priamo, 
che  muore  miseTamente  trucidato  da  Pirro 
figlio  d’Achille,  438-558.  Tentata  indarno 
ogni  prova,  Enea,  vedendo  gli  stessi  numi 
dar  mano  alla  distruzione  di  Troia,  affida 
al  padre  suo  Anchise  gli  oggetti  sacri,  e 
toltosi  lui  su  le  spalle,  preso  Ascanio  per 
mano,  ingiunto  alla  moglie  Creusa  di  se- 
guirlo da  presso,  si  dà  alla  fuga,  559-729. 

I Greci  P inseguono.  Nel  tumulto  si  smar- 
risce Creusa  ; ed  egli  a ricercarla  mentre 
invano  ritorna  e s’aggira  per  gl’incendii 
della  città,  vede  farglisi  incontro  l’ombra 
del  lo  consorte  che  glifavaticinii  intorno  al- 
l’Italia,egli  raccomanda  Ascanio,  730-794. 
Allora  ritorna  al  luogo  ov’  erano  i compa- 


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AnCOMEXTl.  XXI 

gni , e vede  che  vi-  s’é  accolta  gran  molti- 
tbdine  di  uomini  e donne,  pronti  tutti  a 
seguir  la  sua  sorie^TOo-SOi. 

LIBRO  III. 

« • , • * 
Caduta  Troia,  Enea  raccoglie  i super- 
stiti, e messa  in.  assetto,  presso  Antan- 
drò,  un'armata  di  vénti  navi,  fa  vela,  ed 
approda  primieramento  nella  Tracia.  Quivi 
mentre  sta  gettando  Je  fondamenta  dì. una 
città,  è atterrito  dal  prodigio  di  Polidoro, 
ucciso  giada  Polimestore  upnde  salpa  di  * 
nuovo  è prende  terra»  a Deio,  1-77;  dove 
consultando  l’oracolo  di  Apollo,  ne  ha  il 
responsd  che  « dee  ritornare  all*  antica  ' 
madre  della  sua  gente  : » il  quale  o.racolo 
n\ale  interpretato  da  Anchise  fa  volgere 
i Troiani  a Creta.  Ivi,  quando  già  sorge- 
van  le  mura,  una  fierissima  pestilenza  li 
flagellai  Onde  Enea  ammonito  in  sogno 
dai  Penati, ‘abbandona  Creta  e si  dirige 
verso  l’Italia,  121-269.  In  questo  naviga- 
zione còlti  da  improvvisa  tempesta,  son 
gettati  alle  isole  Strofinìi,  di  dove  respinti 
dalle  offese  delle  Anne  e dai  tristi  prc- 

r ' 

Cino. 


T-  — 


XMI 


ARGOMENTI. 


sagii  di  una  di  esso,  Celeno, -192-269,  ri- 
parano ad  Àzzio,  e vi  celebrano  i giuochi 
in  onore  di  Apollo,  '270-290.  Di  là  si  tra- 
gittano a Corciro,  e-nell’  Epiro,  che  al- 
lora era  soggetto  all’ indovino  hleno,  un 
tiglio  di  Priamo.  'tl  quqle  dopo  le  acco- 
glienze queste  e liete  espone  -ad  Linea 
tutti  i,  pericoli  di  terra  e di  mare  che  gli 
restano  a correre,  e gli  apre  l’ arcano  dei 
fati,  291 -oOo.  Lasciatosi  dietro  V Epiro, 
Enea  costeggiando  Taranto  in  sulla  punta 
d’ Italia,  arriva  i-n  Sicilia,  in  luogo  non 
lontano  dal  monte  Etna:  dove  raccoglie 
Acliemenide,  un  Greco  abbandonato  da 
Ulisse  nell’antro  del  Ciclopo:  alle  pre- 
ghiere e alle  notizie  di  costui  intorno  al- 
l’ immanità  dei  Ciclopi,  Enea  scioglie  di 
nuovo,  iiOG-683  ; e memore  degli  avvisi 
di  -Eleno,  per  causare  Scilla  e Cariddi, 
la  il  lungo  giro  della  Sicilia,  finché, giunto 
a Urepàno,  ivi  perde  Anchfee,  che  se  ne 
muore  per  vecchiezza, 684-711.  Di  là,  men- 
tre naviga  versò  Italia,  è sbalzato  in  Af- 
frica da  quella  bufera  che.  è narrata  nel 
primo  libro.  — Qui  finisce  la  narrazione 


d’ Eneo,  712-718. 


■ • • . ■ ■ . . ■ 


V — 


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AltCOML.VTI. 


XXIII 


LIBRO  IV.*  ' 

9 * • ; 

Didone  acceso  d’amore  per  Enea,  sco- 
pre la  sua  passione  alja  sorella  Anna,  e 
seguendo  il  consiglio  di  lei- volge  l’animo 
all’  idea  delle  nozze,  1*89.  Allora  Giunone 
per  potere  più  agevolmente  -allontanare 
Ene$  dall’ Italia*,’  tratta  con  Venere  per- 
chè anch’cssa  consental  a queste  nozze,'  ed 
a lei  stèssa  commette  di'tro'varne  il  modo 
e l’opportunità,  90-128.  La  dimani  Enea 
con  Didone  usciti  od  una  gran  cuccia  sono 
sorprèsicela  un  bui  bine  màndato  da  Giu- 
none: onde  la  numerosa  comitiva  è di- 
spersa, ed  Enea  con  sola  Didone  riparano 
ad  una  caverna  ; quivi  seguono  lo  infau- 
ste nózze, -129-.1 72.  Jarba  re  de’Getuli, 
alla  notizia  che  gli  reca  la  fama  di  questo 
amore,  mal  sopportando  di  vedersi  da  Di- 
done posposto  ad  un  forestiero,  ne  chiede 
vendetta  a Giove  ; il  quale,  spedito  ad 
Enea  Mercurio,  gl’ ingiunge  di  abbando- 
nar s'ibito  l’Affrica  e navigare  verso  l’Ita- 
lia, 173-278.  Al  cenno  dì  Giove,  Enea  dà 
ordin'e  che  di  nascosto  si  mettano  in  punto 
le  navi, 279-2913.  Ma  Didone  insospettita  di 


/ 


\ 


\\  V 


ARGOMENTI. 


questi  preparativi,  ne  muove  gravi  que- 
rele ad  Enea,  e pregando  e piangendo  si-' 
affanna  per  istornarlo  da’ suoi  propositi; 
quindi  per  intercessione  della  sorella  ten- 
ta d’ impetra  rtj  clic  almeno  si  trattenga 
ancora  per  poco,  269-479.’ Tutto  è: nulla. 
Siqohè  la  regina,  «non  reggendo -a  tanto 
dolore,  decreta  di. morire,  450*473;  eTatta 
alzare  nel  l’alto  jdella  reggia  una  gran'pira, 
tìnge  di  vol,er  celebrare  ocrte  ceri  afo- 
nie mugiche  "jper  liberarsi  di  quell’amó- 
re, 474-521,  il  quale  invece';  diventando 
furore,  la  fa  dare  in  ismanìe,  522-553.  ln-^ 
tanto  Enea,  noyamente  avvisato  'in'  sognò 
da  Mercurio,  nottetempo  si  mette  in  ma- 
re, 553-588.  Didone,'la  mattina,  vedendo  i 
Troiani  già  in  alto,  impreca  ogni  rpale  ad 
Enea,  consacrandolo  alle  furie,  584—62,9  ; 
poscia  per  allontanare  da  sè  anche^fiarce, 
la  nutrice  del  primo  suo  marito  Sicheo,  la 
manda  con  un  pretesto  dalla  sorella,  e in 
quel  tempo  si  dà  la  morte,  630-705.  * . 

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ARCO.XF.MT. 


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Enea  mentre  veleggia  verso  l’ Italia  è 
trasportato. In" Sicilia  dalla  violenza  d’ìTna 
procella,  1 -34.  Quivi  amorevolmente  ac- 
colto da  Aceste,  celebra  l’anniversario 
solenne  ai  Mani  di  suo  padre  Anchise, 
cui  Jo  stejsso  giorncTdeir  anno  precedente 
aveva  seppellito  a Drepano,  e gli  consa- 
cra il  tumulo- ’e  i giuochi,  35^103.  Nella 
corsa  delle  navi  viricc  Cl-oanto,  104-285  ; 
in  quella  a piedi  vince  Eurialo  per  in- 
ganno. di  Niso,  28H-362.  Il  'vecchio  En- 
tello al  pugilato  abbatte  Darete,-  che  me- 
nava giovanili  jattanze,  3G3-484.  Nel  trar 
d’  arco  supera  tutti  Eurizione,  ma  per  un 
prodigio  il  premio  viene  aggiudicato  al 
vecchio  -Aceste,  485-G44.  Quindi  Ascanio 
in  compagnia  di  nobili  fanciulli  rallegra 
tutti  collo  spettacolo  di  giuoclti  equestri 
in  finta  battaglio,  545-003.  In  questo  mezzo 
le  donne  troiane,  stanche  della  lunga  na- 
vigazione ed  istigate  do  Iride,  appiccano 
il  fuoco  alle  navi,  c .rie  incendiano  quat- 
tro ; le  altre  fcftjva  Giove  connina  pioggia 
improvvisa,  G04-G99.  La  notte  seguente 


XXVI  ARGOMENTI. 

Anehise  apparisco  in  sogno  ad  Enea,  ed  a 
nome  di  Giove  lo  avverte  di  lasciare  donne 
e vecchi  in  Sicijia;  e che  egli  col  forte  dei 
giovani  prosegua  alla  volta  d’  Italia;  e là 
che  si  rechi*  nelTantro -della  Sibilla,  la 
(piale  deve  condurlo  ai  campi  Elisi  per 
udire  da  lui  stesso  il  resto  de’ fati, 700-740. 
A queste  ingiunzioni  obbedisce  Eneo  dopo 
aver  fabbricato  in  Sicilia  una  città,  cui  diè 
nome  A cesta,  741-778.  Mentre  è in  mare, 
‘Nettuno  a preghiera  di  Yehere  gli^fa  si- 
curo il  viaggio,' 779-834.  Ma  Pàlinuro  il 
piloto,  vinto  dal  sonno,  cade  in  mare  con 
òsso  il  timone?  835-871.  , 


LIBRO  VI. 

Sorto  a Cuma,  Enea  va  nell’antro  della 
Sibilla  ; e celebrato  secondo  il  rito  un  sa- 
crificio nel  tempio  di  Febo,  dall’  invasata 
Sibilla  apprende  gl’imminenti  pericoli  e 
i casi  della  vicina  guerra,  1-97.  Seguono 
le  istruzioni  per  impetrare  il  permesso  di 
scendere  in  Inferno,. 98'i55.  Trovato  sul 
lido  il  cadavere  di  MisenQ,  lo  bruciano  e 
gli  don  sepoltura  ai  piedi  del  vicin  mon- 


i 


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ARGOMENTI.  XXVII 

s' 

te,  che  da  ciò  .prende  il  nome  di  Mise- 
no,  156-233.  Quinci,  còlto  il  ramoscello 
d’oro  e sacrificate  le  vittime,  Enea  gui- 
dato dalla  Sibilla,  peMe  grotte  d’ Averno 
discende  all’Inferno,  ducui  si  descrive 
l’ ingresso, -236-336.  Pelinuro  errante. in- 
torno alla  palude  Stigia,  perchè  il ‘suo 
corpo  è privo  di  sepoltura,  desidera  tra- 
gittare insieme  con  loro  ; ma  la 'Sibilla  lo 
impedisce,  e lui  consola  con  la  speranza 
di  un  cenotafio  e'  di  esèquie,  337-383.  Pas- 
sata la  Stige  e assopito  Cerbero  con  fo- 
cacce medicate,  Enea  trascorre  per  le  sedi 
degl’infanti  c dei  condannati  per  falso  de- 
litto e di  Ih  giunge  ai  violenti  contro  sé 
per  insofferenza  d'amore,  e fra  questi 
parla  a Didone.,  che  sdegnosa  non  gli  ri- 
sponde, ma.  gli  si  toglie  dinanzi,  384-476. 
Passando  oltre,  scorge  DeifobQ  fra  le  am- 
bre dei  valorosi  in  arme,  tutto  malconcio 
, ^ 

da  molte  ferite,  e da  lui,  gli  è narrato  il 
misero  modo  della  sua  morte,  477-534.  La- 
sciatosi. quindi’ a sinistra  il  Tartaro,  e sa- 
pute dalla  Sibilla  le.  pene  dei  malVatto- 
ri,  53o-G27,  va  alla  reggia  di  Platone,  e 
sulla  soglia  di  essa  configge  il  ramoscello 
d’oro,  628  636.  Dopo  ciò  perviene  alle  seèi/ 


> XVIII  Alt  COMEDI. 

de’  beati,  e là  Museo  lo  conduce  al  cospet- 
to deL  padre,  637-678.  Allora  Anchine  spie-, 
ga  ad  Enea  l’òrrgrne,  la  purgazione  e. Fili- 
ti ina  sorte  delle  adirne,  679-756;  'gli  fa 
i'  enumerazione  dei  ^re-d’  Alba  e di  Roma, 
»’  i ieordatralcuni  nomi  d’ illustri  Romani, 
viene" alle  lodi  di  Giulio. Cesare  e d’ Augu- 
sto, 756-859;  e finisce  levando  a cielo 
Marcello,  figlio  di'  Ottavia,  colpito  da  im-, 
matura  morte,  860-888.  'Enea  uscito  al- 
bana per  la  porta  d’ avorio,  rivede  i. com- 
pagni ed. arriva  a Gaeta,  889-901. 

t — 1 • 

. . - , 

9 

LIBRO  vir..  • 

Gaeta  è Cosi -detta  dal  nome  della  nu« 
tricordi  Ehea  cIiq  ivi  fu  sepolta,  1-4.  Da 
Gaeta  Lerce  vedendo  i lidi  della  dimora 
di  Circe,  cel  vento  in ,pofppa  imbocca  nel 
Tevere,,  e- vogando  contr’ acqua  approda 
nell’  agro  ..Laurente*  5-36.  ,lnvocat;a  di 
auoyp  la  muso;  il'poeta  narra  quale,  fosse 
m quel  tempo  lo  stato  del  Lazio,  e da  quali 
prodigi!  fosse  staio  anche  quivi  annun- 
ziato l’ arrivo  dei  Troiani,  37-106.  Enea  si 
accorge  esser  venuto  ri  termine  del* lungo 


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ARGOMENTI. 


.XXIX 

viaggio  dal  cibarsi  che  i sudt  fanno  dello 
mense  : odora  gli  Dei,  é mandà  oratori 
con  doni  al  re'Latino  per  domandare  tanto 
spazio  di  terreno  da  fabbricare*  una  città. 
Quindi  s’accampa,  107-159.  Latino  acco- 
glie favorevolmente  gli  ambasciatori,-  e 
concedendo  più  che  non  girsi  chieda, 
offre  in  isposà  od  Enea  la  sua.Gglia  La- 
vinia, 1Q0*285>Ma  trhinone  irritata  ai  pro- 
speri successi  del  Troiani,  evoca  dall’in- 
ferno la  Furia'  Aletto  per  disturbare  .la 
pace,  235  340.  Alelto  infonde  le  sue  furie 
prima  in  Am$ta,  moglie  di  Latino,  poscià 
in  Turno,  a cui  era  già  sta.ta'  promessa  in 
matrimonio  Lavinia, 341474;  e finalmente 
con  sue  fròdi  matte  lite  fra  la  gioventù  - 
troiana  a i contadini  del  Lazio,  475-510. 
Essa  stessa  dall’  alto  di-  un  luogo  dà  fiato 
alla  tromba  di  guerra  ; onde  ne  nasce  tin. 
combattimento.  Riportati  i 'puorti'in  città, 
Turno  ed  Amata  eccitano  il  re  - Latino 
a prenderle  armi  e vendicare  l’ingiu- 
ria, 511-590.  Ma  poiché  Latino,' femore 
dei  fati  e della  giurata  alleanza-,  resiste 
costantemente;  Giunone  ^stessa  apre  le 
porte-delia  Guèrra,  591-622.  « Allor  l’Au- 
sonia tutta,  ch'era  dianzi  pacifica  é quieta, 


I 


XXX 


AnGOMFNTI. 


s'accese  in  ogni  parte:  « — Lunga  « stu- 
penda rassegnacene  agenti  e dei  capitani 
✓ d’ Ita! i5a,  623-617. 


LIBRO  Vili. 

- Alzato  il  segnale  di  guerra  sulla  ròcca 
di  Laureato,  l'esercito  italiano  si  raduna 
intorno  a Turno.  .Vernilo  è mandato  ad 
Argirippa  o Arpi  per  irìvitane  Diomede 
alla  comune  lega,  additandogli  il  comune 
pericolo,,! -17.  A queste  gjjavi  minacce 
Enea,  vedendosi  mal  difeso  per  lo  scarso 
numero  de’ suoi,  a consiglio  di  Tiberino 
va,  su  pel  fiume  e pér  quei  luoghi  dove  poi 
fu  fabbricata  Roma  e dove  allora  regnava 
Evandro,  al  monte  Palatino  in  una  città 
• chiamata  Pailànteo,  18-100.  Evaodro  be- 
nignamente riceve  Enea,  eli  egli  domanda 
soccorso,  101-183:  Lo  fa  assistere  ai  sacri- 
iiciidi  Ercole  che  allqra  stava  celebrando; 
glie  ne  spiega  l’origine,  che  fir  l’gccisio-  - 
ne  di  Caco,  184-267  ; glie'  ne  -dimostra  il 
rito*,  e gli  addita  i luoghi  più  famosi  per 
quelle  imprese  di  Ercole,  268  389.  Intanto 
Vulcano  allettato  dalle  carézze  di  Venere 


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j 


ARGOMENTI., 


X,\XI 

si  prepara  a fabbricare  le  armi  per. Enea. 
Si-  descrive  la  sua  officina,-  37Q-454-  Il 
giorno  di  poi  Evandro,. chiomato  Enea  in 
disparte,  gli  espone  cohie  sia  volere  dei 
fati  che  i Tirreni  .prestino  soccorso  ai 
Troiani,  453-519.  Venere  dal  cielo  mostra 
ad  Enea  le  aptni  e i segni  *della  vicina 
guerra  ; onde  egli  -con  cerimonie  si  di-  ~ 
spone  a partire  pc/*  recarsi  fra  i Tusci; 
e il  vecchio  Evandro  commosso  dice. un 
amaro  addio  all’ unico  figlio  Pallante,  che 
parte  capitano  di . quattrocento  de’ suoi 
cavalieri,  530-596."  In  un  bosco  vicino  al 
campo  dei  Tirreni,  Venere  porta  le  divine 
armi  al  figlio,  che -ne  ammira  la*stupenda 
bellezza,  597-625,  e massime  dello  scudo, 
in  cui  sono  scolpite  le  future  glorie  di 
Roma  e di  Cesare  Augusto, -626-831. 


LIBRO  IX. 

% 

Nell/  assenza  di  Enea,  Turno  istigato 
da  Giunone  per' mezzo  di  Iride,  accosta 
T esercito  agli  accampamenti  dei  Troiani, 
che  si  tengono  entro  la  fossa  e le  mura,  1-46. 
Sdegnato  che  nessuno  venga  in  campo, 


XXXII 


.AIIUOMEINTI. 


tenta  d1- incendiare  le  navi  troiai»*»,  47-7(3. 
Ma  la  Madre  Idea  nel  cui  bosco' furono  ta- 

I ^ y 

gliati  i -legni,  di  quelle  navi,  ottieni  da 
Giove  di  poterle  salvare  dpllorfiamme  e 
convertirle  in  ninfe  macine,  77-12o.  Turno 
vuol  persuadeva  che  questo  portento  sia 
contro  pi  Tròiani,  perchè  cosi  Giove  toglie 
loro  ogni  mèzzo  dj  fuga  ; ondo  investe 
sempre'  più.  ITT  città*  12C-167.  Mentre  i 
condottieri.troiani  sono  a consulta  per  tro- 
var modo  di  -spedire  un-  messo  ad  Enea 
che  lo-istruisca  del  pericolo de’  suoi,  Niso 
ed  Eurialo,  due  giovani  amicissimi,  si  of- 
frono a questo  rischio',  J 68-245.  Applauditi 
da  Alete  0 da  Ascanjo,  e accompagnati  dai 
più  fervidi  voti  di  tutti,  i due  giovani 
escono  e fanno  strage  delle  sentinelle  se- 
polte fiel  Vino- e»nel "sonno;  e indossano  le 
loro  spoglie,  24C-366.  Ma  nel  ritirarsi,  sco- 
perti al  raggio  -dell a luna  dai  cavalieri  la- 
tini, corrono  ad  una  vicina  selva,  dove 
Eurialo  sopraggiunto,  malgrado  le  pre- 
ghiere di  Niso.  elicsi  offre  a morte  in  luo- 
go dell!  amicQ,  è trucidato  da  Voi  se  ente. 
Niso-,  dopo  aver  vendicata  valorosamente 
la  morte  dell'aulico,  trafitto  anchr’esso  do 
tante  punte,  cade  sul  (pavere  del  caro 


tim 


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AIlGONEJin.  XXXIII 

compdgi>9,flG7-449.  Le  loro  teste  portate  in 
* punta  a (Tue  picche  sonò  riconosciute  dai 
Troiani  che  amaramente  se  ne  addolorarla, 
e la  madre- d’ Eurialo  ne  manda  disperati 
la  menti, <430-502.  Turno  intanfco'muove  al- 
1’  assalto  con  tutte  le  forze:  ^rande  sU>ige 
da  ambe  le  parti.  Primo  fatto  di  Ascanio 
in  .guerra  : Apòllo  però  gli  ordina  di  ri- 
trarsi dalla  zuffa,  503-603.  PandaFo  e Inizia 
troppo  fidando  alla  propria  forzi»,  aprono  la 
porta  della  citta  troiana,  e Turno  con  molti 
nemici  irrompe  nel  mezzo  dpi  Trofòni  e ne 
mena  amp.i?}  strage,  4)64-777  finalmente 
circondato da.l  numero,  p pocpji  poco  è co- 
stretto di  ritrarsi. yerso  queliti  parte  della 
città  che  è bagnata  dal  fiume,  dove  gel-  / 
lotosi  a nuoto,  ritorna  salvo  ai  compu- 
-gni,778  8!8.  , - * . 


L1BUO  S.:  . . . 

■ i 

m «•  • • . 

Giove,  convocaci  gli  Dei  a concilio, -li 
esorta  alla  concordia.  Venero  dopo  essersi  * 
lagnata  del  pericolo  a cui  si  trovano  espo- 
sti L Troiani,  e dell’odio  implacabile  di 
Giunone,  domanda  un  qòalche  tormipe  a 


xxxrv 


ARGOMENTI. 


tante  calamità  ; ma-Giunone  ly monda  la 
colpa  di  tanti  Piallai  Troiani  e a Venere 
stessa,  1-99;  onde'- Giove  non  trovando 
manieradi  por  fine  alle  contese,  "dichiara 
di  non  voler  favorire  nessuna  delle  due 
parli, e di  ririiettcrsi  in  tutto  ai  fati,  160-1 17. 
intanto  i Ruttili  con  tutte  le  forze  assalgo- 
no, e i Troiani  difendono  la  città,  1 18-145. 
Mentre  questo  si  fa  nel  Lazio,  Luca  dopo 
aver  ottenuto  in  Etruria  quanto  desidera- 
va, con  sussidii  di  molti  popoli  alleati  ri- 
torna ai  compagni,  seguito  da  un’armata 
di  trenta  navi,  146-214.  Nel  tragittargli  si 
fanno  incontro  le  ninfe  nate  'dalle  navi 
arse  ; ed  unir  di  esso-,  Cimodocca,  gli 
espone  lo  stato  delle  cose,  21  o-237.  Enea, 
giunto  in  vista  de-suoi,'fa  prender -terra 
agli  armali  ; quando  i Rutuli,  desistendo' 
dall’assalto,  tentano  d’impedire  lo  sbarco. 
Grande  strage  da  ambe  le  parti,  258-361. 
l’aliante,  dopo  stupende  prove  di  valore, 
viene  ucciso  é spogliato  da  Turno, 362-509. 
Enea  per4dolorc  c vendetta  del  morto  ami- 
co fa  eccidio  de*  Rutulf..  Ascanio,  con  una 
sortita,. unisce  le  sue  forze  a-quelle  del 
padre,  510-605.  A questi- fatti  Giunone 
commossa,  temendo  pei'  la  -vita  di  Tui- 


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. ARGOMENTI.  XXXV 

no,  ottiene  da  Giove  la  grazia  di  salvarlo 
da  estremo  pericolo,  e mostrandogli  ni 
forma  di  fantasma  somigliante  od  Enea,  si 
lascia  inseguire  da  lui,  e così  Io  trascina 
lontanodalla  zuffa  sopra  una  uà  ve, 606-688.* 
Mezenzio  intanto,  per  volere  di  Giove,  rin- 
francala  battaglia  atterrando  gran  numero 
di  Troiani  c di  Etruschi,  689-761  ; finché 
piagato  da  Eiie'a,  è costretto,  per  fasciare 
la  ferita,  di  ritirarsi  dalla  mischia,-  in  ciò 
proteggendblo  il  figlio  t.ausoT762  793;  che, 
mentre  cerca  dj  far  le. vendette  del  padfe, 
è ucciso  da  Enea,  79G-832.  All’annunzio 
di  questa  morte,  Mezenzio,  cosi  ferito, 
monta  a cavallo  e ritorna  al  combatti- 
mento per  vendicare  l’uccisione  del  fi- 
glio ; ma  code  sotto  i. colpi  della  medesi- 
ma destra,  833-908.  * 

LIBRO  XI. 

j . * 

• • • . ✓ 

XTcciso  Mezenzio,  Enea  vincifòre^nalza 
un  trofeo  a Marte;  poscia,  rimanda  con 
gran’  pompa  funebre  il  corpo  di  fallante 
alla 'città  di  Evandro,  dove  lo  ricevono 
con  universale  cordoglio, A 99.  Intanto  am- 


XXXVI 


AnGOJTCNTl. 


Lasciatoli  latini  •domandano  dodici  giorni 
di  'tregua.:  i qualj  essendo  coneessi,  e 
Troiani  e Latini  ricercano  i cadaveri  dei 
suoi.  e. rendono*  ad*  essi  'gli  ultimi  ono- 
ri, 100-224.  Frattanto  Ve  nulo,- eh  e sol  prifi- 
cipia  della  guena  era  stato  .mondato  dai 
Latini  a DiomedLe  per  indurlo  a far  lega, 
ritorna  dicendo  essergli  stati  negoti  i soc- 
corsi per  combattere  una  gente  cara  agli 
Dei,  2^5-295.  Latinb  in  assemblea  consul* 
tondo  intórno  a questo  guerra,*,  propone 
che* si  tiiandinp  oratoli  ad  Enea  per  trattar 
della  pace,  29G-335.  Ivi  -Dionee  e Turno, 
per  odip  inveteralo  che  era  fra  loro,  a vi- 
cenda si  caricano  d’ingiurie,  330  444.  Frat- 
tanto Enea,  diviso  l’esercito  in  due,  man- 
da.iifnanzi  per  le  vie  aderte  la  cavallerìa 
leggera  ; ed  egli  per  luoghi  selvosi.e  mon- 
tuosi cerca. di  riuscire  -verso  la  parte  più 
elevata  diXaurento.  A tal  notizia,  radu- 
nanza 6i  scioglie, c si  provvede  alla  difesa 
della  città,  445-485.  Turno,  scoperto  per 
mozzò  degli  esploratori  il  disegno  d'Ené8, 
divide/anch’  egj i l’  esercito  tndue  ; ordi- 
nando che  la  cavalleria  guidata  daMessapo 
c da  Camilla  si  faccia  incontro  alla  caval- 
leria jiemica  :*cd  cgltcoi  fanti  si  mette  in 


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ARGOMENTI.  XXXVII 

agguato  in  certe  gole,  per  dove  Enea  ne- 
cessariamente doveva  passare,  486:531. — 
Narrazione  che  fa  Diana  intorno  alla  ver- 
gine Camillarnel  raccomandarla  alla  ninfa 
Opi,  332-596.  — Scontro  delle  due  cavalle- 
rie é vittoria  lungamente  indecisa, 597-647. 
La  vergine  Camilla,  i cui  splendidi  fatti 
accrescono  per,  qualche'tempo  il  coraggio 
nei  Latini,  è uccisa  insidiosamente  da 
Arunte,  648-835;-  il  quale  poco  appresso  è 
trafitto  da  una  freccia  di  Opi,  836-867. 1 
Rutuli  sgomentati  per  là  morte  di  Camilla 
si  danno  alla  fuga  ; i Troiani  si  dispongono 
a dar  l’assalto,  868-895.  Di  che  ATxa,  una 
compagnadi  Camilla,  recando  la  notizia  a 
Turno,  questi  abbandona  le  ^ole  ove  si 
teneva  in  agguato,  e vola  in  aiuto  de’  suoi. 
Enea  gli  tien  dietro;  c poiché  pel* soprag- 
giungere della,  notte  .non-si  può  venire 
alle  mani,  l’ un  esercito  e l’altro  si  mette 
a eampo  dinanzi  a Laurento,  896-915. 


LIBRO  XII.  * * * 

Turno  vedendo  l’abbattimento  dei  La- 
tini, e che  ornai  solo  in  sè  stesso  poteva 

• • • 

Curo. 


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XXXVIII 


ARGOMENTI. 


riporre  ogni  speranza,  malgrado  le  rimo- 
stranze di  Latino  e le  molte  lacrime  della 
regina  clic  lo  scongiurano  a porsi  giù  dal- 
l’impresa,  delibera  di  venire  a singoiar 
tenzone  con  Enea,  e gli  manda  la  sfi- 
da, 1-106.  Enea  l’ accetta  ; e le  condizioni 
sono  solennemente  giurate  da  una  parte  e 
dall’altra  : ma  la  ninfa  Iuturna,  sorella  di 
Turno,  eccitata  da  Giunone,  subito  le  di- 
sturba, 107-2  V3.  Ad  istigazione  dello  stesso 
augure  Tolumnio,  di  qua  e di  là  si  viene  a 
sanguinoso  conflitto,  nel  quale  Enea  ferito 
è costretto  di  abbandotìare  il  combatti- 
mento, 244-323.  Di  ciò  accortosi  Turno  fa 
dei  troiani  intorno  a sè  un  monte  di  ca- 
daveri, 324*382.  Intanto  Venere  con  dit- 
tamo eretico  guarisce  la  piaga  del  fi- 
glio, 383-429.  11  quale  dopo  una  breve 
esortazione  ad  Ascanio,  accorre  di  nuovo 
in  aiuto  de’ suoi,  e provoca  Turno  a bat- 
taglia, chiamandolo  a nome.  Ma  questi 
per  frodi  della  sorella  Iuturna  è vólto  al- 
trove, 430-485.  Perlochè  Enea,  fatta  molla 
uccisione  di  Rutuli,  avvicina  tanto  1’  eser- 
cito alla  città,  da  appiccare  il  fuoco  agli 
steccati  c ai  primi  edilìzi,  486-592.  Allora 
la  regina  Amata  credendo  che  Turno  fosse 


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ARGOMENTI. 


XXXIX 


spento,  s'impcndea  un  laccio,  593-613. 
Turno,  sapute  queste  cose,  vedendo  che 
non  può  esimersi  di  combattere  da  solo  a 
solo  con  Enea,  se  pur  non  voglia  permet- 
tere che  sotto  i suoi  occhi  quella  città' al- 
leata venga  in  potere  de’ nemici,  provoca 
Enea,  secondo  il  patto,  a duello,  Gt 4-696. 
Enea  vincitore  in  questo  combattimento, 
mentre  alle  preghiere  de!  caduto  rivale 
sente  già  quasi  commuoversi  a pietà  di 
lui,  venendogli  a un  tratto  veduto  il  bal- 
teo  di  Pallante  sugli  omeri  del  nemico* 
preso  da  subita  ira,  gl’ immerge  la  spada 
nel  petto,  697-952- 


I\’B.  — Le  cifre  notate  in  questi  Argo- 
menti richiamano  la  numerazione  dei 
versi  latini  che  è a piè  di  ogni  pagina. 


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- DELL’ ENEIDE 

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Libro  Primo. 


Quell’  io  clic  già  Ira  selve  e tra  pastori 
Di  Titiro  sonai  riunii  sampogna, 

E die,  de’ boschi  uscendo,  a manó  a mano 
Fei  pingui  e colti  i campi,  e pieni  i voti 
D’  ogn*  ingordo  colono,  opra  che  forse 
Agli  agricoli  è grata:  ora  di  Marte 

L’armi  canto  e ’l  valor  del  grand’eroe 
Cile  pria  da  Troia,  per  desiino,  ai  liti 
D’Italia  e di  Lavifiio  errando  venne; 

E quanto  errò,  quanto  sofferse,  in  quanti 
E di  terra  e di  mar  perigli  incorse, 

Come  il  traea  l’insuperabil  forza 
Del  cielo,  e di  Giunon  l’ira  tenace; 

C4R0. — i.  [v.  lat.  1*4] 


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2 . l’  EMEIDE.  [v.  il.  8-31] 

E con  che-dura  c sanguinosa  guerra 

Fondò  la  sua'cittade,  c gli  suoi  Dei 

Ripose  in  J^azio*,  onde  cotanto  crebbe 

Il  nome  de’  Latini,  il  regno  d’  Alba, 

E le  mura  e 1*  imnerio  alto  di  Roma. 

■ • ^ 

Musa,  tu  che  di  ciò  sai  le  cagioni, 

Tu  le  mi  delta.  Qual  dolor,  qual’  onta  f 

Fece  la  Dea,  eli’ è pur  donna  e regina 

Degli  altri  Dei,  sì  nequitosa  ed  empia 

Conila  un  sì  pio?  Qual  suo  nume  1’  espose 

Per  tanti  casi  a tanti  affanni?  Ahi  tanto 

• v - -,  • . 

Possono  ancor  là  su  l’ire  c gli  sdegni? 

Grande,  antica,  possente  e bellicosa 

Colonia  de’  Fenici*  era  Cartago, 

* • • 

Posta  da  lunge  incontr’  Italia  e ’ncontra 
A la  foce  del  Tebro,  a Giunon  cara 
Si,  che  le  fur-rtien  care  eiWArgo  e Samo. 

Qui  pose  P armi  sue,  qui  pose  il  carro, 

Qui  di  pprre  uvea  già  disegno ‘e  cura 
(Se  tale^era  il  suo  fato)  il  maggior  seggio, 

E lo  scettro  anco  umversal  del  mondo. 

Ma  già  contezza  avea  eh’  era  di  Troia 

% 

Per  uscire  una,  gente,  onde  vedrebbe 
Le  sue  torri  superbe  a terra  sparse, 

- [5*2(Fj 


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3 


[H2-55]  i,inno  i. 

E de  la  sua  ruma  alzarsi  in  tanto, 

Tanto  avanzar  d’orgoglio  c di  potenza. 
Gli*  ancorile  l’universo  imperio  avrebbe: 
Tal  de  le  Parche  la  volubil  rota 
Girar  salilo  decreto.  Ella, 'che  tema 
Avea  di  ciò,  non  posto  arieo  in  oblio 
Come  a difésa  de’ suoi  cari  Argivi 
Fosse  a Troia  acerbissima  guerriera; 
Ripetendone  i semi  e le  cagióni, 

Se  ne  senlia  nel  cor  profondamente 
Or  di  Pari  il  giudicio  or  l’arroganza 
D’ Antigone,  il  concubito  d’ Elettra, 

Lo  scorno  ti’  Ebe,' al  fin  di  Ganimede 
E la  rapina  e i non  dovuti  onori. 

l)a  tante,  oltre  al  timor,  faville  accesa 
Quei  pochi  afflitti  e miseri  Troiani 
Ch’avanzaro  agl’  incendi,  a le  ruine, 

Al  mare,  ai  Greci,  al  dispietato. Achille, 
Tene»  lungo  dal  Lazio;  onde  gran  tempo. 
Combattuti  da’  venti  e dal  destino, 

Per  tutti  f mari  andòr  raminghi  c sparsi 
Di  sì  gravoso  affar,  di  si  gran  mole 
Fu.  dar  principio  a la  romana  gente. 

Eran  di  poco,  e del  cospetto  a pena  ( 
[2 1-34] 


4.  l’ ENEIDE^  [56-78] 

De  la  Sicilia  navigando  liscili, 

E già,  preso  ile  V allo,  a piene  vele 
Se  ne  gian  baldanzosi,  e con  le  prore 
li  co’  remi  faccJn  1’  onde  spumose; 

Quando  pania  Giunon  d’  amara  doglia, 
Dunque,  disse,  eli’  io  ceda?  c die  di  Troia 
Venga  a signoreggiar  Italia  un  re, 

Cli'io  noi  distorni  ? Oli,  mi  soli  conila  i fati! 
Mi  sieno:  osò  pur  Pallade,  e poleo 
Ardere  e soffocar  già  degli  Argivi 
Tanti  navili,c  tanti  corpi  anciderc 
Per  lieve  colpii  c folle  amor  d’ un  solo 
Aiace  il’  Oiièo.  Contra  costili 
Ella  stessa  vibrò  di  Giove  il  telo 
Giù  da  le  nubi;  ella  commosse  i venti 
E turbò ’l  mare  c i suoi  legni  disperse: 
lì  quando  ei  già  dal  fulminato  petto 
Sangue  e damme  anelava,  a tale  un  turbo 
In  preda  il  diè,  die  per' acuti  scogli 
Miserabil  ne  fe’ rapina  e scempio. 

Tanto  può  Palla?  Ed  io,  io  degli  Dei 
llegiua,  io  sposa  del  gran  Giove  e suora, 
Son  di  quest’ una  gente  ornai  tant’anni 
ISimica  in  vano?  E chi  più  de’  mortali 

* ~ [34-48] 

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--  — 


[7 9-1 03]  lidho  i.  5 

Sarà  che  mi  sacrifichi  e m’  adori? 

Ciò  fra  suo  cor  la  Dea  fremendo  ancora, 
Giunse  in  Eolia,  di  procelle  e d’austri 
E de  le  furie  lor  patria  feconda. 

Eolo  è suo  re  ch’ivi  in  un  antro  immenso 
Le  sonore  tempeste  c i tempestosi 
Venti,  sì  come  è d’  uopo,  aflrena  e regge. 
Eglino  impetuosi  e ribellanti 
Tal  fi  a lor  fanno  e per  qugi  chiostri  un  fremilo, 
Clic  ne  treni  a la  terra  c n’  urla  il  monte. 

Ed  ei  lor  sopra,  realmente  adorno 
Di  corona  e di  scettro,  in  alto  assiso 
L’ ira  e gl’  impeli  lor  mitiga  c molce. 

Se  ciò  non  fosse,  il  mar,  la  terra,  e’1  cielo 
Lacerati  da  lor,  confusi  c sparsi. 

Con  essi  andrian  per  lo  gran  vano  a volo. 

Ma  la  {tossa  maggior  del  padre  eterno 
Provide  a tanto  mal  serragli  c tenebre 
D’  abissi  e di  caverne  ; e moli  e monti 
Lor  sopra  impose  j ed  a re  tale  il  freno 
[Se  die,  ch’ei  ne  potesse  or  questi  or  quelli 
Con  certa  legge  o rattenere  o spingere. 

A cui  davanti  1’  orgogliosa  Giuno 
Al  lor  umile  c supplielicvel  disse: 

[49-64] 


fi  . I.*  E3EIDE.  [104-127]. 

Eolo  (poi  che’l  gran  Padre  del  cielo 
A tanto  mihisterio  li  propose  * 

Di  correggerei  venti  e turbar  l’ onde) 

Gente  inimica  a me,  mal  grado  mio, 

Naviga* il  mar  Tirreno;  e giunta  a vista 
E .giù  d*  Italia,  al  cui  reame  aspira; 

E d’ Ilio  le  reliquie,  anzi  Ilio  tutto' 

Seco  v’adduce  e i suoi  vintiPcnati.  ' • 

• Sciogli,  spingi  i tuoi  venti,  gonfia  I’  onde,. 
Aggiragli,  confondigli,  sommergigli, 

0 dispergigli  almeno.  Appo  me  sono 
Sette  e sette  leggiadre  ninfe  e belle; 

E di  tutte  più  bella  e più  leggiadra 
È Deiopèa.  Costei  voglio  io,  per  n\erto 
Di  ciò,  che  sia>  tua  sposa:  c tu  che  seco 
Di  nodo  indissolubile  congiunto, . 

Viva  lieto  mai  sempre,  e ne  divenga 
Padre  di  bella  e di  te  degna  prole. 

Eolo  a rincontro:  A te,  regina,  disse, 
Conviensi  che  tu  scorga  i tuoi  deèiri, 

Ed  a me  ch’io  gli  adempia.  Io  ciò  che  sono, 
Son  qui  per  te.  Tu  . mi  fai  Giove  amico, 

Tu  rni  dui  questo  scettro  e questo  regno, 

Se  re  può  dirsi  un  che  comandi  a’  venti.* 

[65-78].^.  . 


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1 128-15 1]  unno  i.  . 7 

lo,  tua  mercè,  su  co’ Celesti  a mensa  * 

Nel  eie!  m- assido;  e co’  mortali  in  terra 
Son  di  nembi  possente  e di  tempeste. 

Così  dicendo,  al  cavernoso  monte 

• « 

Con  lo  scettro  d’  un  urto  il  fianco  aperse, 
Onde  repente- a stuolo. i venti  uscirò. 

Avean  già  co’  lor  turbini  ripieni 
Di  polve  e di  tumulto  i colli  e i campi, 
Quando  quasi  in  un  gruppo  ed  Euro  e Noto 
S’ avveniamo  nel  mare,  e fin  da  l’ imo 
Lo  turbar  sì,  che  ne  fer  valli  c monti  ; 

Monti,  eh’  al  cicl,  quasi  di  neve  aspersi. 
Sórti  I’  un  dopo  l’altro,  a mille  a mille 
Volgendo,  se  ne  gian  caduchi  e mobili 
Con  suono  e con  ruina  i liti  a frangere. 

Il  gridar,  lo  stridore,  il  cigolare  ; 

De’  legni,  de  le  sarti  e de  le  genti, 

I nugoli  che  ’l  cielo  e ’l  dì  velavano, 

La  buia  notte,  orni’  era  il  mar  coverto,  ' 

I tuoni,  i lampi  spaventosi  e spessi, 

Tutto  ciò  clic  s’  udia,  ciò  che  vedevasi, 
Rappresentava  orror,  perigli  e morte. 

Smarrissi  Enea  di  tanto,  c tale  un  giclo 

• ^ 

Sentissi,  che  tremante  al  ciel  si  volse 

[79-98] 

► 


S V ENEIDE.  [152-175] 

Con  le  man  giunte,  e sospirando  disse: 

0 mille  volle  fortunati  c mille 

• • 

Color  clic  sotto  Troia  c nel  cospetto 
De*  padri  e de  la  patria  ebbero  in  sorte 
Di  morir  combattendo!  0 «li  Tideo 
Fortissimo  figliuol,  eh’  io  non  protessi 
Cader  per  le  tue  mani  e lasciar  ivi 
Questa  . vita  affannosa,  ove  lasciolla, 

Vinto  per  man  del  bellicoso  Achille, 

Eltor  famoso  £ Sarpedonte  altero? 

E se  d’  acqua  perire  era  il  mio  fato, 

Perchè  non  dove  Xanlo,  o Simocnta 
Volgoli  taul’  armi  c tanti  corpi  nobili? 

Cosi  dicea  ; quand’  ecco  d’  Aquilone 
Una  buffa  a rincontro,  clic  stridendo 
Squarciò  la  vela,  e ’l  mar  spinse  a le  stelle. 
Fiaccàrsi  i remi;  e là’vc  era  la  prua, 

Oi  rossi  il  fianco;  e d’acqua  un  monte  intanto 
Venne  come  dal  cielo  a -cader  giù. 

Pendono  or  questi  or  quelli  a l’ onde  in  cima  : 
Or  a questi  or  a quei  s’  apre  la  terra 
Fra  due  liquidi  monti,  ove  l’arena, 

Non  meli  ch’ai  litiasi  raggira  c ferve. 

Tre  ne  furon  dal  Nolo  a P are-spinte: 
[94-108] 


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[176-199]  libro  i.  * jj 

Are  chiamati  pii  Ausoni  un  sasso  alpestre 
Da  l’altezza  de  ronde  ullor  celalo, 

Che  sorgea  primo  in  dito  mare  altissimo: 

E tre  ne  fui*  dal  pelago  a le  Sirti 
(Miserabile  aspetto)  ne  le  secche 
Tratte  da  1’  Euro,  e ne  I-  arene  immerse. 
Una,  che ’l  carco  avea  del  fido  Ormile 
Con  le  genti  di  Licia,  avanti  agli  occhi 
Di  lui  perì.  Venne  da  Bora  un’onda, 

Anzi  un  mar,  clic  da  póppa  in-guisa  urtolln, 
Che ’l  temoli  fuori  e ’l  temonicr  ne  spinse; 

E lei  girò  sì  che  ’l  suo  giro  stesso 
Le  si  fe*  sotto  e vortice  e vorago, 

Da  cui  rapita,  vacillante  e china, 

Quasi  stanco  palèo,  tre  volte  volta, 

Colossi  gorgogliando  e s’  affondò. 

Già  per  1’  ondoso  màr  disperse  e rare  « 
Le  navi  e i naviganti  si  vedevano; 

Già  per  tutto  di  Troia  a 1’  onde  in  preda 
Arnie,  tavole,  arnesi  a nuoto  andavano; 

Già  quel  eh’  era.  più  valido  e più  forte 
Legno  d’ Ilìonèo,  già  quel  d’Acate 
E (pici  d’ Aliante  e quel  del  vecchio  Alele, 
t'.d  aititi  tutti  sconquassati,  a I’  onde 
[109-1*22] 


40  l’eneidé.  [200-223] 

IVI iciilì'ali  avcano  i fianchi  aperti;  - 
Oliando,  a tanto  rumor,, da  1’  antro  uscito 
Il  gran  Nettuno,  c visld  del  suo  regno 
Rimescolarsi  i più  riposti  fondi; 

0,  disse  irato,  ond’  è questa  importuna 
Tempesta?  E grazioso  il  capo  fuòri 
Trasse  de  I’  onde;  e rimirando  intorno, 

Per  lo  mar  tutto  dissipati  c laceri 
Vide  i. legni  d*  Enea;  vide. lo  strazio 
De’ suoi,  eli’  a la  tempestala  la  mina 
E del  mare  c del  cielo  erano  esposti. 

E ben  conobbe  in  ciò1,  come  suo  frate, 

Che  ne  fora  cagioii  P ira  e la  froda 
Del- empia  Giuno.  Euro  a se  chiama  e Zefiro, 
E ’n  tal  guisa  acramente  li  rampogna: 
Tanta  ancor  tracotanza  in  voi  s’allctta, 
Razza  perversa?  Voi,. voi,  senza  me,  . 

Nel  regno  mio  la  terra  c ’l  ciel  confondere 
E far  nel  mare  un  si  gran  moto  osate? 

Io  vi  farò Ria  di  mestiero  è prima 

Abbonazzar  quest*  onde.  Altra  fiata 
In  altra' guisa  il  fio 'mi  pagherete 
Del  fallir  vostro.  Via  tosto  di  qua,  - 
Spirti  malvagi;  c da' mia  parte  dite 
[123-137] 


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[224-247]  unno  i.  1 X 

Al  vostro  re,  che  questo  regno  e questo  • - 

Tridente  è mio,  e eh’ a ine  solo  è dajo,’ 

Per  lui  sono  i suoi  sassi  e le  sue  grotte, 

Case  degne  di  \oi  ; quella  è suà  reggia;'  " 

Quivi  solo  si  vantile  per  regnare, 

De  la  prigion  de’ suoi  venti  non  esca. 

Cosi  dicendo,  in  quanto  a pena  il  disse, 

ha  tempesta  cessò,  s’  acqueti»  ’l  mare, 

Si  dileguòr  1q  nubi,  apparve  il  sole. 

Cimoloe  e Tritoli,  J’  una  con  1’  onde, 

1/ altro  col  dorso,  le  tre  nòvi  in  dietro 

Hitir&r  da  lo  scòglio  in  cui  percossero. 

he  tre  clic  ne  l’  arena  eran  sepolte, 

Egli  stesso,  le  vaste  sirti  aprendo,  - 

« ^ 
Sollevò  col  tridente,  ed  a sè  trassele.- 

Poscia  sovra  al  suo  carro  d’  ogn’  intorno 

Scorrendo  lievemente,  ovumfue  apparve, 

Agguagliò  ’l  mare,  e lo  ripose  in  calma. 

Come  odivicn  sovente  in  un  gran  popolo, 

Allor  che  per  discordia  si  tumultua, 

E ’mperversando  va  la  plebe  ignobile, 

Quando  1’ aste  e le  faci  e i sassi  volano 

E l’ impeto  e’I  furor  l’arme  ministrano, 

Se  grave  personaggio  e di  gran  merito  , 

[138-151] 


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12  L’  ENEIDE.  [2Ì8-27IJ 

Esce  lor  contro,  rispettosi  e timidi, 

Fatto  silenzio,  attentamente  ascoltano, 

Ed  ni  detto  di  lui  tutti  s’acquetano; 

Così  d’ ogni  mina  e d’  ogni  strepito. 

Fu ’l  mar  disgombro,  allor  che  umile  e piaci  Jo 
A ciel  apertoli  gran  rcttor  del  pelago 

Co’  suoi  lievi  destrier  volando  scórselo. 

« 

Stanchi  i Troiaui'ai  liti  eli’ erari  prossimi 
Drizzaro  il  corso,  c ’n  Libia  si  trovarono. 

È di  là  lungo  a la  riviera  un  seno, 

Anzi  un  porto;  che  porlo  un’isoletla 
Lo  fa,  clic  iii  su  la  bocca  al  mare  opponsi.  * 
Questa  si  sporge  co’  suoi  Ranchi  in  guisa 
Cli’  ogni  vento,  ogni  flutto,  d’ogni  lato 
* % ' Che  vi  |)evcuola,  ritrovando  intoppo, 

0 si  frange,  o si  sport 6,  o si  riversa.  • 

Quinci  c quindi  alti  scogli  e rupi  altissime, 
Sotto  cui  stagna  spazioso  un  golfo 
Securo  e quelo:  c v’  ha  d’  alberi  sopra 

Tale  una  scena,  che  la  luce  d’I  sole 

» • 

Vi  raggia,  c non  pcnètra;  un’ombra  opaca, 
Anzi  un  orror  di  selve  annose  e folte. 

I)’  incontro  ò di  gran  massi  c di  pendenti 
Scogli  un  antro  muscoso,  in  cui-dolci  acque 
[152-167] 


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e 


['272-295]  unno  l *3 

Fan  dolce  suono;  c v’  ha  sedili  e sponde 
Di  vivo  sasso:  albergo  veramente 
Di  Ninfe,  ove  a fermar  le  stanche  navi  - 
Nè  d’àncora  v’  è d’  uopo,  nò  di  sarte. 

Qui  sol  con  sette,  che  raccolse  a pena 
Di  tanti  legni,  Enea  ricoverossi.  . 

Qui  stanchi  lutti  e maceri,  e del  mare 
Ancor  paurosi,  i liti  a pena  attinsero, 

Ch’ a terra  avidamente  si  gittarono. 

Acate  fece  in  pria  selce  e focile 
Scintillar  foco,  e dielli  esca  c fomento. 

Altri  poscia  d’ intorno  ad  altri  fuochi 
(Come  epici  che  di  vitto  avean  disagio, 

E le  biade  trovàr  corrotte  e molli) 

Si  dier  con  vari  studi  e vari  ordigni 
A rasciugarle,  a macinarle,  a cuocerle. 

Intanto  Enea  sovr’  un  de’  scogli  asceso. 
Quanto  si  discopria  con  l’occhio  intorno,' 
Slava  mirando  se  alcun  legno  losse 
Per  alcun  luogo  apparso,  o quel  d’  Anteo, 

0 quel  di  Capi,  o pur  quel  di  Coleo 
Che  in  poppa  avea  la  più  sublime  insegno. 
Nìuu  ne. vide;  ma  ben  vide  errando 
Gir  per  la  spiaggia’tro  gran  cervi,  c dictio 
C.vno.  — 2.  [IG7-144] 


li  l’ekeide.  [296-319] 

I)’ allri  minori  innuiuerpbil  torma, 

CiT  in  sembianza  il’ armenti  empiali  le  valli. 
Kcrmosai:  e pronto  a colai  uso  avendo 
L’  arcoe’l  turcasso  (ehè  quest’ armi  appresso 
(ìli  portava  mai  sempre  il  lido  Acatc) 

Diè  lor  di  piglio;  e saettando  prima 
I primi  tre,  clic  più  vide  altamente 
Erger  le  teste  e inalberar  le  ^prnu, 

Conira  al  volgo  si  volse;  c '1  1 ito  e’1  bosco, 
Ovunque  gli  scorgea,  fulgurò  lutto. 

ISe  cacciò,  ne  feri,  strage  ne  fece 
A suo  diletto:  uè  si  vide  prima 
Sazio,  che,  come  sette  eran  le  navi, 

Sette  non  ne  vedesse  a terra  stesi. 

In  questa  guisa,  ritornando  al  porto, 

Gli  sparli  parimente  a’ suoi  compagni: 

E coir  essi  del  viti,  clic  il  buon  Aceste 
A T uscir  di  Sicilia  in  don  gli  diede, 

MolC  urne  dispensò  per  ricrearli. 

Poscia,  a confòrto  lor*  così  lor  disse: 
Compagni,  rimembrando  i nostri  affanni, 
Voi  n’  avete  infiniti  ornai  sofferti 
Vie  più  gravi  di  questi.  E questi  fine', 
(Quando  che  sia)  la  dio  mercede,  avranno. 
[155-199] 


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unno  i. 


15 


[320-343] 


Voi  la  rabbia  di  Scilla,  voi  gli  scogli 
Di  tulli  i mari  .ornai,  voi  de’ Ciclopi 
Varcaste  i sassi;  ed  or  qui  salvi  siete. 
Riprendete  I’ ardir,  sgombrate  i petti 
Di  tema  e di  tristizia.  £’ verrà  tempo 
Un  dì,  che  tante  e così  rie  venture, 

Non  eh’  altro,  vi  saruu  dolce  ricordo. 

Per  vari  casi, 'e  per  acerbi  e duri 
Perigli  è d’  uopo  a far  d’ Italia  acquisto. 
Ivi  riposo,  ivi  letizia  piena 
Vi  promettono  i futi,  e. nuova  Troia 
E nuovi  regni  aitine.  Itene  intanto; 
Soffrite,  mantenetevi,  serbatevi 
A questo,  che  dal  ciel  si  serba  a voi,v 
Sì  glorioso.e  si  felice  stato. 

Cosi  dicendo  ,a’  suoi,  pieno  in  sè  stesso 


D’alti  e gravi  pensier,  tenea  velato 
Con  la  fronte  serena  il  cor  doglioso. 

Fecce  tutti  coraggio;  e di  cibo  avidi 
Già  rivolti  a la  preda,  altri  le  tergora 
Le  svelgon  .da  le  coste,  altri  sbranandola, 
Mentre  è tiepida  ancor,  mentre  che  palpita, 
Lunghi  schidioni  e gran  caldaie  apprestano, 
E l’acqua  intorno  e T fuoco  vi  ministrano. 

[200-213] 


IG  . (.’ ENEIDE.  [341-367] 

Poscia  d*  mi  prato,  e seggio  e mensa  fattisi, 
Taciti  prima  sopra  l’erba  aliandosi, 
D’opima  carne  e di  vili  vecchio  empiendosi. 
Quanto  puon  lietamente  si  ricreano. 

Poiché  fur  sazii,  a -ragionar  si  diero, 

Con  voce  or  di  timore  or  di  cordoglio, 

De’  perduti  compagni,  in  dubbio  ancora 
Se  fosser  vivi,  o se  pur  giunti  al  fine, 

Più  de’  richiami  lor  nulla  curassero* 

Duca  vie  più  di  lutti,  e di  pietate 
E di  dolor  compunta,  il  caso  acerbo 
Or  d’  Àmico,  or  d’Oronte,.e  Lieo  e Già 
Ne’sospir  richiamava  e ’l  buon  Cloanlo. 

Erano  al  (ine  ornai;  quando  il  gran  Giove 
Da  l’alta  spera  sua  mirando  in  giuso 
La  terra  c’I  mar  di  questo  basso  globo; 
Mentre  di  iito  in  lito,  e d’  uno  in  altro 
Scerne  i popoli  lutti,  al  cielo  in  cima 
Fcrmossi,  e ne  la  Libia  il  guardo  adisse. 
Venere,  allor  eh’ a le  terrene  cose 
Lo  vide  intento,  dolcemente  afflitta 
Il  volto,  e molle  i begli  occhi  lucenti, 

Gli  si  fece  davanti,  e cosi  disse: 

Padre,  che  de’ mortali  e de’  celesti 
[214-2201 


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' LIBRO  1. 


17 


[.368*391] 

Siedi  eterno  monarca,  e folgorando 
Empi  di  tema  e di  spavento  il  mondo, 

E qualfe  ha  contra  te  fallo  sì  grave 
Commesso  Enea  mio  figlio,  o i suoi  Troiani, 
Che  dopo  tanti  affanni  e tante  stragi, 

C’  lian  di  lor  fatto  il  ferro,  il  fuoco  c’I  mure, 
Non  truovin  pace,  nè  pietà, .nè  loco 
Pur  che  gli  accetti  ? 1n  colai  guisa  ornai 
Dei  mondo  son,  non  che  d’ Italia,  esclusi. 

10  mi  credea,  signor  (quel  che  promesso 
N’  era  da  te),  che  tornasse  anco  un  giorno 

(Quando  che  fosse)  il  generoso  germe 

« 

Di  Dórdano  a produr  que'  gloriosi 
Eroi,  quei  duci  invitti,  quei  Romani 
De  1*  universo  domatori  e donni: 

E tu  nèl  promettesti.  Or  come,  padre, 

11  ciel  cangia  -destino,  e tu  consiglio? 
Questa  sola  credenza  era  cagione 

Di  consolarmi  in  parte  de  l'eccidio 
De  la  mia  Troia,  eh'  io  soffrissi  in  pace 
Tante  ruine  sue,  fato  con  fato 
Ricompensando.  Oli  la  fortuna,  stessa, 

E via  più  fera,  la  persegue,  e dura. 

E quanto  durerà,  signore,  ancora? 
[230-241] 


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IH  l’  rNF.iDE.  ,[392-415] 

Tal  non  fu  già  d’  Antenore  l’ essiglio 4 
Cli’ ci  non  più  tosto  de  I’  acliive  schiere 
Per  mezzo  uscio,  che  con  felice  corso 
Penetrò  d’  Adria  il  seno;  entrò  sccnro 
Nel  regno  de’ Liburni  ; andò  fin  sopra 
Al  fonte  di  Timavo;  e là  ’vc  il  fiume 
Fremendo  il  monte  intuona,  fc  là ’vc  aprendo 
Fa  nove  bocche  in  mare,  e, -mar  già  fatto, 
Inonda  i campi  e rumoreggia  e frange, 
Padoa  fondò,  pose  de’ Teucri  il  seggio, 

E diò  lor  nome,  e le  lor  armi  adisse. 

Ivi  ridotto  il  suo  regno,  e composto 
Quietamente,  or  lo  si  gode  in  pace. 

E noi,  noi,  del  tuo  sangue,  e che  da  te 
A verno  anco  del  ciclo  arra  e possesso, 

Ad' una  sola  indegnamente  in  ira, 

Perdute,  oimè!  le  proprie  navi,  fuori 
Sicmo  d’ Italia  e di  speranza  ancora 
Di  non  mai  più  vederla.  Or  questo  è ’l  pregio 
Che  si  deve  a pictade?  c questo  è ’l  regno 
Clic  da  te,  padre  mio,  ne  si  promette  ? 

* Sorrise  Giove,  e con  quel  dolce  aspetto 
Con  clic’!  ciel  rasserena  e le  tempeste, 
Himirolla,  basciollu,  c Così  dissele: 
[242-250] 


w 


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i 

[H  6-439]  libro  i.  M 

Non  temer,  Citerca,  cliè  saldi  e certi 
Stanno  i fati  de*  tuoi.  S’  adempieranno 
Le  mie  promesse:  sorgeran  le  torri 
De  la  novella  Troia:  vedrai  !e  mura 
Di-Lavinio;  porrai  qui  fra  le  stelle 
' Il  magnanimo  Eneo.  Cliè  nè’l  destino 
In  ciò  si  cangerà,  nè  ’l  mio  consiglio. 

Ma  per  trarli  d’  affanni,  io  tei  dirò 
Più  chiaramente,  c scoprirotti  intanto 
De’ fati  i più  reconditi  secreti.  -, 

Figlia,  il  tuo  figlio  Enea  tosto  in  Italia 
Sarà;  farà  gran  guerra,  vincerà; 

Domerà  fere  genti;  imporrà  leggi; 

Daf*à  costumi,  e fonderà  città: 

E di  già,  vinti  i Rutili r,  tre  verni 
E tre  stali  regnar  Lazio  vedrafió. 

Ascanìo  giovinetto,  or  detto  Iulo„ 

Ed  Ilo  prima  infin  eh’  Ilio  non  cadde; 
Succederagli  ; e trenta  giri  interi 
Del  maggior  lume,  il  sommo  imperio  avrà 
Trasferitilo  in  Alba:  Alba  lo  lunga 
Sarà  la  reggia  sua  possente  e chiara. 

Qui  regneranno. poi  sotto  la  gente  ,• 

D’  Ettore  un  dopo  P altro  un  corso  d’  anni 
[257-272] 


-Jr  — 


20  L*  ENEIDE.  [440-463] 

Tre  volte  cento;  (meli’ Ilio  regina 
Vergine  e socra,  del  gran  Marte  pregna, 

I)’  nn  parto  produrrà  gemella  prole. 

Indi  capo  ne  Ha  Romolo  invitto. 

Questi,  invece  di  manto,  adorno  il  tci'go 
De  la  sua  marzìal  n mirice  lupa, 

Di  Marte  fonderà  la  gran  cittade:  £*■ 

E dal  nome  di  lui  Roma  diralla.  »• 

A Roma  non  pongo  io  termine  o fine: 

Che  fia  del  mondo  imperatrice  eterna. 

E 1’  aspra  Giulio,  che  or  la  terra  e il  mare 
E il  ciel  per  tema  intorbida  c scompiglia, 
Con  più  sano  consiglio,  al  mio  conforme, 
Procurerà  clic- la  romana  gente 
In  arme  c ’n  toga  a P universo  impèri. 

E cosi  stabilisco.  E così  tempo 
Ancor  sarà  eli’ Argo,  Micene  e Ftia 
E i Greci  tutti  tributari  e servi 
De  la  casa  di  Assàraco  saranno. 

Di  questa  gente,  e de  la  lidia  stirpe, 

Che  da  quel  primo  lulo  il  nome  ha  preso, 
Cesare  nàscerà,  di  cui  l’ impero  . 

K la  gloria  lia  tul,  clic  per  contine 
V uno  avrà  L’Oeeànoj  e V altra  il  cielo. 

- ' [273-288]  ' „ ‘ 


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unno  i. 


21 


[4GUS7] 


Questi,  già  vinto  il  lutto,  poi  clic  onusto 
De  le  spoglie  sarà  de  l'Oriente, 

Anch'egli  avrà  da  te  qui  seggio  eterno, 

E là  giù  fra’  mortali  incensi  e voti. 

D’aspro  secolo  allor,  l’armi  deposte, 

Si  farà  mite.  Allor  la  santa  Vesta, 

E la  candida  Fede  c ’l  buon  Quirino 
Col  frale  Remo  il  mondo  in  cura  avranno. 
Allor  con  salde  e bep  ferrate  sbarre 
De  la  guerra  saran  le  porte  chiuse: 

E dentro  infra  la  rugine  sepolto, 

Con  cento  nodi  incatenato  e stretto 
Orari  tempo  si  starà  l’empio  Furore; 

E rabbioso  fremendo  orribilmente, 

^ A 

Con  fuoco  agli  occhi, e bava  e sangue  ai  denti 
.Morderà  1’  armi  e le  catene  indarno. 

Così  detto,  spedì  tosto  da  1’  alto 
Di  A/aia  il  Ciglio  a far  sì  eh’  a’ Troiani* 
Fosse  Carlago  e il  suo  paese  amico, 

Perchè  del  fato  la  regina  ignara,'  : • 

Non  fosse  lor,  per  ferità  de’ suoi 
0 per  sua  tema,  inospitale  e cruda. 
Vassene  il  niessaggier  per  1’  aria  a volo 
Velocemente,  e ne  la  Libia  giunto, 

[2S9-301]  • 


22  L*  ENEIDE*  [Ì88-51I] 

Quel  ch’imposto  gli  fu,  ratto  cssequisce. 

E già,  la  «lio  mercè,  lasciano  i Peni 
La  lor  fierezza/,  e la  regina  in  prima 
S*  imbeve  d’  un  affetto,  e d’  uno  mente 
Verso  i Troiani  -affabile  «“benigna. 

La  notte  intanto  del  pietoso  Enea 
Molti  furo  i sospir,  molli  i pensieri. 

Conchiusc  allin  eli’  a I’  apparir  del  giorno 
Spiar  dovesse,  e riportarne  avviso 
A’ suoi  compagni,  in  qual  paese  il  vento 
(ìli  avesse  spinti;  e s’  uomini,  o pur  fere 
(Perchè  incolto  il  vedea)  quivi  abitassero. 

Così  Ira  selve  ombrose  c cave  rupi 
Fatti  i legni  appiattar,  sol  con  Acato* 

E con  due  dardi  in  mano  in  via  si  pose. 

In  mezzo  de  la  selva  una  donzella, 

Ch’  era  sua  madre,  sì  coni’  era  avanti  * 

Clic  madre  fosse,  incontro  gli  si  fece.  ' 

Donzella  a Pnrmiva  1'  abito,  al  sembiante 
Parca  di  Spartii,  o quale  in  Tracia  Arpàlice 
Leggiera  e sciolta,  il  dorso  affaticando 
Del  fugace  destricr,  P Ebro  varcava: 

Al  collo  avea  da  cacciatrice  un  arco 
Abile  e lesto,  i crini  a P aura  sparsi, 

[302^319] 

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[512-535]  libro  i.  23 

Nudo  il  ginòcchio;  e con  bel  nodo  stretto 
Tenea  raccolto  de  la  gonna  il  seno. 

Ella  fu  prima  a dire:  Avreste  voi,  ' 
Gioviali,  de  le  mie  sorelle  alcuna 
Vi^ta  errar  quinci, och’aggia  l’arco  al  lìanco 
0 che  gli  omeri  vesta  d’  una  pelle 
Di  cervier  maculato,  o che  gridando 
D’  un  zannuto  cignal  segua  la  traccia? 

Così  Venere  disse:  ed,  a rincontro, 

Di  Venere  il  Figliool  così  rispose:- 

Niuna  ho, de  le  tue  veduta,  o’ntesn, 
Vergine....  qual  ti  dico,  e di  che  nome 
Chiamar  ti  deggio?  chè  terreno  aspetto 
Non  è già  ’l  tuo,  nè  di  mortale  il  suono: 

Dea  sei  tu  veramente,  o suora  a Febo, 

0 figlia  a Giove,  o de  le  niufè  alcuna:  * 

E chiunque  ti  sii,  propizia  e pia 
Vèmoi  ti  mostro,  e i nostri  affanni  ascolta 
Dinne  sotto  qual -cielo,  in  qual  contrada 
Siamo  or  del  mondo  : chè  raminghi  andiamo; 
E qui  dal  vento  e da  fortuna  spinti 
Nulla  o degli  abitanti  o de’  paesi 
Notizia  abbiamo.  A te,  s’  a ciò  m’  aiti, 

Di  nostra  man  cadrà  più  d’  una  vittima. 

[320-334] 


- JT 


Si 


2i  l’  eneide.  ‘ [536-559] 

Venere  allor  soggiunse:  Io  non  m’arrogo 
Celeste  onore.  In  Tiro  usai)  le. vergini 
Di  portar  arco  e di  calzar  coturni  ; 

K di  Tiro,  e d’  Agenore  le  genti 
T raggon  principio,  clic  qui  seggio  Irati  posto: 
Ma  ’l  paese  è di  Libia,  ed  avvi  in  guerra 
Celile  feroce.  Or  n’è  capo  c regina 
Dido  che,  da  l’ insidie  del  fratello 
Fuggendo,  è qui  venuta.  A dirne-  il  tulio 
Lunga  fò'ra  novella  e lungo  intrico. 

Ma  toccandone  i capi,  avea  costei 
Sichòo  per  suo  consorte,  uno  il  più  ricco 
Di  terra  e d’  oro,  che  in  Fenicia  fosse, 

Da*  la  meschina  unicamente  amato, 

Anzi  il  suo  primo  amore.  Il  padre  intuita 
Nel  primo  lior  di  lei  seco  legnila. 

Ma  del  regno  «li  Tiro  avea  lo  scettro 
» Pi  gin  ali  on  suo  frale,  un  signor  empio, 

Un  tiranno  crudele  e scelcralo 
Più  ch’altri  mai.  Venne  un  furor  fra  loro 
Tal,  che  Sichco  da  questo  avaro  c crudo, 
Per  sete  d’oro,  ove  meir guardia  pose, 

Fu  tra  gli  altari  ucciso;  e non  gli  valse 
Clic  la  germana  sua  tanto  l’ amasse.. 
[335-351] 


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e 


[560-583]  udrò  i. 

Ciò  Ce  colatamente;  e per  celarlo 
Vie  più,  con  finzioni  e con  menzogne 
Deluse  un  tempo  ancor  l’afllitta  amante. 
.Ma  nel  lìn,  di  Siclico  la  stessa  imago, 
Fuor  il’  un  sepolcro  uscendo,  sanguinosa, 
Pallida,  macilenta  e spaventevole 
L*  apparve  in  sogno,  c presentolle,  avanti 
Gli  empi  altari  ove  cadde,  il  crudo  ferro 
Clic  lo  trafisse,  e del  suo  frate  tutte 
1/  occulte  sceleraggini  l’aperse. 

Poscia:  Fuggi  di  qua,  fuggi,  le  disse,' 
Tostamente,  e lontano.  E per  sussidio 
De  la  sua  fuga,  le  scoperse  un  loco 
Sotterra,  ov’ era  inestimabil  somma 
D’oro  e d’argento,  ili  moli’  anni  ascoso. 
Quinci  Dido  commossa,  ordine  occulto 
Di  fuggir  tenne,  e d’  adunar  compagni; 
Che  molli  n’  adunò,  parte  per  odio, 
Parte  per  tema  di  si  rio  tiranno. 

Le  navi,  die  trov&r  nel  lito  preste, 
Caricòr  d’oro,  c fer  vela  in  un  subito. 
Cosi  il  vento  porjtossene  la  speme 
De  l’  avaro  ladrone.  E fu  di  donna 
Questo  si  degno  e niemorabil  fatto. 

[351-304] 


2 o 


| Digiti, 


26  l*  ENEIDE.  [584-607] 

Giunsero  in  questi  luoghi,  ov’or  vedrai 
Sorger  la  gran  cittade  c I’  alla  ròcca 
De  la  nuova  Carlago,  che  dal  fatto 
Ilirsa  nomossi,  per  P astuta  merce 
Glie,  per  fondarla,  fer  di  tanto  sito 
Quanto  cerchiar  di  bue  potesse  un  tergo. 

Ma  voi  chi  siete?  onde  venite?  e dove 
Drizzale  il  corso  vostro?  A lai  richieste 
Pensando  Enea,  dal  più  profondo  petto 
Trasse  la  voce  sospirosa,  e disse:  » 

0 Dea, -se  da  principio  i nostri  affanni 

10  contar  ti  volessi,  c tu  con  agio 
Udisse  una  da  me  si  lunga  istoria, 

Non  finirei  che  fine  avrebbe  il  giorno. 

Noi  sium  Troiani  (se  di  Troia  antica 

11  nome  ti  pervenne  unquu  agli  orecchi) 

E la  tempesta  che  per  tanti  mari 

Già  cetani’  anni  ne  travolvc  e gira, 

N’  ha  qui,  come  tu  vedi,  alfin  gittati. 

Io  sono  Enea,  quel  pio  che  da’  nemici 
Scampali  ho  meco  i miei  putrii  Penati, 
Fino  a le  stelle  ornai  nolo  per  fama. 

Italia  vo  cercando,  clic  per  patria 
Giove  m’assegna,  autor  del  sangue  mio. 
[365-380] 


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[608-631]  libro  i.  ' 27 

* « 

Con  diece  e diece  ben  guarnite  navi 
Uscii  di  Frigia,  il  mio  destili  seguendo 
E lo  splendor  de  la  materna  stella. 

Or  sette  me  ne  son  restate  a pena, 
Scommesse,  aperté  e disarmate  tutte. 

Ed  io  mendico,  ignoto  e peregrino, 

De  l’ Asia  in  bando,  da  l’Europa  escluso, 

E ’n  iin  dal  mar  gitlato  or  ne  la  Libia, 

Vo  per  deserti  inospiti  e selvaggi.  / 

E qual  m’ è più  del  moudo  or  luogo  aperto  1 
Venere  intenerissi;  e nel  suo  tiglio 
Tanta  amara  doglienza  non  soffrendo, 

Cosi ’l  duol  con  la  voce  gl’  interruppe: 
Chiunque  sei,  tu  non  sei  già,  cred’  io, 

Al  cielo  in  ira;  poi  che  a sì  grand’uopo 
Ti  (lift  ricovro  a si  benigno  ospizio. 

Segui  pur  francamente,  e quinci  in  corte 
Va  di  questa  magnanima  regina; 

CU’  io  già  t’ annunzio  le  lue  navi  e i tuoi 
Da  miglior  venti  in  miglior  parte  addotti 
Salvi  e securi  ornai,  se  i miei  parenti 
Non  m’ingannàr  quando  gli  auguri’ appresi. 
Mira  là  sovra  a. quel  tranquillo  stagno 
Dodici  allegri  cigni,  che  pur  dianzi 

[381-393] 


« 


28  l’  e^eide.  [632-655] 

Confusi  c dissipati  a cielo  aperto 
Erano  in  preda  al  fero  angel  di  Giove, 

Coiti’  or,  sottratti  dal  suo  crudo  artiglio,  . 
Rimessi  in  lunga  ed  oziosa  riga 
Si  rivolgono  a terra,  e già  la  radono. 

E si  con»’  essi  con  gioiose  ruote 
Trattando  I’  aria,  col  cantar,  col  plauso 
Mostrato  hun  d’  allegria  segno  e di  scampo; 
Così  placato  il  mare,  a piene  vele, 

E le  tue  navi  e gli  tuoi  naviganti 
0 preso  hun  porlo,  o tosto  a prender  l’hanno: 
Vattene  or  lieto  ove ’l  senlier  ti  mena. 

Ciò  detto,  nel  partir,  la  neve  e l’oro, 

E le  l’ose  del  collo  e <|e  le  chiome, 

Come  l’aura  movea,  divina  luce  * 

E divino  spiràr  d’ ambrosia  odore; 

E la  veste,  che  dianzi  era  succinta, 

Con  tanta  muestà  le  si  distese 
lutino  a’  piè,  eli’ a l’ andar  anco,  c Dea 
Veracemente  c Venere  mostrossi. 

Poscia  che  la  conobbe,  e la  sua  fuga 
0 fermare,  o seguir  più  non  poteo, 

Con  un  rammai'co  tal  dietro  le  tenne: 

• Ahi!  madre,  ancora  tu  vèr  me  crudele  ? 

[394-407] 


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[GÓ6-&79]  ubijo  u 

A che  tuo  figlio  con  mentite  larve 
Tante  volte  deludi?  A che  m’è  tolto 
Di  congiunger  la  mia  con*la  tua  destra  . 
Quando  fia  mai  eli’  io  possa-  a viso  aperto 
Vederti,  udirti,  ragionarti,  e vera 
Riconoscerti  madre?  Egli  in  tal  guisa^ 

Si  querelavo;  e verso  la  cittadc  • r 
Se  nc  giano  invisibili  ambulile: 

Chè  la  Dea,  sospettando  non  tra  via 
Fossero  distornali  o trattenuti, 

Di  folto  nebbia  intórno  gli  coverse. 

EH  a in  alto  levossi  ; c Cipri  e Pafo 
Lieta  rivide,  ov^entro  al  suo  gran  tempio 
Da  cento  altari  ha  cento  volte  il  giorno 
D’ incensi  e di  ghirlande  odori  e fami. 

Ed  c$si  intanto  in  vérde  mura  a vista 
Giunser  de  la’  città,  eh’  al  colle  incontro  , 
Fe  lor  superba  e speciosa  mostro. 

Meravigliasi  Enea  clic  si  gran  macchina 
Giù  sorga,  ove  por  dianzi  non  vedevasi 
Forsi  altro  che  foreste  o che  tuguri». 

Mira  il  travaglio,  mira  la  frequenza»,. 

E le  porte  e le  vie  piene  di  strepito. 

Vedo  con-quanlo  ardor  le  turbe  ime 
Caro.  — 3.  1407-423] 


30  l’  eseide.  ' [6SJ0-7O3J 

, Altri  a le  mura,  altri  a la*  ròcca  intendono. 

« * 

E i grava  legni  c i gran  sassi  che  volgono 
Questi,  che  i siti  ai  proprii  alberghi  insolcano  ; 
E quei,  che  del  senato. e degli  odici i 
Piantali  le  curie  e-i  fòri  e le* basiliche. 

Scorge  là  presso  aj  piar  che’l  porlo  cavano  ; 
Qua  sotto  al  colle,  eh’  un  teatro  fondano. 

Per  le  cui  scene  i gran  marmi  che  tagliano, 

E le  colonne,  che  talli’  alto  s’  ergonp, 

Ee  rupi  e i monti,  a cui  son  figli,  adeguano. 

Con  tal*  sogliono  industria  u-priiriavera 
he  sollecite  pécchie  al  sole -esposte  * 

Per  rforrte“'cum  paglie  esser  citar  sì, 

• • • 

Quando  le  uuovc  lor  cresciute  genti 
Mandano  in  campo .a# eòi*  manna  e fugiaday 
Di  celeste  liquor  le  celle  empiendo: 

0 quando  incontro  a scaricare  i pesi 
Van  de  P altre  Compagne  ; o quando  a stuolo 
Scacciano  i fuchj,  ingordo,  bestie  e pigre, 

Che,  solo  intente  a logorar  l’altrui, 

De  le  conserve  lor  si  fan  presepi, 

Allor  che  l’  opra  ferve,  allor  che’l  mèle 
Sparge  di  tiuio  d’  ogn’- intorno  odore^. 

0 fortunali  voi,  di  cui. già  sorge 
[423-437) 


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3! 


[704-727]  LIBRO  !.. 

i»  . • * 

11  desialo  seggio,  Enea  djcéndo,  • 

A parte  a parte  lo  contempla  e loda. . 
Arriva  intanto  a la  mitraglia,  e chiuso  .* 

Ne  la  sua  nube  (meruviglu.a  dirlo) 

Tra  gente  e gente  va,  che.  non  è visto. 

Era  nel  mezto  a la-ciltaile  un  bosco 

Di  sacro  rezzo  e grato,  ove  Sospinti  ’ 

• • ' 

Da  la  tempesta  capilaro  i Peni . 

Primieramente  ; e nel  fondar  trtìvaro 

Quel  che  pria. da  Giiinon  fu  lor  proietto 

'Di  barbaro  destrier  teschio  fatale,  ✓ „ 

La  cui  sembianza  indagine  e presagio 

Fu  poi,  che  quella  geute  ejquella  terra 

Saria  per  molte  età  ferace  e fera.  ^ 

Qui  fabricava  la  sidoniu  Dfdo 

Un  gran  tempio  a Giunone,  ilcui  gran  nume 

E i doni  e la  materia  e l’ artificio 

• 

Lo  facean  prezioso  e venerando. 

Mura  di  marmo  ùvea,  colonne  e fregi 
Di  mischi,  e gradi  e travi  e soglie  e porte 
Di  risonante  e solido  mètallo.  ^ 

Qui  si  ristette  Enea;  qui  vide  cosa 
Che  tema  gli  scemò,  speme. gli  accrebbe,  • 
E di  pace  aflidollo  e di  saluto^ 

[138-452] 


32  l’f.seide.  [72S-75I] 

Clic  mentre,  in  aspettando  la  regina 
Cli’  ivi  s’attende,  la  città  vagheggia, 

Mentre  nel  tempio  P apparato  e Copre 
E ’l  valor  degli  artefici  contempla, 

Agli  occhi  una  parete  gli  s1  offerse, 

In  cui  tutta  per  ordine  dipinta*- 
Era  di  Troia  la  famosa  guerra. 

E conosciuti  a le  fattezze  conte 
Prima  il  troiano  re,  poscia  I’  argivo 
E ’l  fero  d’  ambiduc  nimico  Achille, 
Eermossi,  e (agri mando:  O,  disse,  Acatc, 
Mira  fin  dove  è la  notizia  aggiunta 
De  le  nostre  rui  ne  ! or  quale  liu’l  mondo 
Loco  che  pien  non  sia  de’  nostri  affanni  1 
Ecco  Priamo,  ecco  Troia;  e qui  si  pregia 
Ancor  vertù  : che  ferità  non  regna 
Là  ’ve  umana  miseria  si  coinpiagiic. 

Or  ti  conforta,  che  tal  fama  ancora 
Di  prò  ti  fia  cagione  e di  salvezza. 

Cosi  dicendo,  e la  già  nota  istoria 
Mirando,  or  con  sospiri,  ed  or  con  lutto 
Va  di  vana  pittura  il  cor  pascendo. 

E come  quei  ch’a  Troia  il  tutto  vide, 

1 sili  rammentandosi  e le  zuffe, 

[*53-466] 


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- 


[752-775]  * libro  i.  3-3 

Col  senTbiantc  riscontra  il  ^ivo  e’I  vero. 
Quinci  vede  fuggir  le-greche  schiere, 
Quindi  le  frigie:  a quelle  Ettore  infesto, 

À queste  Achille,  a cui  parca  d’ intorno 
Che  solo  il  suon  del  carro  c solo  il  moto 
Del  cimiero  avventasse  orrore  e morte. 

“N 

Nè  Senza  lagrimar  Reso  conobbe 
Ai  destriei*  bianchi,  ai  bianchi  padiglioni, 
Fatti  di  .Sangue  in -mille  parti  rossi: 

Chè  sotto  v’  era.  Diomede,  aneli’  egli 
Insanguinato;  c si  facea  d’intorno 
’ Alla  strage  di  gente  che  nel  sonno, 

Prima  che  da  lui  morta,  era  sepolta. 

« 

Vedca  quindi  i cavalli  al  campo  addotti,*' 
Che  non  potèf  (fato  a’ Troiani  avverso  !) 

Di  Troia  erba  gustare,  o ber  del  Xante. 

Scorge  d’  un’  altra  parte  in  fuga  vólto 
Trullo,  g-ip  senz’  armWe  senza  vita: 

Giovinetto,  infelice,  che  di  tanto- 

* • • 

Diseguale  od  Achille,  ebbe  ardiménto 
Di  starli  a fronte.  Egli  in  su  ’l  vóto  carro 
Giucea  rovescio,  e strascinato  e lacero 
Da’  suoi  cavalli.  avea  la  destra  ancora 
A le  redine  involta,  e’1  collo  e i crini 

[466-477] 


ENEIDE. 


- [77G-7£9] 

Truca  per  terra  ;xì  I’  asta,  onde  trafitto 

Portala  il  petto,  con  la  punta  tu  gjuso 

Sericea  note  di* Sangue  in  su-la  pojye. 

Ecco  intanto  verìir  di  Palla  al  tempio 

In  lunga  schiera  ed  ordinata  porftpn 

l.e  donne  d’iiio  a far  «lei  peplo-offerta. 

'Battonsi.i  petti,  e? scapigliate  e* scalze  „ 

Puron  pregar  divotàftienlc  afflitte 

Perdonò  e pace;  cd  ella  irata  e .fera,  * 

Volle  le  luci  a terra  c ’l  tergo  a loro',* 

Mostra  fastidio  di  mirarle  c sdegno. 

• * • 
Vede  il  misero  Ettòr  clic  già  tre  volte 

Tratterrà  d’ilio. a la  muraglia  intorno: 

Vede  il  patire  più  misero,  eli’  in  forza 

Del  dispieiato  e suo  nimico  Achilie, 

Oro  in  premio  gli  dà  del  suo  cadavero  : 

Spettacolo  ci;ildél. elio-  gli  trafigge 

Profóndamente  e più-tP  ogn!  altro  il  core, 

Ove  il  carro,  gli  arue&i  e ’l  corjiQ  stesso 

Vede  d’  un  tanto  amico,  cd  un  re  tale, 

Che  solo  c disarmato  e supplichevole" 

Stassi  a P uccidi to4*  del  figlio  avanti. 

Vi  riconolme  ancor  sè  stesso,  ov’  era 

9 * m # 5*  \ 4*  — J 

A dura  mischia  incontro  a’ greci  eroi. 

[Ì78-4881 


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Irrg 


35 


[S00-S23]  unno  i. 

% • ^ 

Riconohhta-lo  sluol  che  d* Oriente 

% »>  r • . * 

Addiissc.de  I*  Aurora  il  negro  tìglio: 

E Ini  raffigurò,  che  di  Vulcano 

° . » • 

Avea  Io  sbérgo'e  l’ armatura  in  dosso; 

Scorge  d’  aJtronde  di  lunari  scudi 
Guidar  Penlesilèa  l’ firmale  schiere. 

De  P Amazzoni  $ue;  guerriera  ardila, 

Clie  succinta,  e ristretta  Mufrqgiià.d’  oro  ' 
1/  adusta  mamma,  ardente  e furiósa* 

Tra  mille  e nulle,  ancorché  donna  è vergine, 

v 7 • — • ^ Q 

Di  qiftil  sra.cavaUer  npn  tcmc*intoppo. 

Slava  da  taitlfe  meraviglie  ad  una  - 
Sola  vista  ristretto,  attento  e fiso  • * 

Enea  pfen .di  vaghezza. e dPswrpoV.e;  • . 
Quaud’eceo  la  regina,  accomji^&nota  j 
Da  reai  corte,  con  reap£ÒateguT>.>.* 

Entro  al  tempiomellissima  coipparyc,' 

Qual  su  le  idpX.de^r.Eyr^qia.SÌfdl'e,  . 

0 ne^gioglif  (4i>€into,.  allpfr  Dianct 
Cli’  a E Orcadi  sm:  la  pacfcu^ndicc^  * 

A mille  cbeie’fon  cerchio  d’  intorno,  ‘ , 

% • 

Divisar  vari  offici,  e (Vetrata, 

Da  la  faretra  in  jm  girxsovra  I’  altre 
Neglettamente  allern,  onde  a Lafòna 

{4SS-502] 


36  t’  eneide.  [824-847] 

S*  intenerisce  per  dolcezza  il  corc'j 


/ale  era  . Dido, c tal  per  mezzo  a’ suoi 
Se  ne  già  lieta,  e dava  ordine  e forma 
Al  nuovo  regno,  ai  magisteri,  a l' opre: 
Giunta  al  cospetto  de  la  Diva,  in  mezzo 
he  la  maggior  tribuna,  in  alto  assisp, 

Cinta  d’  armati,  in  maestà  si  pose: 

E mentre  con  dolcezza  editti  e leggi 
l’orge  a la  gente,  e con  cgunl  compenso 

1/  opre  distribuisce  c le  fatiche; 

• • 0 * ' * 

Rivolgendosi  Enea,  nel  tempio  stesso 
Vede  da  gran  concorso  attorneggiati 
Entrar  Sergesto , Anteo,  Cloanlo  e gli  altri. 
I roiani,  òhe  da  sè  disgiunti  e sparsi 
Avea  dianzi  del  mar  r aspra  tempesta.  - 
Stupor,  timqr,  letizia,  tenerezza, 

E disio  d’ abbracciarli  e di  mostrarsi, 
Assalirò  in  un  tempo  Acute  e lui. 

Ma,  dubii  del  successo,  entro  la.  nube 
Dissimulando  se  ne  stero,  e cheti, 

Per  rilrar  che  seguisse,  e che  seguito 
Fosse  giù  de  le  navi  e de’  compagni, 

Di  cui  questi  era ii  primi  e gli  più  scelti 
Di  ciascun  legno.  E già  pieno  era  il  tempio 
[502-519] 

• : 1 i 


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. v - ^ - ’v. 


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[848-871]  * n "libro  i.  37 

Di  tumulto  e ili  voti  deditamente 

Si  sentimi  vènia  risonare  e pace. 

£ • ' ^ *9 
Poiché  furo  enlromessi,  c ch’udienza  . 

Fu  lòr  concessa,  il  saggio  Ilìoneo, 

Prese  umilmente  in  cot'al  guisa  a dire: 

Sacra  Regina,  a cui  dal  cido  ò dato 

Fondar  nuova  ciltade,  e con  giustizia. 

Por  freno  a gente  indomita  c superba, 

Noi  miseri  Troiartr,  a-  tutti  i venir, 

A tutti  i mari  ornai  ludibrio  *e  scherno, 

Caduti^dopo  V onde  in  preda  al  foco  ' * . 

Che  chi’  tuoi  si  minaccia  ai  nostri  legni, 

Preghlanti  a proveder  che  nel  .tuo  regnò 

Non  si  commetta  un  si  nefando  eccesso. 

• • * 

Fa  cosa  di  te  dégna  ; abbi  di  noi 
Piotò,  che  pii,  che  giusti,  eh’  innocenti 
Siamo,' non  predatori',  non  corsari 
De  le  vostre  marine  o de  1*  altrui: 

Tantoj  Vinti  d’ardire,  è gl’  infelici 

D’orgoglio  e di  superbia’oimè ! non  hanno. 

» 

Una  parte  d’  Europa  -è,  che  da’  Greci 
Si  disse  Esperia, "antica,  bellicosa, 

B ferlil  terra,. dagli  Enotrii  cólta.* 

• Prima  Enotria  noinossi,  or,  come  è fama, 

[519-532] 


3S  l’  F.ngiDE.  , « .[872-855] 

Preso  il’  llalò  il  nome*  Italia  è della. 

Qui  ’1  nostro. (torso  era. “diritto,  quando  _ * •* 
Orlon  tempestoso  i venti. e ’l  n£orc  • * . 

Sì  repente  commosse,  e mapsl  fero/ 

Venti  Sìpeilinaoi,  e tiemlii  c. turbi  i ,v..* 

* • 9 9 è 

Cosi  rabiosi, die  sommersi  in  parte  - / 

K dispersi  at^>a  lutti:  altri  » lo  secche,  * . 
Altri  a gji  scogli,  cd  altri  altrove  \ia-spintij' 

K noi  pochi,  di  tatui; diartmi  SÓndottf.  ' ; 
Ma  qual  sì  crmltt^geril^qiiàl.sljfera 
E baibara-citlà  quert’  uSo  Inppruova, 

Clic  lie  srà  proibita  anco  P arena?.  * * * > 
Che  guerra  ne  si  muova*,  e ne  si  vjetl 


•v 

V • 


Di  star  oe  I’  orlo.de  la  terra  a pena£ 

Ab!.  se  de  f’  ùrmi  e de  le  genti  umane 
Nulla  vi  cale,  a D'19'thirate  almeno, . ^ 
Che  dal  del- vedere  riconosce  i.meiTci  .$.• 

E r demeriti  altrui:  Capo  e re  nosK’Q 

• •*  , * 

Era  pur  dianzi. Enea,  di  (fui  piùfcgirus^o, 
Più  pio,  piu  PF9’  nevl’  armi,  più  stigace  ■ 


Guerrier  nofi'fu  #ià  mai.  Se  questi. è. d*o*  ’ “ 
Se  spira,  se  il  destin  non  cc  V invidio,,  ; 

r.  • . *’  *,*  ■ . v . 


Quanto  ne  speriam  noi,  tanto  potreste 
Tu  non  pentirti  a provocarlo  ittprima 
* [533-348] 


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[896-919].  • nane  i.  39 

A cortesia.  Ne  la  Sicilia,  ancora  ' 

Ayein  tciTe/^vpirf  armi, -a  verno  Aèestc 
Che  n’  è .signore,,  ed*  è de’ nostri  aucl^cgli. 
Quel  ch’evi  domandiamo  è gpiaggi5,c. selva. 
K vitto  da  munir, , il  a-  risarcire  . * • 

I vóti  e stanchi  e scQnquassa.li  Iqgm,  , 

Per  poter  lieti  (ritrovnndo'il  Duce 
E gli  altri  nostri^o  se  pur  mai  rt’  £ dato 
Veder  P Italia)  nej’ Italia  addurne; 

Ma  se  nostra  salute  in  tutto  £ spenta/' 

Se  te  nostro  signor,  nostro  buon  padre, 

Di  Libia  ha  ’l  mare/  e più  speranza  alcuna 
Non  ci  riman  del  giovinetto  lufo^ 

Almcit  tQniijr  ne  la  Sicaniayond’  ora  ' *-  ' 
Sium-qur venuti,  c dove.il  buon*  Accstc* 

* 4 * * , *l  ■ %*  ' • 

N’è  pacato  mai  sempre  ospite  e-rege. 

Al  dir  drIlione'o  fremendo  tutti v ' • ’ 

• ' « . 

Assentirono  i -Teucri,  e la  regina  . t 

Con  gli  oéchi  bassi  e£on  benigna  voce 

• • * 

Breveoiente  rispose:  0 miei  Troiani, 
Toglietevi  dal  core  ogni  timore. 

Ógni  sospetto.  Gli. accidenti  atroci, 

La  nòVìtà  di -quésto  regno  a forza  ‘ * 

Mi  fan  si  rigorosa,  e si  guardinga 

[549-563] 


' — ,r^’-  ’ 


40  . l’  incide.  [920-94H] 

De’ miei  confini.  E chi  di  Troia  il  nome, 

Chi  ile*  Troiani  i valorosi  gesti, - 
E T incendio  non  sa  di  tanta  guerra? 
Non’.han  però  si  rozzo  core  i Peni; 

Non  si  lunge  da  lor  si  gira  il  sole, 

Clic  nò  pietà  nò  fama  iniqua  v’ a'rrjve. 

Voi  di  qui  sempre,  o de  la  grand’  Esperia 
E di  Saturno  che  cerchiate  i campi, - 
O che  vogliate  pur  d’  Aceste  c d’  Ericc 
Tornare  ai  liti;  in  ogni  casodilièrf 
Ve  n’  andrete  c sicuri.  Ed  io  d’  aita 
Scarsa  non  vi  sarò,  nò  di  sossi  dio: 

E se  qni  dimorar  ineco  voleste, 

Questa  è vostra  città.  Tirale  al  1 ito ^ 

**  . 

Vostri  navi  li  : chè  da’ Teucri  a’ Tiri 

# 

Nulla  scelta  farò,  nullo  divaro. 

• • # 

Cosi  qui  fosse  il  vostro*  re  con  vor! 

Cosi  ci  capitasse!  Ma  cercando 

lo  manderò  di  lui  fino  al*  estremo  " 

De’  miei  confini  la  riviera  tutta, 

Se  per  sorte  gittato  in  queste  spiagge  ' 

Per  selve  errando  o per  eittadi  andasse. 

Rincorossi  a tal  dire  il  padre  Enea 

E’I  forte  Acato;  e di  squarciare  il  velo 

[564-580] 


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LIBRO  I. 


u 


[544-967] 

Stavan  già  desiosi.  Àcnte  il  primo.  . 
Mosse  dicendo:  oqiqì,  signor,,  che  pensi  ? 
Tatto  è sicuro,  c tutti  a salvamento  ' 

I nostri  legni  c i nostri  amici  avemo. 

Sol  un  nemianca;  e questo  a noi  davanti 

II  mar  sorbissi.  Ogni  altra  cosa  al  «letto 
Di  tua  ipad/e  risponde.  A pena  Acute 
Ciò  disse,  che  la  nugola  s’aperse, 
Assottigliossi  e col  cicl  puro  unissi. 
Rimase  in  chiaro  Enea,  tale  ancor  egli 
Di  chiarezza  e d’  aspetto  e di  statura, 

Che  come  un  Dio  mostrassi  : c ben  a Dea 

0 • 

Era  figliuol,  che  di  bellezza  è madre. 

Ei  degli  occhi  spirava  e de  le  chiome 
Quei  ciliari,  lieti  e giovenili  onori 
Ch’  ella  stessa  di  lui  madre  gl’  infuse. 

* l ^ 

Tale  aggiunge  1’  artefice  vaghezza 
A V avorio,  a l’ argento,  al  pario  marmo, 
Se  di  fin’ oro  li  circonda  c fregia. 

Colai,  comparso  d’ iinproviso  a tutti, 

Si  fece  avanti  a la  regina,  e disse: 

Quegli  che  voi  cercate  Enea  troiano, 
Son  qui,  dal  mar  ritolto.  A te  ricorro 
Vera  regina,  a te  sola  pietosa 
[5S1-597] 


s 


•i2  l’  f.meiok.  [968«99J] 

De  le  nòstre-  ineffabili  fatidici  £ • 

• • • 

Tu  noi*,' rimasi, al  ferro,  affuoco, .a  V onde 
H’ ogni  strazio  bersaglio,  .d’ -ogni  cosa  ... 
Bisognosi  c menti ici,  nel  tuo  regno 
G nettilo  albergo'-umanamentc  accogli. 

A renderti  di  dlò  merito  eguale 

- * • - . . 
Bastante  non  son  io  nè  fòrti  n quanti 

T)e  largente  di'Dardano  discesi: 

• • » * • 

Vanno"  per  l’  universo  o'ggi  disporsi. 

Ma  gli  Dei  (s*  alcun  Dio  de*  buoni  ha  cura, 
Se  nel  mondo  è giustizia,  se  si  Ù'Uova  * 

Chi ~d’ altamente  adoperar  s’ nppughe) 

Te  ne  dian  guiderdone.  Età  felice! 
Avventurosi  genitori  e granai 
Clic  ti  diedero  al  mondo!  Infìn  c’  i fiumi 
Si  rivolgono  al  mare,  infin  di’ a’ monti 
Si  girali  l’ ombre,  infin  e’ ha  stelle  il  cielo 
I tuoi  pregi,  il  tuo  nome  eie  tue  lodi 
Mi  suran  sempre,  ovunque  io  sia,  davanti. 

Ciò  detto,  lietamente  a’ suoi  rivolto, 

Al  caro  Dioneo  la  destra  porse, 

La  sinistra  a Sorgeste, • e poscia  al  fòrte 
Clonnto,  al  forte  Già:  l’un  dopo  1’  altro 
Tutti  gli  salutò.  Stupì  Didòne  ' . 

[697-613]  . 


1 


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/ 


[992-UH&]  * ijiBjto  j.  43 

• • 

Nel  primo  ^aspettò  d’  un  si  nupVo  caso,* 

E d’ìm  nom  lale,  indi  riprese  a dire: 

Qual*  forì:a,  o qual  destino  a tanti  liscili 

T’  lìantfQ  jn  sì  straniali  si'te/i  paesi 

Espostolo  de  ìa  Offa  famoso  tiglio?* 

E sei-  hi  quell’  E>iea  che  in  su  la  riva 

Di^SUqpenta  il  gran  rfardnnio  Anchise 

Di  Venere  produsse?  Io. mi  ricordo 

* < ^ . . 

Quel  che  n*  Ui tesi  già  da  Teucro,  (piando 

Fuor  di  sua  pafri£,  il  suo  padre /uggendo, 

Nuovi- regni  cercava. -Jvgli* a Sidone 

Venne?  in  cfùel  tempo  a dar  sussidio  a Belo.. 

lido  mio  padre  aHoi>  Iacea  l’ impresa 

E’1  conquisto. di  Cipro.'  Intin  d’  allora  . 

Io  del  caso  di  Troia  c del  tuo  nome 

E de  1’  oste  de’  tiraci,  èbbi  notizia.  *k 
• ^ 

Ed  ei  eli’ era  sì  rio  nimico  vostro,  * * 

Celebrava  il  valor  di  voi  Troiani, 

% r • 7 • 

* • • * • 

E trai*  volea  da  Troia  il  suo  legnaggio. 

Voi  dà’ftie  dunque  amico  e fido  ospizio, % 
(ìiovini,  prete.  E me  fortuna  ancora, 

A la  voslra^simile,  ha  similmente 

Per  molti  atTanni  a questi  luoghi  addotta, 

Sì  che  natura  e solTei  enza  e ppuova 

rut.J-.630J 

*,  ;•  l 

' ■£ . i 


' 


4 V L*  ENEIDE.  • [101,6 -'IO  39] 

De’  miei  slessi  travagli  ancor  me.  fanno 
Pietosa  e sovvenevole  agli  altrui. 

Ciò  dello,  Enea  cortesemente  .adduce 
Nc  la  sua  reggia.  In  pgni-tcgipio  indice 
Pesi  e e preci  solenni.  Ordina  appresso 
Che  si  mandinoci  mar  venti  gran  tori, 
Cento  gran  porci,  cento  grassi  agnelli 
Con  cento  madri,  e ciò  eh’ a suoi  compagni 
Per  villo  e per  letizia  è di  inesliero. 

Dentro  al  reai  palagio,  realmente, 

De’  più  gentili  e sontuosi  arnesi 
Il  convito  e le  stanze  orna  e prepara; 
Cuopre  d’  ostro  le  muro;  empie  le  mense 
D’  argento  c d’  oro,  ove  per  lunga  serie 
Son  de* padri  e degli  avi  i fatti  egregi. 

Enea,  cui  la  paterna  tenerezza 
Quetiir  non  lascia,  a le  sue  navi  innanzi 
Ratto  spedisce  Acato  che  di  lutto  , 
Ascanio  avvisi,  ed  a sè  tosto  il  meni; 

Chè  in  Ascanio  ma'»  sempre  in  lento  "«  liso 
Sta  del  suo  caro  padre  ogni  pensiero. 

Gli  comanda,  oltre  a ciò,  eli’  a la  regina 
Porti  alcune  rf  donar  spoglie  superbe 
Che  si  salvAr  da  la  mina  a pena 
. * [620-6481 


* 


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[1040*1063]  libro  i.  45 

E dal  foco  di  Troia-:  un  ricco  manto 
Ricamato  a figure,  e di  fiu’  oro 
Tutto  contesto;  un  prezioso  velo, 

Cui  di  pallido  acanto  un  ampio  frogio 
Trapunto  era  d'intorno;  ambi  ornamenti 
I)’  Elcna  argiva,  c di  sua  madre  Leda 
Mirabil  dono.  In  questo  uvea  le  bionde 
Sue  chiome  avvolte  il  dì  che  di  Alicene 
A nuove  nozze,  e non  concesse,  uscio  ; 

E porli  anco  lo  scettro,  onde  superba 
llione  di  Priamo  sèn  giva 
Primogenita  figlia,  e ’l  suo  monile 
Di  gran  lucide  perlp;  e quella  stessa, 

Onde  ’l  fronte  cingea,  doppia  corona, 

Di  gemme  orientali  ornata  e d’  oro. 

Tutto  ciò  procurando  il  fido  Acute  - 
In  vòr  le  navi  accelerava  il  piede. 

Venere  intanto  con.nuov’  arte  e nuovi 
Consigli  s’  argomenta  a far  che.  in  vece 
E ’n  sembianza  d’  Ascanio  il  suo  Cupido 
Se  ne  vada  ih  Cartago;  e con  quei  doni, 
Con  le  dolcezze  sue,  con  la  sua  face 
Alletti,  incenda,  amordesti  e furore 
Nel  petto  a la  regina,  onde  sospetto- 

Caro.—  4 [G48-C61] 


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46  L,’  ENEIDE.  [1064- i 087] 

Più  non  aggia  o M regno,  o la  perfìdia 

0 

l)c  la  sua  gente,  o di  Giunon  P insidie 
Clic  da  pensare  e da  vegghiar  le  danno 
Tutte  le  notti.  E,  fatto  a se  venire 
1/  alato  Dio,  cosi  seco  ragiona: 

Piglio,  mia  forza  ernia  maggior  possanza; 
Piglio,  che  del  gran  padre  anco  non  temi 
L’  orribil  tèlo,  onde  percosso  giacque 
Chi  ne  diè  fin  nel  ciel  briga  e spavento, 

A le  ricorro,  c dal  .tuo  nume  aita 
Chieggio  a V altro  mio  figlio  Enea  tuo  frate. 
Come  Giuno  il  persegua,  e come  P aggia' 
Per  tutti  i mari  ornai  spinto  e travolto, 

Tu  ’l  sai  che  del  mio  duol  ti  sei  doluto 
Più  volte  mebo.  Or  la  sidonia  Dido 
1/  ave  in  sua  forza,  e con  benigni  e dolci 
Modi  fin  qui  P accoglie  e lo  trattiene. 

Mu  là  dOv’  è,  lassa!  che  vai,  comunque 
Sia  caramente  accolto?  in  casa  a Giuno 
Da  le  carezze  ancor  chi  m’ assedimi  ? 

% m 

CIP  ella  più  neghittosa,  o meno  atroce, 

In  un  caso  non  ha  di  tanto  affare. 

E però  con  astuzia  c con  inganno 
Cerco  di  prevenirla;  e'dcl  tuo  foco 

[G61-C73]  ',J! 

• * * • * 

♦ 


MiU]  L,Bno  '• 

Ardere  il  cor  de  la  regina  in  guisa, 

CI altro  nume  no!  mute-,  e meco  P am. 

/)’  immenso  affato.  Or  come  agevolmente 
Ciò  porre  in  atto  e conseguir  si  possa,^ 
Ascolta.  Enea  manda  testé  chiamando 
Il  suo  regio  fanciullo,  amor  supremo 
Del  caro  padre,  e mio  sommo  diletto, 
Perchè  de’  Tiri»  a la  città  sèn  vada 
Con  doni  a la  regina,  che  di  Troia 
A P incendio  avanzarono  ed  al  mare. 
Questo  vinto  dal  sonno,  o sopra  1’  alla 
Citèra,  o dentro  al  sacro  bosco  ldalto 
Terrò  celato  sì  ch’ei  non  s’  accorga, 

Kd  accorto  di  ciò  non  faccia  altrui, 

Con  alcun  suo  rintoppo.  E tu  che  puoi, 
Fanciullo,  il  noto  fanciullesco  aspetto  . 
Mentire  acconciament.e,  in  lui  ti  cangia 
Sola  una  notte,  e gli  suoi  gesti  imita. 

R quando  Dido  al  suo  reai  convito 
lUceveralti,  e,  come  a mensa  fassi, 
Sarà,  bevendo  e ragionando,  allegra  ; 
Quando,  come  farà,  cortese  in  grembo 
Terratti,  abbracceéàtli,  e dolci  baci 
Porceralli  sovente,  a poco  a poco 

£674-087] 


A 

mO<I 


Il 


Jf 


48  l’eseide.  [-1 1 12- 1"!  35] 

Il  tuo  foco  le  spira  e ’l  tuo  veleno. 

Al  voler  de  la  sua  diletta  madre 
Pronto  mostrassi  e baldanzoso  Amore, 

E gitlò  1’  ali;  cd  in  un  tempo  l’abito 
E ’l  sembiante  e l’ andar  .prese  d’ Itilo. 
Ciprigna  intanto  al  giovinetto  Ascanio 
Tale  un  profondo  c dolce  sonno  infuse, 

E ’n  guisa  I’  adattò,  che  agiatamente 
In  grembo  lo  si  tolse;  e ne  la  cima 
De  la  selvosa  Idalia,  entro  un  cespuglio 
Di  lieti  fiori  e d’odorata  persa, 

A la  dolce  aura*  a la  frese’  ombra  il  pose. 
Cupido  co’ suoi  doni  allegramente, 

Per  far  quanto  gli  avea  la  madre  imposto, 
Con  la  guida  si  pon  d’  Acate  ’n  via. 

Giunse,  che  giunta  era  bidone  appunto 
Ne  la  gran  sala,  che  di  fini  arazzi, 

Di  fior,  di  frondi  e di  festoni  intorno 

% 

Era  tutta  vestita,  ornata  e sparsa. 

E già  sopra  la  sua  .dorata  sponda 
(ìun  reul  maestà  s’era  nel  mezzo 
A tutti  gli  altri  alteramente  assisa. 

Appresso  Enea,  poscia  di  mano  in  mano 
Sopra  drappi  di  porpora  e di  seta 
[GS8-700] 


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X 


[1I36-H59]  libro  i.  . 49 

« 

Si  stende»  la  troiana  gioventute. 

Già  coni  I*  acqua  e con  Cerere  a le  mense 
Gli  aurati  vasi  e i nitidi  canestri 
E i bianchissimi  lini  eran  comparsi. 
Stavano  dentro,  a le  vivande  intorno. 
Intorno-  ó’  fochi,  a dar  ordine  a’ cibi 
Cinquanta  ancelle,  ed  altre  cento  fuori 
Con  altrettanti  d’  una  stessa  etade 
Tra  scudieri  e pincerni;  c gli  atrii  tulli 
Si  riempieron  di  Tirii,  a Cui  le  mense 
Di  tapeti  dipinti  eran  distese. 

A V apparir  del  giovinetto  Itilo 
Corser  tutti  ù mirare  il  manto  e M velo 
E gli  altri  eh* adduce»  leggiadri  arnesi, 

A sentir  quelle  sue  finte  parole, 

A contemplar  quel  grazioso  aspetto, 
Ch’ardore  e deità  raggiava  intorno. 

Ma  sopra  tutti  l’ infelice  Dido 

Non  potea  nè  la  vista  nè  M pensiero 

Saziar,  mirando  or  gli  suoi  doni,  or  lui; 

E com’più  gli  rimira,  e più  s’accende. 

Poiché  lunga  fiata  umile  è dolce 
Del  non  suo  genjtor  pendè  dal  collo 
E fìnse  di  figliuol  verace  affetto, 

[700-7  ! G] 


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jiO  l’ eseioe.  [1.160-1183] 

Si  volse  a la  regina.  Ella  con  gli  occhi, 

Col  pensici-  lutto  lo  contempla  e mira: 

Co  palpa,  e ’l  bacia,  ehi  grembo  lo  si  reca. 
Misera!  che  non  sa  quanto  gran  Dio 
S’  annidi  in  seno.  Ei  de  la  madre  intanto 
Rimembrando  il  precetto,  a poco  a poco 
t)e  la  mente  Sichèo  comincia  a trai  le, 

Con  vivo  amore  e con  visibiV  fiamma 
Rompendole  del  core  il  duro  smallo, 
E’ntroducendo  ilsuo  già  spento  affetto. 

Cessati  i primi  cibi,  c da’  ministri 
Giù  le  mense  rimosse,  ecco  di'  nuovo 
Comparir  nuove  tazze  e vino  e fiori, 

Per  lietamente  incoronarsi  c bere. 

Quinci  un  rumoreggiare,  un  riso,  un  giubilo 
Che  d’allegrezza  empian  le  sale  e gli  atrii, 

E i torchi  e le  lumiere  che  pendevano 
Dai  palchi  d’oro,  poiché  notte  fecesi, 
Vinceano  il  giorno  e ’l  sol,  non  clic  le  tenebr 
Qui  fattosi  Didonc  un  vaso  porgere 
D’  oro  grave  e di  gemme,  ov’  era  solito 
Ne*  conviti  c ne*  dì  solcnnrc  celebri 
Ber  Belo,  e glTaltri  che  da  Belo  uscirono; 

Di  fiori  ornollo,edi  vin  vecchio  empiendolo, 
[717-730] 


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! 

[4 184-1207]  libro  i..  51 

Orò  così  dicendo:  Eterno  Giove, 

Che,  Albergàlor  nomato,  hai  degli  alberghi 
E de  le  cortesie  tura  e diletto, 

Priegoti  eh’ a’  Fenici  ed  a’  Troiani 
Fausto  sia  questo  giorno,  e memorando 
Sempre  a’  posteri  loro.  E te,  Lièo, 

Largitor  di  letizia,  e te, -celeste 
E buona  Giuno,  a questa  prece  infoco.  . 

Voi  co*  vostri  favori,  e Tiri  e Peni, 

Prestate  a’  pr Leghi  mici  devoto-  assenso.  - 
Ciò  detto,  rivcrsollo,  e lievemente 
Del  sacrato  liquor  la  mensa  asperse,  . 
Poscia  ella  in  prima  con. le  firime  labbia 
Tapto  sol  ne  sorbi  quanto  n’attinse. 

Indi  con  dolce  oltraggio  e con  rampogne 
A Bizia  il  diè,  che  valorosamente 
A piena  bocca  inlino  q 1’  aureo  fondo 
Vi  si  tuffò  col  volto,  e vi  s’ immerse. 

Ciò  seguir  gli  altri. eroi..  Comparve  intanto 
Co’  capei  lunghi  c con  Iacetra  d’oro 
Il  biondo  lopa;  e,  qual  Febo  novello, 

Cantò  del  ciel  le  meraviglie  e i moli 
Che  dal  gran  vecchio  Atlante  Alcide  apprese. 
Cantò  le  vie  che  drittamente  forte 
[730-742] 


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52  l’  eneide.  [1208-1227] 

Remlon  vaga  la  luna  e buio  il  sole; 

Come  prima  si  fer  gli  uomini  e i bruti; 
Coni' or  si  fan  le  piogge  e i venti  e i folgori: 
Cantò  PÌiide  e l’Orse  e’I  Carro  e’I  Corno, 
E perchè  tanto  a l’ Oceano  il  verno 
Vadnn  veloci  i dì,  tarde  le  notti.  • 

Un  novo  plauso  incominciaro  i Tiri: 
Seguirò  i Teucri;  e P infelice  Dido 
Che  giù  fea  doice  con  Enea  dimora, 

Quanto  bevesse  amor  non  s’  accorgendo, 

A lungo  ragionar  seco  si  pose 

Or  di  Priamo,  or-d’Eltorre,  or  con  qual’armi 

Venisse  a Troia  de  P Aurora  il  figJio, 

Or  qual  fosse  Diomede,  or  quanto  Achille. 
Anzi,  se  non  P è grave,  alfin  gli  disse, 
Incomincia  a cantar  fin  da  principio 
E P insidie  de’  Greci,  e la  ruina 

j f ^ • 0 

E P incendio  «li  Troia,  e’I  corso  intero 
Degli  error  vostri:  già  che M settim’  anno 
E per  terra  e per  mar  raminghi  andate. 
[742-756] 

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atti  atei!:  i>  va  • '.s « i-  v , • • . 


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53 


DELL’  ENEIDE 


Libro  Secondo 


Stavan  taciti,  attenti  e (lisiosi 
D’udir  già  tutti,  quando  il  pàdre  Enea 
In  sè  raccolto,  a cosldir  da  lralta  • 

Sua  sponda  incominciò  : Dogliosa  istoria 
E d’ amara  e d*  orribil  rimembranza, 

* 4 r ' 

Regina  eccelsa,  a raecoutar  m’inviti  : 

Come  la  già  possente  e gloriosa' 

Mia  patria,  or  di- pietà'  degna  e di  pianto, 
Fosse  per  man  de’  Grccùarsa  e distrutta, 

E qual  ne  vid’  io  far  mina  e scempio: 

Ch’  io  stesso  il  vidi,  ed  io  gran  parté  fui 
Del  suo  coso  infelice.  E chi  sarebbe, 

Ancor  che  Greco  e Mirmidone  e Dòlopo, 

Che  a ragionar  di  ciò  non  lagrimasse? 

E già  la  notte  inchina,  e già  le  stelle 
Sonno,  dal  ciel  caggendo,  agli  occhi  infondono 
Ma  se  tacito  d’  udire  i nostri  guai. 

Se  brevemente  di  saver  t’  aggrada 

[1-41] 


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l’  ENEIDE. 


Ó 4 


[19-42] 


1/  ultimo  eccidio,  orni’  ella  arse  c cadco, 
Benché  lulto.e  dolor  mi  rinovelle, 

E sol  de  la  memoria  mi  sgomente; 
lo  lo  pur  conterò.  Sbattuti  e stanchi 
Di  guerreggiar  toni*  anni  e risospinti 
Ancor  da’  fati,  i greci  condottieri 


A l’ insidie  si  diero;  e da  Minerva 
Divinamente  instrutti  un  gran  cavallo 
Di  ben  contesti  e ben  confitti 'abeti 
In  sembianza  d’  un  monte  edificalo. 

Poscia  liuto  die  ciò  fosse  per  volo 
Del  lor  ritorno,  di  tornar  sembiante 
Fecero  tal,  che  se  ne  sparse  il  grido. 
Dentro  al  suo  cieco  ventre  c ne  le  grotte. 
Che  molte  erano  e-grandi  in  sì  gran  mole, 
Rinchiuse!*  di  uascosto  arme  e guerrieri 
A ciò  per  sorte  e per  valore  eletti. 

Giace  di  Troia  un’  isola  in  cospetto 
(Tènedo  è detta)  assai  famosa  e ricca, 
Mentre  ch’ilio  fioriva.  Ora  un  ridotto 
È sol  di  naviganti  c di  navili,  ; - 

Infido  seno*  c mal  secura  spiaggia. 

Qui,  poichè'di  Sigèo  sciolse  e spurio, 

Fa  greca  armata  si  ratlenne,  c dietro 

[11-24] 


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LIBRO  II. 


[43-66]  libro  il.  .55 

^ « 

Appialtossi  al  suo  lito  ermo  e deserto. 

E noi  credemmo  clic  veracemente 
Posse  partita,  e che  a spiegate  vele 
Gisse  a Micene.  Onde  la  Teucria  tutta,  . 

Già  cotoni’ anni  lagrimosa  e mesta, 

Volta  ne  fu  subitamente  in  gioia. 

S’aprir  le  porte,  uscir  d’ilio,  e d’intorno 
Le  genti  tutte,  disiose  e liete 
Di  veder  vóti  icampi  e sgombri  i liti, 

Cli’  eran  coverti  pria  di  navi  e d’  armi. 

Qui  s’  accampava  Achille;  e qui  de’  Dòlopi 
Eran  le  tende;  ivi  solean  le  zuffe 
Farsi  ile’  cavalieri,  e là  de’  fanti, 

Dicean  parte  vagando,  e parte  accolti  - 
Facean  mirando  al  gran  destriero  intorno 
Meraviglie  e discorsi:  e chi  per  sacro, 

E chi  per  essecrando  il  volo  e ’l  dono» 
Avean  di  Palla.  Il  primo  fu  Tiincte 
A dir  eh’  entro  le  mura,  e nc  la  ròcca 
Quindi  si  conducesse,  o froda,  o fato-  ^ 

Che  ciò  fosse  de’  miseri  Troiani. 

Ma  Capi  e.gli  altri,  il  cui  più  sano  avviso 
0 per  insidiose,  o per  sospette, 
Quantunque  sacre,  avea  le  greche  offerte, 

[21*35] 


I 


•r»6  - L*  ESEIDE.  [67. 90] 

Voleano,  o che  del  mar  fosse  nel  fondo 
Precipitato,  o che  di  fiamme  ardenti 
Si  circondasse,  o che  forato  e lacero 
Gli  fosse  il  petto  e sviscerato  il  fianco. 

Slava  tra  questi  due  contrari  in  forse 
In  due  parti  diviso  il  volgo  incerto; 
Oliando  con  gran  caterva  e con  gran  furia 
Da  la  ròcca  discese,  e di  lontano 
Gridò  Laocoonte:  0 ciechi,  o folli, 

0 sfortunati!  agli  nemici,  a’ Grèci 
Date  credenza?  a lor  credete  voi,- 
Che  'sian  partiti?  e sarà  mai  che  doni 
Siano  i lor  doni,  e non  piò  tosto  inganni  ? 
('osi  v’ è noto  (JJissc?  0 in  questo  legno 
Sono  i Greci  rinchiusi,  ò questa  è machina 
Contra  a le  nostre  mura,  o spia  per  entro 
Ai  nostri  alberghi,  o scolo  o torre  o ponte 
Per  di  sopra  assalirne.  E che  che  sia, 

Certo  o vi  cova  o vi  si  ordisce  inganno, 

Gilè  de’  Pelasgi  e de*  nemici  è *1  dono. 

Ciò  detto,  con  gran  forza  una  grand’asta 
Avventògli,  e col  pillo,  ove  tremante 
Stette  ultamente  infra  due  coste  infissa: 

E *1  destrier  come  fosse  e vivo  g fiero, 
[36-52] 


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£5=: — ^ 


• ~G-_ 


[91-4  U]  libro  li.  -57 

Fieramente  da  spron  punto  cotale, 

Si  storcè,  si  crollò,  tonògli  il  ventre, 

E rintontì*  le  sue  cave  caverne. 

E se  ’l  fato  non  era  a Troia  avverso. 

Se  le  menti  eran  sane,  avea  quel  colpo,. 

Già  commossi  infiniti  a lacerarlo, 

E del  tutto  a scovrir  I’  agguato  argolico: 
Ond’oggi  e tu,  grand’  Ilio,  e tu,  diletta  • 
Troia,  staresti.  Ma  si  vide  intanto 
De’  paslor  paesani  una  masnada 
Venir  gridando  al  re,  eli’  ivi  era  giunto, 

E tra rgli  avanti  un  giovine  prigione 
Ch’  avea  dietro  le  mani  al  tergo  avvinte. 
Questi  era  greco  ; c da’  suoi  Greci  avea 
Di  salvare  il  destrier,  d’aprir  lor  Troia 
Assunto  impresa;  e per  condurla,  a tempo 
Ascosto,  a tempo  a quei -pastori  offerto 
S’era  pei*  sè  inedesmo,  in  sè  disposto 
E fermo  di  due  cose  una  a finire, 

0 quest’  opra,  o la -vita.  A ciò' -concorso, 

Per  disio  di  vedere,  il  popol  lutto 
Dal  cavai  si  distolse,  e diessi  a gara 
A schernire  il  prigione.  Or  ascoltate 
Le  malizie  de’  Greci;  c da  quest’  uno 
'[52-65] 


58  l’  ENEIDE.  [115-438] 

Conosceteli  tutti.  Egli  liel  mezzo 
Cosi  com’era  a le  nemiche  schiere, 

Turbato,  inerme  c di  catene  avvinto, 
Fermossi  : e poi  che'riinirolle  intorno, 

Con  voce  di  pietà  proruppe,  e olisse  : 

Or  quale  o tèrra,  o mare,  o ^co  altrove 
Sarà,  misero  me  ! che  mi  raccolga, 

0 che  in’  alìidi  ornai  ; poiché  tra’  Greci 
Non  ho  dov’ió  ricovrì,  e ila’  Troiani 
Non  deggioaltroaspeltarchestrazioe  morte? 
Ne  commosse  a pietà,  n’  acquetò  I’  ira 
Si  doglioso  rammarco  ; c con  dolcezza, 

E con  promesse  il  confortammo  a dire 
Chi,  di  clic  loco  e di  che  sangue  fosse, 

E che  portasse,  c qual  fidanza  avesse 
A darnesi  prigione.  Egli  in  tal  guisa 
Assecuralo,  al  re  si  volse  e disse: 

Signor,  segua  che  vuole,  in  tuo  corpetto 
lo  dirò  tutto,  e dirò  vero.  E prima 
IV  esser  greco  io  non  niegojchè  fortuna 
Può  ben  far  che  Sinon  sia  gramo  e misero, 
Ma  non  già  mai  che  sia  bugiardo  e vano. 

- Non  so  se,  ragionandosi,  agli  orecchi 
Ti  venne  mai  di  Palamede  il  nome,  iS  (J  i 

[66-82] 


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LIBRO  II. 


59 


[139-162] 


Cile  nomato  e pregiato  e glorioso, 

E da  Belo  Ultamente  era  disceso. 

Se  ben  con  falso  e scelerato  indizio 
Di  tradigion,  per  detestar  la  guerra, 

Ei  fu  da’ Greci  indegnamente  ucciso; 
Com’or,  che  ne  son  privi,  i Gretti  stessi 
Lo  piangon  tutti!  A questo  Palamede, 

A- cui  per  parentela  era  congiunto*'  • 

Il  pover  padre  mio  ne’ miei  prim’anni 
Pria  per  valletto  nel  mistier  de  Farmi, 

Poi  per  compagno  a questa  guerra  diemmi. 
Infili  eli'  ei  visse,- e fu’l  suo  stato  in  fiore,* 
Fiorirò  anco  i miei  giorni;  e Popre.eM  nome 
E ’l  grado  mio  ne  fur  tal  volta  in  pregio. 
Estinto  lui  (che  per  invidia  avvenne, 

Com’  ognun  sa,  del  traditore  Ulisse) 
Amaramente  il  piansi.  E’I  caso  indegno 
D’  un  tanto  amico,  e la  mia  vita  oscura 
Tra  me  sdegnando,,  come  soro  e folle 
di’  io  fui,  noi  tacqui.  Anzi  se  mai  la  sorte 
Mei  consentisse,  o se  mai  fossi  in  Argo 
Vincitor  ritornato,  alta  vendetta 
Ne  gli  promisi,  e con  minacce  e molti 
Acerbi  acerbamente  il  provocai. 

[82-96]  . 


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(iO  l’  e.xeidl.  [163-186] 

Questo  fu  del  mio  mal  prima  radice; 
li!  quinci  de’  suoi  falli  e del  mio  duolo 
Consapevole  Ulisse,  a spaventarmi, 

A travagliarmi,  a seminar  susurri 
Si  diè  nel  volgo,  e procurarmi  iuciumpi, 
Oml’  io  cadessi.  E non  cessò, .eh’ ordinimi 
Per  mezzo  ifi  Calcante....  Ma  dov’  entro, 
Casso!  senza  profitto  a fastidirvi 
Con  noiose  novelle?  a voi  sol  basta 
Di  saver  eli’  io  Son  greco,  già  clic  i Greci 

Tutti  egualmente  per  nimici  avete. 

» 

Or  datemi,  signor,  supplizio  e morte 
Qual  a voi  piace,  che  piacere  e gioia  _ 

IN’  a ranno  i regi  ancor  d’ Itaca  e d’  Argo. 

E qui  si  tacque.  Allor  brama  ne  venne, 

Non  che  disio,  di  più  supere  avanti  ; 

Non  ben  sapendo  ancor,  miseri  noi! 

Quanta  sceleratezza  e quanta  astuzia 
Fosse  ne’  Greci.  Egli,  a seguir  costretto, 
Mostrossi  in  prima  paventoso,  e poscia 
Di  nuovo  assicurossi,  e finse,  e disse: 

Hanno  molte  Hate,  i Greci  afflitti 
Già  da  la  guerra,  e dal  disagio' astretti, 
Disialo  o tentato  anco  più  volte 
[97-109J 


: 


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Il 

[187-210]  LIBRO  II.  ‘ 61 

Di  qui  ritrtfrsi,  e lasciar  Troia  in  pace. 

Cosi  fallo  1’  avessero  ! Ma  sempre 
Or  il  verno,  or  i venti,  or  le  procelle 
Gli  lian  distornali.  E pur  dianzi  che  l opra 
Del  cavai  che  vedete  era  fornita; 

Di  nuovo. in  sul  partire,  e’ri  sul  far  vela, 

Di  tempeste,  di-turbini  e di  nembi . 

Risonò  ’l  cielo,  c conturbos^i  il  nianr. 

Oìrde  sospesi  Euripilo  mandammo 
A spiar  sopra  a ciò  quel  che  da  Febo 
Ne  s’  avvertisse.  Riportòrine  un  empio, 

E spaventoso  oracolo;  e fu  questo:-  ■ 

Col  sangue,  e con  la  morte  d' una  vergine 
Placaste  i venti  per  condurvi  in  (fi o:  . 

Col  sangue , e eon  la  morte  ora  d ' «t  giovine- 

■ Convien  placarli  per  ridurvi  in  Grecia.  . 

A cosi  fiera  voce  sbigottissi, 

Impallidissi,  e tremò ’l  volgo  tutto, 

Ciascun  per  sè  temendo,  e nessun  certo 
Oual  di  loro  accennasse  Apollo  c M fato. 

• quì  fece  Ulisse  in  mezzo  al  greco  stuolo 
Con  gran  tumulto  appresentar  Calcante  ; 

E del  volere  in  ciò  de’ santi  Numi 
hitevrogollo.  Ed  ei  rispose  in  guisa, 

C*ro° — 5. 


t 


- 


è 


Aj’J  -L.’  L3E1DE.  [211-234] 

Clic  la  sua  fellonia,  benché  da  futlr 
Fusse  prevista,  fu  però  da  mo^li  ' 

Simulata  e taciuta,  e da  molti  anco  . .* 

A me  predetta:  pur  ei  tacque  ancora  • 

Per  dieci  giorni;- e. scaltramente  al  niego 
Si  mise  di  voler  clic  per  suo  detto 
Fosse  alcun  destinato,  o spinto  a morte. 

Ma  poi,  come  da  gridi  aslreltó  e vinto, 

Di  conserto  con  lui  ruppe  il  silenzio 
Si,  eli’ io  fui  dichiarato  alfin  per  vittima; 

Eonscnlìr  tutti,  perchè  tutti  ancora 
Finian  eoo  la  mia  morte  il  lor  periglio. 

* ,■  t / 

Era  già  da  vicino  il  giorno  orribile, 

In  che  doveano  al  sacrifìcio  offrirmi: 

E già  ’l  ferro  e già’l  sale  c già  le  bende 
Erano  a le.  mie  tempie  intorno  avvolte, 

Quando,  rotto  (io  noi  niego)  ogni  ritegno 
Da  la  morte  mi  tolsi;  e fin  eh’  a’ venti 

9 4 

Desser  Iti  vele  (di’  eran  presti  a darle) 

Di  buia  notte  in  un  pantan  m’  ascosi, 

Uve  nel  fango  infra  le  scarde  e i giunchi 
Stava  qual  mi  vedete.  0.ra  son  q.ui 
Pfivo  d’ognr  conforto  e d’  ogni  speme 
Di  mai  più  riveder  la  patria  antica, 

[124-437]  m 

• * \ 

* • 

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[235-258]  unno  il.  03 

1 dolci  figli  e’1  desiato-padre, 

Che  saran,  lasso  me!  per  la  mia  fuga, 

Benché  innòcenti,  ancor. forse  in  mia  vece 
Incarcerati,  e tormentati  o morti. 

Ór  io,  signor,  per  quelli  eterni  Dei 
Che  scorgon  di  là, su  sé  ’1  vero  io  parlo, 

Per  quella  pura  e ’ntemerata  fede  - 
(Se  tra’  mortali  in  alcun  loco  è tale)  # 

Ond’  io  .già  -tutto  a rivelar  ti  vengo, 

Pri sgoli  che  pietà  di  me  ti  prenda, 

E de’  miei  tanti  ^ sì  gravosi  affanni  . 

Ch’ indegnamente  io  s'offrb.  A contai- pianto 
Commossi,  e da  noi  fatti  anco  pietosi 
Vita  e vènia  gli  diamo,  E di. sua  bocca  . 
Comanda  il  re  che  si  disferri  e sciolga; 

Poi  dolcemente  in  tal  guisa  giu  parla: 

Qual  che  tu  sia,  de’  tuoi1  perduti  Greci 
Ti  dimentica  omài;  che  per  innanzi 
Sarai  He’  nostri.  Or  mi. rispondi  il  vero 
Di  quel  eli*  io  ti  domando.  A che  fine  hanno 
Qui  si  grande  edificio  i Greci  eretto1? 

Per  consiglio  di  cui?  Con  qual  avviso  ^ 
l/lian  rubricato?  È voto?  è magia?  è macinini. 
Che  trama  è questa  ? Avea  ’l  re  detto  a pi-mi, 

[138-152] 


I 


f 


64  l’  e.neide.  [259-2S2] 

Quand’ei,  il’  inganni  e d’arte  greca  insculto, 
he  già  «lisciolte  mani  al  cielo  alzando, 
Disse:  Voi  focili  eterni  e ’n violabili. 

Voi  fasce,  orni’  io  portai  le  tempie  avvinte, 
Voi  sacri  altari,  e voi  cultri  nefandi, 

Cui  fuggcndo'nnco  adoro,  a quel  ch’io  dico 
Per  testimoni 'invoco.  A me  lece  ora 
CI»’  io  mi  disciolga,  e ini  disucri  in  tutto 
Da  I’  obligo  de’  Greci.  E mi  dece  anco 
Che  non  gli  ami,  e clic  gli  odii,  e che  di  volghi 
Quel  che  da  lor  si  cela;  già  ch’astretto 
Più  non  son  de  la  patria  a legge  alcuna. 

Tu,  se  vero  io  ti  dico,  e se  gran  merlo 
Di  ciò  ti  rendo,  e le,  Troia  conservo, 
Conserva  a me  la  già  promessa  fede. 

Nel  cominciar  di  questa  guerra  i Greci 
Hiposero  ogni  speme,  ogni  fidanza 
Ne  P aiuto  di  Palla  ; c ben  riposte  / 

Pur  sempre,  mlìn-che  I’  empio  Diomede, 

E l’ inventor  d’ogni  mal’  opra  Ulisse, 

Il  sacro  tempio  suo  non  vinlaro: 

Come  fer  quando,  ne  la  ròcca  ascesi, 

V uccisero  i custodi,  e n’involaro 
Il  Palladio  fatale,  osando  impuri 
[152-167] 


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LIBRO  II. 


65 


[283-306] 


Por  le  man  sanguinose  al  sacrosanto 
Suo  simulacro,  e macular  l’ intatte  - 
E’ntemerate  sue  verginee  bende. 

Da  indi  in  qua  d’ardir  sempre  e di  forZ’c 
Scemar,  non  che  di  speme;  e Palla  inresta 
Ne  fu  lor  sempre;  e ne  diè  chiari  segui 
K portentosi,  allor  eli*  al  eampo  addotta 
Fu  la  sua  statua,  che  posata  a pena  * 
Torvamente  mi  fògli  ; e lampi  e fiamme 
Vibrò  per  gli  ucchi,  e per  le  membra  tutti: 
Versò  salso  sudore.  Indi  tre  volte, 

.Meraviglia  a contarlo!  alto  da  terra 
Surse,  e ’mbracciò  lo  scudo,  c brandi  l’asta. 
Allor- gridando  indovinò  Calcante 
Che  fuggir  si  dovesse,  e tosto  a’  venti 
Spiegar  le  vele:  chè  di  Troia  invano 
Era  l’assedio,  se  con  altri  augùri 
D’Argo  non  si  tornava  un’  altra  volta, 

E de  la  Dea  non  si  placava  il  nume^ 

Ch’or,  per  ciò  fare,  han  seco  in  Grecia  addotto.- 
Onde  giunti  a Micene,  incontinente 
Si  daranno  a dispor  l’armi  c le  genti, 

E gli  Dei,  che  gli  aiti,  e gli  accompagni. 

Poi  ripassando  il  mar,  con  maggior  forza 

[167-Ì81] 


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fin  l’ ENEIDE.  [307-330]* 

Di  nuovo  nssalir'unvT,  e <1*  improviso. 

Così  Calcante  interpreta,  e predice. 

Or  questa  niole  che  tant’nlto  sorge, 

Qui  per  consigliq  di 'Calcante  Ò. posta  -•  i 
Invece  del  Palladio,  e per  ammenda 
Del  nume  olTeso,  a bello  studio  intesta 
Di  legni  casi  gravi  c così  grandi, 

Ed  a sì  smisurata  altezza  eretta, 

A fin  che  per  le  porte  entro  a le  mura 
Quinci  addili*  non  si^ possa,  ove  per  segno 
E jier  memoria  poi  del  nume  antico» 

Riverita  da  voi,  ^aerata  e cólta, 

Sia  ricovro  e Ditela  al  popol  vostro.  . 

Chè  allorché  questo  clono  a Palla  offerto 
Per  vostra  man  sia-  violalo  e guasto, 

Ruina  estrema  (la  qual  sopra  lui 
Gaggia  più  tosto)  a voi  vuol  che  né  venga, 

Ed  al  gran  vostro  impero;  ed,  a rincontro, 

Quando  da  voi  sia  dentro  al  vostro  cerchio 

r 9 

-Condotto  e custodito;  allor,  che  l’Asia 
Congiurerà  con  le  sue  forze  tuttq 
A I*  esterminio  d’Argo;  c che  tal  fato 
"Sopra  a’  nostri  nepoti  in  cielo  è fisso. 

Con  tal  arte  Sinon,  con  tali  insidie 
• [182-196] 

. * - . • ’ Digitized  by  Google 


[331 '351]  libro  ».  r»7 

Fe  sì  che  gli  credemmo  ; c quelU  stessi 
Cui  non  potèr  nè’l  lìgliodi  Tideo, 

Nè  di  Larissa  il  bellicoso  alunno, 

Nè  diece  anni*  domar,  nè  mille  navi,. . 

Furon-  da' lagri mette  o da  menzogne 
Sforzati  e vinti.  In  questa  a gl’infelici 
Un  altro  sopravenne  assai  maggiore 
E più  fero  accidente;  onde  u ciascuno 
D’ improviso  spavento  il  cor  turbossi. 

Era  Laocoonte  a sorte  eletto 
Sacerdote  a Nettuno;  e quel  di  stesso 
Gli  facea  d’un  gran 'toro  ostia  solenne; 
Quand’  ecco  che^a  Tenedo  (m’  agghiado  . 

A raccontarlo)' due  serpenti  immani  • 

Venir  si  ▼eggon'parìmente  ài  lito, 
Ondeggiando  coi  dorsi  onde  maggiori 
De  le  marine  allor  tranquille  e quete. 

Dal  mezzo  in  su  fendean  poi  petti  il  mare, 

E s’er-gean  con  le  teste  orribilmente, 

Cinte  di  creste  sanguinose  ed  irte, 
fbresto  con  gran  giri  e con  grand’ aì’chi 
Traean  divincolando,  e- con  le  code 
E’ acque  sferzando  sì  che  lungo  tratto 
Si  facean  suono  c spuma  e nebbia  intorno.- 
[196-209] 


<JS  l’e-eide.  [355-378] 

cimili  u la  riva,  con  fieri  ocelli  accesi 
Di  vivo  foco  e d’atro  sangue  aspersi. 
Vibrar  le  lingue,  c gitlàr  fischi  orribili. 

Noi  di  paura  sbigottiti  c smorti, 

Ehi  qua,  chi  là  ci  dispergemmo;  e gli  angui 
S’  a (il  là  r drittamente  a Laocoonlc, 

K pria  di  due  suoi  pargoletti  figli 
le  tenerci  le  membra  ambo  avvinchiando, 
Ne  si  fer  crudo  e rniserabil  pasto. 

Poscia  a lui,  eh’  a’  fanciulli  era  con  I’  arme 
tiiunto  in  aiuto,  s’ avventuro,  e stretto 
1/  avvinse!*  sì,  che  le  scagliose  lei’ga 
don  due  spire  nel  petto  e due  nel  collo 
Oli  racchiusero  il  fiato;  e le  bocche  alle, 
Knlro  al  suo  capo  fieramentoinfissc, 
fili  addentarono  il  teschio.  Egli,  com* ej*a 
f)’  atro  sangue,  di  bava  c di  veleno 
he  bende  e ’l  volto  asperso,  i tristi  nodi 
Disgroppar  con  le  man  tentava  indarno, 

E d’orribili  strida  il  ciel  feriva: 

Qual  mugghia  il  toro  allorché  dogli  altari 
Sorge  ferito,  se  del  maglio  appieno 
Non  cade  il  colpo,  ed  ei  lo  sbatte  e fogge. 

1 fieri  draghi  alfin  dai  corpi  essangui 
[209-225] 


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LIBRO  U. 


[379-402] 


09 


Disviluppati,  in  vèv  la  ròcca  insieme 
Strisciando  e zuflblando,  al  sommo  ascesero: 
E nel  tempio  di  Palla,  entro  al  suo  scudo 
Rinvolti,  a’  piè  di  lei  si  raggnippavo. 
Rinovossi  di  ciò  nel  volgo  orrore 
E tremore  e spavento  ; e mormorossi 
Che  degnamente  avea  Laocoonte 
Di  sua  temerità  pagato  il  fio, 

E del  furor  che  contra  al  sacro  legno 
Oli  armò  P impura  c scelerala  mano: 

E gridàr,  tutti  che  di  Palla  al  tempio 
Si  conducesse,  e con  preghiere  e voti 
De  la  Dea  si  facesse  il  nume  amico. 

A ciò  seguire  immanlinente-accinti, 
Rumiamo  la  porta,  apriam  le  mura, 
Adattiamo  al  cavuilo  ordigni  e travi,  « 

E ruote  e cuTri  a*  piedi,  c funi  al  collo. 

Cosi  mossa  e tirata  agevolmente 
La  machina  fatale  il  muro  ascende, 

D’  armi. pregna  e d’  armati,  a cui  d’intorno 
Di  vcrgiuellc  e di  fanciulli  un  coro, 

Sacre  lode  cantando,  con  diletto 
Porgenti  mano  n-la  fune.  Ella  per  mezzo 
Tratta  de  la  città,  mentre  si  scuote, 

[225-240] 


70 


L’  ENEIDE. 


[403-426*3 


Mentre  che  ne  1’  andar  cigola  e freme, 
Sembra  che  la  minacci.  0 Patria,  o Ilio, 
Santo  de’  numi  albergo!  inclita  in  arme 
Dardaniu  tenga!  Noi  la  pur  vedemmo 
Con  tanti  ocelli  a Centrar,  che  quattro  volte 
l'ermossi,  e quattro  volle  anco  n’  udimmo 
Il  suon  de  Y anni  ; e pur,  da  fórra  spinti, 
Cicchi  e sordi  che  fummo,  i nostri  danni 
Ci  procurammo,  cliè’l  di  stesso  addotto  . - 
Vj  posto  in  cima  a la  sacrata  ròcca 
Fu  quel  mostro  infelice.  Allor  .Cassandra 

0 

La  bocca  aperse,  e quale  esser  solca 
Verace  sempre  e non  creduta  mai, 

1/  estremo  line  indarno  ci  predisse  : 

E noi  di  sacra  e di  festiva  fronde  • . 
Velammo  i tempii  il  dì,  miseri  noi! 

Clic  de’  lieti  di  nostri  ultimo  fue. 

Scende  da  l’Oceàn  la  notte  intanto, 

E col  suo  fosco  velo  involve  e cuoprc 
La  terra  e ’1  ciejo  e de’  Pelasgi  insieme 
L’  ordite  insidie.  I Teucri  ai  lóro  alberghi, 
Ai  lor  riposi  addormentati  e queli 
Giacean  scemamente;  e già  da  Tènedo 
A P usata  riviera  in  ordinanza 


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[240-25G] 


* . • r 


UDITO  II. 


71 


[427-450]  udito  il.  71 

Vèr  noi  se  ne  venia  1’ argiva  armala, 

Col  favor  de  la  notte  occulta  c cheta; 
Quando  da  la  sua  poppa  il  regio  legno 
Ne  diè  cenno  col -foco.  Aliar  Sinone, 

Clic  per  nostra  ruina  era  da  noi 
G dal  fato  malignò  a ciò  serbato, 

AccostosSi  al  cavallo,  e ’l  chiuso  ventre 
Chetamente- gli  aperse;  e .fuor  ne  trasse 
b’  occulto  agguato.  Uscirò  a l’aura  in  prima 
1 primi  capi  baldanzosi  c lieti, 

Tutti  per  una  fune  a terra  scesi  f ■ 

E fur  Tisnndro  c Stènelo  ed  Ulissej 
Atnmante  e Toante  e Macaone  • 

E Pirro  e Menelao  con  lo: scaltrito 
Fabricalor  di  questo  inganno,  Epco. 

Assalir  la  citta,  che  già  ne  l’ozio 
E nel  sonno  c nel  vino  era  sepolta;  ' 
Ancisero  le  guardie;  aprir  le  porle; 

Miser  le  schiere  congiurate  insieme;  • 

E dier  forma  a l’assalto.  Era  ne  l’ora 

Che  nel  primo  riposo  hanno  i mortali 

% 

Quel  eh’ è dal  cielo-ai  loro  affanni  infuso 
Oportuno  e dolcissimo  ristoro  ; 

Quand’  ecco  in  so^no  (quasi  avanti  gli  occhi 
[256-270] 


* . 


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l’  ENEIDE. 


72 


l’  ENEIDE.  [io  1-47  il 

Mi  fosse  veramenle)  Ettor  in’ apparve 
Dolente,  lugrimoso,  e quale  il  vidi 
<!ià  strascinato,  sanguinoso  e lordo 
Il  corpo  tutto,  c i piè  forato  e gonfio. 

Lasso  me!  quale  e quanto  era  mutato 
Da  quell’  Ettòr  che  ritornò  vestito 
De  le  spoglie  d’  Achille,  e rilucente 
Del  foco,  oiul’ arse  il  gran  navile  argolico! 
Squallida  aven  la  barba,  orrido  il  crine 
E rappreso  di' sangue;  il  petto  lacero 
Di  quante  unqua  ferite  al  patrio  muro 
Ebbe  d’ intorno.  E mi  parca  che  ’l  primo 
l'oss’  io  che  lagrimando  gli  dicessi: 

0 splendor  di  Dardania,  ode’ Troiani 
Securissrma  speme,  c quale  indugio 
T’  bu  fin  qui  trattenuto?  OiftTor  ne  vieni 
Tanto  da  noi  bramato?  Ahi  dopo  quanta 
Strage  de’  tuoi,  dopo  quanti  travagli 
De  la  nostra  città,  già  stanchi  e domi 
Ti  riveggiamo!  E qual  fero  accideute 

l’a  sì  deforme  il  tuo  volto  sereno? 

« 

E che  piaghe  son  queste?  Egli  a ciò  nulla 
Rispose,  come  a vani  mici  quesiti  : 

Ma  dal  profondo  petto  alti  sospiri 
[270-288] 


- 


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unno  w. 


[475-498]  unno  ir.  73 

Traendo,  Oli!  fuggi,  Enea,  fuggi,  mi  disse; 
Togliti  a queste  fiamme.  Ecco  che  dentro 
Sono  i nostri  nemici.  Ecco  già  eli’  Ilio 
Arde  tutto  e ruina.  lutino  ad  ora 
E per  Priamo  c per  Troia  assai  s’c  fatto. 

Se  difendere  ornai  più  si  potesse* 
l'óra  per  questa  man  difesa  ancora  : 

.Ma  dovendo  cader,  le  sue  reliquie 
Sacre  e gli  santi  suoi  numi  Penati 
A te  solo  accommanda;  e tu  li  prendi 
Per  compagni  a’ tuoi  fati;  e,  come  è d’uopo, 
Cerca  loro  altre  terre,  ergi  altre  mura; 

Chò  dopo  lungo  e travaglioso  essiglio 
I.’  ergerai  piti  di  Troia  altere  e grandi. 

Detto  ciò,  da  le  chiuse  arche  reposte 
Trasse,  e mi  consegnò  le  sacre  bende, 

E Y effìgie  di  Vesta  e ’1  foco  eterno. 

Spargonsi  intanto  per  diverse  parti 
De  la  presa  città  le  grida  e’1  pianto 
E ’l  tumulto  de  Y armi  ; e rinforzando 
Via  più  di  mono  in  maa,  tanto  s’  avanza. 
Che  a P antica  magion  del  padre  Anelli  se 
(fonie  clic  fosse  assai  remota,  è chiusa 
I)’  alberi  intorno)  il  gran  rumore  aggiunge. 
[2S'8-301] 


Allor  dal  sonno  ini  riscuoto,  c salgo 
Subitamente  d’un  torrazzo  in  cima, 
E porgo  per  udir  gli  orecchi  attenti. 


Così  rozzo  pastor,  se  da  gran  suono 
E da  lungc  percosso,  in  alto  ascende, 

E mirando  si  sla  confuso  e stupido 
0 foco,  che. al  soffiar  d’  un  turbid’  austro 
Stridendo  arda  le  binde  e le  campagne, 


Che  dal  monte  precipiti,  c le  selve 
Ne  meni  c i cólti  e le  ricotte  e i campi. 
Allor  tardi  credemmo;  allor  le  insidie 
Ne  fui*  conte  de’  Greci.  E già  ’l  palagio 
Era  di  Deifóbo  arso  e distrutto; 

Già  ’l  suo  vicino  Ucalegon  ardca, 

E l’ incendio  di  Troia  in  ogni  lato 
Rilueea  di  Sigeo  ne  la  marina; 

_ E s’udian  gridar  genti  e sonar  tube, 
lo  m’  armo,  e forsennato  anco  ne  1’  armi 
Non  veggio  ove  in’  ndopri.  Alfin  risolvo, 
Ratinali  i compagni,  avventurarmi, 
Menar  le  mani,  e ne  la  ròcca  addurmi 


Mi  fan  l’ impeto  e l’ ira  ad  ogni  rischio 
Precipitoso;  e solo  a mente  vietimi 


0 tempestoso  e rapido  torrente 


[302-317] 


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[.523-54^6]  libro  li.  75 

Che  un  bel  morir  latta  la  vita  onora. 

Eravam  mossi;  quando  ecco  tra  via 
Nu  si  -fa  Patito  d’ improviso  avanti, 

Punto  figlio  (V  Otrco  che  dé  la  ròcca 
Era  custode,  e sacerdote  a Febo. 

Questi,  scampato  da’  nimici  a pena, 

Inverso  il  lito  attonito  fuggendo, 

1 sacri  arredi  e i santi  simulacri 
Degli  Dei  vinti,  e ’l  suo  picciol  nipote 
Si  traea  seco.  0 Ponto,  o Patito,  (io  dissi), 

A che  siam  giunti?  Ove  ricorso  abbiamo, 
Se  la  ròcca  è già  presa?  Ei  sospirando 
E piangendo  rispose:  È giunto,  Enea, 

L’  ùltimo  giorno,  e ’J  tempo  inevitabile 
De  la  nostra  ruina.  Ilio  fu  già; 

E noi  Troiani  fummo:  or  è di  Troia 
Ogni  gloria  caduta.  11  fero  Giove 
Tutto  in  Argo  ha  rivolto;  e tutti  in  prèda 
Siam  de’  Greci  c del  foco.  H gran  cavallo, 
Ch’era  a Palla  devoto,  altero  in  mezzo 
Stassi  de  la  cittade,  e d’  ogoi  luto- 
Artne  versa  ed  armali.  Il  buon  Sinone 
Gode  de  la  sua  frode,  e d’  ogn’  intorno 
Scorrendo  si  rimescola,  e s’aggira 
[317-330] 


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■*» 


■ — - 


7 (ì  l'  f.neide.  [6  47-570] 

Grun  maestro  il'  incendi  e di  mine. 

A porte  spalancate  entrali  le  schiere 
Senza  ritegno  ed  a migliaia,  quante 
Nè  d’Argo  uscirmi  mai  nè  di  Micene, 
(dialitiche  prima  cutruro  han  già  le  strade 
Assediate:  e slan  eon  l’prmi  infeste 
Parale  a far  di  noi  strage  e macello. 

Soli  son  fino  a. qui  sorti  in  difesa 

I corpi  de  le  guardie:  e questi  al  buio 
Panno  con  lievi  c repentini  assalti 
Tale  una  cieca  resistenza  a pena. 

Dal  parlar  di  costui,  dal  nume  avverso 
Spinto,  ini  cuccio  tra  le  fiamme  e Panni, 
Ove  mi  chiama  il  mio  cieco  furore, 

E de  le  genti  il  fremito  c le  strida 
Che  feriscono  il  cielo.  E per  compagni 
Primieramente  al  lume  de  la  luna 
Mi  si  scuopron  Kifeo,  ìlito  il  vecchio, 

Ed  Ipane  e Dimunte:  indi  comparve 

II  giovine  Corebo.  Era  costui 

Figlio  a MigdoAe,  insanamente  acceso 
De  Pamor  di  Cassandra;  e come  fosse 
Già  suo  consorte,  pochi  giorni  avanti 
In  soccorso  del  suocero  c de’  Frigi 


[330-34*] 


• 

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\à7 1-594]  * LiBfto  il.  77 

S*  era  a Troia,  condono.  Infortunalo  ! 

Che  non  avea  la  sua  Sposa  indovina 
Ben  anco  intesa.  A questi  insieme  accolli. 
Per  accendergli  più  mi  volgo,  c dico: 
Giovini  forti  e valorosi,  invano 
Ornai  Ha  la  fortezza  e ’l  valor  vostro: 

7 i 

Poiché  pcrduti'siamo  e che  Troia  ardo, 

E gli  Dei  tutti,  a cui  tutela  e cura 
Si  reggea  questo  impero,  in  abbandono 
Lasciano  i nostri  tempii  e i nostri  altari. 

!Ua  se  voi  cosi  fermi  e cosi  certi 

Siete  pur,  com’  io  veggio,  a seguitarmi*; 

Ancor  eh’ a morte  io  vada,  in  mezzo  a l’armi 

Avvenlianci,  e moriamo. , Un  sol  rimedio 

• • • 

A chi  speme  non  ave  è disperarsi. 

« 

Così  1’  ardir  di  quelli  animi  nccesi 
Furor  divenne.  Uscium  di  lupi  in  guisa 

Che  rapaci,  famelici  e rabbiosi, 

« 

Col  ventre  vóto  e con  le  canne  asciutte 
Sentan  de’  lupicini  urlar  per  fame 
Pieno  un  digiun  covile.  Andiam  per  mezzo 
De’  nemici  e de  1’  armi  a morte  esposti 
Senza  riservo,  e via  dritti  fendiamo 
La  città  tutta,  a la  buia  ombra  occulti, 
Caro.—  G.  [344-560] 


• T8  . l’  e.xeide.  [595-618] 

Che  P altezza  fòcea  degli  edifici.. 

Or  chi  può.  dir  la  strage  e la  rujna 

Di  quella  notte?  E qual  ò pianto  eguale 

A tante  uccisioni,  a tanto. eccidio  ? \ 

Troia  mina,  la  supevbd,  antica 

K gloriosa  Troia,  che  laftl’  anni 
^ • • | 

Portò  scettri  e corona.  Era, 'dovunque', 

S’  andava,  di  cadaveri,. di- sangue, 

• | 

!)’  ogni  calamità  pieno  ogni  loco, 

l.e.vie,  le  case,  { tempii.  E non  pur  soli 

* Caddero  i Teucri,  clrè  1’ antico  ardire 

Destossi,  e surse  alcuna  .volta  ancora 

Negliìor  petti,  f vincitori  e i vinti 

Giacenti  confusamente,  ed’  ogni  lato 

S’  udìan  pianti  e lamenti  ; è questi  e quelli 

Eran  dajft  paura  e da  la  morte 

In  mille  guise  aggiunti.  Àndrògeo.  il  primo 

De’  Greci,  fu,  eli*  ayanti  ne  s’  offerse 

Condqllier,  di  gran  gente.  Egli  avvisando 

Parte  sollecitar  de  la  sua  schiera, 

Affrettatevi,  disse:  a ciré  badate?. 

* . • 9 4 

Che’ndugio-è'M  vostro?  Altri  espugnata  ed  arsa 
E depredata  han  di  già  Troia  ^ e voi 
Teslè^ venite  ? Aveò  ciò  detto  a pena, 
[360-376] 


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LIBRO  II. 


79 


[619-642] 

Clic  ’l  segno  c Ja»  risposta  indarno  at(esa, 

Tra  nemici  si  vide:  e come  attonito 

• * • 

Restando,  con  la  voce  il  piò  ritrasse.  ■ 
Come  repente  il  viajor  s’ arretra, 

Se  d’ ini pro\.iso  fra  le  spine  un  angue 
Avvien  che  prema,  ed  ei  premalo  e ponto 
D' ira  gonfio  e di  tosco  glis’  avventi  ; 

Così  dal  nostro  subitano  incontrò 
Sovraggiunto  in  un  tempo  e spaventato 
Andrògco  per  fuggir  ratto  si  volse.  . 

Ma  noi  che  impauriti  e sconsertati 
A ìa  sprovista  gli.  assalimmo  in  lochi 
A lor  don  consueti  ; in  breve  spàzio 
Li  circondammo,  e gli  ancidem'mo  alfine: 
Tanto  nel  primo  assalto  amica  e presta 
Ne  fu  la  sorte.  E qui  fatto  Corebo 
D’  un  tal  successo  e di  èoraggio  altero, 
Compagni,  disse,  poi  che  In  fortuna 
Con  questo  sì  felice  agli  altri  incontri  „ 
Ne  porge  aita  a nostro  scampo,  usianln. 
Muliam  gli  scudi,  accommodianci  gli  elmi 
E P insegne  de’ Greci.  0 biasmo,  o lode 
Clic  ciò  ne  sia,  chi  co’  nemici  il  cerca? 

L’ arme  ne  daranno  essi.  E,  così  detto, 
[176-391] 


KWT*- 


SO  l’emeide.  [613-666] 

La  celata  e M cimici*  d’ Andrògeo  stesso. 

E la  sua  scimitarra  c la  sua  targa 
Per  lui  si  prese,  armi  onorate  e conte. 

Cosi  fece  Rifeo,  così  Dimante, 

E cosi  tutti;  che  per  sè  ciascuno  ' 

Di  nuove  spoglie  allegramente  armossi. 

Ci  mettemmo  tra  lor,  che  i nostri  Dii 
Non  eran  iiosco;  e ne  l’oscura  notte 
Con  ogni  occasione  in  ogni  foco 
Ci  azzuffammo  con  essi  ; e di  lor  molti 
Mandammo  a l’Orco,  e ritirar  molt’ altri 
Ne  facemmo  alle  navi:  e fur  di  quelli 
Che  per  viltà  nel  cavernoso  e cieco 
Ventre  si  racquattàr  «lei  gran  cavallo.  . 

Ma  che?  Contro  ’l  voler  ile’  regi  eterni* 
Indarno  osa  la  gente.  Ecco  dal  tempio 
Trai*  veggiam  di  Minerva,  con  le  chiome 
Sparse,  e con  gli  occhi  indarnoal  ciel  rivolli, 
La  vergine  Cassandra.  Io  dico  gli  occhi, 
Perchè  le  regie  sue  tenere  mani 
Eran  da’  lacci  indegnamente  avvinte.- 
A sì  fero  spettacolo  Corebo 
Infuriato,  e di  morir  disposto, 

Anzi  clic  di  soffrirlo,  a quella  schiera 
[391-408] 


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[667-610]  libro  il. 

Scagliossi  in  mezzo  ; e noi  ristretli  insieme 
Tulli  il  seguimmo.  Or  qui  féssi  di  noi 
Una  strage  crudele  e miserabile; 

E da’  nostri  medesrai,  che  la  cima 
Tcnean  del  tempio,  e dardi  e sassi  c travi 
Ne  versarono  addosso,  invaginando 
Da  1*  armi,  da’  cimieri  e da  l’ insegne 
Di  ferir  Greci;  e i Greci  d’  ogn’  intorno, 
Traiti  dal  gran  rumore  e da  lo  sdegno 
De  la  ritolta  vergine,  s’  unirò 
Ai  nostri  danni.  Il  bellicoso  Aiace, 

I fieri.  Atridi,  i Dòlopi  e gli  Argivi, 

Tulli  ne  furon  sopra  in  quella  guisa  . 
Ch’opposti  un  conira  V altro  Affrico  c Bora 
E Garbino  e Volturno  accolte  in  mezzo 
Han  le  selve  stridenti  o ’l  mare  ondoso, 
Quando  col  suo  tridente  infin  dal  fondo 

II  gran  Nèreo  il  conturba.  E tornàr  anco  . 
Incontro  a noi  quei  che  da  noi  pur  dianzi 
Sen  gir  rotti  e dispersi  ; e questi  in  prima 
Scoprir  le  nostre  insidie,  e fer  palesi 

l.e  cangiate  armi  e gli  molliti  scudi, 

E m parlar  che  dal  greco  era  diverso. 

Cosi  ne  fu  subitamente  addosso 

[408-424] 


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*2  L’  ENEIDE.  [COi-714] 

Un  diluvio  di  gente.  E qui  per  mano 
l)i  -Peneleo,  davanti  al  sacro  altare 

0 

De  l’armigera  Dea  cadde  Covebo-: 

Codile  Rifeo,  ch’era  ne’ Teucri  un  lume 
Di  bontà,  di  giustizia  e d’  equitate 
(Così  a Dio  piacque);  cd  ìpane  e Dimante 
('adderò  anch’  essi,  e questi,  oimè!  trafitti 
Per  la  man  par  de’ nostri.  E tu,  pietoso 
Ponto,  cadesti;  e la  tua  gran  pielatc, 

K V infoio  santissima  d’ Apollo 

In  ciò  nulla  ti  valse:  0 fiamma-est  retile, 

0 ceneri  de’ miei  ! fatemi  fede 

Voi, sìbc  nel  vostro  occaso  io  rischio  alcuno 

Non  rifiutai  nò  d’  arme,  nè  iti  foco, 

Nè  di  qual  fosse  incontro,  nò  di  quanti 
Ne  facessero  i Greci  : e se  ’l  fato  era  . 

Ch’ io. dovessi  cader,  caduto  fora:-  • 

Tal  ne  feci  opra.  Ne  sprecammo  alfine 
Da  quel  mortale  assalto,  [filo  e Pplia  - 
Ne  venner  meco:  Ifito  afflitto  e grave 
Già  d’  anni;  e Pelia  indébolito  e tardo 
D’un  colpo  che  di  mariti  ebbe  d’  Ulisse. 

Quinci  divelti,  al  gran  palagio  andammo 
Da  le  grida  chiamati,  Ivi  era  un-fremito, 
[424-438] 


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[715-738]  ..  libro  n.  *,3 

Un  tumulto,  iin  combatter  così  fiero. 

Come  guerra  non  fosse  in  altro  lofcd," 

G quivi  sol  si  combattesse,  e quivi 
Ognun  inoVisse,  & nessun  altro-allrove: 

Tal  v’era  Marte  indomito,  e de’  Greci 
Tanto  concorso.  Ayean  la  porta  cinta 
Dì  schiere  & di  testuggini  é di  tiravi, 

G d’  ambi  i lati  a* la  parete  in  alto 
Appoggiate  le  scal.u;  onde  saliti  \ ' 

G spinti.un  dopo  l’altro,  con  gli  scudi 
Si  ricoprimi-  di  sopra',  e feon  1$,  destre 
Rampicando  salian  di  grado'  in  graclo. 

A rincontro  L Troiani,  altri  di  sopra  ’ 
Muri  e télti  versando  e toni  infere, 

I travi. e i palchi  droro-é  i fregiìutti 
De  la  regia  c de*  regi  avean-perurmi  ; r . 
Fermi  a far  sì  (poich*  eraiv  giqnti  al  fine) 
Cli  ogni  cosa  con  loiv  finisse  insieme  : 

Ed  altri  unitamente  entro  a la  porta* 
Stavan  coi  ferri  bassi,  in  folta'schiera 
A guardia  de  l’ entrata,  ET  qui  di  novo 
A sovvenir,  la  córte,  a far.  difesa 
Per  entro,  a dure  af  vinti  ànimo  e forza  * 

Mi  posi  in  core:  e’n  coiài"  guisa  ilici. 

• [438-452] 


l’eseide.  [739-762] 

Kra  un  ululilo  occulto  ed  una  porta 
Sccrctamente  accpmmodaUk  a l’  uso 
De  le  stanze  reali,  onde  solea 
Andromaca  infelice  al  suo  buon  tempo 
Dir  a’ suoceri  suoi  soletta,  e seco 
Per  domestica  gioia  al  suo  grand’avo 
Il  pargoletto  Astianatle  addurre. 

Quinci  enti-omesso,  me  ne  salsi  in  cima 
A I’  alto,corridore,  onde  i meschini 
I acean  di  sopra  a le  nemiche  schiere 
Tempesta  in  vano.  Erà  dal  tetto  a I’  aura 
Spiccata,  e sopra  la  parete  a filo 
Un’  altissima  torre,  onde  il  paese 
Di  Troia,  il  mar,  le  navi  e ’l  campo  tutto 
Si  scopria  de’  nemici.  A questa  intorno 
Co’  ferri  ci  mettemmo  e co’  puntelli  ; 

E da  radice,  ov’  era  al  palco  aggiunta, 

E da  suoi  tavolati  e da’  suoi  travi 
Uccisa  in  parte,  la-  tagliammo  in  tutto, 

E la  spingemmo.  Alta  ruina  e suono 
Fece  cadendo;  e di  più  greche  squadre 
Fu  strage  e morte  c sepoltura  insieme. 

Dii  altri  vi  salir  sopra;  e d’ ogni  parte 
Senz’  intermission  d’ogn’arme  un  nembo 
[453-468] 


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1 

i 


l 


[7G3-78G]  libro  ii.  85 

Volava  intanto.  In  su  la  prima  entrata 

Slava  Pirro  orgoglioso;  e d’armi  cinto 

Si  luminose,  c da’ reflessi  accese 

Di  tanti  incendii,  chedi  foco  e d’ ira 

Parean  lunge  avventar  raggi  c scintille. 

Tale  un  collibro  mal  pasciuto  e gonlio, 

Di  tana  uscito,  ove  la  fredda  bruma 

Lo  tenne  ascoso,  a l’aura  si  dimostra, 

Quando,  deposlo  il  suo  ruvido  spoglio, 

Ringiovenito  altèramente  al  sole 

Lubrico  si  travolve,  e con  tre  lingue 

Vibra  mille  suoi  lucidi  colori. 

Seco  il  gran  Perifante,  c ’l  grand’  auriga 

D’Achille,  Autoniedonte,  e lo  stuol  tutto 

Era  de’  Scili;  e di  già  sotto  entrati, 

Fiamme  a’  tetti  avventando,  ogni  difesa 

Ne  facean  vana.  E qui  co’ primi  avanti 

Pirro  con  una  in  man  grave  bipenne 
- . • 

Le  sbarre,  i legni,  i marmi,  ogni  ritegno 

De  la  ferrata  porta  abbatte  e frange, 

E per  disgangherarla  ogni  arte  adopra. 

Tanto  aliin  ne  recide  che  nel  mezzo 

l’apre  un’ampia  finestra.  Appaion  dentro 

GII  atrii  superbi,  Mungili  colonnati, 

[468-483] 


I 


SG  l’  KKEIDE.  [7&7-810] 

K ili  Priamo  c degli  atli’i  antichi  regi 
I reconditi  alberghi.  Àppaion  l’armi 
Clife  davanti  cran  pronte  a la  difesa.  . - 

S’  ode  più  dentro  un. gemito,  un  tunlulto, 

Un  compianto  di  donne,  un  ululato, 

E di  confusione  c'di'miseria 

Tale  un  suoli  che  feria  l’aura  c le  stelle. 

€ 

Le  misere  matrone  spaventate, 

• \ 

Chi  qua,  chi  là  per  le  gran  sale  errando, 
Battolisi  i petti  ; c .con  dirotti  pianti 
Danno  infino  ale  porte  amplessi  e baci. 
Pirro  intanto  non  cessa,  e furioso, 

In  sembianza  del  padre,  ogni -riparo,  - 
Ogni'  intoppo  sprezzando,  entro  si  caccia. 

Già  l’  ariete  a fieri  colpi  e spessi 
Aperta,  fracassatale  d’ambi  i lati 
Da’  cardini  divella  avea  la  porta; 

Quand’  egli  a forza  urtò,  ruppe  c conquise 
I primi  armati;  c quinci. in  un  momento 
Di  Greci  s’  allagò  la  reggia  tutta* 

Qual  è,* se  rottigli  argini, -spumoso  ' 

Esce  e rapido- un  fiume,  allor  che  gonfio 
E torho  c ru  in  oso  i campi  inonda,' 

Seco  i sassi  traendo  e i boschi  interi, 
[48.4-498] 

■% 


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[81 I-S34]  unno  il.  87 

K gli  armenti  e le  stalle  é ciò  clic  avanti 

Oli  s’attraversa;  in  colai  guisa  io  stesso 

Vidi  Pirro  menar  ialina  e strage: 

E vidi  ne  1*  entrata  ambi  gli  Alridi  ; * 

Nidi  Ecuba  infelice,  ed  a lei  cento  . 

Nuore  d’ intorno:  c Priamo  vid’anco  i . • 

* * * • 
Ch’eslinguca  col  suo  sangue, oiroò!  quei  focili 

Elie  da  lui  stèsso  eran  sacrati  e cólti.'.  * 

Cinquanta" maritali  appartamenti 

Eian  nel  suo  serraglio:  quale,  c quanti^' 

Speranza  de’  figlioli  e de’  nipoti  !* 

Quanti  fregi,  quarti’  oro,  quante  spoglie,  • 

E quant* altre  ricchezze!  c tutte  insieme 

Perirò  incontinente  : e dove  il  foco 

Non  era,  erano  i Greci.  Or,  per  contarvi 

Qual  di  Priamo  fosse  il  fato  estremo, 

Egli,  poscia  che  presa,  arsa  c disfatta 

Vide  la  sua.ciltade,  e i Greci  In  mezzo  *. 

• • • 

Ai  suoi  più  cari  e più  riposti  alberghi,;;  ' 
Ancor  che  vèglio  e debole  c tremante,  ' 

I-’  armi,  clic  di  gran  tempo  avea  dismesse, 
Addur  si  fece;  e d’esse  inutilmente 
Gravò  gli  omeri  e ’l  fianco;  e come  a morte 
Devoto,  ove  più  folti  c più  feroci 
[499-541] 


. 


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SS  l’f.seide.  [835-85-S] 

Vide  i nemici,  incontr’a  lor  si  mosse. 

Era  nel  mezzo  del  palazzo  a 1’  aura 
Scoprilo  un  grand’altare,  a cui  vicino 
Sorgea  di  molti  e di  moli’ anni  un  lauro 
Clic  co’  rami  a l’ aitar  facea  tribuna, 

E con  I’  ombra  a’  Penati  opaco  velo. 

Qui,  come  d’  atra  e torbida  tempesta 

Spaventale  colombe,  a l’ara  intorno 

* . | 

Avea  le  care  figlie  Ecuba  accolte; 

Ove  agl’  irati  Dei  pace  ed  aita 
Chiedendo,  agli  lor  santi  simulacri 
Stavano  con  le  braccia  indarno  appese. 

Qui,  poiché  la  dolente  apparir  vide 
Il  vecchio  re  giovenilmenlc  armato, 

0,  disse,  infelicissimo  consorte, 

Qual  dira  mente,  o qual  follia  ti  spinge 
A vestir  di  quest’ armi?  Ove  t’avventi 
Elisero?  Tal  soccorso  e tal  difesa  ' 

Non  è d’  uopo  a tal  tempo:  non,  s’appresso 
Ti  fosse  anco  Ettor  mio.  Con  noi  più  tosto. 
Rimanti  qui;  chè  questo  santo  altare 
Salverà  tutti,  o morrem  tutti  insieme. 

Ciò  detto,  a sè  Io  trasse;  c nel  suo  seggio 
In  maestate  il  pose.  Ecco  d’ avanti 
[511-526] 


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81) 


[859-882]  libro  il.  89 

A Pirro  intanto  il  giovine  Polite, 

Un  de’  figli  del  re,  scampoxercando 
Dal  suo  furore,  e già  da  lui  ferito, 

Per  portici  e per  logge  armi  e nemici 
Attraversando,  in  vèr  1’  aliar. sènfugge: 

E Pirro  lia  dietro  che  Io  segue,  e ’ncalza 
Sì,  clic  già  già  con  1’  asta  c con  la  mano 
Or  lo  prende,  or  lo  fere.  Alfin  qui  giunto, 
Fatto  di  mano  in  mau  di  forza  essausto 
E di  sangue  e di  vita,  avanti  agli  occhi 
D’  ambi  i parenti  sui  cadde,  e spirò. 

Qui,  perchè  si  vedesse  a morte  esposto, 
PrlamO'non  di  sè  punto  obliossi, 

Nè  la  voce  frenò,  nè  frenò  l’ ira: 

Anzi  esclamando:  0 scelerato,  disse, 

0 temerario  1 Abbiati  in  odio  il  cielo, 

Se  nel  cielo  è pietate;  o se  i celesti 
Ilan  di  ciò  cura,  di  lassù  ti  caggia 
La  vendetta  clic  merla  opra  sì  ria. 

Empio, ch’anzi  a’mici  numi,  anzi  al  cospetto 
Mio  proprio  fai  governo  c scempio  tale 
D’  un  tal  mio  figlio,  e di  si  fera  vista 
Le  mie  luci  contamini  e funesti. 

Colai  meco  non  fu,  benché  nimico, 
[526-540] 


90  I.'  LUCIDE.  [}83-90G] 

Achille,  a cui  fu  niènti  esser  figliolo, 

Quando,  a lui  ricorrendo,  umanamente 

M’accolse,  e riverì  le  mie  preghiere; 

Gradi  la. fede  mia;  d’  Ettor  mio  figlio 

Mi  rendè  ’l  corpo  essangue,  e me  securo 

Nel  mio  regno  ripose.  In  questa,  acceso 

Il  dcbil  vecchio  alzò  l’asta,  e faneiolla 

Si,  chcscu?a  colpir  languida'e  stanca 

Feri  lo  scudo,  c lo  percosse  a pena,. 

(die  dal  sonante  acciaro,  incontinente 

Risospinta  c sbattuta  a terra  cadde. 

A cui  Pirro  soggiunse:  Or  va’,  tu  dunque 

Messaggiero  a mio  padre,  c da  te  stesso, 

Le  mie  colpe  accusando  e i mici  difetti,  * 

Fa’  conto  a lui  come  da  lui  traligno: 

' E muori  intanto.  Ciò  dicendo,  irato 

AfTerrollo,  c per  mezzo  il  molto  sangue 

Del  suo  figlio  tremante,  e barcolloni 

A I’  aliar  lo  condusse.  Ivi  nel  ciuffo 
• • 

Con  la  sinistra  il  prese,  e con  la  destra 
Strinse  il  lucido  ferro,  c fieramente 
Nel  fianco  infino  agli  elslgli  l’ immerse.. 

Questo  fin  ebbe,  c qui  fortuna  addusse 
Priamo,  un  re  sì  grande,,  un. sì  superbo 
[541-554] 


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[907-930]'  libro..  H.  -,  * 9 1 
Dominato^  di  genti  e di  paesi, 

Un  de  l’  Asia  monarca,  a veder  Troia  • 
Rumata  e combusta,  a giacer  quasi 
Nei  lt(o  un  tronco  desolato,  un  capo 
Senza  il  suo  Misto,  e senza  nome  un  corpo. 

Allor  pria  mi  sentii  dentro  e d’' intórno 
Tal  un  orror,  che  ‘Stupido'rimasi. 

E,  di. Priamo  pensando  al  caso  atroce* 

Mi  si  rappresentò  l’ imago  avanti 

Del  padre  mio  ch’era  a lui  d’anni  eguale. 

Mi  sovvenne  l’amata  mia  Creusa, 

Il  mio  picciolo  lulo,  e la  misi  casa 
Tutta  a la. violenza,  a la  rapina, 

Ad  ogni  ingiuria  esposta.*  Allora  in  dietro 
Mi  volsi  per  veder  che  gente  meco 
Fosse  de’ miei  seguaci;  e nullo  intorno 

m 

Più  non  mi  vidi  ; chèlra  stquchi  e morti, 

E feriti  e storpiali,  altri,dal  ferro, 

Altri  da,  le  mine,  altri  dal  foco, 

M*  uvean  già  tutti  abbandonato.  In  somma 
Mi  trovai  solo.  Onde,  smarrito  errando, 

E d’  ogn’  intorno  rimirando,  al  lume 
Del  grand’incendio,  ecco  mi  s’offre-agli  occhi 
Di  Tindaro  la  figlia  che  nel  tempio 
[555-567]  . 


92*  l’ Eneide.  «[031-964] 

Se  ne  sfava  di  Vesta,  in  un  reposto 
E secreto  ridotto  ascosa  e cheta; 

EIcna,  dico,  origine  c cagione 
Di  tanti  muli,  e clic  fu  d’ Ilio  e d’Argo 
l'uria  comniune.  Onde  communcmentc 
E de’  Greci  temendo  e de’  Troiani, 

E de  P abbandonato  suo  marito, 

S’era.  in  quel  loco,  e ’n  sé  stessa  ristretta, 
Confusa,  vilipesa  ed  abborrita 
Fin  dagli  stessi  altari.  Arsi  di  sdegno, 
Membrando  clic  per  lei  Troia  cadea; 

E ’l  suo  castigo  c la  vendetta  insieme 
De  la  mia  patria  rivolgendo;  Adunque, 
Dicea  meco,  impunita  e trionfante 
Ritornerà  la  scelerala  in  Argo?. 

E regina  vedrà  Sparla  e Micene? 

Goderà  del  marito,  de’  parenti, 

De’ figli  suoi?  Farà  pompe  c grandezze, 

E d’ Ilio  avrà  per  serve  e per  ministri 
L’ altere  donne  e i gran  donzelli  intorno? 

"E  qui  Priamo  sarà  di  ferro  nnciso, 

E Troia  incensa,  e la  Dardania  terra 
Di  tanto  sangue  tante  volte  aspersa? 

Non  fia  così;  cliè  se  ben  pregio  c lode 
[568-584] 


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LIBRO  ir. 


93 


[955-978], 


Non  s ’ acquista  a punire  o vincer  donna, 
lo  lodato  e pregiato  Assai  terrommi.  * 

Se  si  dirà  eli’  aggia  d’ un  mostrò  tale 
Purgato  il  inondo.  Appagherommi  almeno 
Di  sfogar  l’ira  mia;  vendichcrommi 
De  la  mia  patria ;'e  col  fiato  e col  sangue 
Di  lei  placherò  1’  ombre,  e farò  sazie 
Le  ceneri  de’ miei.  Ciò  vaneggiando, 
Infuriava  ; quatul’  eoco  una  luce  * 

M’aprio  la  notfe,  e mi  scoverse  avanti 
L’  alma  mia  genitrice  iu  un  sembiante, 

Non  còmcd’  altre  volte  ih  altre  forme 
Mentito  o dubbio;  ma  verace  c chiaro, 

E di  madre  e-di.  Dea,  qual  credo',  c quanta 
Su  tra  gli  altri  Celesti  in  cicl  si  mostra. 
Cota'l  la  vidimiate  anco  per  mano 
Mi  prese;  p con  pietà  le  sante  luci 
E le  labbia  rosate  aperse,  e disse;  , 
Figlio,  a che  tanto  affanno ? a che  tant’  ira? 
Che  non  t’  acqueti  ornai  ? Questa  è la  cura  ’ 
Che  tu  prendi  di  noi?  Chè'iion  più  tosto 
Rimiri  ov’  abbandoni  il  vecchio  Anohisc 

t 

E la  cara  Creusa  c ’l  caro  luto, 

* » • 

Cui  sono  i Croci  intorno?  E se  non  fosso 
Ciao.  — 7.  [584-599] 


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DA  L*  ENEI  DE.  [979-1002] 

Che  in  guardia  io  gli  aggio.,  in  preda  al  ferro,  al  foc 
Fòrmi  giù  tutti.  Ah  figlio!  non  il  volto 
De  T od!ata»Argiva,  non  di  Pari 
La  biasmata  rapina,  ma  del  cielo 
E de* celesti  il  voler  empio  atterra 
La'troiana  potenza.  Alza  su  gli  occhi,  * 

Ch’io  né  trarrò  l’umida  .nube,  e ’I  velo 
Che  la  vista  mortai  t^appanna  e grava; 

Poscia  erodi  a tua  madre,  e senza  indugio 
Tutto  fa’ che  da  lei  ti  si  comanda: 

9 

Vedi  là  quella  mole,  ove  quei  sassi 

Son  da  sassi  disgiunti,  e ‘dove  il  fumo 

Con  la  polve  ondeggiando  al  ciel  si  volve, 

Come  fiero  Nettuno  rafin  da  V imo 

Le  mura  e i fondamenti  c ’l  terreo  tutto 

Col  gran  tridente  suo  sveglie  e conquassa.  . 

Vedi  qui  su-la  porta  comò  Giuno  ’ 

Infuriata  a tutti  gli  altri  avanti 

Si  sta  cinta  di  ferro  e da  le  navi 

% » 

Le  schiere  d’ Argo  ai  nostri  danni  invita  : 
Vediqioi  colà  su  Pallade  in  cima  . 

A 1’  alta  ròcca,  entro  a quel  nembo  a mi  ut  a. 

Con  che  lucenti  e spaventosi  lampi 
Il  gran  Gorgone  suo  discopre  e vibra.  • 

[600-61 G] 


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95 


[1003-1026] 


UDRÒ  II. 


Che  più?  mira  nel  ciel,  che  .Giove  stesso 
Somministra  agli  Argivi  animo  e forza, 

E incontro  a le  vostre  armi  a 1’  arme  incita 
Oli  eterni  Dei.  Cedi  lor,  figlio,  c fuggi. 


Poi  che  indarno  t’ affanni.  Io-snrò  lece 

Ovunque  andrai,  sì  che  securamcnte 

TL  porrò  flentro  a’  tuoi  paterni  alberghi. 

Così  disse;  e per  entro  a le  foli’ ombre 

De  la  notte  s’ascose.  Allor  vid’  io 

Gl»  invisibili  aspetti  e i fieri  volti 

De’  Numi  a Troia  infesti,  e Troia  tutta 

In  un  sol  foco  immersa,  e fin  dal  fonde 

Sottosopra  rivolta.  In  quella  guisa 

Che  d’  alto  monte  in  precipizio  cade 

Un  orno  antico,'  i cui  rami  pur  dianzi* 

Facean  contrasto  a’ venti  e scorno  al  sole. 

Quando  con  molte  accette  al  suo  gran  tronco 
• • • 

Stanno  i robusti  agricóltori  intorno 
Per  atterrarlo,  e gli  dan  colpi  a gara, 

Da  cui  vinto,  e dal  peso,  a poco  a poco 
Crollando  e balenando,  il  capo  inchina, 

E stride  c geme  e dal  suo  giogo  al  fine 
0 con  parte  del  giogo  si  diveglic, 

0 si  scoscende;  e ciò  che  intoppa  urtando, 

[617^631] 


96  l’c^ude.  " [1027-4050] 

Di  suono  e di  ruina’empie  le  valli. 

• • 4 
Allor  discesi;  e la  matertia  scorta  . 

Seguendo,  da’  ninnici  c da  le  fiamme 

Mi  rendei  salvo  : clic  dovunque  il  passo  - 

Volgea,  cessava  il  foco,  c fuggian  1’  armi. 

Poi  ch’io  fui  giunto  a la  magione  antica 

Del  padre  mio,  di  lui  prima  mi  calsc 

E del  suo  scampo,  e per  condurlo  a’  monti 

M’  appareceh4ava,  q'uand’  ei  dissa:  0 figlio, 

lo  decrepito,  io  misero,  che  avanzi 

Ai  di  de  la  mia  patria?  lo  posso,  io  deggio 

Sopravvivere  a Troia?  E lia  ch’io  soffra 

Si  vile  essiglio?  Voi, .clic  ne’  vostri  anni 

Siete  di  sangue  c di  vigore  interi, 

Voi  vi  salvate.  A me,  s’ io  pur  devea 

Restare  in  vita,  avrebbe  il  cicl  serbalo 

Questo  mio'  nido.  Assai,  figlio, epur  troppo 

* • , 

Son  vissuto  fin  quij.poi  eh’ altra  volta 

Vidi  Troia  cadere,  e non  cadd’  io. 

* • 0 

Fatemi  or  .di  pietà  gli  ultimi  offici; 

1 1 o ralenti  il  vale,  e* per  defunto 
Gosì  composto  il  mio  corpo  lasciale, 

Gli’  io  troverò  chi  mi  dia  morte;  è i Greci 
Medesimi,  o per  pietale,  o per  vaghezza 
‘ **  [G3U645J 


LIBRO  ir. 


97 


[1051-1074] 

De  le  mie  spoglie,  mi  trarrmi  di  vita 

E di  miseria:  e se  d’essequie  io  manco, 
Se  manco  di  sepolcro,  il  danno  è lieve. 


Da  V ora  in  qua  son  io  visso  a la  terra 
Disntil  peso,' ed  al  .gran  Giove  in  ira, 

Che  dal  vento  percosso  c da  le  fiamme 
Fui  del  folgore  suo.  Ciò  memorando 
Stava  il  misero  padre  a morte  addillo, 

E d’ intorno  gli  cr’  io,  Creusa,  Itilo, 

La  casa  tutta  con  preghiere  e pianti 
Stringendolo  a salvarsi,  a non  trai*  seco 
Ogni  cosa  in  ruina,  a non  offrirsi 

Da  sè  stesso  a la  morte.  Ei  fermo  c saldo 

* % 

!Sè  di  proponimento,  nè  di  loco 
Punto  si  cangia:  ond’ io  pur  1’  armi  grido  . 
Di  morir  disioso.  E qual  v’era  altro 
Rimedio  o di  consiglio,  o di  fortuna? 

Ah  ! ehc  di  questa  soglia  io  tragga  il  j ri  ed  e 
Padre  mio,  per  lasciarti?  Ah  clic  tu  possa 
Creder  lenito  di  me?  da  la  tua  bocca 
Tanto  di  sceleranzu  e ili  vii  tate  ' 

E d’  un  tuo  figlio  uscito?  Or  s’ è destino 
Che  desi  gran  città  nulla  rimanga, 

Se  piace  a te,  se  nel  tuo  core  è fermo 
[6 16*600] 


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% 


L I NF. IDE. 


= ' 1 ■ 


!»S 


[1075-10118] 


Clic  uè  di  le,  nò  degli  tuoi  si  scemi 
La  ruina  di  Troia  : c così  vada, 

E così  fia  ; eli’  io  veggio  a mano  a mano 
Qui  del  sangue  del  re  tutto  cosperso, 

E bramoso  del  nostro  apparir  Pirro 
Lli’  i padri  occide  anzi  agli  altari,  e i figli 
Anzi  agli  occhi  de’  padri.  Ah!  madre  inia, 
Per  questo  fine  qni'salvo  c difeso  * 

M’hai  da  l’armi  e dal  fuoco, acciò  ch’io  veggia 
Con  gli  occhi  mici  ne  la  mia  casa  stessa 
1 mici  nemici  e ’l  mio  padre  e ’l  mio  figlio 
E la  mia  donna  crudelmente  occisi 
L’un  nel  sangue  de  l’altro?  Mano  a l’arme: 
Chimi  dà  l’armi?  Ecco  che’]  giorno  estremo 
-Vinti  a morte  ne  chiama.  Or  mi  lasciate, 
Ch’  io  torni  infra  nimici,  e che  di  nuovo 
Mi  razzuffi  con  essi  ; che  non  tutti  • 

Ahhiam  senza  vendetta  oggi  a perire. 

E già  di  ferro  cinto,  a la  sinistra  . 

• * 

M’  adattava  lo  scudo,  c fuori  uscia, 
Quand’ecco  in  su  La  soglia-attraversata  * 
Creusa  avanti  a’  piè  mi  si  distende, 

E me  gli  abbraccia;  e ’l  fanciulletto-Iulo 
M’  appresenta,  e mi  dice:  Ah  ! mio  consorte, 
[6G0-67  i] 


— i Sle 

mit  *1 


/ 


[1099-1122]  unno  \u 


99 


Dove  ne  la£ei?S’  a morir  ne  vai, 

Che  non  teco  n’adduci?  É se  ne  1’  armi 
E nell’  esperienza  hai  speme  alcuna, 

Che  non  difendi  la  tua  casa  in  prima? 

Ove  Aseanio  abbandoni  ? ove  tuo  padre  ? 

Ove  Creusa  tua,  che  tua  s’ è detta 
Per  alcun  tempo?  E ciò  gridando, empiea 
Di  pianto  e di  stridor  la  magion  tutta  ; 
Quand’ecco  innanzi  agli'occhi,  e fra  le  mani 
Degli  stessi  parenti,  yn  repentino 
E mirabile  a dir  portento  apparve; 

Chè  sopra  il  6apo  del  fanciulla  Iulo 
Chiaro  un  lume  si  vide,  c via  più  chiara 
Una  fiamma  che  tremola  e sospesa 
Le  sue  tempie  rosate  e i biondi  crini  • 

Sèn  già  come  leccando,  e senza  offesa. 
Lievemente  pascendo.  Orrore  c tema 
Ne  presi  in  prima.  Indi  a quel  santo  foco 
D’ intorno,  altri  con  acqua,  altri  con  altro,. 
Ognun  facea  per  ammorzarlo  ogn’ opra. 

Ria  il  padre  Anchise  a colai  vista  allegro, 
Le  man,  gli  occhi  ala  voce*al  ciel  rivolto, 
Orò  dicendo:  Eterno, onnipotente 
Signor,  s’  umana  prece  unqua  ti  mosse, 


[675-689J 


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100  L*  ENEIDE.  [I 123-14 4G] 


Vèr  noi  rimira,  e ne  lia  questo  assai. 
Ma  se  ili  inerto  alcuno  in  tuo  cospetto 


•» 


È la  nostra  pietà,  pailre  benigno,  . 

Danne  anco  aita;  e con  felice  segno 

. * • • 


Che  tonò  Ha  sinistrai  dar  convesso 
Del  ciel  cadde  una  stella  clic  per  mezzo 


!Soi  la  vedemmo  chiaramente  sopra 
Da’  nostri  tetti  ire  a celarsi  ih  Ida, 

Sì  eheMasciò,  quanto  il  suo  corso  tenne. 

Di  chiara  luce  un  solcò;  e lunge  intorno- 
Fumò  laJerra  di  sulfureo  odore.  . 

Allor  vinto  si  diede  il  padre  mio; 

F tosto  q Inaura  uscendo,  al  santo  segno  - 
De  la  stella  inchihossi,  e èongli  Dei 
.Parlò  devotamente':  0 de  la  patria 
Sacri  numi  Penati,  a voi  mi  rendo. 

Voi  questa  casa,  voi  questo  nipote 
Mi  conservate.  Questo  augurio  è.  vostro, 

E.  nel  poter  di  voi  Troia  rimansi. 


Poscia,  rivolto  a noi  : Fa’,  fìgtiuol  mio, 
[690-704} 


• f • • 

Questo  annunzio  ratifica  e conferma. 
Aveà  di  ciò  pregato  il  vecclùo  a pena, 


Fendè  V ombrosa  notte,  e luuga  striscia 
Di  foce *e  di  splendor  dietro  si  trasse. 


LIBRO  II. 


=-5Ct 


-[1147-1170] 


101 


Ornai,  disse,  di  me  che  più  t*  aggrada, 

Ch’  al  tuo  voler  son  pronto,  e d’  uscir  leco 
Più  non  recuso.'  Avea  già  ’l  foco  appresa 
La  città  tutta:  c già  le  fiamme  e i vampi 
Ne  fcrian  da  vicifio,  aljor  che  ’l  vecchio 
Così  dicea.  Caro  mio  padre,  adunque, 
Soggions’  io,  eom’  è d’  uopo,  in  su  Ite  spalle 
A me  ti  reca,  e mi  t’  adatta  al  collo 
Acconciamente;  eli’  io  robusto  e forte 
Sono  a tal  peso;  e sia  poscia  che  vuole: 
Ch’  un  sol  periglio^  una  salute  scila 
Fia  d’ ambedue.  Seguami  Iplo  al  pari; 
Creusa  dopo:  e voi,  miei  servi',  udite 
Quel  clf  io  diviso.  È de  la  porta  fuori 
Un  colle,  ov’  ha. di  Cerere  un  antico 
E deserto  delubro,  a cui  vicino  • 

Sorge  un  cipresso,  già  moli’  anni  e molti 
In  onor  de  la  Dea  serbato  e colto. 

Qui  per  diverse  vie  tutti  in  un  loco 
} Vi  ridurrete:  e tu  con  le  tue  mani 

Sosterrai,  padre  mio,  de’  santi  grredi 
E de’  patrii  Penati  il  -sacro  incarco. 

Cli’a  me,  sì  lordo,  e sì  recente  uscito 
Da  tanta  occision,  toccar  non  lece 
» - [704-719] 


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102  I.’  ENEIDE.  [1171-1194] 

Pria  clic  di  vivo  (ìumc  onda  mi  lave. 

Ciò  detto,  con  la  veste  e con  la  pelle 

I)’  un  villoso  leon  m’  adeguò  il  tergo, 

E il  caro  peso  agli  omeri  m’ impongo. 

Indi  a la  destra  il  funciullclto  Iulo 

Mi  s’  aggavigna,  e non  con  molo  eguale. 

Hi  segue  i passi  miei,  Creusa  I*  orme. 

Andiam  per  luoghi  solitari  e bui: 

« • • 

E me,  cui  dianzi  intrepido  e sicuro 

Videi*  de  T arme  i nembi  c degli  armati 

he  folte  schiere,  or  ogni^suono,  ogn’  aura 

Empie  di  tema:  si  geloso  fammi . 

E la  soma  e il  compagno;  Era  vicino 

^ • • 

A I’  uscir  de  la  porta,  c fuori  in  tutto, 

Coni’ io  credea,  d’  ogni  sinistro  incontro, 
Quanti’  ecco  d’ improviso  udir  mi  sembra 
Un  calpestio  di  gente,'  a cui  rivolto 
Disse  il  vecchio  gridando:  Oh  ! fuggi,  Tiglio, 
Fuggi,  chè  ne  son  presso.  Io  veggio,  io  sento 
Sonar  gli  scudi,  e lampeggiare  i ferri. 

Qui  ridir  non  saprei  come,  nè  quale 
Avverso  nume  a me  slesso  mi  tolse; 

Chè  mentre  da  la  fretta  e dal  timore 

* m 

-Sospinto  esco  di  strada,  e per  occulte 

[719-737] 


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[1195-4248]  libro  li.  10-3 

E non  usate  vie  m’ aggiro  e celo, 

Restai,  misero  me!  senza  la  mia 
Diletta  moglie,  in  dubio  se  dal  Fato 
Mi  si  rapisse,  o traviata  errasse, 

0 pur  lassa  a posar  posta  si  fo^se. 

Basta,  eh’  unqtia  di  poi  non  la  rividi*,  . 

Nè  per  vederla  io  mi  rivolsi  mai, 

Nè  mai  me  ne  sovvenne,  infin  che  giunti 
Di  Cerere  non  fumnvp  al  sacro  poggio. 

Ivi  ridotti,  ne  ipancò  di  tanti 

Sola  Creusa,  oirnè!  con  quanto  scorno, 

E con  quanto  dolór  del  suo  consòrte 
E del  figlio  e del  suocero  e di  tutti!' 

Io  che  non  feci  allora,  e che  non  dissi  ? 
Qual  degli  juomini,  folle!  e.degli  Dei 
Non  accusai?  qual  vidi  fn  tanto  eccidio, 

0 eh’  io  provassi,  o ch’avvenisse  altrui, 
Caso  più  miserando  e più  crudele  ? 

Qui  mio  figlio,  mio  padre  e i patrii  numi 
Lascio  in  guardia  a’compagni,  ed  io  de  l’armi 
Pur  mi  rivesto,  e ’ndietro  me  ne  tomo, 
Disposto  a ritentare  ogni  fortuna,' 

A cercai*  Troia  tutta,  a poi*  la  vita 
Ad  ogni  ripentaglio.  Incominciai 
[737-752] 


l’  eseide. 


1,04 


[4219-1242] 


In  prima  da  le  mura  e da  la  porta, 

Ond’  era  uscito;  e le  vie  stesse  c P orme*' 

Ripetei  tutte,  per  cui'dianzi  io  venni, 

Gli  occhi  portami*  pei*  vederla  vintenti  : . 

Silenzio,  schiudine  e ’spavento 

Trovai* per  tutto.  A casa  aggiunsi  in  prima, 

Cercando  se  per  sorte  ivi  smarrita 

Si  ricovrassc  Etfa 'già  presa  e piena 

Di  nemici  c di  foco;  e,già  da’ tetti 

Usci  a rr,  da’  venti  e da  lé  furie  spinte, 

Rapide  fiamme  c minaccioso  al 'ciclo. 

Tonio  quinci  al  palagio  ; indi  a la  ròcca: 

Seguo  li  le  piazze,  a’  portici,  a 1’  asilo 

Di  Giunoni,  che  già'fatli  eran  conserve 

De  la  preda. di  Troia,  a cui  Fenice 

E ’l  fiero  Ulisse  eritn  custodi  eletti. . 

Qui  d’  ogni  parte  le  troiane  spoglie* 

Fin  de  le  sacristie,  fin  degli  altari 

Le  sacre  mense,  i preziosi  vasi 

Di  solid’oro,  e i paramenti  c i drappi  * 

E le  delizie  e le  ricchezze  tutte 
/ ‘ - 
Agl*  incendi  ritolte,  erano  addotte.  . 

D’intorno  in  numerabili  |n*igioni 

Slavati  di  funi  c di  catene  avvinti; 

[752-7G6] 


I 


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[f243- 1266^  libro  il.  -105 

E matrone  e donzelle  e pargoletti, 

• » 

Che  di  sordi  lamenti  e di  muggiti* 

Facean  ne  1*  aria  -un  tuono;  e irten  Ira  loro 
■ ^ ^ # * • 

Era  la  donna  mia:  nè.  dove  fosse, 

Più  ripensar  sapendo,  osai  dolente 

Gridar  per  le  vie  ruttò;  ef  benché  in  vano, 

Mille  volte  iterai  I’  aòiato  nomò. 

Mentre  cosf  Tra  TuVìoso  e mesto 

Per  la  città  ir»’  aggiro,  e senza  fìqe 

ha  ricercò  e Iti  chiamo,  ecco  davanti 

Mi  si  fa  1’  infelice  simulacro  * 

• • • f 

Di  lei,  maggioraci  solito.Stupii, 

M’  aggricciai, •m’ammutii.  Prrcse  ella  a dirmi. 
E consolarmi;  0 mio  dolce  consorte, 

A che  sì  folle  affanno  ? Agli  Dei  piace 
Che  così  segua.  A te  quinci  non  lece 
Di  trasportarmi.  Il  gran  Giove  mi  vieta- 
ci»’ io  sia  teco  approvar  gli  affanni  tuoi; 
Chè%sofTrir  lunghi  essigli,  arar  gran  mari 
Ti  converrà  pria  ch’ai  tuo  seggio#arrivi, 
Che  fia  poi  ne  I’  Esperia,  óve  il  Tirreno  ^ 
Tebro  còn  placid’  onde  opimi  campi 
Di  bellicosa  gente  impingua  c riga.  * 

Ivi  riposo  c regno  c regia  moglie 
.[767-783] 


UJG  l’  eneidc.  [1267-Ì29Ì)] 

Ti  si  preparo.  Or  de  la  tua  diletta 

Creusa,  signor  mio,  più  non  ti  doglia; 

Gir  i Dolopi  suppl  iti,  o i Mirmidóni 

Non  vedranno  già  me,  dardania  prole, 

E di  Prlaipo  -figlia,  e nuora  a Venere, 

Nè  donna  lor,‘nè  di  lor  donne  ancella, 

Gilè  la  gran  genitrice  degli  Dei 

Appo  sè  liemjni.  Or  il  mio  caro  lido, 

Nostro  communi;  umore,  ama  in  mia  vece; 

E lui  conserva,  e te  consola.  Addio. 

Cosi  dettò,  disparve,  lo  che  dal  pianto 

Era  impedito,  ed  uvea  molto  a dirle, 

Ale  r avventai,  per  ritenerla,  al  collo; 

E tre  volte  abbracciandola,  altrettante, 

Come  vento  stringessi  o fumo  o sogno, 

Ale  ne  tornai  con  le  man  vote  al  petto. 

E così  scorsa  e consumata  indarno 

Tutta  la  notte,  al  poggiami  ritrassi 

A’ mie’ compagni,  ove  trovai  con  molta. 

Alia  meraviglia  d’  ogni  parte  accolta 

Una  gran  gente,  un  miserabil  volgo 
• * * , 

* I)’  ogni  età,  d*  ogni  sesso  e d’  ógni  grado, 

A l’essiglio  parati,  e ’nsieme  addilli 
A seguir  me,  dovunque  io  gli-adduecssi, 
[784-SÒO] 


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LIBRO  li. 


407 


[1294-4298] 

0 per  mare  o'per  terra.  Uscia  giù  d’ Ida 
La  matutina  stellale  ’l  di  n*  apria,. 
Quando  in  dietro  mi  volsi,  e vidi  Troia  * , 
Fumar  già  tutta;  c de  ia  ròcca  in  cima, 

.E  di  sovr’  ogni  porta  inalberate 
Le  greche  insegne;  onde,  nè  via  nè  speme 
Rimanendomi  più  di  darle*aita, 

Cedei;  ripresi  il  carco,  e salsi  al  monte. 

[800-804] 


> 


10fc 


[1-181 


DELL’  ENEIDE 

, % 

Libro  Terzo. 

i 

% 

• t 

Boi  che  fu  d’Asia  il  glorioso  regiro 
E ’l  suo  re  seco  e ’l  suo  lognaggio  Lillo,' 
Coni’ al  elei  piacque,  indegnamente  estinto, 
Ilio  abbattuto  e la  Nettunia  Troia 
Desolata  e combusta;  i santi  augùri 
Spiando,  a vari  essigli,  a varie  terre 
Per  ricovro  di  noi  pensando  andammo  : 

é 

E ne  la  Frigia  Stessa  a piò  d’  Aulundro 
Ne’ monti  d’  Ida  a lubricarle  demmo 
La  nostra  armata,  non  ben  certi  ancora 
Ove  il  ciel  ne  chiamasse,  e qual  altrove 

• • # t # . 

Ne  desse  altro. ricetto.  Ivi  le  genti 
D’ intorno  adcolte,  al  mar  ne  riducemmo, 

E n’  imbarcammo  alfine.  Era  de  l’anno 
La  stagion  prima)  e i primi  giorni  a pena, 
Quando,  sciolte  le  sarte  e date  a’  venti 
Le  velò,  come  volle  U padre  Ancliise, 
Piangendo  abbandonai  le  five  e i porti 

[1-10] 


LIBRO  HI; 


[19-42] 


109 


E i campi  ove  fu  Troia,  i miei  compagni 

Meea  traendo  e ’l  mio  figlio  e i miei  numi 

A l’ onde  in  preda,  e de  la  patria  in  bando. 

È.  de  la  Frigia  incontro  un  .gran  paese 

Da’ Traci  arato,  al  fiero  Marte  additto,  « 

Ampio  regno  e famoso,  e seggio  un  tempo 

Del  feroce  Licurgo.  Ospiti  antichi 

S’ eraq  Traci  e Troiani  ; e fin  di' a Troia  , 

Lieta  arrise  fortuna,  ebbero  entrambi 

Communi  alberghi.  A questa  terra  in  prima 

Drizzai  ’l  mio  corso,  e qui  primieramente 

Nel  curvo  lito  con  destino  avverso 

Una  città  fondai,  che  dal  mio  nome 

. • • 
Enèade  nomossi;  e. mentre  intorno 

Me  le  travaglio,  e i santi  sacrifici 

A Venere  mia  madre  ed  agli  Dei, 

Che  sono  al  cominciar  prppizii,  indico;-  . 

Mentre  che  ’n  su  la  riva  un  bianco  toro 

Al  supremo  Tonante  offro. per  vittima, 

Udite  che-m’ avvenne.  Era  nel  lito 

. Un  picciol  raonticello,  a cui  sórgea 

Di  mirti  in  su  la  cima  e di  corgnaH 

Una  folta  sei  vetta.  In  questa  entrando 

Per  di  fronde  velare  i sacri  altari,  . * - 

Caro. — 8.  [14*25] 


110  I„’  ENEIDE.  [Ì3-G6] 

Menlre  ile’ suoi  più  teneri  e più  verdi 
Arbusti  or  questo,  or  quel  diramo  c svelgo; 
Orribile  a veder,  stupendo  a dire, 
M’apparve  un  mostro:  chè  divelto  il  primo 
Da  le  prime  radici,  uscir  di  sangue 
Luride  gocce,  c ne  fu  ’1  suolo  asperso. 
Ghiado  mi  strinse  il  core;  orror  mi  scosse 
Le  membra  tutte;  e di  paura  il  sangue 
Mi  si  rapprese.  Io  le  cagioni  ascose 
Di  ciò  cercando,  un  altro  ne  divelsi; 

Ed  altro  sangue  uscitine:  onde  confuso 
Vie  più  rimasi,  c nel  mio  cor  diversi 
Pensici*  volgendo,  or  de  1’  agresti  ninfe, 

Or  del  scitico  Marte  i santi  numi 
Adorando,  porgea  preghiere  umili, 

Che  di  sì  fiera  c portentosa  vista 
Mi  si  togliesse,  o si  temprasse  almeno 
Il  diro  annunzio.  Ritentando  ancora, 

Vengo  al  terzo  virgulto,  c con  più  forza 
Mentre  lo  seerpo,  e i piedi  al  suolo  appunto, 
E lo  scuoto  e lo  sbarbo  (il  dico,  o ’1  taccio?) 
Un  sospiroso  e lagrimubil  suono 
Da  P imo  poggio  odo  che  grida,  c dice: 

Ahi!  perché  sì  mi  laceri  e mi  scempi?  . 

[26-41]  . ..  j 


' 


[{>7-90]  LIBRO  HI.  j I I 

Perché  di  cosi  pio,  così  spietato, 

Enea,  vèr  me  ti  mostri  ? A che  molesti 
Un  eli* è morto  c sepolto?  A che  contamini 
Col  sangue  mio  le  consanguinee  mani? 

Chè  nè  di.patria  nè  di  gente  esterno 
Son  io  da  te,  nè  questo  atro  liquore 
Esce  da  sterpi,  ma  da  membra  umane. 

Ah!  fuggi,  Enea,  da  questo  empio  paese: 
Fuggi  da  questo  abbomincvol  lito; 

Chè  Polidoro  io  sono,  e qui  confìtto 
M*  ha  nembo  micidiale  e ria  semenza 
Di  ferri  e drastc  che  dal  corpo  mio 
Umor  preso  e radici,-  han  fatto  selva. 

A colai  suon,  da  dubia  tema  oppresso, 
Stupii,  mi  raggricciai,  muto  divenni, 

Di  Polidoro  udendo.  Un  ile’  figliuoli 
Era  questi  del  re,  eh’  al  Tracio  rege 
Fu  con  mólto  tesoro  occultamente  / 

Accommandato  allor,  che  da' Troiani 
incominciossi  a diffidar  de  Farmi,  . . 
E temer  de  V assedio.  H Vio  tiranno. 

Tosto  che  a Jl'oia  la  fortuna  vide 
Volger,  le  spalle, .aneli’  ei  si  volse,  e Farmi  » 
E la  sorte  seguì  de’  vincitori $ . * * • • 

LH-541 


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1 12  L*  ENEIDE*  [9.1*- 114] 

SI  clic  de  l’ amicizia  e de  1'  ospizio . 

E de  1*  umanità  rotta  ogni  legge, 

Tolse  al  regio  fanciul  la-  vita  e 1’  oro. 

Ahi  de  1*  oro  empia  ed  essecrabil  fame! 

E che  per  te  non  osa,  e che  non  lenta 
Quest’  umana  ingordigia  ? Or  poi  ehe  ’l  gielo 
Mi  fu  da  Tossa  uscito,  ai  primi  capi 
Del  popol  nostro  ed  u mio  padre  in  prima 
Il  prodigio  refersi,  e di  ciascuno 
Il  parer  ne  spiai.  Via,  disser  tutti 
Concordemente,  abbandonimi!  qHest’ empia 
E seelerata  terra;  andiain  lontano 
Da  questo  infame  e traditore  ospizio. 
Rimettianci  nel  mare.  Indi  T essequie 
Di  Polidoro  a celebrar  ne  demmo; 

E,  composto  di  terra  uh  alto  cumulo, 

Gli  aitar  vi  consacrammo  ai  numi  inferni, 
Che  di  cerulee  bende  e di  funesti 
Cipressi  eran  coverti.  Ivi  le  donne 
D’ Ilio,  coni’  è fra  noi  rito  solenne, 

Vestite  a bruno  e scapigliate  e meste 
Ulularono  intorno;  e noi  di  sopra 
Di  caldo  latte  e di  sacrato  sangue 
Piene  tazze  spargemmo,  e con  supremi  ; 

[55-67] 


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113 


[l  15-138] . unno  m. 

Richiami  amaramente  al  suo  sepolcro 
Rivocammo  di  lui  Panima  errante. 

Nè  pria,  ne  si  mostràr  P onde  sicure, 

E fidi  i venti/ che,  del  porto  usciti, 
Incontinente  ne  vedemmo  avanti 
Sparir  Podiosa  terra,  e gir  da  noi 
Di  mano  in  man  fuggendo  i liti  e i monti* 
È nel  mezzo  a P Egèo,  diletta  a Dori 
Ed  a Nettuno,  un’ isola -fumosa, 

Che  già  mobile  e vaga  intorno  a’  liti 
Agitala  da  P onde  errando  andava  ; 

Ma  fatta  di  Lato.na  e de’ suoi  figli 
Ricetto  un  tempo,  dal  pietoso  arciero 
Tra  Gìaro  e Micon  fu  stretta  in  guisa, 

Ch’  immota  e cólta  e consacrata  a lui- 

* 

Ebbe  poi  le  tempeste  e i venti  a scherno. 
Qui  porto  placidissimo  e securo 
Stanchi  ne  ricevette,  e già  smontati 
Veneravam  d’ Apollo  il  santo  nido; 

Quand’  ecco  Ànio  suo  rege,  e rege  insieme 
E sacerdote,  che  di  sacre  bende 
E d’ onorato  alloro  il  crine  adorno 
Ne  si  fa  ’ncontro.  Era  al  mio  .padre  Anchise 
Già  di  molt*  anni  amico  ; onde  ben  tosto 

[68-82] 


\ 14 


l’  cneide. 


[139-1*62] 


Lo  riconobbe,  c con  sembiante  allegro 
Lui  primamente,  indi  noi  tutti  accolti, 

IS’  abbracciò,  ne  ’nvitò,  seco  n’  addusse. 

Quinci  al  delubro,  eli’ ad  Apollo  in  cima 
Era  d’  un  sasso  anticamente  cstrutto, 

Tutti  salimmo;  ed  io  devoto  orai: 

Danne,  padre  Timbrèo,  propria  magione, 
E propria  terra,  ove  già  stanchi  abbiamo 
Posa  e ristoro, -e  ne  dà  stirpe  e nido 
Oportuno,  durabile  e sccuro  ; 

Danne  Troia  novella;  e de’  Troiani 
Serba  queste  reliquie,  che  avanzate 
Sono  a pena  agli  storpi,  a Ic-ruine, 

Al  foco,  a’Greciral  dispietato  Achille. 
Mostrane  chi  ne  guidi,  ove  s’ indrizzi 
Il  nostro  corso,  e qual  Ha  ’l  nostro  seggio. 
Coi  tuoi  più  chiari  e manifesti  augùri, 
Signor,  tu  ne  predici,  e tu  n’  inspira. 

Avea  ciò  detto  a pena,  che  repente 
Il  limitare,  il  tempio  e ’l  monte  tutto 
Crollossi  intorno;  scompigliàrsi  i lauri; 
Aprissi,  c dagli  interni  suoi  ridotti 
Mugghiò  la  formidabile  cortina. 

Noi  riverenti  a terra  ne  gittammo; 

[83-93] 

“I 

% 


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I 


[163-186]  libro  ih.  445 

E *1  suon,ch- era  confuso,  a l’aura  uscendo, 
Articolossi,  e cosi  dire  udissi: 

Dardanidi  robusti,  onde  1’  origine 
Traeste  In  prima,  ivi  ancor  lieto  e fenile 

Di  vostra  antica  madre  il  grembo  aspettavi. 

* • 


, + • 

Di  lei  dunque  cercate;  a lei  tornatevi:  , 

Ch’ivi  sovr’ogni  gente  in  tutti  i secoli,  ti 

Domineranno  i gloriosi  Enèadi, 

E la  posterità  degli  lor  posteri. 

Ciò  disse  Apollo;  e del  suo  detto  féssi 
Infra  noi  grau  letizia  e gran  bisbiglio, 

Interrogando  e ricercando  ognuno 
Qual  paese,  quàljmadre,  qual  ricetto 


Ne  s’  accennasse.  Allora  il  padre  Anchise 
Da  lunge  i tempi  ripetendo  e i casi 
Dei  nostri  antichi  croi:  Signori,  udite, 

Ne  disse,  eh’  io  darò  lume  e compenso 
A le  vostre  speranze.  È del  gran  Giove  A 

Creta  quasi  gran  cuna  in  mezzo* al  mare 
Isola  chiara,  e regno  ampio  e ferace. 

Che  cento  gran  città  nodrisce  c regge. 

Ivi  sorge  un’  altr’  Ida,  onde  nomata  • 

Fu  l’ Ida  nostra;  ond’ha  seme  e radice 
Nostro  legnaggio;  onde  primieramente 
[93-107] 

■ 


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416  L*  ENEIDE.  [1&7-210] 

V 

Teucro,  padre  maggior  de’ maggior  noslri, 
(Se  ben  me  ne  rammento)  errando  venne, 

A le  spiagge  di  Reto,  ov’  egli  elesse 
Di  fondare  il  suo  regno.  Ilio  non  era, 

Nè  di  Pergamo  ancor  sorgean  le  mura 
Fino  in  quel  tempo;  e sol  ne  l’ ime  valli 
Abitavan  le  genti.  Indi  a noi  venne 
La  gran  Cibele  madre;  indi  sun  Farmi 
De’ Coribanti,  indi  la  selva  Idea, 

E quel  fido  silenzio,  onde  celati 

Son  quei  nostri  misteri,  e quei  leoni  - >- 

Gli’  al  carro  de  la  Dea  son  j^osli  al  giogo. 

Di  là  dunque  veniamo,  e là  vuol  Febo 
Che  si  ritorni.  Or  via  seguiamo  il  fato: 
Plachiamo  i venti,  e ne  la  Creta  andiamo,  » 
Clic  non  è lunge;  e se  p’  è Giove  amico, 
Anzi  tre  dì  n'approderemo  ai  liti. 

Ciò  detto,  a ciascun  dio,  come  conviensi, 
Sacrificando,  due,  gran  tori  occisc: 

E V un  diede  a Nettuno  e 1’  altro  a Febo^ 
Una  pecora  negra  a la  Tempesta  ; 

Al  Sereno  una  bianca.  Era  in  quei  giorni 
Fama,  che  Idomenco  cretese  eroe, 

Da  la  sua  patria  e da’  paterni  regni 
[108-422] 


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[2H-234]  utìno  m.  447 

Era  scacciato;  onde  di  Creta  i liti: 

D’  armi,  di  dace  e di  seguaci  suoi, 

Nostri  nimici,Tn  gran  parto  spogliati,- 
Stavano  a noi  Senza  contesa  esposti. 

Tosto  d’  Ortigia  abbandonammo  i porti; 
Trapassammo  di  Naxo  i pampinosi 
Colli,  e Bacco  onorammo:  i verdi  liti 
Di  Donisa,  e d’  Olijaro  varcammo;\ 
Giungemmo  a Paro,  e le  sué  bianche  ripe 
Lasciammo  indietro;  indi  di  mano  in  mano 
L’  altre  Cicladi  tutte  e ’l  mar  che- rotto 
Da  lant’  isole  e chiuso  ondeggia  e ferve; 

E seguendo,  com’ò  de’  naviganti 
Marinaresca  usanza,  in  Creta £in  Creta! 
Lietamente  gridando,  con  un  vento  ' 

Che  ne  feria  senza  ritegno  in  poppa, 

Quasi  a volo  andavamo;  onde  lien  tosto 
De’  Curdi  appressammo  l liti  antichi*; 

E gli  scoprimmo,  c v*  approdammo  alfine. 

’ Giunti  clic  fummo,  avidamente  diemmi 
A fabricar  le  desiate  mura, 

E Pergamea  da  Pergamo  le  dissi. 

Con  questo. amato  nome  amore  e speme 
Destai  di  nuova  patria,  e studio  intenso 

[122-13Ì] 


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l’ em'-ide.  ' [235-258] 

D’  alzar  le  mura  e di  fondar  gli  alberghi. 

Eran  le  navi  io  su  la  rena  addotte 
Per  la  più  paYte;  era  la  gente  intenta 
A V arti,  a la  coltura,  ai  maritaggi, 

Ad  ogni  affare;  ed  iolor  ministrava 
Leggi  e ragioni,  e facea  tempii  e strade, 
Quando  fera,  improvvisa  pestilenza 
Ne  sopravvenne;  e la  stagione  e V anno  . 

E gli  uomini  e gli  armenti  c V aria  c Y acque 
E tutto  altro  infettonne  ; onde  ogni  corpo 
0 cadeva,  o languiva  ; e la  semente 
E i frutti  e !’  erbe  e le  campagne  stesse 
Da  la  rabbia  di  Sirio  e dal  veleno 
De  V orrlbil  contagc  arse  e corrotte, 

Ci  negavano  il  vitto.  Il  padre  mio 
Per  consiglio  ne  <liè  che  un’  altra  volta, 
Rinavigando  il  navigato  mare, 

Si  tornassè  in  Orligia,  e che  di  nuovo 
Ricorrendo  di  Febo  al  santo  oracolo, 
Perdón  gli  si  chiedesse,  aita  e scampo 
Da  sì  maligno  e velenoso  influsso, 

Ed  alfin  del  camino  e de  la  stanza 
Chiaro  ne  si  traesse  indrizzo  e lume. 

Era  già  notte,  e già  dal  sonno  vinta 
[134-147] 


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LIBRO  Ili. 


419 


[259-2S2] 

Poso  e ristoro  avea  1’ umana- gente, 
Quando  le  sacre  effigi  de’  Penati,  '• 
Quelle  che  meco  avca  tratte  dal  foco 
De  la  mia  patria,  quelle  stésse  in  sogno 
Vive  mi  si  mostrar  veraci  e ciliare, 

Tal  piena,  avversa  e luminosa  luna 
Penetrava,  per  entro  al  chiuso  albergo, 
Di  puri  vetri  i lucidi  spiragli; 

E come  cran  visibili,  appressando 
La  sponda  ov’  io  giucea  soavemente, 

Mi  si  fecero  avanti,  e ’n  cotal  guisa 
Mi  conforterò:  Quel  che  Apolli)  stesso, 

Se  tornaste  in  Ortigia,  a voi  direbbe, 

Qui  mandati  da  lui  vi  diciam  noi: 

E noi  siam  quei  che  dopo  Troia  incensa 
Per  tanti  mari,  a tanti  affanni  (eco 
Pi’  uscimmo,  e te  seguiamo  e I’  armi  tue. 
Noi  compagni  li  siamo,  e noi  saremo 
Ch’  a la  nova  città,  che  tu  procuri, 
Daremo  eterno- imperio,  c i tuoi  nipoti 
Ergeremo  a le  stelle.  Alto  ricetto  , * 

Tu  dunque,  e degno  de  1’  altezza  loro, 
Prepara  intanto;  e i rischi  e le  fatiche 
Non  rifiutar  di  più  lontano  essiglio. 

[147-IG0] 


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* 420  l’ereidé.  [283-306] 

Cerca  Iqro  altro  seggio;  ergi  altre'mura 
Vie  più-chiare  di  queste;  chè  di  Creta 
Nè  curiam  noi,  nè  lo  ti  dice  Apollo. 

Una  parte  d*  Europa  è,  che  da’  Greci 
Si  disse  Esperia,  antica,  bellicosa 
E fertil  terra.  Dagli  Enotri  cólta 
Prima  Enotria  nomossi:  or,  coni*  è fama, 
Preso  d’ Italo  il  nome,  Italia  è. detta. 

Quest’ è la  terra  destinata  a noi. 

Quinci  Dardano  in  prima  e lasio  uscirò; 

E Dardano  è l’  autor  del  sangue  nostro. 
Sorgi  dunque  e riporta  al  padre  Anchrse 
Quel  ch’or  noi  ti  diciam,  chè  dicianTvero: 
E tu  cerca  di  Còrito  e d’ Ausonia 
L’ auliche  terre,  chè  da  Giove  in  Creta 
Regnar  ti  s’ interdice.  Io  di  tal  vista, 

E di  tai  voci,  eli’  eran  voci  e corpi 
De’ nostri  Dei,  non  simoiacri  e sogni, 

(Chè  ne  -vid’  io  le  sacre  bende  e i volti 
Spiranti  e vivi)  attonito  e cosperso 
Di  gelato  sudore,  in  un  momento 
Salto  dal  lettole  con  le  mani  al  ciclo 
E con  la  voce  supplicando,  spargo 
Di  doni  intemerati  i sauti  fochi. 

[168-178] 


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[307-330]  libro  in. 

Riveriti  i Penati,  al  padre  Ancliise 
Lieto  mèn  vado,  e del  portento  intera. 

Nenie  il  successo  e l’ ordine  gli  espongo. 
Incontinente  riconobbe  i|  doppio 
Nostro  leguaggio^e  i due  padri  e i due  tronchi 
De’ cui  rami  siam  noi  vette  e.  rampolli  ; 

E d’erro  uscito:  Ora  io  m’avveggio, disse, 
Figlio,  che  segno  sei  de  le  fortune 
E del  fataci  Troia,  e ciò  rincontro 
Che  Cassandra  riicea:  sola  Cassandra 
Lo  previde  e ’I  predisse.  Ella  al  mio  sangue 
Augurò  questo  regno;  e questa  Italia 
E questa  Esperia  avea  Rovente  in  bocca. 

Ma  chi  mai  ne  V Esperia  avria  creduto 
Che  regnassero  i Teucri?  E chi  credea 
In  quel  tempo  a Cassandra?  Ora,  inio  figlio, 
Cediamo  a febo:  e ciò  che  ’l  dio  del  vero 
Ne  dà  per  meglio,. per  miglior  s’elegga. 

Ciò  disse,  e i delti  suoi  tosto  esseguinnno; 
Ed  ancor  questa  terra  abbandonammo, 

Se  non  se  pochi*  N’andavamo  a vela 
Con  second’  aura;  e giù  d’  alto  mirando, 

Non  più  terra  apparià,  mu  ciclo  ed  acqua  <. 
Vedevam  solamente;  quando  oscuro  & 

[178-494] 


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122  l’ ejieide.  [331-354] 

E denso  e procelloso  un  nembo  sopra 
Mi  stette  al  capo,  onde  tempesta  c notte 
Ne  si  fece  repente,  e di  più  sili 
Rapidi  uscendo  imperversaro  i venti; 

S’  abbuiò  V aria,  abbaruffassi  il.  mare, 

E gonfia ro  altamente  e mugghiar  1’  onde. 

Il  ciel  fremendo,  in  tuoni,  in  lampi,  in  folgori 
Si  squarciò  d’ogni  parte.  Il  giorno  notte 
Féssi,  c la  notte  abisso;  e V un  da  l’  altro 
Non  discernendo  Palinolo  stesso 
De  la  via  diffidassi  e de  la  vita. 

Così  tolti  dal  corso,  e quinci  e quindi 
Per  lo  gran  golfo  dissipati  e ciechi, 

Da  buio  e da  caligine  coverti, 

Tre  Soli  interi  senza  luce  errammo, 

Tre  notti  senza  stelle.  Il  quarto  giorno  • 
Vedemmo  alfin,  quasi  dal  mar  risorta, 

La  terra  aprirne  i monti  c gittar  fumo. 
Cnggion  le  vele;  c i remiganti  a pruova, 

Di  bianche  schiume  il  gran  ceruleo  golfo  *- 
Segnando,  inverso  i liti  i legni  affrettano.  • 
Nò  prima  fui  di  si  gran  rischio  uscito, 

Che  giunto  ne  le  Strofadi  mi  vidi. 

.Strofadi  grecamente  nominate 

[19 1-2.10] 


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[355-378]  unno  ili.  423 

Son  certe  isole  ih  mezzo  al  grande  Ionio, 

Da  la  fera  Celeno  e da  quell’  altre 
Rapaci  e lorde  sue  compagne  arpie 
Fin  d*  allora  abitate,  che  per  téma 
Lasciar  le  prime  mense,  e di  Finèo 
Fu  lor  chiuso  l’  albergo.  Altro  di  queste 
Più  sozzo  mostro,  altra  più  dira  peste 
Da  le  tartaree  grotte  unqua  non  venne. 
Sembran  vergini  a’  volli,  uccegfi  c cagne. 

A 1’  altre  membra;  hanno  di  ventre  un  fedo 
Profluvio,  ond’  è la  piuma  intrisa  ed  irta  ; 
Le  man  d’artigli  armate,  il  collo  smunto, 
La  faccia  per  la  fame  e per  la  rabbia 
Pallida  sempre,  e raggrinzata  e magra. 

Tosto  che  qui  sospinti  in  porto  entrammo, 
Ecco  sparsi  veggiam  per  la  campagna 
Senza  custodi  andar  gran  torme  errando 
Di  cornuti  e villosi  armenti  e greggi. 
Smontiamo  in  terra;  e per  forcarne,  prese 
L’  armi,  a predare  andiamo,  e de  la  preda 
Gli  Dei  chiamiamo  c Giove  stesso  a parte.  1 
Falla  la  strage  e già  parati  i cibi, 

E distese  le  mense,  eravam  lungo. 

Al  curvo  lite  a ricrearne  assisi, 

[211-223] 


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424  l’rneide.  [379-402] 

Quanti’ ecco  elle  da’  monti  in  un  momento 
Con  dire  voci  e spaventoso  rombo 
Ne  si  fan  sopra  lo.bramose  arpie; 

E con  gli  urti  e con  1’  ali  e con  gli  ngnoni, 
Col-tetro,  osceno,  abbominevol  puzzo 
Ne  sgominar  le  mense,  ne  rapirò, 

Ne  infettàr  tutti  e i cibi  e i lochi  e noi. 

Era  presso  un  ridotto,  óve  alta  e cava 
Rupe  d’arbori  chiusa  e d’ombre  intorno 
. Facéa  capace  ed  opportuno  ostello. 

Ivi  ne  riducemmo,  e ne  le  mense 
Riposti  i .cibi  c negli  altari  i fochi, 

A convivar  tornammo,  ed  ecco -un’  altra 
Volta  d’  un’altra  parte  per  occulte 
E non  previste  vie  ne  si  scoveree 
L’orribil  torma-;  c con  gli  adunchi  artigli, 
Co’  (ieri  denti  e con  le  bocche  impure 
Ghermir  la  preda,  e ne  lasciàr  di  novo 
Vote  le  mense  scompigliate  e sozze. 

Aliar,  via  (dico  a’  mici)  di  guerra  è d’tiopo 
Contro  u sì  dira  gente  ; e tutti  a 1’  arme 
Ed  a battaglia  incito.  Eglino  in  guisa 
Gli’  io  gli  disposi,  i ferri  ignudile  f uste  ; 

E gli  scudi  e le  Trombe  e i’ corpi  stessi 
i [224-237] 


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[403-428] 


UBftO  11!. 


425 


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Infra V erba  ocqupCtaro;  il  ìor  ritorno 

' Stèro  aspettando.  Era  Miéejio  in  alto*  • > 

A la  veletta  asceso;  e non' più. tosta 

Scoprir  feVute,  e schiamazzate  udille,.  - 

Clic  cpl  canoro  suo'cavp  oricalco» 

Nediè  cenno  a* cojnpagfti.  Uséh*  d’agguato 

Tutti  in  un  tempo*  e nuova  zuffa  e straba 

Tcntàr  contrai  i marini  uecegli  hi  va  no:  • 

Che  le  piume  e le  terga  ad. ogni  colpo.  • ' 

Aveano.impehe.traBili  e secure;,*. 

^ « * « ' • * ^ , 

Onde. scuramente  al  ciel.  rivolle 

Se  ne  fuggirò,  e ne  lasciar  4 proda 
Sgraffiata,  smozzicata. e Io^dt^ tutta. 

Sola  Celeno  a I’  alfa-  rupe •in.cimTt  ••• 

Disdegnosa »fer  mossi;  e-d’  infortùni»-; 

• » 

Trista' indovina,*  rnfurìo.ssi,>e  disse*. 

" Dunque  non  basta  averne,  ardita  ronza 
Di  Laomedonte^epredali^e  scarsi  v~ 

Gli  armenti  e i campi  nostri, che  ancor  guerru, 
Guerra  ancor  ne  movete?  E l’ innocènti 
Arpie  -scacciai!  dèl-patriO- regno  osate? 

Ma  sentite,  e-nel  cor  vi  riponete* 

Quel  clv’io  v’annunzio.  Itxson  Furjù  suprema 
Ch’  annunzio  a>voi  quel  che’l  gran.GiOve  a Febo 
Caro.  — 9.  [237-25.1] 


\%S  \!  eheioe.  [427-450] 

• • 

E Febo  a me  predice.  Il  vostFo  corso 
È per  Italia,  e ne  V Italia  a rete 
E porto  e seggio.  -Blardi  mura  avanti,'-  • 

La  città  clie^al  ciel  vi  si  destina,  ~ . - 

Non  cingerete,  che  d*  uh  tale  oltraggio 
Castigo  areté';  édira  fame  a tanto 
Vi  (Condurrà,  che*  flntfanco  le  tpensc-  • 

Divo rer§te. 'E,  così  detto,  il  volo 
ttipresejn  vèr  In  selva,  e dilegoossi. 

Sgomenteronsij. miei,' cadde  lch*  l’ ira; 
E.prieghi,  invece  d’ armi /e  voti  oprando, 
Mercè ichieserp.  e pace,  o Dive  o Dire 

Che  si  fosser  l’  alate  ingordé  belve: 

E ’1  padre  Ànchise  jn  su  la  riva  sporte 
Al  ciel  le  palme, £ i gran  celesti*  numi' 
Umilmente  invocando,  indisse;i  sacri 
A lor  dovuti  onori  : 0 Dii  possenti, 

0 Dii  benigni,  voi.  rendete  vane 
Queste. minacce;  voi  di  caso  tale 
Me .liberale;  e voi  giusti  e voi  buoni 
Siate  pietosi  a noi  eh’  empii  non  "siamo.  • 
Indi  ratto  comanda  che  dal  lito  ; 

Si  disciolgano  i.  legni:  Entriom  nel  mare, 
Spieghiam  le  vcle  agli  austri,  c via  per  Tonde 
[252-26S]  . 


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[45-b-474]  f libro  ni.  f97 

"*  « 

Spumose  a tnltó  corso  in  fuga  andiamo' 

Là’ve’l  vento  e’I  nocchier  ne  guidà-e  spinge. 

E già  ci*  aito  apparir  veggiam  4e>sc|ve . * 

% . 

Di  Zacintp ; passioni  Dulichio  e Samo; 

Varchiarrt -Jièrito  aipestro  e.  via  -fuggendo, 

E bestemmiando,  tra  passi  am  gli  «cogli 

D’ Itaca,  imperio  di  Laerte,  e nido  . 

Del  fraudolente, Ulisse.  Indi  ne  s’apre. 

Il  nimboso'LeuciHe,  e quel  che  fuiHo. 

A’  naviganti  è: spaventoso,  Apollo.  • 

Ivi  stanchi  approdammo;  ivt  gittate 

L’  ancore,  ed  accostati' i'Iegni  al  lito, 

Nc  la  picciola  sua.chtade  entrammo. 

Grata  vie  più  quanto  sperata'meno  ; 

Ne  fu  la  fecraj-onde  purgati  ergemmo 

Altari  e voti,  ed  ostrega' Giove  offrimmo. 

E d’  Azio  in  su  la  rivu  festeggiando, 

Ignudi  ecf  i/nli,  uscir  de’  miei  compagni 

I più  robusti,  e com’  è patrio  usanza, 

Varie  palestre  a lotteggiar  si  diero;  . 

Gioiosi  cìkrpfr  tanto  mare  e tfonje 

Greche  terre  ioimiehe  a- salvamento 

Fosser  tant’  oltre,  addolci.  Ero  de  l’  anno 

Compito  ri  giro,  e i geliti*  aquiloni.  , 

[268-285] 


fr.  Jé 


^ if  - 


l’  ENEfDE.  [V75-498] 

Infestavano  il  mare;  onci’ io  lo<scudp,  j'  - 
Che  di  forbì l o e concavo  metallo  - 
Fu  già  del  gronde  Abaiite  insegrid  e spoglia, 
Con  un  tal  motto  in  sU  le  porte  appesi  *.  • 

A’ Greci  viNttToni'EflEAfLEvoLLO,  /' 

En  a te  \ sacra,  ApotLpi  lndl  al  mar 'giunti 
Ne  rimbarcammo:  c remigando  a gara 
Fummo. in  un  tempo  de’ FeAcì  avi6la, 

E gli  varcammo:  pòi  rivolti  a destra; 
Costeggialo mo  V Epiro,  e di  Ctonia  - 
Giungemmo  al  qiorto,  ed  io  Rutrolo  entrammo. 
Qui  cosa  udii,  clic  meraviglia-e^gioia 
Al T porse  iiisieuie;  e fu,  eli’ Eleno^ figlio 
Di  Paiamo,  re  nostri),  era  a quel  regno"  • 

Di  greche- tèrre  assunto, -c  che  di  Pirro  * 

E del’ suo  scettro  e del  suo  letto  erede,'  \ 

T • p • 

Troiano  sposo;  à la  Iroialia  AndromaChe 
S’  era  congiunto»  Àrsi  d’  immenso  amore 
Di  visitarlor.e  di  spiai*  da  lui  . 

Come  ciò  fosse;  e de  Formata  nS<jfcndo  - 
Scesi. nel  lito;  e me  n’andai  convochi. 

A ritrovarlo.  Era  quel  giorno  a sorte 
Androrfiàchc  regina  in  su  la  riva 
Del  novo  Sinioenta  a far  solenne  > 
[285-30+] 


[409-522]  LiBBa  .nr.  429 

Setolerai  sacri  fiQHt;.e-«oomc  è rito 

De  la  ima  patria/ àvea  fra  ckic  grandmare  . 

Di  vgrdi  cespj  lina  .gran  tomba  erettù,  . 
.Mt>nunàento>tt  lagrime  e df  duolo],  . .. 

Ove  con  tristi vdoni  e coir  lugubri  * : 

.Voci  cteJ.  grand’  ÉUòr  V anima-e  -I  nome 
. Chiamando,  il  Goto  suo  corpo-  onoravo.  - 
-Poiché  venir  mi  vide,  e ebe  d^Trora 
Avvisò  P armi,  e.  me.  conobbe, -un  mostro 
Veder  Ic.pàrve^eibrsennàta  e stupida  . 
Fermossi  in  prima;  indi  gelata  e smorta  * 
Disvèrine  e-caddej  e dopa  molto,  sr perni- 
RisensandoI  inirommi,  e c'osi  disse: 

v - • <*  • ì .. 

Olii  sei  tu  vero,  o pur  mi  sembri  Enea  ? - 
Sei  ^orpo  od  ombra  ? Se  da’  morti  udito' 

È ’1  mio  richiamo,  Etlpr  perchè  fe  mancia  ? 
Perdi’  ei  léco.  non  viene?  E sei  tH  celio  ' 
Nunzio  di  jui?  Ciò  detto, dagrimundo,  * * 

Empia  di  strida  é di  lamenti  i campi, 
lo  di  pietà  é di  duol  confusola  pepa 

In  poclic  vosi,  c iucile  anco  interrotte, 

» * • 

Snodai  la:  lingua,  lo,  vivo,  se*puf  vita, 

È menar  giorni  si  gravosi  e duri.: 

Ma  cosi  spiro  ancorale  veramente  • 

[3Ó1-3P6] 


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l/'pNEIDE. 


[521-54C] 


Son  io  quei  che  ti  sembro. jO  da  qual  grado 
Seuduta,  e (inquanto  indilo  marito! 
Amlromache  d*  Ellòr  a Pirro,  .11  Pirro 

Tosti  congiunta?  Or  qual  altra  più  lieta 

' . 

T’ incontra,  ep'iò  di  le  degna  forttìna  ? 

# s % 

Abbassò,*!  volto,  eicon  sommessa  voco  , 

N * • 

Cosi  rispose:  0 fortunata  lei 

Sovd  ógni  donna,  elle  regina  c vergine 

Ne  la  sua  patria  a sacrificio  offerta 

Del  -nimico  Cu  vittima  e non, preda,  • . . 

Nè  del  suo  vincitor  serva,  nèjdpUna!  • 

lo  dopo  Troia* Incensa*,  e dopo  tanti 

E tonti  arati  mari,  a servir  nata, 

De  la  stirpe  d’  Achille  il  giogo  o ’l  fasto, 

E ’l  superbo  suo  figlio  a soffrir' ebbi.- 
Qucsti  poi  con  Ermfonc  congiunto, 

E lei,  che  de  la  razza  era  di  Leda 
E del  sangue  di  Sparla,  a ipe  preposta-, 

Volle  eh’  tiene  ed  io,  servi  ambidue, 

N’  accoppiassimo' insieme.  Oreste  intanto. 
Che  tòr  I’  amata  sua  donna  si  vide. 

Da  l*  amore,  infiammato  e da  le  faèi 

• •*< 

De  le  furie  materne,'  anzi  agli  altari  v 
Del  padre  Achille,  insidiosamente  , 
[316-332] 


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[547-570]  libito  m.  431 

Tolse  la  vita  ti  lui.  Per  la  sua  morie  ; 

Fu  ’l  suo  regno  diviso,  c questa  parie. 

De  la  Caonia  ad  Eterno  ricadile, 

Clie  dal  nopie  di  Càone  troiano-  * . 

Così  T ha  detta,- come  disse  ancora 
Ilio  da  T Ilio  nostro  questa  ròcca 
Che  qni-rsu  vedi;  e Simoétita  e Pergamo 
'Queste  piqciole  mura  e questO;rivo. 

Afa  tb  quni  yenti,.ò  qual  nostra  ventura*  , 
Ha  qui  condotto,  fuor  d’ ogni  pensiero 

Di. noi  certo,  e tuo  forse  ? Asca ni o nostro 

— * » 

Vive?  cresce?  che  fa?. come  Ita  sentito  . 

La  mortp  di  Creusa?  E qual  presagio 
Ne  dà,  cli’Eiiea-siio  padre,  Etlor  suo  zio  - 
Si  rinbyino  in  lui?  Colali  Andromachc  " 
Spargea  pianti  e parole  ; ed  -ecco  intanto 
Il  Teucro  Eroe  che  de  Interra  uscendo. 

Con  molti  irt tomo  a rincontrar  ne  venne. 
Tosto  che  il’  adocchiò,  menmgliaiulo 
Ne  cqnobhe,  n'. accolse,  e lietamente 
Seco  n’  addusse,  de’  communi  affanni 
Molto  con  me,  iqenti'c  andavamo,  aneli1  egli 
Ragionando  c piangendo.  Entrammo  al  line 
Ne  la  picciola  Troia,  c con  diletto 
[332-349] 


132  u’  eseide.  [aJl-594] 

Un  alido  ruscello,  .umcerchio  angusto' 
Sentii,  con  finii  c ri  no  vitti  nomi  ^ 

Chiamar  Pergamo  e>Xanh£;  e de  la  Sceà 
Porta  entrando  abbracciai  1’ amata- soglia'. 
Cosi  fecero  i miei  $ meco  godendo 
L’  amica  terra,  come  propria  c vera 
Fosse  lor  patria.  I(  re  le  sale  e i portici 
• Di  mense  empiendo,  fe  lor  cibi  n vinir  ' 

Da’ regii  servi  realmente  esporre  * * * 
Con  vaselli -d’ argento  e coppe  cFep). 

Passato  il  primo  giorno  è l’altro  appresso, 
SofflAr  prosperi  i venti;  ond’  fb  comiuto 
A l’ indovino  re  chiedendo,  seco  -, 
illi  ristrinsi  e- gli  dissi  : Inclito  sire,' 

Cui  non  son  degli  Der  le  menti  occolte, 

Cbò  Febo  spiri  e ’l  tripode  e gli  allori  ' 
Del  suo  tempio  dispensi,  o-de  le  stellò  - 
E de’  volanti  ogni  secreto  intendi,  ^ * 

Danne  certo,  li,priego,  indicio  e lume 
De  le  nostre  venture.  Il  nostro  corso,’. 

Com’  ogni  augurio  accenna  ed  ogni  numd 
Ne  persuado,  è.  p£r  Itafia  ; e lieto 
E fortunato  anpor  ne  .si  promette  • ''  . 
Infino  a <|ùi.  Sola  Celeno  arpia*  • - 

; * [35'a-3G5> 


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[595-6 1S}  . libro  ni.  , 433 

Novi  e tristi  infortuni!,  e fumé; ed  ira  - » \ 
Degli -Dei  ne .minaccia.  lo  darde  ehieggip 
Avvertènze  e ricordi.,  onde  sia, saggio  . 

A lai  perigli,- e- forte  a* tanti  affanni;  ^ 

Qui  pria  solennemente  Elenó,  occisi 
I dovuti  giu.vonchi,  in  atto. umile 
Impetrò  dagli  Dei  favore  c pace; 

Poseia,  raccolto  ip jò  le  bende  §oiolse 
Del.  sa  oro  capo;  e me,  così  copi'ertr 
A hmJo  officio  attonito  e "sospiro. 

Per  man  prendendo,  a la  febèa  spelonca  . 
M’adduàse  avanti,  e con  divina'  voce 
Intonando  proruppe:  0 de  la  D^a  • 

Pregiato  figlio  (quando  a gran  fortuna  . . 
È chiaro  in  prima  clièM  tuo  corso 'è  vólto*;' 
Tal  è delcicl,  dedali  e di  coluh» 

Che  gli  regge,  il.  voler,  1*  ordine  0 H moto) 
Io  di- molle  e gran  cose  elre  antiveggo 

m # < t ^ • 

Del  tuo  peregrinaggio,  acciò  più  franco 
Navighi  i nostri  mai‘i,  e. ’1  porto  ausonio 
Quando  òhe  sia  secaramente  attinga, 

Poche  ne  ti  . dirò:  eh*  a tede  Parche'' 

Vietali  che  più  ne 'sappi  ; ed.  a .mè  Giuno, 
Ch’  io  più  te  neTiveli.  In  prima  il  porto,  * 
[365-381] . 


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434  l’  eneidb..  {619-642] 

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-E  I’  Italia  die  cerchi  e si  vicina 

* . 

Ti  sembra,  è da  Ini  via,  da  tanti  intrichi 
Scevra  da  te*  eh’ anzi  che  tu  v*  aggiunga, 

Ti  parrà  malagevole,*,  e lontana 

Più  che  non  credi  $ e-  ti  fia  d’uopo  avanti 

Stancar  più  volte,  i remiganti  e i rcmi,; 

E ’l  mar  ile  la  Sicilia  c M mar  Tirreno; 

* ’r  • 

E i laghi  inferni  e i’  isola. di.  Circe  * 

Cercar  ti  converrà,  pria  che  vi  fondi 
Securo  seggif.  lo  di  ciò  chiari  segni 
Darotti.,  e tu  ne  fa  nota' e conserva. 

Quando  più  stanco  e travagliato  a riva 
Sarai  d’  un  fiume',  u’ sotto  uid'elce  accòlta 
Sarà  candida  troia, .ed.  ara  trenta 
Candidi  figli  a le  sue  poppe  intorno, 

Allor  di’:  Questuò  ’l  segno  e’I  tempo  è’1  loeo 
I>u  fermar  la  mia  sedere  questo  .e  ’l  fine  ~ 
De’ miei  travagli.  Or  che  E ingorda  faine 
Addur  ti  deggia  a trangugiar  Te-  mense, 
Comunque  avvenga,  i fati  a, ciò  daranno 
Oportunó  compeuso;  e questo  Apollo 
Invocato  da  voi  presto  sàravvi. 

Queste  terre  d’ Italia  e questa  riva  j. 

Nòr  noi  volta  e vicina  ai  Htt  nostri, 

[3$ 1-397] 


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643*66(1] 

È tutta  da’  irimici  e da’- malvagi 
Greci' abitata  * cólta;  e però  lòoge  * 

Fuggi  da  loro!  I Locri  di  ffomia  - . 

Qui  si  posaro';  e qui  «e’  SaWutiui 

1 suoi  Cretesi  Idomeneo-eondusse.^ 

Qu;  Filottete  il  Melibeo  campione  ‘ a 

La-  piceiolelta  stia  Petilia  eresse.  ; 
Fughili  dico?  e quando*  arfeo  varcato 
Sarai  di  là  oe  V alto  lite,  iuteiUO 
A sciorre  i voti,  di  purpureo  Aimanto 
Tivvèlu  il  caf)p,  acciò  tì-a  ì santi  fpclu, 
Mentre  i Cuoi  numi  adori,  Ostile  aspetto  v 
Te  coi  tuoi  sacrificii  noti  conturbi., 

E questo  rito  poi  sia  castamente 
Da  te  servato  e dalìiepoii  tuoi. 

Quinci  partito,  allor  che  da  vicino  . 

Scorgerai  la  Sicilia,  e ìli  Peloro 

Ti-si  discovrirà  4’  angusta.foce, 

pienti  a sinistra,  e dèi  sinistro  maio 
' Solca  pur  vialquanto  a di  luogo  intorno 
Gira  1?  isola  tutta,  e da  ja  destra 
Faggi  la  terra  e V onde.  È fama  antieu 
Che  questi  or  due  tra  lor'di'sgiun..  locb. 
Erano  in  prima  un  solo,  clie  per  for» 
[496- 4U] 


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,«136  u*  bsejde.s  [667-C90] 

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Di  tempo,  di’tetnpeste  e di  mute  *.*.• 
.(Tarrto  a cangiar  -queste  .terrene  eose  ..  * 
Può  de’ secoli  il  corso),  un  dismembrato  . 

Fu  poi  da  l’ alleò.  Il  mai-fra*  mezzo  entrando 
Tanto  urtò,  tanto  róse,  che  Y.  esperio 
Dal  sicolo  terreno' a Ifi n divise:  - - 

E i campi  eie  città,  eh'c  in  su  le. rive  ‘ • . 
Restaro,, angusto  freto  oi*.  bagna  e sparto. 
Nel  destro  lato  è Scilla;  nel  Ministro 

È 1’ ingorda Taì  iddi.  Una  \04ag0  • . 

D’  un  gran  baratro  è questa,  che  tre  vòlte  , 

I vasti  flutti  regnando  assorbo,^1 
E tre  volte  a vicenda  li  ributta 
Con  immènso  bollorfino-a  le  stelle. 

Sedia  dentro  ale  sue  bilie  caverne: 
Stassenir  insidiando  ; e con  le  bocche 
De’ suoi  mostri  veraòi,  che-distese  . 

Tien  mai  scmpre.ed  aperte,  i naviganti  • 
Entro  al  suo  speòo  a sò  truggè  e trangugia. 
Dal  mezzo  in  su  la,  faccia,  il  collo  e ’1  petto 
Ha  di  donna  e di  vergine;  il  restante, 

D’  unu'pistricc  immane,  che  simili  ■* 

A’ delfini  ha  le  code,  ai  lupi  il  ventre. 
Meglio  è con  lungo  indugio  e lunga  volta 
[414*429]  ’ 


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[ÒÌM-'?W.]-  LIBRO.  HI.  137 

✓ 

Girar  Pachino  c la Trinacri'a  tutta,  v ~ 
Cheyhon  ch’ai  lro>  vedeiiquell^ntro  orrenda, 

, Sentir  quegli  urli  spàvenfosi/e Iteri-  *..*»;* 
Di  qltei  cerulei  suor  rhbbiosi- cani.  ' . 

Oltre  a éiò,  se  pròdeh|i,  se-fedèli  \ • • 
Sembrar  ti  -può  che  siarf  d'  Eierio  i delti, 

E se  scarso  non  m'e  dfel  vero  Apòllo;- 
Sovr’ a Tutto  io  t'assenno,  ti  predico, 

Ti  ripeto' più  volte  e ti  rammento,'  : • ^ 
La  gran  Giunóne  iavaca-:.a  Giunon  voti 
E preghi  é doni  o-sacrificil  toffrisci' 
Devotamente;  ch£,  lei  vinta  alfine,  • 

Terrai  d’Italia  il  desiato  lito.  •* 

Giunto  in  Italia,  allbr  che  ne  la  spiaggia - 
Sarai  di  jGortta /IL sacro  averntr lago  ; 

Visi  ta,  e quelle  selve  c fjaeJta  rupe, 

Ove  là.vcechia  vergine  -sibilla 
Profeterà  il  futuro,  e ’n  su  le  fòglie  - * 
Ripone  i Poli  : in  sii  le  foglie, '.diso, « * . 
Scrive  ciò  che  prevede,  e ne  la  grotta  * ^ - 
Distése  ed  ordinate,  ove  sian  lette, 

Ir  disparte  le  lascio.  Eflc  serbando  . 

L’ órdine-e  f versi,  ad  uopo  de’  mortali^ 
Parla»  de  ì*  avvenire,  e quando,  api*endo 
[429-448]  ‘ . 


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•138  l’ ejeide.  [715-738] 

TalÓr  la  porta,  il  vento  le  disturba, 

E van  per  l’antro  a volo,  ella  non  prende 
Più  di  ricorle  e d*  accozzarle  affanno  ; ^ 
Onde  mofti  delusi  e seohsigliati 
Tornali  sovente^  c mal  dj  lei  s’  appagano. 

Tu  per  soverchio  elio  ti  sembri  indugio, 

Per  richiamo  de’  venti  o de*  compagni^ 

!Non  lasciar  di  vederla,  c d’  impetrarne 
Grazia,  ebe.  di  sua- bocca  li  risponda, 

E non  con  (rondi.  Ella  daralti'  avviso  . 

* * » * 1 

D’  Italia,  de  le  guerre  e de  le  genti 
Clic  li  fian  eoulru;  e mostreratti,  il  modo 
Di  fuggir,  di  soffrir,  d’  espugnar  tutte 
Le  tue  fortune;  e di  condurli' in  porto.  » 
Questo  è -quel  clic  m’  occorre,  o clic*  mi  lece 
Chf  io  ti  ricordi.  Or  vanne,  e co’  tuoi  gesti 
Te  porla  e i tuoi  con  la  gran  Troia  ql  ciclo. 

Poscia  che  ciò  come  |U’ofeta  disse, 
Comandò  come  amico  eli’  a le -novi 
Gli  portassero  i doni,  opre  e lavori 
Ch’  avea  d’  oro  c d’  avqrio  apparecchiati, 

E grtyi  masse  d’  argento  c gran  vaselli 

Di  dodonèo  metallo;  una  lorica 

# — 

Di  forbite  azzimine:  e rinterzale 
[-448-467] 


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[789-762]  unno  ml  139 

« * 

Maglie,  dentro  d’  acciaro. et,u|orao*d’  oro, 
Una  lar%a,jun. cimiero,  una  celala, 

Ond’-era  a pompa  ed  a difesa  'armalo 
Neoltòlemo  attero,  li  secchio  AncUise 
El>b<!  aneli’  egli  i suoi  doni  : ebber  poi  tutti 
Cavitili  e guide;  e, fu  di  remi  c d’  armi 
Ciascun  legnò»provisto  ; e per.dliè  ’lVvenlo  ‘ 
Che,  secondò /erta,  non  punto  iifijànro  ' • 
Spirasse,  ordine^vea. di  sòibr  le  velo*  ✓ • 
Già  dato  Ancfiise,  a cui  con  moilto  onore1  ■' 
Si  fece  Elenó  avanti,  e -cosi  disse:  * * * 

0 ben  degno  a cui  fosse  amica  e sposa 
La  gran  madre  d*  Amore;  o.de^- celesti 
Sovrana  cura,  di’  a E eccidio  avanzi  * . ; 

Gjà  due  volte  di’Troia,  eccoti-  a vista 
Giunto  (E  Itali v A questa  il  corso  indrizza; 
Ma  fa  niestier  di  volteggiarla  ancora 
Con  lungo  giro,  poiché  Juuge  assai 
È la  parte  di  lei  che  Apollo  accenna.  - 
Or  lieto  te  ne- va,  pqdre  felice 
Dì  si  pietoso  figlio,  lo,  già  che  È àura  » 

Si  vi  spira'  propizia,  indarno  a bada 
Piti  n on te r r o v v i .' I ndj  la  mesta  Andrpmacjie 
Ecce  con  lottile  con  Ascanio  alfine 
[467-482] 


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140  l?  eseiOe.  [76.3-T86] 

» 

ha  supremaipartènza.  Aruesi-d-  oro  ~ - 

Guarniti  e ricamai»-,  c drappi  e giubbe 
Di  moresco  lavoro,  ed  hllri  degni 
Di  lui  vestili  e fregi,  'e  ricca  e .larga 
Copia  di  biàncherie;»d<?nùgli£  eclisse  r • ' * 

, Prendi,  figlia,  da  me  qqest’opre  uscite 
Da  le.mte  mani,  e 'per  memoria. iien^e  v 
Del  grande  è lungo  amor  che  seppie  av ratti 
Androni  deli  e d’Ettorre;  ultimi  dóni1  ' 

>Che  ricevi  tip*  tuoi.  Tu  mi  sei,  figlio/  • . 

Quell*  unioo  sembiante  elle  nii  resta, . 

D’ A stiano  tic  mio.  Così  la. bocca,  - 

j 

Così  le  màjn,  cosi  gli  occhi  movea  - . 

Quel  mio  figlio  infelice;  e d’tanni  eguale 
A te,  del  pari. or  saria* leco  in  flore. 

Ed  icr  da  Joro,  nnzi  da  mepartenda/  . ' 
Con. le  lagrime  agl i. ocelli  olfin  soggiunsi: 
Vivete  lieti  voi,«ui  già  Insorte^  * 

Vostra  è compita  :*  noi  di  fato ‘in  fà'to, 

Di  more  ip  mar  -tapini  9 mi  rem cercando 
Quel  che  voi, possedete.  A noi  1* Ualià 
Tanto  ognor.se  ne  va  più  lunge,  quanto  • 
Più  la  seguiamo;  c voi. già  la  sembianza 
D’ Ilio  e di  Tt'oia  in  pace  vi  godete, 

[482-497] 


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[787-8  MJ]  libro  iti.  • -141 

# 

Regno  e fattura  vostra,  ali!  clic  de  l’altra 
Sia  sempre  c più  felice  e meno  esposti 
A le  forze  de’  Greci.  Io  s’ unqua.il  Tebro 
Vedrò,  se  fia  già  mai  che  ne’ suoi  campi 
Sorgan  le  mura  destinate  a noi:  . 

Come  Iq,  nostra  Esperia  e ’l  vostro  Epiro 
Si  son  vicini,  e come  ambe  le  ferro  . . 
Fien  vicine  e cognate,  ed  ambe  avranno 
Dardano  per  autore,  e per  fortuna 
•Un  caso  stesso;  così  d’  ambedue'' 

31  i proporrò  clic  d’an\mi  c d’amore 
Siamo  una  Troia:  e ciò  perpetua  cura 
Sia  de’  nostri  nipoti.  Entrali  in  mare 
Ne  spingemmo  oltre  agli  Cerauni  mouti 
A Butroto  vicini,  onde  a le  spiagge 
Si  fa  d’ Italia  il  più  breve  tragitto. 

Già  dechinava  il  sole,  e creseean  l’ ombre 
De’  monli  opachi,  quando  a terra  vólti 
Col  desire,  e co’  remi  in  su  la  riva 
Pur  n’  adducemmo,  e procurammo  a’ corpi 
Cibo,  riposo  c sonno.  Ancor  la  notte 
Non  era  al  mezzo,  die  del  suo  stramazzo 
Surse  il  buon  Palinuvo;  e poscia  ch’ebbe 
Con  gli  orecchi  spiati  il  vento  e ’l  mare, 

Caro. — IO.  [498*514] 


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442  l’ emide.  [811-834] 

Mirò  le  stelle,  contemplò  V Arturo, 

L’  ladi  piovóse,  i gemini  Trioni, 

Ed  Orione  armato:  e visto  il  cielo 
Sereno  c *1  mar  sicuro,  in  su  la  poppa 
Recossi,  e ’1  segno  dienne.  Immantinente 
Movemmo  il  campo,  c quasi  in  un  baleno 
Giunti  c posti  nel  mar,  vela  facemmo. 

Avea  1’  Aurora  già  vermiglia  c rancia 
Scolorite  le  steHe,  allor  che  lungo 
Scoprimmo,  c non  ben  chiari,  i monti  in  prima 
Poscia  i liti  d’Italia.  Italia!  Acate 
Gridò  primieramente:  Italia!  Italia! 

Da  ciascun  legno  ritornando,  allegri 
Tutti  la  salutammo.  Allora  Auchise 
Con  una  inghirlandata  e piena  tazza 
In  su  la  poppa  alteramente  assiso, 

0 del  pelago,  disse,  e de  la  terra, 

E de  le  tempesta  numi  possenti, 

Spirale  aure  seconde,  e vèr  I’  Ausonia 
De’ nostri  legni  agevolate  il  corso. 

Rinforzaronsi  i veliti  ; apparve  il  porto 
Più  da  vicino;  apparve  al  monte  in  cima 
Di  Pallade  il  delubro.  Allor  le  vele 
Calammo,  fe  con  le  prore  a terra  demmo. 
[515-532] 


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[835-858]  libro  ni.  443 

É di  vèr  T Oriente  un  curvo  seno 
In  guisa  d’  arco,  a cui  di  corda  in  vece 
Sta  d’  un  lungo  macigno  uu  dorso  avunti, 

Ove  spumoso  il  mar  percuote  e frange. 

Ne’-suoi  corni  ha  due  scogli,  anzi  due  torri, 

Che  con  due  braccia  il  mar  deutro  accogliendo 
Lo  fa  porto  e l’asconde;  e sovra  a!  porto 
Lunge  dal  lito  è ’l  tempio.  Ivi  smontati, 
Quattro  destrier  vie  più  che  neve  bianchi. 

Che  pascevano  il  campo,  al  primo  incontro 
Per  nostro  augurio  avemmo.  Oh  ! disse  Anchisc, 
Guerra  ne  si  minaccia;  a guerra  additti 
Sono  i cavalli;  o pur  sono  anco  al  carro 
Talvolta  aggiunti,  e van  del  pari  a giogo: 
Guerra  fla. dunque  in  prima,  è pace  dopo. 

Quinci  devoti,  venerammo  il  nume 
De  Y armigera  Palla,  a cui  gioiosi 
Prima  il  corso  indrizZammo.  In  su  la  riva 
Altari  ergemmo;  e noi  d-  intorno,  come 
Eleno  ci  ammoni,  le  teste  avvolte 
Di  frigio  ammanto,  à la  gran  Giuno  argiva 
Preghiere  e doni  e sacrifizii  offrimmo. 

Poiclrtr  solennemente  i prieghi  e i voti 
Furon  compiti,  al  mar  ne  radduceimno 
[533-549] 


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444  ' l’  exeiue.  [859-882] 

Immantinente;  e rivolgendo  i corni 
De  le  velale  antenne,  il  greco  ospizio  * 

E ’l  sospetto  paese  abbandonammo.  * 

E prima  il  tarantino  erculeo  seno 
(Se  la  sua  fama  è vera)  a vista  avemmo”. 
Poscia  a rincontro  di  Lacinia  il  tempio,  ’ ‘ 
La  ròcca  di  Cuulòne  e ’l  Scillacèo,  • 

Onde  i navili  a si  gran  rischiò  vanno. 

Indi  .ne  la  Trinacria  al  mar  diseosto 
D’Etna  il  monte  vedemmo,  e lunge  udimmo 
Jl  fremito,  il  muggito,  i tuoni  orrendi 
Che  fa'ceaii  ne’ suoi  litre  ’ntorno  a’ sassi 
E dentro  a le  caverne  i flutti  e i fuochi, 

Al  ciel  ruttando  insieme  il  mare  e *1  monte 
Fiamme,  fumo,  faville,  arene  e -schiuma. 

Qui  disse  il  veòcbio  Ànchise:  E forse  questa 
Quella  Cariddi  1 Questi  scogli  certo, 

E questi  sassi  orreudi.  Eleno  dianzi 
Ne  profetava.  Via,  compagni,  a’  remi 
Tutti  in  un  tempo,  e vincitori  usciamo 
D’un  tal  periglio.  Palinuro  il  primo 
Rivòlse  la  sua  vela  e la  sua  proda 
Al  manco  lato;  e ciò  gli  altri  seguendo, 

Con  le  sarte  e co’  remi  in  un  momento 
[5  49- 5623 


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[8S3-906J-  • libro  in.  145 

Ne  gitlamjno  a sinistVa;  « ’l  mar  Sorgendo 
Prima  al  ciel  ne  sospinse  £*indi  calando,  . 
Ne  1’  abisso  ne  trasse»  In  ciò  tre  volte 
Mugghiar  sentimmo  i cavernosi  scogli, 

E tre  volte  rivolgi  in  vèr  le  stelle 
D’  umidi  sprazzi  e di  salala  schiuma 
Il  ciel  vedemmo  rugiadoso^  molle. 

Eravam  lassi:  è T vento  e ’l  sole  insieme 
Ne  mancàr.si,  che  del  viaggio  incerti" 
Disavvedutamente  p le  contrade  * 

De’  Ciclopi  approdammo.  È per  sè  stesso 
A’  venti  inaccessibile  é capace 
Di  molli  legni  il  porto ové  sorgemmo; 

Ma  si  d’  Etna  vicino-,  che  i suol  tuoni 
E le  sue  spaventevoli  ruine 
Lo  tempestano  ognora.  Esce  talvolta 
Da  questo  monte- a l’aura  un’atra  nube  ' 
Mista  di  nero  fumo  é di  roventi 
Faville,  che  di  cenere  e di  pece 
Fan  turbi  e grappi,  ed  ondeggiando  a scosse 
Vibrano  ad  ora  ad-or  lucide  fiamme 
Che  van  lambendo-n  .scolorir  le  stelle; 

E talvolta,  le  sue  viscere  stesse  - 
Da  sè  divelle,  immani  sassi  e scogli 
[563-576]- 


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U6  l*  eheioe.  [007-930] 

Liquefatti  e combusti  al  ciel  vomendo 

In  fin  dal  fondo  ronioreggia  c bolle. 

È fama-,  clic  dal  fulmine  percosso 
E non  estinto,  sotto  a questa  mole 
Giace  il  corpo  d’  Encelado  superbo; 

E che  quando  per  duolo  e per  lassezza 
Ei  si  travolvc,  o sospirando  anela, 

Si  scuote  il  monte  c la  Trinacria  tutta;  ' 
E del  ferito  petto  il  foco  uscendo 
Per  le  caverne  mormorando  esala, 

E tutte  intorno  le  campagne  e ’l  cielo 
Di  tuoni  empie  c di  pomici  e di  fumo. 

A questi  mostri  tutta  notte  esposti 
Entro  una  selva  stemmo,  non  sapendo 
Lc-cagioh  d’essi,  e di  cercarle  ogn’ uso 
Ne  si  togliea,  poiché ’l  paese  conto 
Non  c’era:  nò  stellato,  nò  sereno 
Si  vedea  ’l  ciel,  ma  fosco  e nubiloso, 

E tra  le  nubi  era  la  luna  ascosa. 

Già  del  giorno  seguente  era  il  mattino, 

E chiaro  albore  avea  I’  umido  velo 
Tolto  dal  mondo;  quando  ecco  dal  bosco 
Ne  si  fa  ’nconlro  un  non  mai  visto  altrove 
Di  strana  c miserabile  sembianza, 
[577-591] 


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[931-954]  libro  m.  447 

Scarno,  smunto  c distrutto;  una  figura 
Più  di  mummia  clic  d’uomo.  Avea  la  barba 
Lunga,  le'chiome  incolte,  indosso  un  manto 
Ricucito. dà  spini:  orrido  tutto, 

E squallido  e difforme,- con  le  mani 
Verso  il  lito  distese,  a lento  passo 
Venia  mercè  chiedendo.  Era  costui,  * 

Come  prima  ne  parve  e»poscia  udimmo, 
Greco,  e di  quei  che  mililaro  a Troia. 

Onde  noi  per  Troiani  e i nostri  arnesi 
E le  nostr’armi  conoscendo,  in  prima 
Attonito  fermossi;  e poscia  quosi 
Rincorato  a noi  venne,  e con  preghiere 
E con  pianto  ne  disse:  Oh  ! se  le  stelle, 

Se  gli  Dei,  se  quest’  aura  onde  spiriamo, 
Generosi  e magnanimi  Troiani, 

Serbin  la  vita  a voi,  quinci  mi  tolga 

- * 

La  pietà  vostra,  e vosco  m adducete, 

Ove  che  sia  ; chè  mi  fìa  questo  assai; 

Poich’  io  son  greco,  e di  quei  Greci  ancora 
Che  venner  (lo  confesso)  ai  danni  vostri. 
Se’l  fallo  è tale,  e se  ’l  vostro  odio  è tanto 
Ch’  io  ne  deggia  morir,  morte  mi  date, 

E,  se  così  v’  aggrada,  a brano  a brano 
[592-605] 


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\ iS  l’eneiue.  {955-97fc] 

Mi  laniatc,  e nc  fate  escala’  pesci  ; 

Che  se  per. maii  d’  umana  gente  io  péro, 
Perir  mi  giova.  E,  cosi  detto,  a’  piedi 
Nc  si  gittò.  Noi  Pcssortammo  a dire 
Chi  fosse  $ di  che  patria  e di  che  sangue, 

E qual  era  il  suo  caso.  Il  vecchio  Auchisc 
La-  sua  destra  gli' pòrse,  e con  tal  pegno 
1/  a (Fidò  di  salute;  ond’  ei-  seeuro 
Tosto  soggiunse:  Itaca  è patria  mia, 
Achemenide  il  nome..  Io  fui  compagno  •*  * 
De  1’  infelice  Ulisse,  e venni  a Troia, 

La  povertà  del-  mio  padre  .Adaraasto 
Fuggendo  (così  povero  mai  sempre 
Foss’  io  stato  con  lui  !)  : qui  capitai 
Con  esso  Ulisse  pe  qui,  menti*’ ei  fuggia  ' 
Con  gli  altri  suoi  questo  crudele  ospizio, 
Per  témg  abbàndonommi  c per  oblio 
Ne  l’antro  del  ciclopo.  È questa  un  antro' 
Opaco,  immenso,  che  macello  è sempre 
I)’  Umana  carne,  onde  ancor  sempre  intriso 
E . di  sanie  « di  sangue;  ed  è ’l  ciclopo 
Un  mostro  spaventoso,  un  che  col  capo 
Tocca  le  stelle  (o  Dio,  leva  di  terra  „ 

Una  tal  peste),  eh’ a mirarlo  solo, 

[605-620,] 


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I 


^979- I0Q2]  libro  hi.  140 

Solo  a parlarne  orror  senio  cd  angoscia.  • 
Pascesi  de  |e  viscere  e del  sangue 
De  la  misera  genie ;•  ed  io  l’ho  >islo 
Con  gli  Dechi  mici. nel  suo  speco  rovescio  • 
Stender  le  branche,  e due  presi  de’  nostri, 
Rotargli  a cerco,  c sbattergli,  e schizzarne 
In  (Va  quei  tufi  le  midolle  e gli  ossi. 

Visi’  ho. quando  le  membra  de’ meschini 
Tiepide,  palpitanti  c vive  ancora 
Di  sanguinosa  bava  il  mento  asperso 
Frangca  co’  denti  a guisa  di  maciulla. 

Ma  noi  soffrì  senza  vendetta  Ulisse; 

Nò  di  se  stesso  in  sì  mortai  periglio 
Punto  obliossi;  che  non  prima  steso 
Lo  vide  ebbro  c satollo  a capo  chino 
Giacer  ne  V antro,  c sonnacchioso  e gonfio 

e 

Ruttar  pezzi  di  carne  e saugue  c vino, 

Che  ne  restrinse;  cd  invocati  in  prima 
I santi  numi,  divisò  le  veci 
Si,  che  parte  il  tenemmo  in  terra  saldo,  * . 
Parte,  con  un  gran  palo  al  foco  aguzzo, 
Sopra  gli  Tumulò;  e quel  eh’  unico  avea 
Di  targa  e di  febèa  lampade  in  guisa 
Sotto  la  torva  fronte  occhio  rinchiuso, 
[G!!0-637] 


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* 


/ » 
> I 


150  l’  ejceide.  [1003-1026] 

Gli  trivellammo,  vendicando  alline 
Col  tòr  la  luce  a lui  I'  ombre  de*  nostri. 

Ma  voi  che  fate  qui?  che  non  fuggite, 
Miseri  voi  ? Fuggite,  e senza  indugio 
Tagliate  il  fune  e V allargate  in. mare: 

Che  così  smisurati  e cosi  fieri, 

Coni’  è costui  che  Polifemo  è detto, 

Ne  son  via  più  di  cento  in  questo  lito, 

Tutti  ciclopi  e tutti  antropofàgi 
Che  vanno  il  dì  per  questi  monti  errando. 
Già  visto  ho  la  cornuta  e scema  luna 
Tornar  tre  volte  luminosa  e tonda, 

Do  che  son  qui  tra  selve  e tra  burroni 
Con  le  fere  vivendo.  Entro  una  rupe 
È ’l  mio  ricetto  ; e quindi,  benché  lunge 
Gli  miri,  ad  or  ad  or  d’  avergl’  intorno 
Mi  sembra,  e ’l  suon  n’  abborro  e’1  calpestio 
De  la  voce  e de’  piè.  Pascomi  d’  erbe, 

Di  coccole^  di  more  e di  corgnali, 

E di  tali  altri  cibi  acerbi  e fieri  : 

Vita  c vitto  infelice.  In  questo  tempo, 
Quanto  ho  scoperto  intorno,  unqua  non  vidi 
Ch’altro  legno  già  mai  qui  capitasse. 

Salvo  eli’  i vostri.  A voi  dunque  del  tutto 
[637-652] 


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[1027-10,50]  Liono  in.  ibi 

M*  addica;  e,  clic  clic  sia,  parrà  ni  mi  assai 
Fuggir  questa  nefanda  e (lira  gente. 

Voi,  pria  die  qui  lasciarmi,  ogni  supplizio 
.ìli  date  ed  ogni  morte.  A pena  il  Greco 
Avea  ciò  dello,  ed  ecco  in  su  la  vetta 
Del  monte  avverso,  Polifemo  apparve. 
Sembrato  mi  sarebbe  un  alto  monte, 

A cui  la  gregge  sua  pascesse  intorno, 

Se  non  che  si  inovea  con  essa  insieme, 

E torreggiando  inverso  la  marina 
Per  P usalo  senlier  se  ne  calava: 

Mostro  orrendo,  difforme  e smisurato, 

Clic  avea  come  una  grotta  oscura  in  fronte 
Invece  d’  occhio,  c per  bastone  un  pino, 
Onde  i passi  fermava.  Avea  d’ intorno 
La  greggia  a’ piedi,  e la  sampogna  al  cojlo, 
Quella  il  suo  amore,  c questa  il  suo  trastullo, 
Ond’  orbo  alleggeriva  il  duolo  in  parte. 
Giunto  a la  riva,  entrò  ne  V onde  a guazzo  ; 
E pria  de  l’occhio  la  sanguigna  cispa 
Lavossi,  ad  or  ad  or  per  ira  i denti 
Digrignando  e fremendo;  indi  si  stese 
Per  entro  M mare,  e nel  più  basso  fondo 
Fu  pria  co’ piò,  che  non  furi’ onde  a Panche. 
[653-665] 


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152  l’eneidb.  [1054 -d  074] 

Nói  per  paura,  ricevuto  in  prima,. 

Come  ben  meritò,  l’ospite  greco, 

Di  fuggir  n’  affrettammo;  e chetamente*- 
Sciolte- le  funi,  a remigar  ne  demmo 
Più  che  di  furia.  Udì  ’l  ciclope,  il  suono 
E ’l  trambusto  de’  rami  : e vólti  i passi 
Vèr  quella  parte  e ’l  sjuo  gran  pino  a cerco, 
Poiché  lungi  sentitine,  c lungamente 
Pensò  seguirne  per  l’ Ionio  in  vano,  * 
.Trasse  un  mugghio,  che  ’l  mare  i liti  intorno 
. Ne  tremftr  tulli,  ne  sentì  spavento 
Fino  a l’Italia:  ne  tonaron  quanti 
La  Sicania  avea  seni,  Etna  caverne. 

L’  udir  gli  altri  .ciclopi,  e da  le  selve 
E da’  monti  calando,  in  un  momento 
Corsero- al  porlo,  c se  n’  empierò  i liti. 

Gli  vedevam  da  lungo  in  su  1’  arena, 
Quantunque  indarno,  minacciosi  e torvi 
Stender  le  braccia  a noi,  le  teste  al  cielo: 
Concilio  orrendo,  che  ristretti  insieme 
Erano  quni  di  querce  annose  a Giove, 

Di  cipressi  conifcri  a Diana 
S’  ergono  i boschi  alteramente  a i’  aura. 
Fòro  timor  n’assalse;  e da  1’  un  canto 
[GGG-G82] 


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[I075H098]  nano  in.  • i53 

Pensammo  di  lasciar  che  ’l  vento  stesso. 

y 

Ne  |)Oi*tassc  a seconda  ovunque  fosst?, 
Purché  limge  da  loro;  ma  da  V altro,  •* 

D’  Eleno  còl  vietava  il  detto  espresso,  - 
Che  per  mezzo  di  Scilla  0 di  ■Cariddi  ' * 
Passar  non  si  devesse  a sì -gran  rischio, 

E tfi  sì  poco  spacio  e quinci  e quindi^. 
Scevri  da  morie.  In  questa,  che  già  fermi 
Eravam  di  voltar  le  vele  a dietro, 

Ecco  che  da  lo  stretto  di  Peìoro, 

• i 

Ne  vien  Bora  a grand’  uopo,  onde  repente 

A la  sassosa  foce-di  Pantagia, 

• • * 

Al  Megarico  seno,  ai  bassi  liti 
Ne  trovammo  di  Tapso.  In  cotal  guisa 
Riferiva  Aehemenide,  compagno' 

Che  s’  è detto  d’  Ulisse,  èsser  nomali 
Quei  lochi,  onde  pria  seco  era  passalo. 

Giace  de  la  Sicaniu  al  golfo  avanti  \ 
Un’  isolctta  che  a Plemmirio  ondoso  . 

È posta  incontro,  e dagli  antichi  è detta 
Per  nome  Orligia.  A quest’  isola  è fama,  * 
Che  per’vic  sotto  al  mare  il  greco  Alfeo  - • 
Vien,  da  Doride  intatto,  infili  d’  Arcadia 
Per  bocca  d’  Arciusa  a mescolarsi  ‘ . 

[083*695] 


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454  l’exeide.  [ 1099- H 22] 

Coji  T onde  di  Sicilia.  E rj-ui  dei  loco 
Venerammo  i gran  numi;  indi  varcammo 
Del  paludoso  Kloro  i campi  opimi. 
Rademmo  di  Pachino  i sassi  alpestri, 
Scoprimmo  Ca  meri  uà,  e M fato  udimmo, 

Che  mal  per  lei  fora  il  suo  stagno  asciutto. 
La  pianura  passammo  de*  Geloi, 

Di  cui  Gela  è la  terra,  e Gela  il  fiume. 

Molto  da  lunge  il  gran  monte  Agragante 
Vedemmo,  e le  sue  toì  ri  e le  sue  spiagge 
Che  di  razze  fur  già  madri  famose.  ' 

Col  vento  stesso  indietro  ne  lasciammo 
La  palmosa  Seiine;  e ’n  su  la  punta 
Giunti  di  Lilihèo,  tosto  girammo 
Le  sue  cieche  seccagnc,  e ’l  porto  aitine 
Del  mal  veduto  Drepano  a fi  errammo. 

Qui,  lasso  me!  da  tanti  affanni  oppresso, 

• • « 

A tanti  esposto,  il  mio  diletto  padre, 

Il  mio  patire  perdei.  Qui  stanco  e mesto, 
Padre,  m’  abbandonasti  : e pur  tu  solo 
M’ eri  in  tante  gravose  mie  fortune  * 

Quanto  avea  di  conforto  e di  sostegno. 
Oimò!  che  indarno  da  sì  gran  perigli 
Salvo  nc  ti  rendesti.  Ah,  che  fra  tanti 
[(>9G-7  lì] 


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[I123-1134J  libro  hi.  -1 55 


Orrendi  e miserabili  infortunii, 
Ch'Eleno  ci  predisse  e l'  empia  arpia, 
Questo  non  era  già,  ch'era  il  maggiore! 
Oh  fosse  questo  ancor  1’  ultimo  affanno 
Com'  è 1’  ultimo  corso!  Chè  partendo 
Da  Drepano,  se  ben  fera  tempesta 
Qui  ni’  ha  gittato,  certo  amico  nome 
M'  ha,  benigna  regina,  a voi  coqdotto. 

' Cosi  da  tutti  con  silenzio  udito, 

/ 

Poich'ebbe  Enea  distesamente  esposto 
La  mina  di  Troia  e i rischi  e i fati 
E gli  error^uoi,  fece  qui  fine  c tacque; 


[711-718] 


# * 


•*  m - ■ [j-is] 

• • DELL’ ENEIDE 

, % 

• 4 * 

Licito  Quarto. 


Ma  la  rovina  d’ amoroso  strale 
Già  punta  ri  core,  e né  le  vene  accesa  *•;. 
D'occulto  foco, intanto  arde  e si  sface: 

E de  T amato  Enea  fra  sè  volgendo  - 
Il  legnaggio,  il  yalore,  il  senno, T opre, 

E que!  che  più  le  sta  ne  l'  alma  impresso 
Soave  ragionar,  dolce  .sembiante, 

Tutta  notte  ne  pensa,  e mai  non  dorme. 
Sorgea  l’ Aurora,  quando  sursc  aneli'  ella, 
. Cui  le  piume  parean  già  stecchi  e spini; 

E con.la  sua  diletta  e fida  suora 
Si  ristrinse  e le  disse;.  Anna  sorella, 

Che  vigilie,  che  sogni,  che  spaventi 
Son  qhesti  miei?  ehe  peregrino  è questo 
Che  qui  novellamente  6 capitato? 

Vedcstu  mai  sì  grazioso  aspetto  ? 

Conoscesti  unqua  il  più  saggio,  il  più  forte, 
E il  più  guerriero?  Io  credo  (e  non* è vana 

.[M2]  ; 


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L19-4ZJ  -LIBRO  IV.  ib 

t 

La  mia  credenza)  che  dal  ciel  discenda 
Veracemente.  L' alterezza  è segno 
D’  animi  generosi.  E chejortune,  ; 

E che  guerre  ne  conia  Mtr,  se  non  fusse 
Che  fermo. e stabilito  ho  nel  cor  inio 
Che  nodo  maritai  più  non  mtstringa, 
Poiché  il  primo  si*  ruppe,  e se  d’  ognuno 
Schiva  non  fossi,  solamente  a lui 
Forse  m’ incbijie|ei«  Cli’a  dirti  ’l  vero, 
Anna  mia,  da  che  morte  e l*  empio  frate 
Mi  privar  di  Sichèo,  sol  questi  ha  mosso 
1 miei  sensi  e ’l  mio  core,  e solo  in  lui 
Conosco  i segni  de  l’ antica  fiamma. 

.Ma  la  terra  m’ingoi  e’I  ciel  mi  fulmini, 

E ne  l’abisso  mi  trabocchi  in  prima 
Ch’  io  ti  violi  mai,  pudico  amore; 

Col  mio  Sichèo,  con  chi  pria  mi  giungesti 
Giungimi  sempre,  e ’ntemerato  e puro 
Entro  al  sepolcro  suo  seco  ti  serba.' 

E qui  piangendo  e sospirando  tacque. 
Anna  rispose.:  0 più  de  la  mia  vita 
Siessa,  amata  sorella,  adunque  sola 
Vuoi  tu  védova  sempre  e sconsolata  • 
Passar  questi  tuoi  verdi  e florid’  anni, 
Caro.—  11.  [12-52] 


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^58  L.’  ENEIDE.  [43-66] 

Che  frutto  non  ne  colga,  e mai  non  gusti 

La  dolcezza  di  Venere  e ’l  contento 
De’ cari  figli?  Una  gran  cura  certo 
llan  di  ciò  1’  ombre  e ’l  cener  de’ sepolti. 
Abbiti  insino  a qui  fatto  rifiuto 
E del  gelùlo  Iarba  c di  tant’  altri 
Possenti,  generosi  e ricchi  duci 
Peni  e Fenici},  oh’  io  di  ciò  li  scuso, 

Coni’  allor  dolorosa,  e non  amante; 

Ma  poi  eh’  ami,  ad  amor  sarai  re  bello, 

E ritrosa  a te  stessa?  Ali!  non  sovvienti 
Qual  cinga  il  tuo  reame  assedio  intorno? 
Coni’  ha  gl’  insuperabili  Gettili 
Da  1’  una  parte,  i Nùmidi  da  l’altra, 

Fera  gente  e sfrenata?  indi  le  secche, 
Quinci  i deserti,  e più  da  lunge  infesti 
I feroci  Barcci  ? Taccio  le  guerre 
Che  già  sorgon  di  Tiro,  e le  minacce 
Del  fiero  tuo  fratello.  Io  penso  certo 
Che  la  gran  Giuno,  e tutto  il  ciel  benigno 
Ne  si  mostrasse  allor  che  a’  nostri  liti 
Questi  legni  approdare.  0 qual  ciltade, 
Qual  imperio  fia  questo!  Quanto  onore, 
Quanto  prò,  quanta  gloria  a questo  regno 

[33-47] 


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LIBRO  IV. 


159 


[67-90]  libro  iv.  159 

Nc  verrà,  quando  ei  teco,  e P armi  sue 
Saran  giunte  a le  nostre!  Or  via,  sorella, 
Porgi  preci  agli  Dei,  fa’  vezzi  a lui, 
Assecuralo,  onoralo,  intratticllo  ; 

Cliò  ’1  crudo  verno,  il  tempestoso  mare, 

Il  piovoso  Orione,  i venti,  il  ciclo, 

Le  sconquassate  navi  in  ciò  ne  danno 
Mille  scuse  di  inora  e di  ritegno. 

Con  questo  dir,  clic  fu  qual  aura  al  foco 
Ond’  era  il  cor  de  la  regina  acceso, 

L’ infiammò,  P incitò,  speme  le  diede, 

E vergogna  le  tolse.  Andaro  in  prima 
A visitare  i tempii,  a chieder  pace 
E favor  da’  celesti,  a porger  doni, 

A far  d’elette  pecorelle  offerta 
A Cerere,  ad  Apollo,  al  padre  Bactfo, 

E,  pria  che  a tutti  gli  altri,  a la  gran  Giuno, 
Cui  son  le  nozze  c i montaggi  a cura. 

La  regina  ella  stessa  ornata  e bella 
Tien  d’oro  un  nappo,  c fralecorna.il  versa 
D’una  candida  vacca;  o si  ravvolge 
Intorno  a’  pingui  altari,  ed  ogni  giorno 
Rinovù  i doni,  e de  le  aperte  vittime 
Le  palpitanti  fibre,  i vivi  pioli, 

[48-64] 


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Digiterei  tiy  Cioogle 


460 


l’  ENEIDE.  [91-114] 

E le  spirami  viscere  contempla, 

E con  lor  si  consiglia.  0 menti  sciocche 

Degl’  indovini!  E che  ponno  i delubri, 

E i voli, esterni  aiuti,  a mal  eli’ è dentro? 

Nel  cor,  ne  le  midolle  e ne  le  vene 

È la  piaga  è la  fiamma,  ond’  arde  e pére.  ' 

Arde  Dido  infelice,  e furiosa 

Per  tutta  la  città  s’aggira  e smania: 

Qual  nc’  boschi  di  Creta  incauta  cerva 

D’insidioso  arcicr  fogge  lo  strale 

Clic  1’  ha  già  colta;  e seco,  ovunque  vada. 

Lo  porta  al  fianco  infisso.  Or  a diporto 

Va  con  Enea  per  la  città,  mostrando 

Le  fabriche,  i disegni  e le  ricchezze 

Del  suo  nuovo  reame;  or  disiosa 

Di  scoprirgli  il  suo  duol  prende  consiglio  : 

Poi  non  osa,>o  s’ arresta.  E quando  il  giorno' 

Va  declinando,  a convivar  ritorna, 

E di  nuovo  a spiar  degli  accidenti  • 

E de’ fati  di  Troia’,  e nuovamente 

Pende  dal.  volto  del  facondo  amante. 

• * 

Tolti  da  mensa,  allor  clic  notte  oscura 
In  disparte  gli  traggo,  e clic  le  stelle^  ’ 

.Sonno,  dal  ciel  caggendo,  agli  occhi  infondono, 

[64-81] 


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[115-138]  libro  iv.  461 

Dolente,  in  solitudine  ridotta, 

Ritirata  dagli  altri,  è sol  con  lui  ' 

Che  le  sta  lunge,  e lui  sol  vede  e sente. 
Talvolta  Ascanio  il  pargoletto  figlio 
Per  sembianza  del  padre  in  grembo  accolto, 
Tenta,  se  così  può,  Pai-dente  amore 
0 spegnere  o scemare,  o farli  inganno. 

Le  torri,  i tempii,  ogn’  edificio  intanto 
Cessa  di  sormontar  ; cessa  da  V arme 
La  gioventù.  Le  porte,  il  porto,  il  molo 
Non  sorgon  più;  dismesse  ed  interrotte 
Pendoli  1’  opere  tutte  e la  gran  macliinn 
Che  fea  dianzi  ira  a’ mpnti. escorilo  al  cielo. 
Vide  da  Y alto  la  saturnia'  Giuno 
11  furor  di  Didone,  e tal- che-fama 
E rispetto  d’ onor  più  non  raffrena;  •, 
Onde  Venere  assalse,  e ’n  cotal  guisa 
Disdegnosa  le  disse  : Una  gran  loda 
Certo,  un  gran  merlo,  un  metnorabH  nome 
J'u  col  fanciullo  tuo,  Ciprigna,  acquisti 
D’aver  due  sì  gran  dii  vinta  una  femina.. 

10  so  ben  che  guardinga  e sospettosa 
Di  me  ti  rende  e de  la  mia  Cartago 

11  temer  di  tuo  figlio.  Ma  fia  mai  - , 

[$2-98] 


Digitìzed  by  G 


■162 


l’  e.ieide. 


[139-162] 


Clic  questa  tema  e questa  gelosia 
Si  finisca  tra  noi?  Cliè  non  più  tosto 
Con  una  eterna  pace  e con  un  saldo 
Nodo  di  maritaggio  unitamente 
Ne  ristringerne?  Ecco  hai  già  vinto;  e vedi 
Quel  che  più  desiavi.  Ama,  arde,  infuria; 
Con  ogni  allctto  è verso  Enea  tuo  figlio 
La  mia  Dido  rivolta.  Or  lui  si  prenda; 

E noi  concordemente  in  pace  abbiamo 
Ambedue  questo  popolo  in  tutela; 

Nò  li  sdegnar  clic  si  nobil  regina 
Serva  a frigio  marito,  c eli’ ci  le  genti 
N*  aggia  di  Tiro  e di  Cartago  in  dote. 

Venere,  che  ben  vide  ove  mirava 
Il  colpo  di  Giunone,  e che  l’ occulto 
Suo  bersaglio  era  sol  con  questo  avviso 
Distor  d’  Italia  il  destinato  impero 
E trasportarlo  in  Libia,  incontro  a lei 
Così  scaltra  rispose.  E chi  si  folle 
Sarebbe  mai  eh’  un  tal  fésse  rifiuto  # 

Di  quel  ch’ei  più  desia,  per  teco  averne, 
Teco  che  tanto  puoi,  gara  e tenzone, 

Quando  ciò  che  tu  di’  possibil  fosse? 

Ma  non  so  che  si  possa,  nè  che  M fato, 

[9S-1I0] 


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[163-186]  libro  iv.  163 

Nè  che  Giove  il  pennella,  che  due  genti 
Diverse,  come  son  Tiri  e Troiani,  . 

Una  sola  divenga.  Tu  consorte 
Gli  sei;  tu  ìièl  dimanda,  e tu  l’ impetra, 
Ch’io, per  me,  me  n’appago.  Ed  io,  soggiunse 
Giuno,  sopra  di  me  l’ incarco  assumo, 

Ch’  ei  nèl  consenta.  Or  odi  brevemente 
Il  modo  che  a ciò  far  già  ne  si  porge. 

Tosto  che  ’i  sol  dimane  uscirà  fuori, 

Uscir  ancor  V innamorata  Dido 

Col  troian  duce  a caccia* s’  apparecchia. 

Ove  opportunamente  a la  foresta, 

Mentre  de’  cacciatori  e de’  cavalli 
Andran  le  schiere  in  volta,  io  loro  un  nembo 
Spargerò  sopra  tempestoso  e uero, 

Con  un  turbo  di  grandine  e di  pioggia, 

E di  sì  fteri  tuoni  il  cielo  empiendo, 

Ch’  indi  percossi  i lor  seguaci  tutti,  ' 
Andran  dispersi  e d’  atra  nube  involti. 

Solo  con  sola  Dido  Enea  ridotto' 

In  un  antro  medesimo  accorrassi; 

Io  vi  sarò;  saravvi  anco  Imeneo; 

E se  del  tuo  voler  tu  m’  assecuri, 

Io  farò  sì,  eh’  ivi  ambidue  saranno 
[110-126] 


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164  l’  emf.ide.  [187-210] 

Di  nodo  indissolubile  congiunti.  - . 

Venere  in  ciò  non  disdicendo,  insieme 
Chinò  la  lesta:  e de  la  dolce  froda 
Dolcemente  sorrise.  Uscio  del  maro 
L’  aurora  intanto;  ed  ecco  fuori  armati 
Di  spiedi  e di  zagaglie  a suon  di  corni 
Venirne  i cacciatori,  altri  con  reti, 

Altri  con  cani.  Ila  questi  un  gran  molosso. 
Quelli  un  veltro  a guinzaglio,  e lunghe  file 
Van  di  scguci  incatenati  avanti.  ' 

Scorrono  intorno  i cavalier  Mossili; 

E i maggior  Peni,  e -più  chiari  penici 
Stanno  in  sella- aspettando  anzi-hl  palagio, 
Mentre  ad  uscir  fa  la  regina  indugio; 

E presto  intanto,  d’  ostro  e d*  oro  adorno 
Il  suo  'giacilo  e vagamente  fiero, 

Ringhia,  c sparge-la  terra,  e morde  il  freno. 

Esce  a la  fine  accompagnata  intorno 
Da  regio  stuolo,  e non  con  regio  arnese,  - 
Ma  leggiadro  c ristretto.  È la  sua  veste 
Di  tirio  drappo,  c d’  arabo  lavoro 
Riccamente  fregiala  ; ò la  sua  chioma 
Con  nastri  d’oro  in  treccia  al  capo  avvolta, 
Tutta  di  gemme  come  stelle  asperga  ; 
[126-188] 


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165 


V 


[211-234]  libro  iv. 

E il’  oro  son  le  fibie,  onde, sospeso 
Le  sta  il’  intorno  de  la  gonna  il  lernbd. 
Dagli  omeri  le  penile  una  faretra  j 
Dal  fianco  un  arco.  1 Frigide  ’l.bello  Iulo 

Le  cavalcano  avanti;  e via  più  bello 

« 

Ma  di  beltà  feroce  e graziosa 
Le  giva  Enea  con  la  sua  schiera  a -lato. 
Qual  se  ne  va  da  Licia  e da  le  rive 
Di  Xanto,  ove  soggiorna  il  freddo  inverno, 
A la  materna  Deio  il  biondo  Apollo, 

Allor  che  festeggiando  accolli  c misti 
Infra  gli  altari  i Driopi,  i Cretesi, 

E i dipinti  Agatirsi  in  varie  tresche 
Gli  s’aggirano  intorno;  o quando  spazia 
Per  le  piagge  di  Cinto,  a l’aura  sparsi 
I bei  crin  d’  oro,  e- de  1’  amata  fronde 
Le  t'empie  avvolto, -e  di  faretra  armato, 

Tal  fra  la  gente  si  mostrava,  e tale 
Era  ne’ gesti  e nel  sembiante  Enea, 

Sovra  d’  ogn’  altro  valoroso  e vago. 

Poscia  clic  furo  a’  monti,  e nel  più  folto 

• , . 

PenetrAr  de  le  selve,  ecco  dai  balzi 
De  1’  alle  rupi  uscir  capri  e camozze, 

E cervi  altronde,  clic  d’  armenti  in  guisa, 
[139-1543 


1G6  l’e.veide.  [235-25  8] 

Quasi  in  un  gruppo  spaventati  a torme 
Fuggono  al  piano,  e fan  nubi  di  polve. 

Di  ciò  gioioso  il  giovinetto  Iulo 
Sul  feroce  destrier  per  la  campagna 
Gridando  e traversando,  or  questo  arriva, 
Or  quel  trapassa;  e nel  suo  core  agogna 
Tra  le  timide  belve  o d’  un  cignale 
Aver  rincontro,  o che  dal  moute  scenda 
Un  velluto  leone.  In  questa  il  cielo 
Mormorando  turbossi,  e pioggia  e grandine 
Diluviando,  d’ogui  parte  in  fuga 
Ascanio,  i Teucri,  i Tiri  ai  più  propinqui 
Tetti  si  ritiraro  ; e (lumi  in  tanto 
Sceser  da’  monti,  ed  allagaro  i piani. 

Solo  con  sola  Dido  Enea  ridotto 
In  un  antro  medesimo  s’  accolse. 

Diè  di  quel,  che  segui,  la. terra  segno 
E la  pronuba  Giuno.  1 lampi,  i tuoni 
Fur  de  le  nozze  lor  le  faci  e i canti; 
Testimoni  assistenti  e consapevoli 
Sol  ne  fur  I’  aria  e l’antro;  e sopra  ’l  monte 
N’  ulularmi  le  ninfe.  IL  primo  giorno 
Fu  questo,  e quésta  fu  la  prima  origine 
Di  lutti  i mali,  e de  la  morte  alfine 
[155-109] 


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LIBRO  IV. 


[259-282]  libro  iv.  1C7 

De  la  regina;  a cui  poscia  non  calse  * 

Nè  .de  V indegnità,  nè  de  l’onore, 

Nè  de  la  secrelezza.  Ella  si  fece 
Moglie  chiamar  d’  Enea;  con  questo  nome 
Ricoverse  il  suo  fallo;  e di  ciò  tosto 
Per  le  terre  di  Libia  andò  la  fama. 

E questa  fama  un  mal,  di  cui  nuli’  altro 
É più  veloce:  e com’  più  va,  più  cresce, 

E maggior  forza  acquista.  È da  principio 
Picciola  c debbi  1 cosa,  c non  s’arrischia 
Di  palesarsi;  poi  di  mano  in  mano 
Si  discuopre  c s’  avanza,  e sopra  terra 
Sèn  va  movendo  e sormontando  a 1’  aura, 
Tanto  chc’l  capo  infra  le  nubi  asconde. 
Uicon  che  già  la  nostra  madre  antica, 

Per  la  ruina  de’  giganti  irata 
Contr’  a’ celesti,  al  mondo  la  produsse, 

I)’  Encèlado  e di  Ceo  minor  sorella; 

Mostro  orribile  e grande,  c d’ali  presta 
E veloce  de’  piè;  chè  quante  ha  piume, 
Tanti  ha  sotto  occhi  vigilanti,  e tante 
(.Meraviglia  a ridirlo)  ha  lingue  e bocche 
Per  favellare,  e per  udire  orecchi. 

Vola  di  notte  per  1’ oscure  tenebre 

[170-184]  -,  -*>■ 


m 


l’  MMEIDG. 


[283-306] 
De  la  terra  e del  ciel  senza  riposo, 

Stridendo  sempre,  c non  chiude  occhi  inai. 
Il  giorno  sopra  tetti,  e per  le  torri 
Sèn  va  de  le  città,  spiando  tutto 
Che  si  vede  e die  s’ode;  e seminando, 

Non  men  che  ’l  bene  e ’1  vero,  il  male  e ’l  falso, 
Di  rumor  empie  e di  spavento  i popoli. 
Questa. gioiosa,  bisbigliando  in  prima, 
Poscia  crescendo,  del  seguito  caso 
Molte  cose  dicea  vere  e non  vere. 

Dicea,  eli’  un,  di  troiana  stirpe  uscito, 
Venuto  era  in  Cartago,  a cui  degnata 
S’jera  la  bella  Dido  esser  congiunta, 

Chi  con  nodo  dicea  di  maritaggio, 

Chi  di  lascivo  amore;  e ch’ambedue, 

Posti  i regni  in  non  cale,  a 1’ ocio^  al  lusso, 
A la  lascivia  bruttamente  additti, 
Con$uninvan  del  verno  i giorni  tutti. 

Queste,  e cose  altre  assai,  la  soyza  Dea 
Per  le  bocche  degli  uomini  spargendo, 

Tosto  in  Gclulia  al  gran  larba  pervenne-; 

E con  parole  e con  punture  acerbe 
Sì  de  P offeso  re  1’  animo  accese, 

Ch’arse  d’ira  c di  sdegno.  Era  d’Ammone, 

' [184-198] 


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'v 


[307-330]  libro  iv.  469 

E de  la  Garnmantide  Napea, 

Già  rapita  da  lui,  questo  re  nato, 

Onde  a Giove  suo  padre  entro  a*  suoi  regni 
Cento  gran  tempii  e cento  pingui  altari 
Avea  sacrati,  e di  continui  fochi 
Mantenendo  agli  Dei  vigilie  eterne, 

Di  vittime,  di  fiori  e di  ghirlande 
Gli  tenea  sempre  riveriti  e cólti. 

Ei  si  com’  era  afflitto  e conturbato 
Da  1’  amara  novella,  anzi  agli  altari, 

E fra  gli  Dei,  le- mani  al  cielo  alzando, 
Cotali,  umile  insieme  e disdegnoso,' 

Porse  prieghi  e querele:  Onnipotente 
Padre,  a cui  tanti  opimi  e sontuosi 
Conviti,  e di  Lenèo  sì  larghi  onbri 
Offrisee  oggi  de’  Mauri  il  gran  paese, 

Vedi  tu  queste  còse?  o pure  invano 
Tonando  e folgorando  ci  spaventi? 

Una  feraina  errante,  una  che  dianzi 
Ebbe  a prezzo  da  me  nel  mio  paese, 

Per  fondarla  sua  terra,  un  picciol  sito; 
Una  eh*  arena  ha  per  arare,  ha  vitto, 

Luco  e leggi  da  me,  me  per#marito 
Rifiuta  ; e di  sè  donno  e del  suo  regno 

[198-224] 


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470  t»*  ekeide.  [331-364] 

Ha  fallo  Enea.  Questo  or  novello  Pari 
Con  quei  suoi  delicati  e molli  eunuchi, 
Mitrato  il  mento  e profumato  il  crine, 

Va  del  mio  scorno  c del  suo  furto  altero: 
Ed  io  qui  me  ne  sto  vittime  e doni 
A te  porgendo, e son  tuo  figlio  indarno. 

Così  larba  dicca  ; nè  da  V altare  # 

S’  era  ancor  tolto,  quando  il  Padre  udillo; 

E gli  occhi  in  vèr  Cartagine  torcendo 
Vide  gli  amanti  eli’ a gioire  intesi 
Àveati  posti  in  oblio  la  fatua  e i regni. 
Onde  vólto  a Mercurio;  Và’,  figliuolo, 

Gli  disse-,  chiama  i venti,  e ratto  scendi 
Là  ’ve  sì  neghittoso  il  troian  duce 
Bada  in  Cartago,  e ’1  destinato  impero 
Non  gradisce  e non  cura;  e ciò  gli  annunzia 
Da  parte  mia:  che  Venere  sua  madre 
Non  per  tal  lo  mi  diede,  e di’ a tal  fine 
Non  è stato  da  lei  da  V armi  greche. 

Già  due  v.olte  scampato.  Ella  promise 
Ch’ei  sarebbe  atto  a sostener  gP*  imperi 
E le  guerre  dMtalia,  e trar  qua  suso 
Lo  progenie  df  Teucro,  a porre  infreno, 

A dar  le  leggi  al  mondo.  A ciò  se  ’l  pregio 
[224.232] 


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[355-378]  unno  iv.  171 

Di  sì  gran  cose  e de  la  gloria  stessa 
Non  muove  lui,  perchè  non  guarda  al  figlio? 
Perchè  di  tanta  sua  grandezza  il  froda. 

Di  quanta  finn  Lavinio  ed  Alba  e Roma 
Ne’  secoli  a venire?  E eoq  che  speme, 

Con  che  diseguo  in  Libia  fa  dimora? 

E co’  nemici  suoi?  Navighi  in  somma. 
Questo  dilli  in  mio  nome.  Udito  ch’ebbe 
Mercurio,  ad  esseguir  tosto  s’ accinse 
I precetti  del  padre;  e prima  a’  piedi 
I talari  adaltossi.  Ali  son  queste 
Con  penne  d’oro,  ond’  eiT  aria  trattando, 
Sostenuto  da’  venti,  ovunque  il  corso 
Volga,  o sopra  lo  terra,  o sopra  al  mare, 

Va  per  lo  ciel  rapidamente  a volo. 

Indi  prende  la  vergò,  ond’  hò  possanza 
Fin  ne  l’ inferno,  onde  richiama  in  vita 
L’  anime  spente,  onde  le  vive  adduce 
Ne  l’ imo  abisso,  e dò  sonno  e vigilia 
E vita  e morte;  aduna  e sparge  i venti, 

E trapassa  le  nubi.  Era  volando 
Giunto  là  ’ve  d’ Atlante  il  capo  e ’l  Ranco 
Scorgea,  de  fé  cui  spalle  il  cielo  è soma; 

D’  Atlante,  la  cui  testa  irta  di  pipi,  „ 
[232-248] 

• » « 


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472  l’ejieide»  [379-402] 

Di  nubi  involta,  a piogge,  a venti,  a nembi 
È sempre  espósta;  il  cui  mento,  il  cui  dorso, 
E per  nicvi  e per  giel  canuto  c gobbo, 

È da  fiumi  rigato.  In  questo  monte, 

Clic  Ai  padre  di  Maia,  avo  di  lui, 
Primamente  fermossi.  Indi  calando  * * 

Si  gittò  sovra  l’onde,  e lungo  al  Irto 
Di  Libia  se  n’andò)  V aure  secando 
In  quella  guisa  che  marino  augello 
D’  un’  alta  ripaga  nuova  pesca  inteso, 

Terra  terra  sòn.va  tra.  ri  ve  e scogli 
Umilmente  volando.  A pena  giùnto 
Era  in  Cautago,  che  dlavanti  Etiea 
Si  vide,  intento  a dar  siti  e disegni 
Ai  superbi  edilieii.  Àvea  dapmanco 
Lato  una-'Storla,  di  diaspro  e d’ oro- 
Guarnita,  e di  stellate  gemme  adorna.  -, 
Dal  tergo  gli  pendea  di  Uria,  ardente 
Purpura  un-Ticco  manto,  arnesi  e dont  • 

De  la  sua  Diéo  ; ch’ella  stessa  intesta 
Avea  la  tela,  e ricamali  i fregi. 

Nè  ’l  vide  pria,  che  li  fu  sopra^  e disse  : 

Tu  te  ne  stai  si  neghittosamente, 

Enea,  servjo  d’amor,  ligio  di  donna, 
[248-266] 


LIBRO  IV. 


[403.-4!*] 


'473 


A fondar  T altrui  regno,  e M tuo  non  Curi? 

A te  mi  manda  il  regna tor  celeste, 

Cli’  io  ti  dica  in  sua  vece:  Che  pensiero, 

Che  studio  è il  tuo  ? Con  che  speranza  indugi 
In  queste  parti  ? Se  ’1  tuo  proprio  onore, 

Se  la  propria  grandezza  non  ti  spinge; 

Che  non  miri  a'  tuoi  posteri,  al. destino, 

A la  speranza  del  tuo  figlio  lulo, 

A cui  si  deve  il  glorioso  i ih  pero 

De  T Italia  e di  Roma? -E  più  non  disse, 

Nè  più  risposta  attese  ; anzi  dicendo, 

Uscio  d’  umana  forma,  e dilcguossi. 

Stupì,  si  raggricciò,  tremante  c fioco 
Divenne  il  tfoiqn  duce,  il  gran  precetto 
E chi  ’1  portava  e chi  ’l  mandava  udendo. 
Già  pensa  di  ritrarsi;  ma  che  modo 
Terrà  con  Dido  ad  impetrar  coiniato? 

Con  quai  parole- assalirà;  con  quali 
Disporrà  mai  la  furiosa  amante? 

Pensa;  volge,  rivolge;  in  un  momento, 

Or  questo,  or  quel  partito,  or  tutti  insieme 
Va  discorrendo;  ed  ora  ad  un  s’appiglia, 

Ed  ora  a 1’  altro.  Si  risolve  alfine: 

E fatto  a sò  venir  Memriio,  Sergeslo,  * 

Caro.—  12.  [26G-28b] 


% 


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i 74 


l’  ENEIDE.  [427-450] 

E P ardito  Cloauto  : Andate,  disse, 

Raunate  i compagni;  itene  al  porto: 

E con  bel  modo  chetamente  P arme 
Apprestale  e Pannata,  e non  mostrate 
Segno  di  novità  nè  di  partenza. 

Intanto  io  troverò  lobo  opportuno,  • * 

E tempo  accommodato,  e destro  modo 
D’  ottener  da  quest’  ottima  regina, 

Che  da  lei  con  dolcezza  mi  diparta, 

Nulla  sapendo  ancor  di  mia  partita, 

Nè  sperando  lai  fine  a tanto  amore/ 

A P ordine  d’  Enea  lieti  i compagni 
Obbedir  tutti  ; e prestamente  in  punto 
Fu  ciò  che  impose.  Ma  Didon  dèi  tratto 
Tosto  s’  avvide  ; e che  non  vede  amore.? 

Ella  pria  se  n’  accorse  ; eh’  ogni  cosa 
Temea,  benché  secura.  E già  la  stessa 
Fama  importunamente  le  rapporta 
Armarsi  i legni,  esser  i Teucri  accinti 
A navigare.  Onde  d’amore  e d’ira 
Accesa,  infuriata,  e fuori  uscita- 
j t)i  sè  medesma  imperversando  scorre 
Per  tutta  la  città.  Quale  ai  notturni 
Gridi  di  Citcron  Tìade,  allora 
[288-302] 


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[451-474]  libro  iv.  175 

Che  ’l  ti  icnnal  di  Bacco  si  rinova, 

Nel  suo  moto  -maggior  si  scaglia  e freme, 

E scapigliata  e fiera  attraversando, 

JE  mugolando  ai  monte  si  conduce  ; 

Tal  era  Dido,  e da  tal ‘furia  spinta 

Enea  da  sè  con  tai  parple  assalgo: 

• 

Ah  perfido!  celar  dunque  sperasti 
Una  tal  tradigioue,  e di  nascosto 
' Partir  de  la  mia  terra?  E del  mio  amore, 
De  la  tua  data  fè,  di  quella  morte  * 

Che  ne  farà  la  sfortunata  Dido, 

Punto  non  ti  sovviene  e non  ti  cale? 

Forse  che  non  t’sfrrischi  in  mezzo  ai  verno 
Tra’  più  fieri  Aquiloni  a Fonde  esporti, 
Crudele?  Or  che  faresti,  se  straniere 
Non  ti  fosser  le  terre,  ignoti  i lochi 
Che  tu  procuri  ? E che  faresti,  quando 
Fusseancer  Troiaio  piede?  A Troia  andresti 
Di  questi  tempi?. E me  lasci,  e me  fuggi  ? 
Deh!  per  queste  foie  lagrime,  per  quello 
Che- tu  de  !u  tua  fé  pegno  mi  desti, 

(Poi  che  a Dido  infelice  altro  non  resta 

* 

Che  a sè  tolto  non  oggia)  per  lo  nostro 
Maritai  nodo,  per  l’ imprése  nozze, 
[302-316] 


» 


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476  l’  eneide.  [i7«-498] 

Per  quanti  Xi  fermai,  se  mai  ti  fei 
Commodo  o grazia  alcuna;  o s'  alcun  dolce 
Avesti, unqua  da  me,  ti  priego  ch’abbi 
Pietà  del  dolor  mio,  «le  la  mina  - . 

Che  di  ciò  m’ avverrebbe;  e (se  più  luogo 
llan  le  preci  cón  te)  .clic  tu  «lei  tutto 
Lasci  questo  pensiero.  Io  per  te  sono 
In  od  io,  a Libia  tutta,  a’  suoi  tiranni, 

A’ miei  Tirii,  a me  stessa.  Ho  giù  macchiata 
La  pudicizia;  e*(quel. che  più  mi  duole) 

Ilo  perduta  la  fama,  ond’  io^pur  dianzi 
Sorvolava  le  stelle.  Or  come  in  preda  . 

Solo  a morte  mi  las.ci,  ospite  mio? 

Ch’  ospite  sol  mi  resta  di  chiamarti, 

Di  marito  che  m’  eri.  E perche  «leggio, 
Lassa,  viver  io  più?  Per  veder  forse 
Che  ’l  mio  fratei  Pigrnallon  distrugga 
Queste  mie  mura,  o ’l  tuo  rivale  larba 
In  servitù  in’ adduca?  Almeno  avanti  . 

La  tùa  partita  avess’ io  fatto  acquisto 
D’  un  pargoletto  Enea,  che  per  le  sale 
Mi  scherzasse  d'  intorno,  e solo  il  volto,  . * 
E non  altro,  di  te  sembianza  avesse; 

Ch’ esser  non  mi  parrebbe  abbandonata, 
(317-330J 


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477 


[499-522]  libro  iv.  477 

Nò  delusa  del  lutto.  A lai  parole 
Enea  di  Giove  al  gran  precetto  affisso 
Tenea  il  pensiero  e gli  occhi  immoti  e saldi, 
E brevemente  le  rispose  alfine.  • 

Regina,  e’  non  Pia  mai  eh’  io  non  mi  tenga 
Doverti  quanto  forse  unqua  potessi 
Rimproverarmi.  E non  fia  mai  che  Elisa 
Non  mi  ricordi  infin  che  ricordanza^ 

Avrò  di  rao-medesmo,  e che  ’l  miq  spirto 
Reggerà  queste  membra.  Ora  in  discarco 
Di  me  dirò  sol  questo,  die  speralo 
Nè  pensato  ho  pur  mai  d’ allontanarmi 
Da  te,  come  tu  di’, furtivamente; 

Nè  d’ esserti  marito  anco  pretendo  : 

Ch’  unqua  di  maritaggio,  o di  soggiorno 
Teco  non  .patteggiai.  Se  ’l  mio  destino 
Fosse  che*  la  mia  vita,  e i miei  pensieri 
A mia  voglia  reggessi,  a Troia  in  prima  * 
Farci  ritorno  : raccorrei  le  dolci. 

Sue  disperse  reliquie;  a la  mia  patria 
Di  nuovo  renderei  la  vita  e i figli, 

E la  regia  e le  torri  e me  con  loro.  . 

Ma  ne  l’Italia  il  mio  fato  mi  thiama. 

Italia  Apollo  in  Deio,. in  Licia,  ovunque 
[330-346] 


178  l’  eneide.  [523-546] 

Vado  o mando  a spiarne  mi  promette. 
Quest’  è 1*  amor,  quest’  è la  patria  mia. 

Se  tu,  che  di  Fenicia  sei  venuta, 

Siedi  in  Cartago,  e ti  diletti  e godi 
Del  tuo  Ubico  regno,  qual  divieto, 

Qual -invidia  6 la  tua,  eh’  i mici  Troiani 
Prendano  Ausonia?  Non  lece  anco  a noi 
Cercar  de’ regni  esterni? E non  cuoprc  ombra 
La  terra  mai,  non  mai  sorgo»  le  stelle, 

Che  del  mio  padre  una  turbata  imago 
Non  veggia  in  sogno,  e che  di  ciò  ricordo 
Non  mi  porga  e spavento.  A tutte  1’  ore 
Del  mio  lìgi  io  sovvienimi,  e de  l’ ingiuria 
Che  riceve  da  me  sì  caro  pegno, 

Se  del  regno  d’ Italia  io  lo  defraudo, 

Che  li  son  padre,  quando  il  fato  e Giove 
Nel  privilegia.  E pur  dianzi  mi  venne 
Dal  ciel  mandato  il  messaggier  celeste 
A portarmi  di  ciò  nuova  imbasciata 
Dal  gran  re  degli  Dei.  Donna,  io  ti  giuro 
Per  la  lor  deità,  per  la  salute 
D’ ambedue  noi,  che  con  quest’ occhi  ’i  vidi 
Qui  dentro  in  chiaro  lume;  c la  sua  voce 
Con  quest’ orecchi  udii.  Rimanti  adunque 
[4546-360] 


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[547-570]  libro  iv.  479 

Di  più  dolerti;  c con  le  tue  querele 

Nè  te  ùè  me  più  conturbare.  Italia 

Non  a mia  voglia  io  seguo.  E più  non  disse. 

Ella,  mentre  dicca,  crucciata  e torva 
Lo  rimirava,  e volgea  gli  occhi  intorno 
Senza  far  motto.  Aititi,  da  sdegno  vinta 
Così  proruppe:  Tu,  perfido,  tu- 
Sei  di  Venere  nato?  Tu  del  sangue 
Di  Dardano?  Non  già;  chè  l’ aspre  rupi 
Ti  produsse!'  di  Caucaso,  e Piccane 
Tigri  li  fui*  nutrici.  A che  tacere? 

Il  simular  che  giova?  E che  di  meglio 
Ne  ritrarrei?  Forse  eh’ a’ miei  lamenti  •> 

Ha  mai  questo  crudel  tratto  un  sospiro, 

0 gittata  una  lagrima,  o pur  mostro 

• 0 

Atto  o segno  d’  amore,  o di  pietade? 

Di  che  prima  mi  dolgo?  di  che  poi? 

Ah  ! clic  nè  Giutio  ornai,  nè  Giove  stesso 
Cura  dipnoi  ; uè  con  giust’  occhi  mira 
Più  Copre  nostre.  Ov’  è qua  giù  più  fede? 

E chi  più  la  mantiene?  Era  costui 
. Dianzi  nel  lito  mio  naufrago  errante, 
Mendico.  Io  1’  ho  raccolto,  io  gli  liq  ridotti 

1 suoi  compagni  e i suoi  navili  insieme, . 

[360-375] 


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1 


480  l’  eneide.  [574-594] 

Cir cran  morti  c dispersi;  ed  io  Mio  messo 
(Folle!)  a parte  con  me  del  regno  mio,  . 

£ di  me  stessa.  Ahi  da  furor,  da  foco 
Rapir  mi  sento!  Ora  il  profeta  Apollo, 

Or  le  sorti  di  Licia,  ora  un  araldo, 

Che  dal  ciel  gli  si  manda,  a gran  facende 
Quinci  Io  chiama.Un  gran  pensiero  han  certo 
Di  ciò  gli  Deh;  d’  un  gran  travaglio  è questo 
A lor  quiete.  Or  va’,  che  per  innanzi 
Più  non  ti  tcgno,  c più  non  ti  contrasto. 

Va’  pur,  segui  l’ Italia,  acquista  i regni 
Che  ti  dan  l’ onde  c i venti.  Ma  se  i numi 
Son  pietosi,  e^e  ponno,  io  spero  ancora 
Che  da’.vejili  e da  1’  onde  e dagli  scogli 
N’ avrai  degno  castigo;  e che  piu  volto 
Chiamerai  Dido,  che  lontana  aucora 
Co’  neri  fuochi  suoi  ti  Ca  presente:  , 

E tosto  che  di  morte  il  freddo  gie!of  .. 
L’anima  dal  mio  corpo  avrà  disgiunta, 

Passo  non  moverai,  che  l’ombra  mia 
Non  ti  sia  intorno.  Avrai,  crudele,  avrai 
Ricompensa  a’ tuoi  merti,  c ne  l’inferno 
Tosto  me  ne  verrà  lieta  novella. 

Qui  ’l  suo  dire  interruppe;  e lui  per  tema 
[375-388] 


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Uf. 


[595-618]  libro  i^.  4gj 

' - t 

Confuso  e mollo  a replicarle  inteso 
Lasciando,  con  disdegno  e con  angoscia 
Gli  si.  tolse  d’ avanti.  Incontinente 
Le  fur  T ancelle  intorno;  e sì  con?  era 
Egra  e dolente,  entro  al  suo  ricco  albergo 
Le  dier  sovra  le  piume  agio  e riposo. 

Enea  quantunque  pio,  quantunque  affliti» 
E d’  amore  infiammato  e di  desire 
Di  consolar  la  dolorosa  amante. 

Nel  suo  core  ostinossi.  E fermo  e saldo 
D’obbedire  agli  Dei  fatto  pensiero, 

Calossi  al  mare  e i suoi  legni  rivide. 

Allor  furo  in  un  tempo  unti  e rispinli 
E posti  in  acqua;  e,  per  la.  fretta,  fremi 
Diventarono  i rami  che  dal. bosco 
Si  portavano  pllor  frondosi  e rozzi. 

Era  a veder  da^la  cillade  al  porto 
De  Teucri,  de  le  ciurme,  e do  le  robbe 
Ch’ai  mar  si  conducean,  pieno  il  sentiero; 
Qual  è,  quando  le  provide  formiche  - 
De  le  lor  vernaricce  vettovaglie 
Pensose  e procaccievoli,  si  danno—-' 

A depredar  dj  biade  un  grande  acervo, 

Che  va  dal  monte  ai  ripostigli  loro 
[589*404] 


i t42  l’ eseide.  [619-642] 

La  negra  torma,  e per  angusta  e lunga 
Sèmita  le  campagne  attraversando, 

Altre  al  carreggio  intese  o lo  s’odossano, 

0 traendo,  o spingendo  lo  conducono; 

Altre  tengon  le  schiere  unite,  ed  altre 
Castigan  P infingarde;  e tutte  insieme 
Fan  cheAutta  la  via  brulica  e ferve. 

Che  cor,  misera  Dido,  che  lamenti 
Erano  allora  i tuoi*  quando  da  l’alto 
Un  tal  moto  scorgevi,  e tanti  gridi 
Ne  sentivi  dal  more?  Iniquo  amore, 

Che  non  puoi  tu  ne’  petti  de’  mortali? 

■« 

Ella  di  nuovo  al  pianto,  a le  preghiere 
A sottoporsi  a V amoroso  giogo 
Da  la  tua  forza  è suo  mal  grado  astretta. 
Ma  per  fare  ogni  schermo,  anzi  che  muoia, 
La  sorella  chiamando:  Anna,  le  disse,  • 

Tu  vedi  che  s’affrettano  e sèi»  vanno. 

Vedi  già  loro  in  su  la  spiaggia  aecol.ti, 

Le  vele  in  alto,  e le  corone  in  poppa. 

Sorella  mia,  s’avessi  un  tal  dolore- 

# ' * 

Antiveder  potuto,  io  potrei  forse 
Anco  soffrirlo.  Or  questo  solo  affanno* 
Prendi  per  la  tua  misera  si rocchia, 
[iOi-421] 


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LIBRO  IV. 


483 


[643-6G6] 

Poiché  te  sola  quei  crudele  ascolta, 

E sol  di  te  si  fida,  e i lochi- e i tempi 
Sai  d’  esser  seco,  e di  trattar  con  lui  j 
Truova  questo  superbo  mio  nimico, 

E supplichevolmente  gli  favella. 

Dilli  che  Dido  io  sono,  c ohe  non  fui 
In  Aulide  co'  Greci  a far  congiura 
Contra  a’Troiani,  e che  di  Troia  a’  danni 
Nè  i miei  legni  mandai,  nè  le  mie  genti.  * 
Dilli  che  nè  le  ceneri,  nè  1’  ombre 
Nè  del  suo  padre  mai,  nè  d’altri  suoi 
Non  violai.  Qual  dunque  o mio  demerlo 
0 sua  durezza  fa  ch’ei  non  ascolti 
Il  mio  dire,  e me  fugga,  e sè.preeipiti  ? 
Chiedili  per  mercè  de  I’  amor  mio. 

Per  salvezza  di  lui,  per  la  mia  vita, 

Ch*  indugi  il  suo  partir  tanto  che  ’l  mare 
Sia  più  sicuro',  e più  propizi!  i venti. 

Nè  più  del  maritaggio  io  lo  richieggio, 
C’ha  già  tradito,  nè  vo’più  che  manchi 
Del  suo  bel  Lazio,  o i suoi  regni  non  curi. 
Un  |)icciol  tempo;  e d’ogni  obligo  sciolto 
Io  li  dimando,  e tanto  o di  quiete, 

0 d’ intervallo  al  mio  cieco  furore, 
[421-433] 


484  l’  eneide.  [667-690] 

Cli’  in  parte  H duoì  disacerbando,  impari 
A men  dolermi..  Questo  è’I  dono  estremo 
Che  da  lui  per  tuo  mezzo  agogna  e brama 
Questa  tua  miserabile  sorella; 

l 

E se  tu  lo  m’ impetri,  altro  che  morte 
Forza  non  avrà  mai  eli’  io  me  n’  oblìi.. 

Queste  e tuli  altre  cose  ella  piangendo 
Dicea  con  Anna',  ed  Anna  al  frigio  duce 
Disse,  ridisse,  e riportò  più  volle 
Or  da  l~una,  or  da  l’ altro,  e tutte  in  vano; 
Chè  n^  pfanti  nè  preci  nè  querele 
Punto  io  muovon  più.  Gli  ostano. i futi, 

E solo  in  ciò  gli  ha  Dio  chiuse  V orecchie; 
Benché  dolce  .e  trattabile  e benigno 
Fusse  nel  resto.  Come  annosa  e valida 

f 

Quercia,  che  sia  ne  l’ Alpi  esposta  a Borea, 
S’or  da  I*  uno,  or  da  1’  altro  de’ suoi  turbini 
È combattuta,  si  scontorce  e tituba, 
Stridono  i rami  e ’l  suol  di  frond|  spargesi, 
E ’l  tronco  al  monte^ infisso  immoto  c solido 
Se  ne  sta  sempre;  e quanto  sorge  a l’aura 
Con  la  sua  cima,  tanto  in  giù  stendendosi 
Se  ne  va  con  le  barbe  infìnó  agl’  infer)  : 
Così  da  preci,  e da  querele  assidue 
[•434-447] 


r 


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LIBRO  IV. 


[694-714]  libro  iv*  48ó 

Battuto  duolsi  il  gran  Troiano  ed  angesi, 

G con  la  mente  in  6è  raccolta  e rigida 
Citta  indarno  per  lei  sospiri  ò lagrime. 

La  sfortunata  Dido,  poi  «he  tronca 
Si  .vide  ogni  speranza,  spaventata 
Dal  suo  fato,  e di  sè  schiva  e del  solò, 

Disiò  di  morire;  c gran  portenti 
Di  ciò  presagio  e frotta  anco  le  fero.- 
Ella,  mentre  ugli  altari  incensi  e doni 
Offria  devota,  (orribil  cosa  a dire!) 

Vide  avanti  di  sè  con  gli  occhi  suoi 
Farsi  lurido  e negro  ogni  liquore, 

E ’l  puro  vln  cangiarsi  in  tetro  sangue:  - 

E ’l  vide,  e ’l  tacque,  e ’nlino  a la  sorella 
Lo  tenne  ascoso.  Entro  al  suo  regio  albergo 
Avea  di  marino  un  bel  delubro. eretto, 

E dedicato  al  suo  marito  antico. 

Questo  coh  motto  studio,  e moli’ onore 
Fu  mai  sempre  da  lei  di  bianchi  velli, 

E di  festiva  fronde  ornato  e cinto. 

Quinci  notturne  voci  udir  le  parve 
Del  suo  caro  Siclièo  che  la  chiamasse; 

E del  suo  tetto  un  solitario  gufa  * 

Molte  fiate  con  lugubri  accenti 

[447-463] 


I . 


486  • l’eheioe.  [715-TS8] 

Fc  ili. pianto  una  lunga  querimonia. 

Oltre  a ciò,  da  Cantiche  profezie, 

Da  pronostichi  orrendi  e spaventosi  * 

De  la  vicina  morte  era  ammonita. 

, « 

Vedeasi  Enea  tutte  le  notti  avanti 
Con  fera  imago,  che  turbata  e mesta 
La  tenea  sempre.  Le  parca  da  tutti 
Restare  abbandonata,  e per  un  lungo  - 
E deserto  camino  andar  solinga 
De’  suoi  Tirii  cercando.  In  cotal  guisa 
Le  schiere  de  1*  Eumenidi  vedea 
Pèntèo  forsennato,  e doppio  il  sole 
E doppia  Tebe.  In  cotal  guisa  Oreste  * 

Per  le  scene  imperversa,  e furioso 
Vcde^  fuggendo,  la  sua  madre  armata 
Di  serpenti  e di  faci,e’n  su  le  porte 
Le  Furie  illirici.  Or  poi  che  la  meschina 
Fu  da  tanto  furor,  da  tanto  affannò 
Appresa  e vinta,  e di  morir  disppsta, 

Divisò  fra  sè  stessa  il  tempo  e *1  modo: 

Ed  Anna,  sì  eom’  era  afflitta  e mesta, 

A sè  chiamando,  il  suo  fiero  consiglio 
Celò  nel  core,  e nel  sereno  volto 
Spiegò  gioia  e speranza:  Ànua,  dicendo, 
[468-477] 


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[739-762]  ljdro  iv.  187 

Rallegrati  .con  ine,  cli’alfin  trovalo 
Ho  coni’  io  debba  o raequislar  quell’  empio, 
0 ritormUda  lui.  Nel  lito  estremo 
De  1’  Occón,  là  dove  il  sol  si  corca,  / 

De  r Etiopia  a 1’  ultimo  confino,  * 

E presso  a dove  Atlante  11  eiel  sostiene, 
Giace  un  paese,  ond’  ora  è qui  venula 
lina  sacerdotessa  incantatrice, 

Clic,  Mussila  di  gente,  è stata  poi 
Del  tempio  de  I’  Esperidi  ministra, 

E del  drago  nudrice,  e de  le  piante 
Del  pomo  d’oro  guardiana  un  tempo. 

Questa,  d’  umido  mèle  e d’  obliosi 
Papaveri  composto  un  suo  miscuglio,' 
Promette  con  parole  e con  malie 
Altri  scior  da  l'amore,  altri  legare, 

Com’  a lei  piace,  distornare  i fiumi, 

Ritrai*  le  stelle,  c convocar  per  forza 
Le  notturne  fantasme.  Udrai  la  terra 
Mugghiar  sotto  a’  tuoi  piè.  Vedrai  da’ monti 
Calar  gli  orni  e le  querce.  Io  per  gli  Dei, 
Per  te,  per  la  tua  vita  a me  sì  cara, 

Ti  giuro,  suora  mia,  che,  mal  mio  grado, 
M’adduco  a questi  magici  incantesimi; 

[478-493] 


- • II  Hi  HI  I I 

488  . l*  £NEiDfe.  '[76.3-.786] 

Ma  gran  fória  mi  spinge..  Or  va*  .sorella; 
Scegli  per  entro  a le  jpie  stanze  «in-  luogo 

il  più  remolo  e solo,  a 1’ aura.csposto. 

Ivi  ergi  una  gran  pira,  e vi  oonduci 
L’armi  che  a la  mia  camera  sospese 
Lasciò  quel  disleale,  e quelle  spoglie 
Tulle  c quel  letto,  ov’  io,  lassa!  perii; 

In  somma  ogni  suo  arnese;  chè  la  maga 
Così  m’ impone,  e vuol  ch’ogni  memoria, 

Ogni  segno  di  lui  si  spenga  c péra. 

.Così  detto,  si  tacque,  e di  pallore 
Tutta  si  tinse.  Non  però  s’avvide 
Anna,  die  sotto  a|  nuovi  sacrifici 
Si  celasse  di  lei  morte  sì  fera; 

Chè  sì  fero  concetto  non  le  venne, 

E non  temq  che  peggio  t’avvenisse 
Ch’in  morte  di  Siehèo.  Tosto  fe  dunque 
Quel  eh’  imposto  le  fu.  Fatta  la  pira, 

E d’ilici  e di  lede  aride  e scisse 
Altamente  composta,  la  regina 
D’atre  ghirlanda  e di  funeste  frondi 
Ornar  la  fece  intorno;  indi  le  spoglie  , 

E la  spada  e I’  effigie  de  l’amante 
Sopra  a giacer  vi  pose,  ben  secura 
[494-508] 


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[787-810]  LiBno  iv.  48t> 

Di  ciò  che  n’  avverrèbbe.  Eran  d’ intorno 
Gli  altari  eretti:  era  tra  lor  la  maga 
Scapigliata  e discinta ; e con  un  tuono 
Di  voce  formidabile  invocava 
Trecento  deità,  1'  Èrebo,  il  Cao, 

Ecate  con  tre  forme,  e con  tre  facce 
La  vergine  Diana.  Avea  già  sparse 
Le  finte  aoque  d’Avefuo,  e i suffumigi 
Fattizia  le  nocive  erbe  novelle 
Clic  per  punti  di  luna  e con  la  falce 
D’ incantalo  metallo  eran  segate.  - 
Si  fe  venir  la  maliosa  carne 
Che  de  la  fronte  al  tenero  poliedro 
Con  l’  amor  de  la  madre  si  divelle. 

Essa  stessa  regina  il  farro  e ’l  sale 
Con  le  man  pie  sovr’agli  altari  impone, 

E d’  un  piè  scalza  e di  luti’  altro  sciolta, 
Solo  accinta  a morir,  per. testimoni 
Chiama  li  Dek  Protestasi  a le  stelle 
Del  suo  fato  consorti.:  e &’  alcun  nume  . » 
Mira  agli  afflitti  e sfortunati  amanti,  • 
Questo  prega  e scongiura  che  ragione 
E ricordo  ne  tenga,  e ne  li  .caglia. 

Era  la  notte;  e già  di  mezzo  il  corso 

Cinto. — 13.  [508-522] 


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490  C ENEIDE.  [SH-S34] 

Cadeau  le  stelle;  onde  la  terra  e ’l  mare,  * 

/ . * 

Le  selvej  i monti  e le  campagne  tutte,' 

'E  tutti  gli  animali,  i bruti,  i pesci,* 

E i volanti  c i serpenti,  c ciò  che  vive 
Avea  da  ciò  clic  la  lor  vita  affanna 
Tregua,  silenzio,  oblio,  sonno  e riposo. 

Ma  non  Dido  infelice,  a cui  la  notte 
ISù: gli  ocelli  grava,  nè’l  pensiero,  alleggia  ; 
Anzi  maggior  col  tramontar  del  sole 
In  lei  risorge  l’ amorosa  cura  : 

E non  men  che  d’amor  d*  ira»avampando, 
Così  fra  sè  farnetica  c favella: 

E che  farò  cosi  delusa  poi? 

Chi  più  mi  seguirà  de’ primi  amanti? 
Proferirommi  per  consorte  io  stessa 
IV  un  Zingaro,  d’un  Mo^p,  o d’un  Arabo, 
Quando  n’  ho  vilipesi  e rifiutati 
Tanti  e tai,  tante  volle?  Andrò  co’  Teucri 
In  su  1’  armata?  mi  farò  soggetta, 

Di  regina  eh’  io  sono,  e serva  a loro? 

Sì  certo,  jclie  gran  prò  fin  qui  riporto 
. De  le  mie  lor  usate  cortesie; 

E grado  me  n’  avranno,  e grazia  poi. 

Ma  ciò,  dato  eh’  io  voglia,  chi  permette 
[522-540] 


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v.*» 


[835-858]  libro  iv.  491 

Cirfo  lressegòisca?  Chi  così  schernita 
Voi  enti  or  mi  raccoglie?  Alti  sfortunata 
Bidò!  eh’ ancor  non  vedi  a.  che  sei  giunta, 

E le. frode  non  sai  di  questa  iniqua  » 

Schiatta  di'Laoinedonte.  E poi  che  ila 
Per  questo?  Deggio,  sola,  in  compagnia 
Ui  marinari  andar  femina  errante?  * 

0 condor  meco  i miei  Fenici  tutti 

Con  altra  armata?  e trarli  un’  altra  volta 

• * . . 

D' un’  altra  patria  in  mare  in  preda  ai  venti 
Senz’  alcun. prò,  senza  cagione  alcuna; 
'Quando  anco  a pena  di  Sidón  gli  trassi 
Per  ritòrti  da  man  d’empio  tiranno? 

Ali!  muor  più  tosto,  come  degnamente 
Hai  meritato;  e pon  col  (erro  fine 
Al  tuo  grave  dolore.  Ah,  mia  sorella!  - • 

Tu  sei  prima  cagioiudi  tanto  male: 

Tu, 'vinta  dal  inio  pianto,  in  quest’angoscia 
M*  hai  posta,  e data  ad  un  nemico  in.  preda: 
Chè  devea  vita  solitaria  e fera 
. Menai-  più  tosto,,  che  commetter  fallo 
Sì  dannoso  e sì  grave,  e romper  fede 
Al  cenei* di  Sjchèo.  Questi  lamenti 
Usciali  del  petto  a 1’ affannata  Dido,. 

. * [540-553] 


% » 


. ..  ...  v ^ 


492  l*  ESEiDE.  [859-882] 

Quando  già  di  partir,  fermo  e parato 
Enea,  per  riposar  pria  che  sciogliesse, 

S’ era  a dormir  sopra  la  poppa  agiato. 

Eil  ecco  nn’  altra  volta,  in  sonno,  avanti 
Del  medesmo  celeste  messaggero 
Gli  appar  P imago,  con  quel  volto  stesso, 
Con  quel  color,  con  quella  chioma  d’ oro 
Con  che  lo  vide  pria  giovine  e bello; 

E da  la  stessa  voce  udir  gli  parve: 

Tu  corri,  Enea,  sj  gran  fortuna,  e dormi? 
Non  senti  qual  ti  spira  aura  .seconda  ? 

Dido  cose  nefande  ordiseé  et!  osa, 

Certa  già  di  morire,  e d’ ira  accesa 
A dire  imprese  è vòlta;  e tu  non  fuggi 
Mentre  fuggir  ti  lece?  A mano  a mano 
Di  legni  travagliar  vedrassi  il  mare,  . 

Di  fochi  il  Iito,  e di  furor  le  genti 
Incontra  a te,  se  tu  qui  ’l  giorno  aspetti. 

Via  di  qua  tosto:  da'  le  vele  a' venti. 

Femina  è cosa  mobil  per  natura,, 

E per  disdegno  impetuosa  e fera. 

E qui  tacendo  entrò  nel  buio,  e sparve. 

Eneo,  preso  da  subito  spavento, 

Dcstossi,  c fe  destar  la  gente  tutta  ; 
[554-572] 


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V- 


[883-906]  libro  ìv.  193 

Via,  compagni,  dicendo,  ai  banchi,  ai  remi  ; 
Ch’or  d'altro  uopo  ne  fa  che  di  riposo. 
Fate  vela,  sciogliete,  chè  di  nuovo 
Precetto  ne  srfa  dal  cielo,  e fretta. 

Ecco,  qual  tu  ti  sia,  messo  celeste, 

Che  ’l  tuo  detto  seguiamo  ; e tu  benigno 
N'  aita,  e ’l  cielo  e ’l  mar  ne  rendi  amico. 
Ciò  detto,  il  ferro  strinse,  e fulminando, 
Del  suo  legno  la  gomma  recise. 

Cosi  fer  gli  altri,  e col  medesmo  ardore 
Tutti  insieme  sciogliendo,  travasando, 

E spingendosi  in  alto,  in  un  momento 
Lasciavo  il  lito;  e ’l  mar,  dai  legni  ascoso, 
Si  fe  per  tanti  remi,  e tante  vele 
Spumoso  e bianco.  Era  vermiglio  e rancio 
Fatto  già  de  la  notte  il  bruno  ammanto, 
Lasciando  di' Titón  l’Aurora  il  letto, 
Quando  d’un’  alta  loggia  la  regina 
Tutto  scoprendo,  poi  eli’  a piene  vele 
Vide  le  frigie  navi  irne  a dilungo, 

E vóti  i liti,  e senza  ciurma  il  porlo  ; * 
Contro  sè  fatta  ingiuriosa  e fera, 

Il  delicato  petto  e l’ auree  chiome 
Si  percolò,  si  lacerò  più  volte; 

[573-590] 


494  t’  eiieidc.  [907-930] 

E ’ncontra  ciel  rivoUa:  Al»,  Giove,  disse, 
Dunque  pur  se  n*  andrà?.  Dunque» son  io  ‘ 
Fatta  d’  un  forestier  ludibrio  e scherno 
Nel  regno  mio?  Nè  fiochi  prenda  T armi  ? 

Nè  chi  lui  segua  nè  i suoi  legni  incenda^ 

Via  tosto  a le  for  navi,  a Tarmi,  al  foco, 

Mano  a le  vele,  a’  remi,  oltre  nel  mare. 

Che  parlo?  o dove  sono?  Belle  furore 
È il  tuo,  Dido  infelice?  Iniquo  fato,  ’ 

Misera,  li  persegui.  Allor  fud'uopa  - 
Ciò  che  tu  di’,  quando-  di  te  signore  .« 

E del  tuo  regno  il  festi.  Ecco  la  destra, 

Ecco  la  fede  sua.  Questi  è quel -pio  .*• 

Che  seco  adduce  i suoi  patrrf  Penatiy 
E M vecchi^  padre  agli  omeri  s’ impose. 

Non  polca  farlo  prendere  e sbranarlo, 

E gittarlo  nel  mare?  aneider  Irti 
Con  tutti  i suoi?  dilaniare  il  .figlio, 

E darlo  ih  cibo  al  padrè?  Ohi  perigliosa 
Fòra  stata  T impresa.  E «ili  periglio 
La  si  fosse,  c di  mqrte^iri  ogni  guisa 
Morir  dovendo,  a che  temere  indarno?  •»  • i 
Arsi  avrei  gli  steccati,  incesi  i legni, 

Occiso  il  padre,  il  figlio,  il  seme  in  lutto*  > 
[590-600] 


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[931-954]  libro  iv.  495 

Di  questa  gente,  e me  spento  con  loro.  . 

Sole,  a cui  de’  mortali  ogn* opra  è conta; 
Giuno,de  le  mi é -cure,  e de’  miei  falli  # 

Pronuba  consapevole  e mezzana 

Ecate,  che  jie*  trivii  orribilmente 

Sei  di  notte  invocata;  nitrici  Furie,  ' , 

Spiriti  inferni,  e dii  de  V infelice 
Dido,  eh*  a morte  è giunta,  il  mio  non  degno 
Caso  riconoscete,  e ’nsìeme  udite 
Queste  dolenti  mie  parole  estreme. 

Se  forza,  se  destino,  e se  decreto 
È di  Giove  e dei  cielo,  e, fisso  e saldo  • 

È pur  che  questo  iniquo  insorto  arrivi, 

E terra  acquisti  ; almen  da  fiera  gente 
Sia  combattuto,  e de’  suoi  fini  in  bando,  - 
Da  suo  figlio  divelto  implori  aiuto,-  • 

E perir  veggia  i suoi  di  morte  indegna. 

Nè  leggi  che  riceva,  o pace  iniqua 
Che  accetti,  anco  gli  giovi  : nè  del  regno, 

Nè  de  latita  lungamente  goda;.^ 

Ma  caggia  anzi* al.suo  giorno,  e ne  V areha 
Giaccia  insepolto;* Questi  priegld  estremi 
Col  mio  sangue  cons^ro.  E voi,  miei  Tivù, 

Coi  discesi  da  voi  tenete  seco 
|606-<522] 


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196 


L*  ENEIDE.  [955-978] 

E co’  posteri  suoi  guerra  mai  sempre. 

Quesli  doni  al  mio  cenere  mandate, 

Morta  eh’  io  sia.  Nè  mai  tra  queste  genti 
Amor  nasca,  nè  pace;  anzi  alcun  sorga 
De  T ossa  mie,  che  di  mia  morte  prenda 
Alta  vendetta,  c la  dardania  gente 
Con  le  fiamme  c col  ferro  assalga  e spenga, 
Ora,  in  futuro,  e sempre:  e sian  le  forze 
A quest’animo  eguali  ; i liti  ai  liti 
Contrari  eternamente,  Tonde  a Tonde, 

E Tarmi  incontro  a Tarmi,  e i nostri  ai  loro 
In  ogni  tempo.  E,  ciò  detto,  imprecando, 
Schiva  di  più  veder  Teleria  luce, 

Affrettò  di  morire.  E,  Barce  in  prima 
Vistasi  intorno,  una  nutrice  antica 
Del  suo  Siehèo  (chè  la  sua  propria  in  Tiro 
Era  cenere  già),  Cara  nutrice, 

Le  disse,  va’,  mi  chiama  Anna  mia  suora, 

E le  di’  che  solleciti,  c che  C onda 
Del  fiume  c T ostie  e i suffumigi  adduca, 

E ciò  cIT  è d’  uopo,  come  pria  le  dissi, 

A prepararmi;  chè  finire  intendo 
Il  sacrificio  che  a Plutone  inferno 
Solennemente  ho  di  già  fare  impreso, 
[623-638] 


/ 


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[979-4002]  libro  iv.  197 

Per  fine  imporre  a*  miei  gravi  martiri, 

E dar  foco  a la  pira,  ov*  è P imago 
Di  quell’  empio  Troiano.  A tal  precetto 
Mossa  la  vecchiàrella,  a suo  patere 
Lentamente  affrettassi  ad  esseguirlo.  . 

Dido  nel  suo  pensiero  immane  e fiero 
Fieramente  ostinata,  in  atto  prima 
Di  paventosa,  poi  di  sangue  infetta 
Le  torve  luci,  di  pallore  il  volto, 

E tutta  di  color  di  morte  aspersa, 

Se  n*  entrò  furiosa  ove  secreto 

Era  il  suo  rogo  a P aura  apparecchiato. 

Sopra  vi  salse  ; c la  dardania  spada, 

Ch’  ebbè  da  lui  non  a tal*  uso  in  dono, 
Distrinse;  e rimirando  i frigii  arnesi 
E *1  noto  letta,  poi  eh’  in  sè  raccolta 
Lagrimando^e  pensando  alquanto  stette, 

Sovra  vi  si.inchinò  col  ferro  al  petto, 

E mandò  fuor  quest*  ultime  parole  : 

Spoglie,  mentre  al  ciel  piacque,  amate  e care, 
A voi  rend’  io  quest*  anima  dolente. 

Voi  1*  accogliete  : e voi  dì  questa  angoscia 
Mi  liberate.  Ecco  io  son  giunta  al  fine 
De  la  mia  vita,  e di  mio  sorte  il  corso 

[639-653] 


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198  . l’  EJfEiDE.  [1003-1026] 

Ho  già  compito.  Or  la  mia  grande  imago. 

N’  andrà  sotterra  : e qui  di  me  che  lascio? 
Fondata  ho  pur  questa  mia  nobil  terra  ; _ 
Viste  ho  pur  le  mie  mura;  ho  vendicato 
11  mio  consorte:  ho  castigato -il  fiero 
Mio  nimico  fratello.  Ah  che  felice, 

Felice  aSsai  morrei,  s’  a questa  spiaggia 
Giunte  non  fosse»*  mai  vele  troiane  f 
E qui  sql  letto  abhandonossi,  e ’i  volto 
Vi  tenne  impresso;  indi  soggiunse:  Adunque 
Morrò  senza  vendetta  ? Eh,  che  si  muoia 
Comunque  siarcosF,  così  mi  giova 
Girne  tra  l’ ombre  inferne;  e pòi  ch’il  crudo, 
Mentre  meco  era,  11  mio  foco  non  vide, 
Veggalo  di  lontano,  e ’l  tristo  augurio  - 
De  la  mia  morte  almen  seco  ne  porte. 

Avea  ciò  detto,  quando  le  ministre 
La  videi*  $opi*a  al  ferro  il  petto-infissa, 

Col  fei*ro  e con  le  man  di  sangue  intrise 
Spumante  e caldo.  In  pianti,  in  ululati 
Di  donne  in  un  momento  si  converse 
La  reggia  tutta,  e ’nsino  al  ciel  n’  umlaro  * 
Voci  alte  e fioche,  e suon  di  man  coti  elle. 
N’andò  per  la  città  grido  e tumulto, 
[653-668] 


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[1027-4050]  libro  iv.  499 

Come  se  presa  da’  nemici  a forza 
Fosse  Tiro,  o Cartago  arsa*  e distrutta. 

Anna,  tosto  eh’  udillo,  il  volto  e ’l  petto 
Battessi' e lacerossi;  e fra  la  gente 
Verso  la  moribonda  sua  sorella,  • 
Stridendo,  e il  nome  suo  gridando,  corse.: 

E per  questo,  dicea,  suora,  son  io 
Da  te  Tosi  tradita?  lo  t’  ho  per  questo 
La  pira  c I*  are  e T foco  apparecchiato  ? 
Deserta  me!  Di  che  dorrommi  in  prima? 
Perchè,  morir  dovendo,  una  tua  suora 
Per  compagna  rifiuti  ? E perchè  teco,  ' 
Lassa!  non  m’invitasti?  Ch’  un  dolore, 

Un  ferro,  un’ora  stessa  ambe  n-’ avrebbe 
Tolte  d’ affanno.  Oimè!  con  le  mia  mani 

• • i 

T*  ho  posto  il  rogo.  Oimè!  con  la  mia  voce 
Ho  gli  Dei  de  la  patria  a ciò  chiamati. 
Tutto,  folle!  ho  fatt’io,  perchè  tu  muoia, 
Perch’  io,  nel  tuo  morir  teco  non  sia. 

Con  te,  me,  questo  popol,  questa  terra 
E ’l  sidonio  senato  hai,  suora,  estinto. 

Or  mi  date  clic  il. corpo  ornai  componga, 
Che  lavi  la  ferita,  che  raccolga 
Con  le  mie  labia  il  suo  spirito  estremo, 
[669-685] 


200 


L*  ENEIDE.  [1054-4074] 

Se  più  spirto  le  resta.  E,  ciò  dicendo, 

Già  de  la  pira  era  sulitajn  cima. 

Ivi  lei  che  spirava  in  seno  accolla, 

La  sanguinosa  piaga,  lagrimando, 

Con  le  sue  veste  le  rasciuga  e terge. 

Ella  talor  le  gravi  luci  alzando 
La  mira  a pena,  che  di  nuovo  a forza 
Morte  le  chiude;  e la  ferita  intanto 
Sangue  e fiato  spargendo  anela  e stride. 

Tre  volte  sopra  il  cubito  risorse; 

Tre  volte  cadde,  ed  a la  terza  giacque: 

E gli  occhi  vólti  al  ciel,  quasi  cercando 
Veder  la  luce,  poiché  vista  l’ ebbe, 

Ne  sospirò.  De  1’  affannosa  morte 
Fatta  Giulio  pietosa,  Irr  dal  ciclo 
Mandò,  che  M groppo  disciogliesse  tosto 
Che  la  tenca,  malgrado  anco  di  morte, 

Col  suo  mortai  si  strettamente  avvinta; 

Ch’ anzi  tempo  morendo,  e non  dal  fato, 

Ma  dal  furore  ancisa,  non  Cavea 
Proserpina  divello  anco  il  fatale 
Suo  doralo  capello,  nò  dannata 
Era  ancor  la  sua  testa  a l’Orco  inferno. 
Ratto  spiegò  la  rugiadosa  Dea 
[685-700] 


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[1075-1083]  libro  iv.  20 1 

Le  sue  penne  dorate;  e ’ncontra  al  sole 
Di  quei  tanti  suoi  lucidi  colori 
Lunga  striscia  traendo,  indi  sospesa 
Sopra  al  capo  le  stette,  e d’  oro  un  filo  * 
Ne  svelse,  e disse:  lo  qui  dal  ciel  mandata 
Questo  a Pluto  consacro,  e te  disciolgo 
Da  le  lue  membra.  Ciò  dicendo,  sparve. 

Ed  ella,  in  aura  il  suo  spirto  converso, 
Restò  senza  culore  e senza  vita. 

[700-705] 


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Intanto  Enea,  spinto  dal  vento  in  allo, 
Veleggiava  a dilungo;  e pur  con  gli  occhi, 
Da  la  forza  d’ amor  rivolto  indietro-, 
Rimirava  a Cartago.  Ardca  la  pira 
Già  d’  Elisa  infelice;  e le  sue  fiamme 
Raggiavan  di  lontan  gran  luce  intorno. 

La  cagion  non  sapea;  ma  la  temenza 
Lo  rimordea  del  violato  amore, 

E M saper  quel  che  puote  e quel  che  ardisce 
Femina  furiosa:  e M tristo  augurio 
Del  foco,  clic. lugubre  era  e funesto, 

Lo  tcnea  con  la stuol' de*  Teucri  tulli 
Disanimato  e mesto.  Eran  di  vista 
Già  de  la  terra  usciti,  e cielo,  ed  acqua 
Apparian  solamente  d*  ognintorno, 

Allei*  eh*  un  denso  e procelloso  nembo 
Si  fe  lor  sopra;  onde  tempesta  c notte 
Surse  repente,  e Palinuro  stesso 
. [1-12] 


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« _ 


202  • [1-^8] 
DELL’  ENEIDE 
Libro  Quinto. 


[19-42]  libro  v.  203 

Da  l’alta  poppa  il  ciel  mirando:  Oli!  disse, 
Che  fìa  con  tante  intorno  accolte  nubi? 

E die  pensi  e che  fui,  padre  Nettuno? 

Indi  comanda:  Via,  compagni,  armianci, 
Opriamo  i remi,  accommodiam  le  vele* 
Tegniamo  a)  vento  avverso  obliquo  il  seno. 
E rivolto  ad  Enea  : Con  questo  cielo, 
Signor,  diss’cgli,  ornai  più  non  m’ affido 
Prender  Itali#,  ancor  che  Giove  stesso 
Nèl  promettesse,  ed  ei  noccliier  ne  fosse. 
Vedi.il  vento  mutato,  vedi  il  mare 
Di  vfy*  ponente,  che  s’  annera  e gonfia:' 
Vedi  nel  ciel  qual  ne  s’accampa  stuolo 
Di  folte  nubi.  Traversia  di  certo. 

N’  assalirà,  sì  che  nè  girle  incontro' 

Nè  durar  la  potremo.  Or  poi  eli’  a forza 
Cosi  ne  spinge,  noi  per  nostro  s'campo 
Assecondianla  ; chè  già  presso  i porti 
Ne  son  de  la  Sicilia  e ’l  lido  ospizio 
D’Èrice  tuo  fratello,  s’ abbastanza  «. 

De  l’ni’te  mi  rammento  e de  le  stelle. 

Rispose  Enea  : Ben  eonosch’  io  che  duro 
È ’l  contrasto  de’  venti:  .e  ’l  nostro  è vano. 
Volgi  le  vele.  E qual  più  grata  altrove, 

[1-2-28] 


l’  ENEIDE. 


[43-66] 


204 

0 più  commoda  riva,  o più  sicura 
Aver  mai  ponno  le  mie  stanche  navi, 

Di  quella  che  ne  serba  il  caro  Acesle, 

E l’ ossa  accoglie  del  buon  padre  mio? 

Così  vólti  a levante,  e preso  in  poppa 
11  vento  e ’l  flutto,  a tutta  vela  il  golfo 
Correndo,  fui*  subitamente  a proda 
De  l’  amica  riviera.  Avea  di'  cima 
Visto  d’ un  monte  il  cacciatore  Aceste 
Venir  la  frigia  armata.  Onde  in  un  tempo 
Fu  con  essi  a la  riva;  e rincontrolli 
Allegramente,  sì  coni’  era  incólto, 

Di  dardi  armato  e d’ irta  pelle  cinto 
Di  libic’  orso,  umano  insieme  e rozzo, 

De  la  troiana' Egesta  e di  Criniso 
Fiume  onorato  figlio.  Ei  degli  antichi 
Suoi  parenti  inombrando,  con  gioioso 
Volto,  se  ben  con  Rustico  apparecchio, 

Gl*  invita,  gli  riceve  e gli  consola. 

Era  de  1*  altro  dì  1*  aurora  e ’l  sole 
Già  fuor  de  l’ onde,  allor  che  ’l  frigio  duce, 
Convocati  i suoi  tutti,  alto  in  un  greppo . 
Posto  in  meZzodi  lor  così  lor  disse: 

Generosi  e magnanimi  Troiani, 

[29-45] 


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«mw: su**—*** 


% 


[67<<90.J  librò  v.  * 20S 

* * 

Degna  prole  di  Dìmlano  e deKeieloy  • -* 
Questa:  è P amica  terrà,  otte  oggi  è*  V armo% 

Ch’  a le  sante' ossa  deh  mio* padre  AnChiée 
Demmo  requie  e sepolcro,  e i mesti  altari 
Gli  conseeramrào.  Oggi  è,Vio*non  nfipganuo, 
Quel  sempre  acerbo. ed* onorato  giórno, 

Citò-  onorato  cdidcerbo  mi  lui  sempre- 

(Poi  chesì-piacqué  è Dio),  quantunque  ovunque 

Questo  essigl io  infelice  mi  trasporti: 

Pongami  he  V arène  e ne  le  secche  ' * 

De- la  Getulia  ; spingami,  agli -scogli  . » 

Del  mar  eli  Grecia;  ne. la  GrecìVsiessa 
Mi  ehiugga,  e dentro  al  cerchio  di  Mièene; 

Ch  io  l’  arò  sempre  per  •solenne,  c.voti  . 
Faròglrogni  anno  e safcrUìcii  e furti. 

Or  poi  clic  da'  celesti,  óltre  ogni  avviso» 
Nostro* Ini*  noètrh  sriuno  in  prttova  addotti 
Per  onordr  le  sue  ceneri  sanie,  ' . 

Onorianjc',  adòrianle,  e dal  suo  mime 
Ipìpjoriamo  devoti  amici  i venti,  . . 

E StabH' 9eggio‘,  ove  gli  s’erga  un  tempio, 

In  cui  sian  quest’essequie  e questi  onori 
Rinovcllali  eternamente  ogni. anno. 

Due  pingui* Vuoi  per  ciasoun. nostro  legno 
* Caro. — 14.  [45*6-1] 


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206  l’ tóipiDE.  [9l-lr4 

Vi  profferisce  il  buon  Troiano  Acesle.  - 
Yoi  d’.Acestee  di  Troiani  paloni  fiumi 
We  convitate;  eiLio,  quando  1*  Aurorar 
Tranquillo  e queto  il  nono  giorno  adduca, 
A’. solenni  spettacoli  v’invito 
Di  navi,  di  pedoni  e di, cavalli, 

Al  corso,  a,  la  palestra,  al  Cesto,  a Inarco, 
tìgnun  vi  si  prepari,. ogttun  ne  speri  - 
Degna  del  suo  valor  mercede  e palma.  • 


i/,  E voi  datevi  assenso,  etujti  insieme 

1 } ; ' V’  inghirlandate.  E,  ciò  dicendo,  il  primo 

’ \ Del  suo  mirto  materno  il  crin  si  -cinse.  • 


Èlimo  lo  segui,  seguillo  Alete, 

Un  di  .verd’  anni  o V altro  di  maturi  ; 

Poscia  il  fanciullo  Iulo;  e dietro  a loro. 

D' ogni  età  gli  altri  lutti.  Eneà,  disceso 
Dal  parlamento,  in- mezzo  a quante  intorno 
Avea  schiere,  di  genti,  umile  e mesto. 

Al  sepolcro  d’  Anchlse  appfèsenlossi  : 

E con  rito  solenne  in  terra  sparge 
Due  gran  coppe  d4  vino  é due  di  latte.  - 
E due  di  sangue,  di  purpurei  fioj’i 
Vi  nevigò  di  sopra  un  nembo,  e disse  : 

A voi, sant’  06sa,.a  voi.Aeneri  pinate 


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[1I5-Ì3S]  libro  v.  207 

E famose  e felici,  anima  ed  ombra 
Del  padre  mio,  torno  di  nuovo,  indarno 
Per  onorarvi  ;-p‘oi  che  Italia  e ’l  Tebro 
(Se  pur  Tebro  ^ per  noi)  ne  si  contende. 

• f 

Or  quel  ch\io.  posso',  con  devoto  all'etto 
V’  adoro,  educhino  come  co$a  santa. 

Mentre  cosi  dicea,  di  sotto  al  cavo 

De' l’alto  avello  un  gran  lubrico  serpe 

* » 

Uscfo  placidamente;  e sètte  volte 
Con  sette  giri  al  lumaio  s’  avvolse. 

Indi,  strisciando  infra  gli  altari,  e i Jasi, 

Le  vivande  lambendo,  in  dolce  girila, 

Con  le  cerulee  sue  sqqqmose  terga 
Sen  gio  divincolando,  e,  quasi  ùnMri,  . , 

A sole  avverso,  scintillò,  d’.  intorno 
Mille  varii /color  di  luce  e d’  oro. 

»•  • • è 

Stupissi  Enea  di  colui  vista;  c I’  angue  * 

Di  lungo  tratto  infra  le  mpnse  et’ are,  : 
Ond’era  uscito,  alfin  $i  -ricondusse*. 

Ri  novellò  gl’  inoomiuciati  onovi . 

Il  frigio  duce, -del  serpeute  incerto,  . 
Se  del  loco  era  ib  genio,  o piti1  del  padre 
Sergente  o messo.  E com’  era 1190  antico, 
Cinque  pecora  elette  e einque  porci,* 

[*1'97]. 


208  l’  Binine.  [439-1G2] 

Con  cinque^!  morello  il  tergo  aspersi 

Grassi  giuvcnclii  anzi  a. la  tomba  decise, * 

Nuove  tozze  versando,  e jiubvaiaetite  ' 

Fin  iV  Acheronte  richiamando  il  nome 

E l’anima  il’ A neh  isb.  Indi  i compagni, 

Ciascun' secondo  la  sua  possa  offrendo,* 

Lieti  colmar  di  doni  i santi  altari*. 

Altri  di  loj* 4c  vittime  immolano,  • » 

Altri  cibi  ne  féro;  è tutti  insieme 

Sul  verde  prato- a colivi var  si  diero.  ■ 

Era  già ’l  nono  destinato  giorno  * . * 

Sereno  c lieto  a l’oriente  apparso, 

• - # ’ s 
E già  la  vaga  fama  e ’l  chiaro  nome  t 

Avea  d’ Àccste  convocati  intorno 

I vfein  tulli,  c pieni  erano  I-Kti^  * r' 

pi  gente,  cqi  tròta  parte  vaghezza 

Di  vedere  i Troiani,  e parte  ardire 

Di  provarsi  con  loro*  In  prima  esposti 

Con  pompa  ri  guardo  volo,  c solenne 

Furo  in  mezzo  deb  circo  anni  indorate,  . 

Purpuree  *vesli,  c tripodi  e corone, 

• • * * 

E più  guise  d’arnesi  e di  monete 
D’ argento  c d’oro,  e palme  ed  altri  proaiii 
Di  V incilorivl  il  di  sonora  tromba 
[.97-113] 


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[J63-.186]  libro  . v.  209 

D’  allo  dièsegno  ni, desiati  \udì, 

E da]  mar  cominclossi.  Avean  di  tutta-' 

La  teucra  armata  quattrojegni  scelti 

Più  di  remi  e . di  remigi, guarniti, 

E di  tutti  più  destri.  Uh  fu  la  Pistri, 

E Memmo  la  regea  ; Aleni  nio  che  poi  * 

L’italo  fu  nomato,  e diede  il  nome 

» 

A la  stirpe  de’AIemmi';~LaXhimera 

Fu  1'  altrò,  a cui  preposto  era  il  gran  Già, 

Uli  gran  vascello  che  a tre  palchi  a ve  a' 

Disposti  i renri  ; e i remiganti  .tutti 

^ • 

Erati  Troiani  e giovi  ni  e robusti. 

Fu  ’I  gran  Centauro  il  lerzo  ; e ili  quest’  era 

Sergesto  il  capo,  che  a.  la, Sergia  prole 

• « 
Diede  principio'.  L’  ultimo  la- Scilla 

Guidata  da  Cloanto,  onde  i Cluenli 

« *•  -■% 

Trasser  nome  o legnaggio.  E lungo  incontra 
A la  spumosa  riva  uu  Sasso  scoglio  • 

Che,  da’  (lutti  percosso,  è taloi»  tutto 

Inondatole  sommerso.  Il  verno  i venti 

« • * 

Vi  tendQn  sopra  un  nubiloso  velo 

• • • 

Che  ricuopre  le  stelle,  e quando  è il  tempo 
Tranquillo-,  ha  ne  I’  asciutto  una  pianura 
Ch’è  di  marini  uccegl*  aprica  stanza. 
[113^428> 


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210  L'&PfWDEw  [187-2  HJL] 

Qui  d’  un  elee  frondoso  il  segno  pose 
Il  padre  Enea,  |ìn  dove  il  corso . avanti  . 
Stender  pria  si  dovesse,  e poi  dar  vòlta.  » 
Indi,  sortiti  i'  lochi,  ad  suo' ciascuno 
Si  pose  in  fila.  I capitani  in  poppa, 
Addobbati  di  bisso  e d’astro  e d’oro, 
Rispiendean  di  lontana;  e gli  altri  tutti' 

D’  una  livrea  di  pioppo  incoronati^, 
Stavano  con  le  terga  ignudi  ed  unti, 

Sì'clie  tra  I’  ofio  e ’l  sol  lumiere  e specchi 
Parean  da  lungo.  E già  ne’ banchi  assisi,  - 
Tese  a’  remi  le  braccia,  al  suon  1’  orecchia 
Aspettavano  il  seguo.  1 copi  intanto 
Palpitando  move^  disio  d’  onore,'*  » 


E timor  di  vergogni  Àvea  la'  tromba 
Squillato  appena,  che  iti  un  tempo  i remi 
Si  tufìàr  lutti,  e tutti  1 legni  insieme 
Si  spiccàr  da  le  mosse.  I gridi  al  cielo 
N’audàr  de’ marinari.  Ji  mar  di* schiuma 
S’ asperse  intorno;  e ’n  quattro  solphi  eguali 
Fu  con  molto  stridor  da’  rostri  apeplo 
E da’  remi  stracciato.  Impeto  pari 
Non  fer  nel  circo  mai  bighe  e quadrighe 
Da  le  carceri  uscendo,  alior  eh’ a sciòlte 
[129-146] 


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LIBRO  V. 


211- 


[214.-234] 


Ed  ondeggianti  redine  -gli  aunghi 

Ai  volanti  Uestrier  sferzila  Je  terga. 

Le  grida,  il  plausot  il  fremito  e le  voci,  ' 

In  favoli  or  di  questi  ed  or  di  quelli, 

Tra  i curvi  .liti  avvolte,  c da  le  selve 

E da’ colli  riprese  e ripercosse, 

Facean  l’aria  intonar  fino  a le  stellò. 

Nel  primo  uscire,  il  primo  aventi  a .tutti 

Si  vide  Già,  mentre  la  gcntejremc  ;• 

E dopo  luì  Cloanto,  che’ de’  remi 

migliore  assai,  per  la  gravezza  indietro, 

Rimanea  del  suo  legno.  Indi  del  pari, 

O di  poco  infra  loro  avéan  contesa 

< * • 

Il  Centauro  e la  Pistri;  e quando  questa,  ' 

Quando  quello  era  avanti, e quando  entrambi 

Or  le  fronti-qvean  giunte  ed  or  le  ernie. 

Eran  del  sasso  giù  presso  a la  meta, 

E.  di  buon  tratto  vincitore  avanti 
# \ 

Già  se  ne  già,  quand’ei  sèn  vide  in  alto 
Da  la  ripa  più  lungo;  onde  rivòlto 
Al  suo  nocchiero:  E dove,  disse,  andrai 
Menate?  Attieni  al  lito  e radili  sasso: 
Vadano~gli  altri  in  dito.,  Ei  tuttavia  - 
D’urlar  temendo,,  in  pelago  si  mise*, 

. [146-465] 


9 


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- ~ ~~  . *-3B££r  wgìapui 


-212  l*  cxEiDE.  [2S5'-258]  , 

■ E Già  di  nuovo':  In  qua,  Menate;  aljsasso,  - 
Al  sasso  ; a la  sinistra, *u|a  sinistra,  * 

Dicea  gridando;  e YÒlto  indietro- vide  * _ 
Ch’  avea  CLoanto  addossò..  Era  Cloanto  * 

Già  tra  lo  scoglio  c La  Chimera  entrato, 

• * f * «. 

E via  ràdendo- la  sinistra  riva,  • * * 

Tenne  giro  sì  breve  e sì  propinquo, 

Clk  lui  tosto  c^la  metq  antp>  varcando, 

Si  vide  avanti  il  mare  ampio  e sicuro.. 

Grand’  ira,  gran  dolóre  e gran*  vergogna.-’ 

Ne  sentì  ’1  -fiero -giovine;  e piangendo  % 

Di  stizza,  e*  non  mirando  il  suo -decoro, 

Nòcche  Menete  del-suo  legno  Seco 

Fosse  guida  e sdluk»,  iti  mezzo  il  prese, 

E tla  la- poppa  in  mar  I unge  avtentollo: 

Pòscia, -ei  nocchiero  e capitano -insieme, 

Diè  di  pigji-o  al  timone,  o rincorando 

I suoi  compagni,  al  sasso  lo 'rivolse. 

'Mende,- clic  di  veste  era  gravato,. 

• ^ • <*  * * • 

E via  piò  d’  anni,  infino  a I’  Ftfio  fóndo  ^ , 

Ricevè  ’l  tu  fio;  é risorgendo  aJpena’ 

Rampicossi  à lo  scoglio,  e si  coll'era  f * 

Molle  e guazzoso,  de  la  rupe  in  c^ma 

Quàl  bagnato  mastino  ài  sof  si  scosse. 

* [16G-t80] 


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[259-232]  libro'  v. 

Rise  tutta  la  gente  ài  suo  cadére1; 

Rise  al  notare  ; cpiù  rise  anco  allora  - 
Ch’  a'  flutti  Vomitar  gli  vide  il  mare. 

Mcmmo  intanto  c Serge^lo,  che  del  pari 
Eranó, addietro,  parimente  accesi 
Sii  I’  hidugio  di  Già  preser  baldanza. 
Sergesto  in  vèr  lo  scoglio  avea  M vantaggio 
Del  primo  loco;  ma  non  tutto  ancora 
Era  il  suo  legno  avanti,  che  la  Pistri 
Premca  qol  rostro  del  Centauro  il  fianco. 

E Mcmmo -confortando  i suoi  compagni  - • 
E ’u  sue-’n  gin  per  la  corsia  gridando, 

Via  fratelli,  dicco,  via  degni -alunni  ; 

D’  Etlorrc  invitto,  via,  compagni  eletti 
Al  grand’  uopo  di  Troia.  Òra-évmcstiero 
De’  remi,  de  le  forze  etici  coraggio,'. 

Gli’  a le  Sirti,  a Cariddi,  a la  Matèa  • 

. - « 

Mostraste  già.  Non  più  vincer  contendo, 

* •% 

Glie  pur  devrcl,  se  pur  Mcmmo  son  id: 
Vinca  cui  ciò  da  te,  Nettuno,  è dato. 

Ma  eh’  ultimi  arriviamo,  ah  non,  fratelli, 
Questa  vergogna;\.xiò  vincasi  almeno 
Glie  di  tanto  rossór  tinti  floir  siamo. 

- A cotal  dir  tutti  insorgendo,  a gara  • 
[131-197] 


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— *4» 

* 


A 

214  l’exeide.  [283-306] 

Steser  le  braccia,  cd  inuprcajH)  i dòrsi, 

E fer.per  avanzarsi  esimilo  sforzo.  v 

% * . 

Tremava  ai-colpi  il  ben  ferrato  legno  ; 
Fuggiti  di  sotto  il  mare;  ansando  i remigi 
Aprian  l’ asciutte  booclic;  e spesso  i fianchi 
Battendo,  a gronde  di  sud  or  colavano.' 

Diè-lor  fortuna  il  desiato  onore; 

Chò,  mentre  furioso  oltre  si  spinge 
Sergcsto,  e con  la  prora  arditamente 

• i 

Bade  la  ripa,  ebbe  il  meschino  intoppo, 
Urtando  de  )o  scoglio  in  una  roccia 
Che  nel  mar  si  sporgea.  Scheggiassi  il  sasso, 
Fiaccarsi  i remi,  si  scoscese  il  rostro  ; 

E d’  un  lato  pendente  e scossa  tutta  - 
Tremò  la  nave,  e scompigliossi,  e stette. 

I remiganti  attoniti,  con  gridi, 

Con  ferrate  aste,  con  tridenti  e pali  * 
Stavan  pingendo  e puntellando  il  legno, 

E ripescando  i remi.  Intanto  allegro, 

E del  successo  coraggioso  e baldo 
Memmo  ratto  s’  avanza,  e vince  il  sasso  ; 

E via  vogando  cd  invocando  i venti 
Vende  a la  eliina  cd  a l’aperto  il  mare. 
Qual  d*  una  grotta,  ov’aggia  i dolci  figli 
[198*213] 


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[307:330]  i.ir.RO  v.  215 

|]  ’l  caro  nido,  spaventata  in  prima 

Da  subito  schiamazzo  esce  rombando, 

Ed  arrostando  una  còlomba  a l’aura, 

Che  poi  giunta  ne*  campi  a l*aer  quelo 

Quelamenle  per  via  dritta  e sicura 

Sèn  va  con  l’ali  immobili  e veloci; 

Cosi  la  Pislri  pria  travolta  e vaga 

Venia  da  sozzo;  indi  affilata  e stretta 

Passò  prima  Sergesto  che  nel  sasso, 

Come  da  vischio  rattenufo  augello 

E spennacchiato,  i suoi  spezzati  remi 

Dibattendo,  chiedea  soccorso  invano. 

Poscia  spingendo,  la  Chimera  aggiunse 

E trapassolla,  che  la  sua  gran  mole 

K ’l  perduto  nocchier  la  tea  più  tarda. 

Sol  restava  Cloanto  : e verso  Ini 

Affilandosi,  a.1  (in  quasi  del  corso 

Con  ogni  sforzo  il  segue,  c già  l’ incalza. 

Levossi  al  cielo  un’  altra  volta  il  grido 

Del  favor  clic  facea  la  gente  tutta, 

Perchè  i secondi  divenisse!’  primi. 

^ » • 
Quelli  caccia  lo  sdegno  c la  vergogna 

Di  non  tenere  il  conseguito  onore. 

Che  la  gloria  antepongono  a la  vita; 

[2 1 4-230] 


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216  l’ekeide.  [33Ì-354] 

Questi  il  successo  inanimac  la  speme  • 

Di  ciò  poter  : poi  eh’  altrui  par  che  possano. 
S’eran  già  pressore,  pareggiali  i rostri, 

Del  pari  i premit  hvrian  forse  ottenuti; 

Se  non  eh’  ombrie  mani  al  cielo  alzando,' 
Colai  fece  agli  Dei  Cloanto  un  voto: 

Santi  numi  ilei  pelago  ch’io  córro, 

Se  ’l  corso  agevolate  al  legno  niio, 

Nel  medesimo  lito  un  biancq  toro  • * 
Lieto  consacrerovvi,  e ile  I’  opime 
Sue  viscere,  c ili  vili  limpido  e puro 
L’ arena  spargei*ovvi  e l’  onde  salse. 

Furon  da  l’  imo  fonilo  i preghi  uditi 
Del  buon  Cloanto  da  Isoschicra  tutta 
De  le  ninfe  di  Nèreo  c di  Forcò, 

E da  la  Panopòa  vergine  intatta: 

E ’l  gran  padre  Porcino  di  sua  mano  . „ 
Gli  spinse  il  legno;  onde  qual  vento  o strale 
Lanciossi  a terrà,  e si  scagliò  nel  porto» 

Il  padre  Enea  (coni’  è oostumc)  avanti 

• • ■v 

Convocati  a sè  tunica  suon  di  tromba-  , 
Dichiarò'viAcitor  Cloanto  il  primo, 

E le  tempie  di  lauro  iricoronògli. 

Poscia  a ciascuna  de  le  qavi-in  dono* 
[231-247] 


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[355-378]  unno  v.  21-7 

Diè  tre  grassi;  giu  venchi;  e ire  grand’ urne* 
Di  prezioso»  vino,  c decornatili  , 

Un  gran  talento.  Ornò  di  maggior  dopi 
I primi  condottieri.  Al  viiicitouc 
Prescnlàdi  bl  occalo  un  ricco  arnese, 

Clic  d’ostro  a’ groppi  sopra  l’oro  avea 
Doppio  un  lavorò' di  ricamo  e d’nco. 

Nel  mezzo  entro  al  frondoso  bosco, Idèo 
Un  reai  giovinetto  era  tessuto, 

CIT  anelo  e fiero  con  un  dardo  in  -ninno 
Seguia  perula  foresta  i cervi. in  caccia; 

R poco  indi  fontano  un’  altra  volta. 

Kra  il  medesmo  da  1’  ucccl  di  Giove  -*  . 
Rapito  in  alto;  e i suoi-veCchi  custodi 
R fidi  cani  lo  in  ira  va  n sotto, 

Quegli  indarno  le  mani  al  dièlo  alzando, 

R questi  il  muso,  ed  abbaiando  a l’aura. 

A 1’  alti'o^poi,  Che,  per  valore UJ  primo, 

Fu  per  sorte„secondo,  in  premio  diede 
Per  ornamento  c per  difesa  in  arme 
Una  lorica  che  d’  antica  maglia, 

R di  lucente  e {interzalo  acciaro, 

Di  massiccio  orò  avea  le  Tibie  e gli  orli. 

**  * , * • . ^ 

Questa  di  Simocnta  in  su  ki  riva 
' [247-261] 


213  l’  f.keide.  [379-40 

Sotto  l'alto  Ilio,  e di  sua  propria  mano  . 
Tolse  al  vinto  Detnòfeó.  Era  si  grave, 

Clic  da  Fègeo  c tlu  Sàgari,  due  forti 
E robusti  sorgenti,  ivi  condotta  • 

Era  stalu  a gran  pena;  e pur  in  dosso 
1/ avea  Demòleo  il  i)ì  clic  combattendo 
Mise  in  quella  riviera  i Teucri  In  volta.  - 
I terzi  doni  due^ran  nappi  fòro  ^ 

Di  forbito  metallo,  e due  gran  coppe, 

Di  puro  argento  figurate  intorno 
Con  mirabile  intaglio'.  E già  donati, 

E de'  lor  doni  altieri  e festeggiali  ti 
Sedile  ginn  tutti  di  purpuree  bende 
Le  tenlpie  avvinti,  e di  Icntiséhio  adorni; 
Quando  ecco  da  lo  scoglio  con  grand’  arte 
E còn  molta  fatica  apppna  svelto 
Sei-gesto,  col  suo  legno  infranto  e monco 
E tarpato  de’  remi,  in  vèr* la  terra  - 
Se  ne.  venia  disonoralo  e -mesto. 

Com’angue  suol,  cli’O sia  da  ruota  òppress 
Tra  la  ripa  e’I  sentiero,  o sia  di  sasso 
Dal  viator  percos*so  o di  randello,  •* 
Procacciando  fuggir,  con  lunghe  spire 
"S*  arrosta  indarno,  e inalberalo  c fiero 
[2G  1.277]  *' 


[403-426]  libro  v.  2|9 

Dal  mezzo  in  suso  arde  negli  occhi  e fischia; 
E d’ altra  parte  dilombalo  e tardo 
Debilmente  guizzando,  in-sè  medesmo 
Si  ripiega,  s’  attorce  e si  ragg'rappa; 

Cosi  co’  remi  la  fiaccata  nave 
Se  ne  già  lenta,  e’con  te  vele  a volo, 

Ch’  a piene  vele  al  fine  in  porto  aggiunse? 

Ed  a Sergesto.anco  i suor  «Ioni  assegna 
Il  padre  Enea,  di  rrcovrar  contento 
Il  sito  buon  legno  e i suoi  fidi  compagni. 

E furo  i doni  una  cretese  ancella, 

Fòloo  di  nome,  e di  telaio  ed’  aco  . 
Maestra  esperta  e da  Minerva  instrutlu. 
Giovine  e bella,  e con  due  figli  al  petto. 
Questo  primo  spettacolo  compito, 

Enea  per  gli  altri  una  pianura  elegge 
Che  di  teatro  in  guisa  d’ogn’  intorno. - 
Ha  selve  c coHi,jed  un  gran  circo  avanti," 
O/e  in  un  palco  alteramente  estratto 
Tra  molti  mrja  collocossi  in  mezzo. 

Qui  prima  al  còrso  i corridori  invita 
Con  preziosi  preinii,  e i prendi  espone.: 

E ite’ Teueri  e de’ Sicoli  mostrarsi 
I più  famosi.  Apprescntossi- in  prima 

[277-29  4] 


. . 


22Ò  l’  enei  di:.  [42-7-45Ò] 

Eurialo  con  Niso.  Un  giovinetto 
Di  singoiar  bellezza  Eurialo  era;* 

E Niso  muli  lub lido  e casto  amante. 

Dopo  questi  Diòro.  Era  costui  ; 

Del  iegnaggio  di  Priamo  un  rampollo, 
Giovine  generoso;  c Sàlio  c l’atro 
Veimero  appresso:  d’Acarnania  l’\ino, 
D’Arcadia  l’altro-e  del  Tegco  paese; 

E due  Siciliani,  Èliino  c Ptinope, 

Ambedue  cacciatori,  ambi  seguaci  , 

Del  Vecchio  Acestc;  e con  questi,  aita  i assai 
D’oscura  nominanza.  A cui  nel-mezza 
Stando- il  gran  padre  Enea,  cosi  ragiona  : 
Nissuii  da  me  di  questa  schiera,  eletta 
Andrà  senza  mie’ doni,  c parimente 
Una  coppia  di  dardi  avrà  ciascuno 
Di  rilucente  acciaro,  ed  una  d*  oro 
E d’  argcntoicommcsso  a l’urabe.sca 
Non  più 'vista  bipenne.  1 principali  * ‘ 

Tre  vincitori  i primi  pregii  avranno, 

E fian  tutti  df -oliva  incoronati. 

E ’l  primi  efró  de’  tre  d*  un  buon  destriero 
Sarà  provisto  ben  guarnito  e bello. 

E altro  avrà  d’un’Amazoiie  un 'turcasso.' 
[$94-31 1] 


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{451-474]  . LiDno  v.  221 

Pien  di  tracie  9aitè,  e un  arco  d’  osso, 
Edjun  bel  cinto,  a cui  sono  ambi  appesi, 

C’  han  di  gemme  il  fermaglio  c d’ òr  la  Tibia. 
11  terzo  d’  un’  argolica  celali» 

Se  ne  vada  contento  ; e sarà  questa. 

Ciò  detto,  capresi  i luoghi*  e M segno  (lato 
S*  avvenlàr  da  la  sbarra  : « quasi  un  nembo 
L*  un  da  P altro  dispersi,  insieme  tutti 
Volàr,  mirando  al  line.  J1  primo  avanti 
Si  tragge  Riso,  c di  gran  lunga  avanti  ; 

Cbò  va  .di  vento  e di  saetta  in.  guisa. 
Prossimo  a lui,  ma  prossimo  d’un  tratto 
Molto  lontano,  è Salio.  A Salio,  Eurìulo; 

Eurialo  ha  di  poco  Èiimo  addietro; 

« 

Ad  Elimo  Diòro -appresso  tanto 
Che  già  sopra  gli  auela  e già  l’ incalza; 

E se  M corso  durava,  anco  V arebbe 
0 prevenuto  o pareggiato  almeno. 

Eran  presso  a la  mela,  ed  eran  lussi, 
Quando  ne  1’  erba,  pria  di  sangue  intrisa 
Degir  occisi  giovenchi,  il  pièjermando 
Sinistramente  c sdrucciolando,  a terra 
Cadde  Niso  infelice,  e/1  volto  Impresse 
Nel  sacro  loto,  si  che  gramo  e sozzo  ' 

Caro.  — 15.  [311-333] 


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mmi 


l’  ENEIDE. 


5i22 


[475-498] 


ISè  sursc  poi.  Ma  del  suo  amore  'intanto 
Non  obliossi  ; cli.è  sorgendo,  intoppo 
Si  fece  a Salio  ; ortde  con  esso  avvolto 
Stramazzò  ne T arena:  c-meAtrc  ei  giacque, 

Eurialo  del  danno  e dei  favore 

« * 

S’ avanzò  de  V amico,  c de  le ‘grida,  • 

Con  clic  gli  dici*  le  genti  animo  e forza:  ‘ ■> 
Ond’ei  fu  ’l  .primo,  ed  Èlimo-il  secondo; 
Diòro  il  terzo.  E tal  fine  ebbe  il  corso»' 

Ma  di  rumor  se  n’empie  e di  teuzone 
Il  circo  tutto;  e.  Salio  anzi  al  cospetto 
De*  giudici  c de’  padri  or  si  protesta, 

Or  detesta.,  or  esclama;  e del  tradito 
Suo  valor- si  rammaroa,  c ragion  eliiede. 

In  difesa  d’  Eurialo,  a rincontro, , 

E ’l  favor  de  la  gente,  e quel  decoro 
Suo  dolce  Iagrimare,  e quell’  invitta 
Forza  c’ha  la  vertù  con  beltà  misto. 

Grida  Diòro  aneli’  egli-,  e lui  sovviene, 

E sè^stesso  difende,  pòi  eli’ il  terzo 
Esser  non  può  quando  sia  Salio  il  primo. 

Enea  cosi  decise:  Aggiate  voi, 

Generósi  garzoni,  i prègi i vostri: 

E nulla  in  ciò  dò  I’  ordine  si  muti: 
[334-349] 


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[499-52-2]  libro  v.  J 223 

Cli’  iasopplirò  con  degna  ammenda  al  caso, 
Oiid’  ha  fortuna  indegnamente  afflitto'; 

V . ' 

L’.  amico  mio.  Ciò  detto,  una  gran  pelle 
Presenta  a Salio  d’  un  leon  gotùl.o, 

C’  ha  il  tergo  irto  di  velli  e i’  unghie  d’ oro. 

E qui  Niso:.0  Signor,  disse,  di  tanto 
Guiderdonate  i perditori,  odale 
Di  chi  cade  pietà  vi  prende  ; ed  io  , 

Di  pietà  non  son-  degno  iiè  di  pregio, 
lo  che  son  di  fortuna  a Salio  eguale, 

E di  valore  a tutti  gli  altri  avanti? 

E ciò  dicendo,  Sanguinoso  il  volto 
E livido  moslrossi  e lordo  tolto. 

Rise  il  buon  padre  Enea;  poscia  un  pregiato 
E degno  scudo,  eli’  a le  porto  appeso 
Era  già  di- Nettuno,  ed  ei  riscosso 
L’avea  da’  Greci,  con.mirabil  àrfe 
Dal  saggio  Didimàone  coustrutto, 

Venir  tosto  si  fece,  c Niso  af  monne. 

Finiti  i corsi  c dispensati  i doni, 

Or,  disse  Enea  j qual  sra  die  vaglia  ed  osi 
Di  forza  e d’  ardimento,  al  cesto  invito. 
Chiunque  accetta,  col  suo  braccio  in  alto  _ 
Si  mostri  accinto.  E,  ciò  dicendo,  in  mezzo 
[350-365] 


[òiT-'STJO]  ufcao  v.  545 

Signor,  poiché  non  è ehi  meco  ardisca 
Di  stare -a  pi  uova,a  che  più  bddo?  c quanto 
Badar  più  deggio  ? Or  'di’  clic  ’l  pregio  è mio 
Perch’  io  meco  l’adduca.  A ciò  frepiendo 
Assentirono  i Teucri  ; c già  co’  gridi 
De  1’  onor  lo  facean  degno  e del  dono; 
Quando  verso  d’  Entello  il  vecchio  Aveste 
SI  coni’ egli- era  in  un  cespuglio  a cauto, 

Si  volse  ej'ampognundo:  Ah  ! disse,  Entello, 
Tu  sei  pur  fra  gli  eroi  de’ nostri  tempi 
Il  più  noto  e il  più  forte;  e come  sofl'ri 
Ch’  un  si  gradito  pregio  or  ti  -si  tolga 
Senza  contesa?  Adunque  c stato  invano/ 
Fin  qui  da  noi  rammemorato  e cólto 

Èrice/in  ciò  nostro  maestro  c dio? 

* 

Ov’  è la  fama  tua  che  aheor  si  spande 
Per  la  Trinacria  tutta?  Ove  son  tante 
Appese  ai  palchi  tue  famose  spoglie? 

Rispose  Entello:  Nè  disio  d’onore, 

Nè  vaghezza  di  gloria  unquù,  signore, 

Mi  laseiàv  mai,  nè  mai  viltà  mi  prese: 

Ma  1’  incarco  degli  anni,  il  freddo  sangue, 

E la  scemata  mia  destrezza  e [orza 
Mi  ritraggono  a dietro,  lo  quando  avessi 
[383-397] 


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22G  l’lseide.  [57i«-594] 

O n>en  Tjuei  giorni,  ojiou  mcn  quel  vigore, 

Onde  costui  di  sè  tanto  presuma,  , 

GiflrqKH-  diletto- mio  seco  alle. mani 

Sarei  venuto,  e non  dhl  preniia^indotto, 

Che  premio  non  ne  cbero.  0 pur  qui  sono. 

Disse,  e sorgendo,  due  gran  cesti  c .gravi 

Gi llò  nel  campo,  e quelli  stessi,  vnd’ era 

Solito  a le  sue  pugne  Krice  armarsi.  • 

Stupir  tutti,  a quell’ armi  che  di  sette  . . 

Dorsi  ili  sette  buoi,  di  grave  piombo 

E di  rigido  ferro  eran  conserti.  , 

Stupì  Darète-in  primate  ricusolle 

A viso-operto,  onde  d’Anchise  il  figlio 

Le  prese  avanti,  e i lor  volunii  e ’l, pondo 

Stava  mirando,  quando  il  vecchio  Entello 
* , * 

Così  soggiunge;  ()r  che  diria  eostui 

Se  visto  avesse  i cesti  e Tarmi  stesse 

D’ 'Èrcole  Invitto,*  e T jnfelico-  pugna, 

Onde  iu.su  questo  lilo  Èrice  cadde ? 

D’Èricé  tuo  fratello  eran  quest’  armi 

Vedi  che^ono  ancor  di  sangue  infette 

E (V  umane  cervella.  11  grande  Alcide 

Con  queste  Èrice  assalse-:  e con  quest’  io 

!tl  esercitai,  mentre  le  fòrze  e gli  a tini  • 

[3*07-415] 


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[595-6  i 8]  Lifino  v.  227 

Etsmvpiù  verdi, *c  non  canuti  i. crini. 

Ma  poscia  che  Darètc  or  le  rifiuta; 

$e  piaee  a te,  se  mèl  consente  Aceste 
Perlai  son  qui,  di  elò,  Troiano  ardito 
Non  vo’che  ti -sgomenti.  lo  mi  .rimetto, 

E ceda  a queste,  c tu  cedi  a le  tue. 
Combattiam.  con  altr’arjni,  e Siam  del  pari. 
Così  detto,  spogliossi,:  e sì  com’  era 
De  le  braccia,  degli  omeri  e dei  colto 
E di  tutte  le  membra  e d’ ossa  immane, 
Quasi  uir  pilastro  in  su  1’  arena  stette. 

Àllor  Enea  fece  due  cesti  addurre 
D’  ugual  peso  e^grandezza;  ed  egualmente 
Ne  furo  armati.  Jn  prima  in  su  le  punte.  , 
De’  piè  1’  un  coutra  1’  altro  si  levaro: 
Brandir  le  braccia:  ritiràrsLin  dietro 
Con  le  testo  alle:  in  guardia  si  posaro 
Or  questi  or  quelli  ; alfine  ambi  ristretti 
Mischiar  le  mani,  ed  a ferir  si  diero. 

Era  giovino  1-’  Uno,  agile  e destro 
In  su  le  gambe;  era  membruto  e “vasto 
L’ altro;  ma  fiacco  ir)  su’  ginocchi" é lento, 
E per*  lentezza  (il  fiato  ansio  scotcndo 
Le  gravi  membra  e U alTànnata  lena) 
[415-432] 


22$  l’  lucide.  [G19-642] 

Palpitando  anelava.  In  molte  gui^e 
In  van  pria  si  tentaro,  C' molte  volte 
S’ avvisar,  s*  accennerò  c s’  investirò. 

A le  piene  percosse  un  suon  s’  odia 
De’  cavi  fianchi,  un  l'intonar  di  petti, 

Un  crosciar  di  mascelle  orrendo  c fiero. 
Cadeau  le  .pugna  ji  nembi,  e vèr  le  tempie 
Miravan  In  piu  parte;  e s’eran  vote, 

Rombi  faeean  per  P arda  c fischi  e vento. 

Stava  Entello  fondato;  c quasi  immoto, 
Poco  de  la  persona,  assai  itagli  occhT 
, Si  valea  per  suo  schermo.  A cui  Daròtc 
Girava  intorno*  qual  chi  ròcca  oppugna, 
Quantunque  indarno,  che  per  ogni  vi» 

Con  ogni  arte  la  stringe  e la  combatte.  • 
Alzò  la  destra  Entello,  ed  in  un  colpo  1 
Tutto  s’  abbandonò  contra  Darete; 

Ed  ei,  che  lo  previde,  accòrto  c presto 
Con  un  salto  schivollo;  onde  ne  Paura 
Percosse  a vóto,  e dal  suo  pondo  stesso 
h da  P impeto  tratto  a terra  cadde. 

Tale  un  allo,  ramoso,  antico  pino 
Carco  de’ gravi  suoi  pomi  si  svelle 
D un  ca\o  greppo,  e cpn  la  sua  ruina 
[432-449’] 


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► 


[643-666]  libro  V.-  229 

D’ Ida  una  parfè,  o d’  Erimanto  ingombra. 
Allei*  gridò,  gioì,  temè  la  gente, 

Si  com’  eran'de-  Sieoli  e de’  Teucri 
Gli  animi  e i voli  ai  due  compagni  affetti. 
Le  grida  al  eiel  ne  giro:  AceSìe  il  primo 
Corse  per  sollevare  il  vecchio  amico; 

Ma  nè  duLcaso  ritardato  Entello, 

Nè  da  tema  sorpreso,  in  ufl  baleno 
Risurse  e più  spedito  e più  feroce; 

Chè  l’ ira,  la  vergogna  e la  memoria 
Del  passalo  valor  forza  gli  accrebbe. 

Tornò  sopra  u Darete,  e per  lo  campo  . 
Tutto  a forza  di  colpi  orrendi  c spessi  ? 
Lo  mise  in  volta,  or  con  la  destra  in  alto, 
Or  con  la  manca,  senza  posa  mai 
Dargli,  nè  spazio  di  fuggirlo  almeno. 

Non  con  si  folta  grandine  percuote  , 
Oscuro  nembo  de*  villaggi  i tetti,  . 

Come  con  infiniti  colpi  é fieri 
Sopra  Darète  riversossi  Entello. 

Allor  il  padre  Enea,  l’un  ritogliendo 
Da  maggior  ira,  e l’altro  da  stanchezza 
E da  periglio,  entrò  nel  mezzo;  e prima 
Fermato  Entello;  a consolar  Darète 
[449-464] 


4 


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l*  F.Nninn. 


[667-690] 

Si  rivolse  dicendo:  E clic  follia 

Ti  spinge  n ciò?  Non  vedi-a  cui  contrasti  ? 

Non  senti  eJc'suc  forze  <ri  numi  avversi? 

• "*  % 

Cedi  a Dio,  cedi:  e,  cosi  detto,  impose 
Fine  a I’  assalto.  I suoi  fidi  compagni 
Cosi  com’  era  afflitto,  infranto  e lasso,  , ,* 
Col  capo  spenzolalo,  c con  la  bocca 
Che  sangue  insieme  vomitava  e denti,-  , 
Lo  porta ro  a le  navi  ; c fu  l'or  dato 
L’  elmo,  il  cimiero  e- la  promessa  spada. 
Rimase  al  vincitor  la  palma  e T toro, 

Di  che  lieto  e'Superbo.;0  de  la  Dea, 

Disse,  famoso  figlio,  e voi  Troiani, 

Quinci  vedete  qual  ne’  miei  verd’anni^ 

Fu  la  mia  possa,  c da  qual  morte  uggiate 
Liberato  Darètc.  E,  ciò  dicendo 
Recqssi  .anzi  .al  giuvenco,  e M duro  cesto 
Gli  vibrò,  fra  le  corna.<AI  fiero  colpo 
S’aperse  il  teschio,'  si  scbiacciaron  Fossa, 
Schizzò  ’l  cervello*;  e ’1  bue  tremante  e chino 
Si  scòsse,  barcollò,  morto  cade. 

Ed  ei  soggiunse:  Èrice,  a te  quest’  alma 
Più  degna  di  morire  offrisco  in  vece 
Di  quella  di  Darèle,,  e vincitore 
'1464-484} 


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[691-7'Ji]  libro  t.  231 

Qui  ’l  cesto- appendo,  e -qui  l’arte  ripongo. 

Immantinente  Enea  l’ altra  estesa 
Propon  de  l’  arco,  e i suoi.prèmii  dichiara. 
Ma  P albero  comlnr  pria  de  la  nave 
Fa  di  Sergesto,  e ne  1’  arena  il  .pianta:  . .. 
Suvvi  una  fune,  c ne  hi  fune  appende 
Una  viva  colomba,  e per  bersaglio* 

Lo  pon  de  le  saette  o degli  arcieri. 

Persi  i.più  chiari  avairti,  c i nomi  loro 
Del  fondo  si.cavàr  d’  un  elmo  a sorte. 

Uscio  primiero  Ippocoonte,  il  figlio 
•D’ ìrtaco  genpruso,  a cui  <5on  lieto 
Grido  la  gente  applause.  A lui  secondo 
Fu  Memmo,che  pur  dianzi  il  pregio  otten  ne  . 
Del  naval  corso:  e Mommo,  sì  cotn’era, 

Di  verde  oliva  incoronato  apparve. 

Apparve  Eurizio  il  terzo;  ed  efa  questi  - 
Minor,  ma  ben  di  te  degno  fratello, 

Pàndaro  glorioso,  che  de’ Teucri 
Rompesti-  i patti,  e saettasti  in  mezzo 
A 1’  oste  greca  il  gran  campione  argivo. 
Ultimo  si  restò  de  l’  dfno  ili  fondo 
Il  vecchio  Acestc,  che  sì  vecchio  aneli’  egli 
Ardì  di  por-si  a giovenil  contrasto. 

[484-499] 


-, 


232  l’  incide.  [115-738] 

Tesero  gli  archi  e trasse r Le  quadrello 
Da  le  faretrq.  A lutti  gli  altri  avanti 
Di  irtaco  il  figlia  a suettare  accinto 
Col  suon  del  nervo  e del  pennuto  strale 
L’  aura  percosse,  e sì  dritto  fendella 
Clic  1’  albero-investì.  T remonne  il  legno,  ; 
-Spaventossi  1’  augello';c.d’ alte  S'*^a 
Risonò  il  campo  e la  riviera  tutta. 

Memmo  yicn  dopo,cponla  mira, e scocca: 
E ’l  misero  fra’  piè  colpisce  appunto 
In  su  la  corda,  e ne  recide  il  nodo. 

Libera  la  colomba  a volo  alzossi, 

E per  lo  ciel  veloce  a fuggir  dicssi. 

Eurizio  allor,  eh’  avea  già  I’  arco  teso 
E la  cocca  in  sul  nervo,  al  suo  fratello 
Votosfci,  c trasse;  e ne  le  nubi  stesse 
(Sì  come  lieta  se  ne  giva  e sciolta) 

La  feri  sì  che  con  lustrale  a terra 
Cadde  trafìtta,  e lasciò  l’alma  in  cielo. 

Sol  vi  restava  Acestc,  à cui  la  palma 
Era  già  tolta  ; ond’ei  scoccò1  ne  T alto 
Lo  strale  a vóto  e la  destrezza  e l’arte 
Mostrò  nel  gesto  e nel  sonar  de  I’  arco. 
Quinci  subitamente  un  mostro  apparve 
[500-522] 


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[739-762]  LifiBo  v.  233 

Di  meraviglia-c  di  portene  orrendo  j 
Come  si* vide,  e come ..iqterpretato 
i n pei. da  formidabili  indovini.  ‘ % 

Clic  la  saetta  in  su  le  nubi  accesa? 

Quanto  volò,  tanto  di  fiamma  un  solco  v 
Si  trasse  dietro,  infili  elvella  nel  foco, 
b ’l  foco  in  aura  dilcguossi  e sparve, 
lai  sovente  dal  ciel  divelta  cade 
Notturna  stella,  e trascorrendo  lascia 
Dopo  sé  lungo. e luminoso  il  cl  ine. 

A questo  augurio  attoniti  i Sicani 
E i Teucri  tutti,  umilemeule  a.  terra 
Ciiltàrsi,  ed  agli  dii  pace  chiederò. 

Solo  Enea  per  sinistro  e per  infausto 
Non  P ebbe;  c 'I  vecchio  Aceste,  clic  gioioso 
Era  di  ciò,  gioiosa  niente  accolse, 
b molti  doni  apprcsenlògli,  c disse: 

Prendi,  padre,  da  me  questi  che  scevri 
Dagli  altri  onori  a te  destina  il  cielo 
Con  questi  auspicii,e  questa  coppa  in  prima 
Un  de’  più  oari  a me  paterni  arredi, 

E caro  e prezioso  al  padre  mio, 

E per  P intaglio,  e per  la  rimembranza 
Del  buon  re  Cisso  che  fra  gli  altri  doni 
[522-537] 


uvtant 


234  t*  eneidiT.  [763-786] 

Questo  rn  Tracio.  gli'diè  pegno  e ricordo 

De  T aifior  slio.  Così  dicendo,  il  fronte 
Gli  ornò  ili  veglie  alloro,  o dichiàrollo  . • ’ 
Vincitor  primo.  Nè  di  eiò  sentissi 
Il  buon  Eurizio  offeso,  ancor  eh’  ei  solo 
Fosse  de  livcolombn  il  feritore. 

Di  lui  fu  poscia  il  guiderdou  secondo. 

Chi  recise  la  corda  ottenne  il  terzo; 

• E 1’  ultim*  ebbe  chi  coulisse  il  legno. 

Non  era  ancor  questa  contesa  ìli  fine, 
Quando  in  disparte  Epilide  chiamando  . 

Un  che  di  lido  era  custode  e guida, 

Va’,  gli  disse  a 1’  orecchio,  e fa’ che  Ascanio 
Si  spinga  avanti,  se  le  schiere,  in  punto 
Ha  de’  fanciulli,  e eh’  armeggiando  onori- 
La  memoria  de  1’  avo.  Impone  intanto 
Che  la  gente  s’  apparti,  e il  circo  tutto 
Quanto  è largo  si  sgombri  e quanl’  è lungo. 

Già  si  mettono  in  via;  già  nel  cóspetto 
Vcngorì  de’  padri  i pargoletti 'Croi’ 

Su  frenati  destrier  lucenti  e vaghi. 

Solo. a veder  gli  abbigliamenti  e i gesti, 

Ne  sta  di  Troia  c di  Sicilia  il  volgo 
Meraviglioso,  e ne  gioisce  e freme. 
[538-555] 


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[7&J-SI0].  LIBRO  V.  2^5 

Parie  'ha' Ui  loro  una  ghirlandai»  lesta, 

fc^solto  accolto  e raccorcialo  il  crine; 

Parte  bai’  arco  c ’l  turcasso,  c“d’ oro  un  fregio 

Che  da  le  spalle  attraversando  il- petto- 

Sèn  va  di  serpe  attorcigliato  in, guisa. 

Eran  tutti  indre  schiere;  avean  tre  duci, 

E ciascun  duce  conducfea  di  loro  *,  . 

I re  volte  quattro,  e ’n  tre  1 uo^Ii Tspai  li ti. 

Facean  pomposa  cd  ordinata  mostra. 

E’ una  de  le  tre  schiere  avea  per  capo 

Priamo  novello,  di  Polite  il  figlio, 

E di  cui  nome -uvea  nipote  illustre, 

Grand’  acquisto  d’ Italia.  Il  suo  destriero 

Era  nato  di  Tracia  d’un  mantello, 

Vario  balza»  d’  uii  più,  stellato  in  fronte.  • 

Ali  fu  1’  altro,  onde  i Latini  han  dato 

Nomi  a V Altia  famiglia  : un  fanciul  caro 

Al  garzonetto  luto,  luto  il  terzo, 

Ma  di  bellezza  e di  valore  il  primo, 

Cavalcava  un  corsier  che  soriano 

* 

Ei  a di  razza,  e dada  bella  Dido 
L’  avea  per  un^i'icordo  c per  un  pegno 

De  l’amor  suo.  Gli  altri  fanciulli  tutti 

• , 

Eran  d’  Aceste  in  su’  cavalli  assisi. 

[556-574] 


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23G  1.’  EX  LI  re.  [SU -834] 

Con  gran  letizia  e con  gran  plauso  i Teucri 
Gli  ricever,  come  che  ti  ni  ideili  • 

Fossero  in  prima  , e le  sembiante  in  loro 
Avvisal  o c ’l  valor  de’  padri  stessi. 

Poscia  che  passeggiando  al  circo  intorno 
Girarsi  iti  lenta  e graziosa  mostra, 

Si  disposero  al  corso;  e mentre  accolti 
Se  nettavano  a ciò  schierati  in  fila  ■ 

Da  1’  un  de’  capi,  Eprtide  da  l’  altro 
Diè  lor  col  suon  de  là  sua  sferza  il  cenno. 
Corsero  a tre  per  tre,  pari  e disgiunti 
L’  una  schiera  da  1’  altra,  e rivolgendo 
Tornir  di  dardi  c di  saette  armali.  ' 

Indi  a cacciarsi,  a rincontrarsi,  a porsi 
In  varie  assise,  ad  uno,  ad  uno,  a. molti, 

A tutti  insieme,  a far  volte,  rivolle, 

E giri  e mischie  in  più  modi  si  diero; 

Or  fuggendo,  or  seguendo;  or  come  infesti, 
Or  come  amici.  In  (piante  guise  a zuffa 
Si  viene  in  campoj  in  quante  si  discorre 
Per  le  molte  intricate  e eieche  strade 
Del  labirinto  che  si  dice  inXrela 
Esser  construtto  ; in  tante  s’ aggirare, 

Si  confusero  insieme,  e si  spartirò 
[575-593] 


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|8fió-#58]  wgRO  v.  237 

ÌDc-’Teucri  i figli  ; o -tali  anco  i delfini 

Per  l’ Iònio  scherzandolo  pei'  PEgeo 

Fan  giravolta  e scorribande  e tresche. - 

(Onesti  tornìarweuti  e queste  giostre  ... 

Rinovò  poscia  Ascanio,  allor  di’ eresse  . 

Alba  la. lunga;  oppresongli  i Latini; 

(ìli  mantenner  gli  Albani;  p d’  Alba  a Roma 

Fui*  trasportati;  e vi  son  oggi  ; e come 

E P uso  e.  Roma  e i giuochi  derivati 

Son  da  Troiani,  hanno  or  di  Troia  il  nome. 

Questi  eran  fino  a qui  del  santo  vecchio 

Celebrati  al  sepolcro  onori  e ludi. 

Alidi*  che  là  fortuna. ai  Teucri  infida 

Un  nuovo  storpio  agl’  infelici  ordio  : 

Clic  mentre  erano  in  ciò  parte  occupati» 

. « 

E tutliduiesi,  la  saturnia  Ghino 
Da  •!’  antico  odio  spinta,  e de’  lor  danni 
Non  ancor  sazia;  Ir i coi  venti  fti  prima 
Venir  si  fec.a;  e poiché  instnitta.Pcbhe 
Di  ciò  eh’  er’  uopo,  a la  troiana  armala 

Le  commise  eli’  andrassc.  Ella  veloci  * * * 

1 *•  * 

Infra  milfe  suoi  litoidi  colori 

' 

Occulta1  cd  inviàibile  eàiossi.'  '•»  * 

Vide  sul  IRo  una  gràn  goti  te  accolta 
Caro.  — 16.  ,[563-6111 


t238*  l’  exeide,  [859.^82] 

• • / 

Dii  1’  un  de’  Vali;  il  pòrta-abbandoifato 

• ^ ^ f ^ 

lift  1?  altro, À ròtlTe  senza  guardia  i legni. 

Vide  poi  jehe'd  agl?  Hi  omini  irt'disparte.'  . 

Slavati  le'donnc  d’llió,  il  iporlo  Anchise, 

Piangendo  aneli'  esse  ; e ne’ìor  piantili  mare 

. Mirando,  01ir  diceannmte,  -0110.0,1*.  di  tanto*  : 

E con  lantbp’crigli  o-tanti  nflfannf*  _* 

Ne  rosta  a navigarlo, tesiam  giiVviul<^  . 

► Da  la  stanchezza 4 in  ciò  desio  mostrando 

Di  ricetto  e.  di.pq^à,  e tèma  c tedio  . . * 

Di  rimbarcarsi.  Ella,  che  al  nuo_cev  luogo 

E*te(npo  vide  accommodato  cd  atto, 

Òeposto  de  la  Dea  P abulo  e ’l  volfoj 

Tra  lor  si  mise,  e Bèi-òe  si. fece: 

• . • • > , 

Una  ^'ecòllia  d’ aspetto  e d’  anni  grave,  * 
Cha  del  tracio  Doficlo  epa  già  moglie,.  . 

Di  famiglia^di  nome  e di  figliuoli  * * r- 
3Ialro/ia  illustre,  e tal  sembrando  disse:.  * , 
0 mesci»  i nelle,  a cui -per  man  de’ Greci 
Non  fa  .sotto  Ilio  di  morjV  condenso,* 

Gente  infelice,  a die  strazio,  a che  scempio 
La  fortuna  vi  serba!  Èotlo.già  volge 
Il  settim’ mino,‘da  che  Troia  cadile,  *•  . 
Che’l  mar, la  Iterrapilciekgli  uomini,  i sassi  • 
[8C2-C27J  " 


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[883-906 j limkTv.  >239 

Avete  incontro,  e pur  Lazio  seguile 
Clic  vi  fugge  (larvanti"?  Or  che  vi  toglie.  . 

Di  qui  fermarvi?  Non  far  questi  liti--' 

D’  un  giù  frate  tìr  Enea*?  Non  son  d’'Acesle 

__  . N ^ ^ 

Ospite  nostro?  E perché  qui  non  s’èrge 
La  città*  che  dal  ciel  ne  si  destinai-  t . 

0 patria!/)  da’ nemici  .mv'aii  ritolti 
Santi  numi  Penati! -invano  adunque  j 
Aspctterera  de  la  Rovella  Troia 
Le  desiate  mirra?  c non  fia  mai 
Che  più  Xahtfl  reggiamo  o Simocrtta  ?.  ' • 

Su,  figlie,*  mano  al  foco,  e queste  infauste 
Navi,  ardejeeon  tue,  eli’  io  da  Cassandra 
Di ‘così  far  son  ammonita  in  soguo. 

Ella' coir  un’ àrdente  face. in  mano 
Questa  notte  in’  apparve, « m’ era  avviso 
D’  esser  coin’  ov  son  vosbo,-e  eli’  elio-viltà 
Vèr  nói,  prendete,  né  dicesse,  c Troia. , * 

Cercate  qui;  chèqui  posai*  v’ò-dalo.  t 
Or  questa  è nostra  patria^e  quesloè  Tlempo 
Di  compir  Còpra  che  M prodigio  accenna. 
Più  non  s’.'indugii.  Ecco  Nettuno  stesso 
Cou  q.uesti  quattro  . a lui  sacrati  alluri  ' 

Ne  dà!’  occas'ion,  l’  animo  e,’l  foco.-  **  ■'*  . 

[628.-046] 


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3 


240  l’  exi^ìive.  [007-930] 

Ciò  disse:  ed  ella  in  prima  un  tizzo  ardente 
Rapi  da  Tare;  e ’l  braccio  alto  -vibrando 
Via  più  T accese,  e vèr  le  navL  il  trasse. 

Confuse  ne  reslaro'e'stupcfatte 
Le  donne  d’ Ilio;  c Pirgo  una  di  loro, 
di’  era  d’  anni  maggiore,  e fu  di  molti 
Figli  del  gran  re  Priamo  nutrice, 

Donne,  disse,  non  ò,  non  è. costei 
Nè  Troiana,  nè  Bèroo,  nè  moglie 
Fu  di  Doriclo:  è Dea.  Notate  i segni  : • * * 
Com’arde  ne  la  vista,  e quali  Spira 
Ne  I’  andar,  .ne  la  voce  c nel  seminante 
Celesti  onori,  lo  pur  testé  mi  parlo  ' • 

Da  Bèròe,  elle  dr  corpo  egra  languendo  * 
Stassi,  e sdegnando  che  a quest’  atto  sola  • 
Nosco  non  intervenga*  E qui  si  tacque. 

Le  madri  paventóse  e dubic  in  prima 
_Cbn  g]i. occhi  biechi  rimirar  le-navi,.. 
Sospese  le  meschine  infra  V amore 

* " w iv  * •*_  • 

Di  godersi  la.  terra,  e la  speranza 
Che  perdean  dei  munì,  a cui  chiamate  1 
Eran^daf  fato.  Intanto  alto  in  sud. Vali  . V 
ha  Dea  Icvossi,  e tra. -[e  opache  iml>V  • 

Per  entro  al-suo  gramParco  ascese,  e sparve 
[G41-.GÓ*! 


Diaóizecl  by  ( jQÓ2ÌP 


[931-954] . libro  v.  24T 

Allor  dal  mostro  spavènto  te,  e spinte 
Da  cieca  furia,  s’  avVéntài*  gridando ; 

E di  faci  e di  fronde  e di  virgulti. 
Spogliaro  altre  gii  altari,  oltre  infoca ro 
t legni  sì,  che  in  uh  momento  appresi 
I banchi,  i remi  e l’ impeciate  poppe  . 
Mandar  fiamme  e scintille  e fumo  ài  cielo. 
Portò  di  questo  incendio  Eumèlo  avviso 
Là  ’ve  al  sepolcro  era  la  gente  accolla,  ' 

E de  1’  incendio  stesso  un  atro  nembo 
Ne  diè  fumando  e scintillando  indizio. 

Ascanio  il  primo  (sì  com’era  avanti  ’ 
Duce  del  corso)  àLmar'si  spinse  in  guisa 
Che  i suoi.maestri  impallidir  per  t$ma, 

E richiamando  lo  seguirò  invano. 

Giunto  che  fu:  Che  furor,  disse,  è questo? 
Dove,  dove  ne  gite?  e che  tentate,  ( 
Misere  cittadine?  Ah  ! che  non  questi 
De*  Greci  ,i  legni,  o gli  steccali  sono. 

Voi  di  voi  stesse  le  speranze  ardete, 
io. sono  il  vòstro  Ascanio.  E qui  l’ elmetto, 
Onde  a la  giostra  era  comparso  armato, 
Gittossia  piè>_Corsevi  intanto  Enea: 

Vi  corsero  de’  Teucri  c -de’ Sicàni 
[G59-675]  - 


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242  l*-  eneide.  [955-978]. 

* 

Le  schiere  tutte.  AHOr'pgr  téma  sparse  * * 

Le  donne  per  lo  litote  per  le  selve 
Se  ne  fuggirò*,  ed  appiattarsi  ovunque  - 
Ebber  dj  rupi.o^di  spelonche  incontro  ;v 
Che  pentite  del  fallo  odiùr  la  luce, 

Cangiàr  pensieri,  e con  1’ amor  de’ suoi 
I ri  del  petto  disgombrarsi  e Giuno. 

Ma  non  però  l’ indomito  furore  ** 

Cessò  del  foco;  che  la  secca  stoppa, 

E T Utita  peoc,  e gli  aridi  fomenti 
L’avedn  fin  dentro  a le  giunture  appreso: 
Onde  nel  molle,  ancor  viva,  esalava 
Un*lento  fumo,  c penetrava  r fornii 
Si,  cb’  ogni  forza,  ogni  argomento  umano,’ 

E M mare  stesso,  che  da  tante  geliti 
Sopra  gli  si  versava,  erano'inv'ano.  . 

Squarc'iossi  Enea  dagli  omeri  la  veste, 

Ch’  avea  Iugulil  e,  e da’  celesti  aita 
Chièdendo,  al  ciél  volse  le  palme  e dissq: 

Onnipotente  Giove,'  se  de’  Teucri 

• •»  ^ ^ 

Ancor  non  t’.c,  senza  riservo,  in  ira 
La  gente  tutta,  c se,  qual  sei, 'pietoso 
Miri  aglj  umani  affanni,  a tanto  incendio 
Ritogli,  padre,  i male  addotti  legni  ;• 
[675-G89^ 


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243 

# • 


[079-1002]  . unno  v. 

Hi  log  1 Ir  u morie  queste  lipcbe^afllitlc 

Heliquie  dc’Troiani  ; o quel . che  j*esla  r 

Tu  eoi  tuo  proprio  telo,  e di  tua'  manò/ 

(Se  tale  è il  jnerto  mio)  folgora  e spegni. 

Ciò  disse  a pena,  che  da  torbidi  Ròstri 

E da  nera  tempesta  il  cielo  involto 

In  disusata  .pioggia  si  converse. 

Tremaro  i canipi,  si  crollaro  i monli 

Al  suòn  de’ tuoni  ; a catarattc  ppcrtc 

Traboccar  da  le  nubi  i nembi  c i fiumi.  „ . 

Cosi  sotto  dal  mar,  sovi'U’dal  piolo  . *•  • 

Le  già  quasi  arse  navi  in  mcTHr.o  «accolte  , 

Furo  n-  diri’  acque  :.onde  leliaipmein  prima,' 

Poscia  il  vapor  s’estinsc  ,'-c  tulle  spente] 

Se  non  se  quattro), si  salvare  alfine.  ^ . 

Di  si  fero  ^accidente’ Enea  turbalo,  . 

Molti  e gtavi  pensici*  tra  sè  volgendo, 

Stava  infra  d ut»,  se  per  suo  novo  seggio 

(Posto  il  fatò  in  non  cale)  ei  ^eleggesse 

De  la  Sicilia  i campi,  o pur  di-  lungo 

Cercasse  Italia.  In  ciò  Nauta*  un  vecchione, 

■ * . . 

Ch’era  (mercédi  Palladc  c «logli  apui)  . . 
Di  molla  esperienza  e di- gran  senno, 

0 fòsse  ira  di  Dio  clic  lo  movesse,  ^ 

[690-  7 Od] 


244  l’  eneide.  . [I003-102<j] 

0 pur  ch’era  così  nel  cie|  prescritto, 
hi  colai  guisa  a suo  conforto  disse  : 
Magnanimo  signor,  eomtmquc  il  fato 
Nc  tragga  o ne  ritragga,  c che  che  sia, 
Vincasi  col  soffrire  ogni  fortuna. 

Acesle  è (pii,  eh’  è del  dardanio  seme  « j 
E di  stirpe  celeste  un  ramo  anch’egli. 
Prendi  lui  per  compagno  al  tuo  consiglio, 
E con  luì  tr  confederale  t’.aduna, 

Che  in  grado  prenderallo;  e tu  de’  tuoi  • 
Ciò  clic  t’avanza  per  gli  adusti  legni, 

0 fastidi  to  è di  si  lungo  essi  gl  io,  - 
0 che  1 lingua  o che  tema  o che  sia  manco 
Per  date  o per  sesso,  a, lui  sì  lasci, 

Ch’À*  pur  troiano,  ed  ci.lor  patria  assegni, 
Che  dal 'nome  di  lui  si  nomi  Acesta. 

* w~  * ' % 

S’accese  al  detto  del  suo  vecchio  amico 

Il  troian  duce;  e trapassando  d’  uno 
• * » 

In  un  altro  p9nsicro,  era  già  notte, 

Quando  l’ imago  del  suo  padre  Anchisc 

Veder  gli  parve,  che  dal  eiòl  discesa  > . 

tal  guisa  dicesse:  0 tiglio, .amalo 

Vie  più  de  la  mia  vita  infin  eh’  io  vissi, 

Figlio,  che  segno  sei  de  le  fortune, 

[70G-725] 

/ 

. <£  .!  . 


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* [1027-1050]  unno  v.  215 

Ertici  fato  di  Troia,  io  qui  mandalo 
Son  dal  gran  Giove,  che  dal  ciel  pietoso 
Ti  mirò  dianzi,  e i lupi  legni  ritolse 
Da  V orribile  incendio.  Attendi  al  detto- 
Del  vecchio  Natile,  e ne  )’  Italia  adduci 
(Si  come  ci  fedelmente  li. consiglia)  . 

À De  la  tifa  gioventù  soli  i più  scelti, 

I più  sani,  i più  forti  c i più  famosi, 

CI»’  ivi  aspra  gente  e ruvida  e feroce 

Domar  convicnli.  Ma  convicnti  in  prima;  ^ 

* • . 

Per  via  d’ Averno  ne  I’  inferno  addurli, 

E meco  ritrovarli,  ov’ora.io  sono, 

Figlio,  non  già  nel  Tartaro,  o fra  I’  ombre 
De  le  perdute  genti  ; ma  felice 
Tra  i felici  e tras  pii, .per  quegli  ameni 
Elisii  campi  mi  diporto  c godo. 

A questi  lochi,  aitar  chc'-molto  sangqc  - 
Avrai  di  negre  pecorelle  sparso,' 

Ti  condurrà  la_  vergine  sibilla. 

Ivi  contp  saratti  il  tuo  legnuggio, 

E ’1  tuo  seggio  fatale:  equi  ti  lascio  , 

Già  che  varcato  è de  la  notte  fi  mezzo, 

E ilei  nimico-sol  dietro  anelando 
I veloci  destrier  venir  mi  sento. 

* [.725-739] 


— * » 


246  l’ EXEMtt.  [1051-407^] 

E ciò  dicendo,  allontanossi.  c sparve. 

Dove,  padre  nc  vai^- do.<e-A’  ascondi  ? 
Dicendo  Enea,  clri  fuggi?  o chi  (i  toglie* 

Da  le  mie -braccia  ? ni  giàsopito  foco  ^ 

Si  trasse,  c lo  raccese;  c incenso  à farro'  ' 

0 (Tri- devoto  ai  sacrosanti  numi 

De  T alma  Vesta  c de’  suoi  putrii  Lari. 

ludi  i -compagni,  e pria  di  tutti  Aveste* 

De  l’ imperio  di  Giove  e de’  ricordi  , . .* 
Del  caro  padre" incontinente  avvisa, 

E M suo  parer  ne  .porge'.  In  un  mojnento.  • 

Si  propon,  si  consulta,  c s’  essequiscc. 

Acestc  non  recusa;  e già  descritti  • . . 

I nomi  de  le  madri,  degl’ -in fermi, 

E de  le  gentilhc  misliero  o cura  ... 

Avcari  più  di  riposo  che,  di  lòde. 

Essi  pochi,  ma  scelti,  e gnorri er  tutti 
Rivolti'»  risarcir  gli  adusti  legni 
Rinovaron  le  sarte,  i remi,  i banchi, 

E ciò  che  ’l  foco  avea  corroso  od  arso. 

Enea  de  la  città  le"  mura  intanto  •"  , • 
Insolca,  e i fochi  assegna;  e parte  Troia, 

E parte  Ilio  ne  chiama,  e re  n!  appelli  • 

II  buon  troiano  Aecste.-Ei  lieto  il  carco- 

[740-757]*'  * " 


» I 


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[107,5-1098]  Lipno  v.  24J 

Ne  prende;  indrcé  il  fòrp,  elegge.)  padri, 
Ode,  giudica  e. manda.  ÀllQrain  cima  . . 
De  l’ericimo  giogo  il  grtfn  rfelnbro  ^ . 

Surse  a Veorre  Id  a l io-:  e i sacerdoti  . 

• ' > 

(ìli  sì' addissero  in.  prima.  Al  Idi*  s’aggiunse 
Al  tumulo  d' AiK5hi.se  TI  sacro  boa^o.  . 

•^vea  già  nove  dì  (aiti  solenni  .... 
Sacrificii  e conviti  ; e ’f  mare  e i venti  . -, 
Eran  placfdi  e queti.  Austro  sovente 
Spirando,  in  alto  i lof  legni  invitava, 
Quando  un  pianto  dirolto;per  lo.. Irto  -, 
Lovossi,unr  condolérsi,  un  abbracciarsi.  • ‘ 

\ ^ * * m 

Che  tutto  il  dì  durò,  tutta  la  .notte.  < 

Le  mesc^iinelle  donne,  e quegli  stessi,  • 

Cui  dianzi  spaventosa  era  la  faccia  „ . 

E ’l  nome  intollerabile  del  mare, 

Voglioii  dk  nuovo  ognr  mariti  disagio.  . 
Soffrirete  de  l’éssiglio  ogni  fatica. 

Ma  li  raqueta  e li- consola  Enea 
Con  dolci  modi,  e lugrimando  alfine 
Da  lor  si  parte,  ed  al  suo  caro  Accàte 
Quanto  può  caramente  gli  accooMinwida. 
Poscia,  fatta  al  grand’  Èl  ice  in  sul  li  fo 
Di  tre  giuvenchi  offerta,  e d’  uif  agnclla 
[758-7*72] 


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218  l’  eseide.  [I099-H22]- 

A le  Tempeste,  si  rimbarca  c scioglie. 


Ed  ei  stesso  altamente  in  su  la  proda, 

Cinto  il  capo  d’oliva,  unii  gran  tazza 
In  man  si  reca,  e di  lenèo  liquore 
E di  viscere  satfre  il  mare  asperge.  . ' . 
Sorgca  da  poppa  il  vento,  c le  sals’  onde 


> 


Ne  ginn  solcando  i remiganti  a gara, 
Quando  del  figlio  Citcrea  gelosa 
Nettuno  assalse,  c seco1  querelassi 
In  colai  guisa:  La  grav’  ira  e l’  odio 
Di  Giulio  insaziabile  m’  inchina 
Ad  ogni  priego ^poscia  che  nò  ’l  tempo. 

Nè  la  pietà,  nè  Giove,  nè  ’l  destino  _ 
Acquetar  non  la"  ponilo.  E non  le  basta 
D’  aver  già’  Troia  desolata  ed  arsa, 

Che  le  reliquie  il  nome  e 1’  ossa  c ’l  cenere 
Ne  perseguita  ancora.  Ella  ne  sappia, 

Ella  ne  dica  la  cagione:  lo  chiamo 
.Te  per  mio  testinion  del’  improvisa- 
Micidial  tempesta  che  pur  dianzi 
Per  mezzo  de  l’eolide  procelle 
Mòsse  lor  contro  (tua  mercede)"  invano. 

Or  ha  1 #iniqua  per  le  mani  stesse  • 

De  le  teucre  matrone  i teucri  legni 
[772-793] 


[11-23-1 146J  libro- v.  . 249 

Dati  si  bruttamente  al  foco  in  predb, 

Perchè  i meschini,  arse  rè  navi  loro,.' 

Sian  di  lasciare  i lor  compagni  astretti 
Per  le  terre  straniere.  Or  quel  che-resta,  * 

E eh’  a te  chièggo,  è che  il  tuo  regno  pmai 
Sia  lor  sicuro,  e eh’  una  vòlta. alfine 
Tocchili  del  Tebro  c di  Laurcnto  i campi,  * 
Se  però  quel  cJT  io  chieggo  è clic  dal  cielo 
Al  miq  tiglio  si  debba,  e se  quel  seggio 
Ne  dan  le  Parche  e ’l  fato.  A -lei  de  T onde 
Rispose  il  domatore:  Ogni  fidanza  * 

Prender  puoi,  Citerea,  ne’  regni  miei, 

Onde  tu  pria  nascesti.  E non  son  pochi 
Ancor  teca  i miei  merli  fchè  più  volte 
Ilo  per  Enea  Pira  e il  furore  esibito 
E del  maree-dei  cielo.  Ed  anco  in  terra 
Non  ehb’  io  (Xanto- e Simoenta  il  sanno) 

De  la  salute-saia  cura  minore,  . 

Allor  eh’  Achille  6,lc  troiane  schiere 
Si  parve  amaro,  e che  fin  sotto  al  muro 
he  cacciò  d’.TIio,  e tal  di  lorfe  strage, 

Che. nc  gin  gonfi  e sanguinosi  i fiumi  p* 

E Xanto  da’  .cadaveri  impedito  : *' 

Sboccò  ne’  campi,  e .deviò  dql  mare.  . 
[794-80&] 


%■ 

■tf>;  f 


“250  l’  enf.ioe.  [T147--Ì 130] 

Ei  a quel' {'ionio  Enea  il’ Aetville  u fronte, 

Nè  dii  7iò  forze  uvea  eli-’  a lui  4lel  pari 

Stessero  incontro,  lo  fui  eli»  ne  la  jiuhe 

Allo r 1’  ascosi  ; io  ohe  ili  man  nel  trassi,  * 

Quando 'più  il' atterrar 'uvea  desio 
**  # 

Quelle  mura  odiose  e disleali,  . . 

Clic  pur  de  le  mie  rtìani  eràn  fattura. 

Or  ti  conforta  elio  vèr  lui  son  io  \ 

Qual  firi  mài  sempre,  e, còme  agogni-,  il  porto 

% i 

Attingerà 'sicuramente;  e’I  lago' 

Vedrà  d’  A verno, -tr.  de’  suoi  tutti  un  sok)  * 

• • -w 

Gli  mancherà.  Sòl'uii  eonvien  che  péra 
Por  còndili' -gli  altri  suoi  lieti  e sicuri. 

Poiché  «li  Citereà  la  mente  quel»-. 

Ebbe  de  Y onde  il  padre,  i sirol  cavalli  -,  • 
Giunti  insieme  c frenali,  a lente  briglie  ' - 
Sovra  de  V alto  suo  ceruleo  córro 
Abbandonofisi,  è lievemente  scórse 
-Per  lo  uiar  tutto.  S^adcgiiaron  P onde, 

Si  dileguàr  ì innubi  dovunque  apparve,.  - 
Tutto  figo mb rossi,  del  suo  corso-ai  suono, 

CIP  avoa  di.tQi  bo  il  ciel,  di  gonfio  il  mare. 

Cingeón  Nettuno  allor  da  la  man  destfa. 
Torme  di  pìstri  e di  baione  immani,  , * : 

[808-828] 

• % 

* 

. Digitfzed  by  Coogle*  ■ 


[1474.-4 194]  libro  v.  * 25-1 

Di  Glauco  ji  vecchio  coro,  é d’ Ino  il  .figlio,.  • 

E i veloci*  tritoh'i,  c tutto  insieme.  ’ -*  * 

Lo  sino!  di  Forco.. Da  sinistra  iptorne  . 

Gli  c»;a  Teti*  Melile -è  Panopèa,*  ’ 

Spio,  Nisèa,  Cimòdoce  é’Talia. . 

• m * 

Qui ; per  P amara  dipartenza  afflitto 
11  'patlpe’Eoea  rassercnoss'i  m parte, 

E ciò  che  a navigar  faeca  mìstiero 
Gioiosàrpenle  a)  suoi  còmpagìii  impose.  * 
Tiròr  P antenne,  indltjeràr  le  vele, 
Sciolserò^ammainàr,  chiaro?  alzaro, 

Ferie  marinareschedor-bisogne  G*  ‘ 

Tutti 'in  un  tempori!  in  un  tempo  insieme 
Drizzò  r le  prore  al  mar,  le  poppe  al  vento.. 
Innanzi  a tutti  eort-piàdegni  in  frotta 
Già  Palintlro,  ìtprqVidò  nocchiero/  * ' 

E gli  altri  .dietro  luf  di  mano  ih  mano.» 

Era,  Tumida  notte  a mezzo  il  cerchio  ' 
Del  ciet  salita,  e già  languidi  c stanclif.  «.  - 
Sui  duri  legnivi  naviganti  agiati- 
Prendean  quiete j quando. ecco  daPalte 
Stelle  placido. *e  liev'tf  il  Sonno  sceso  * \ . 

SÌ  fece  quanto  ìfveà  d’  aere  inforno  ’ * ! 
Sereno  e queto':  e te^  buon  PalimM*q,  • 

, [&23-840] 


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• X» 


252  ' . i/'EjfEiDE.  [II9&-1218] 

Senza  tua  colpa,  insidioso  assalso 
Porlafido  agli  ocelli  tuoi  tenebre  eterne.  • 

Ei  di  Forbantc  marinaro  esperto 
Presa-la  forma,  come  nolo,  appresso  . ‘ 
In  su  la  poppa  gli  si  pose,  e disse: 

Tu  vedi.  Palinuro;'  il  mar  ne  poi'ta 

Con  Iq  stessè  onde,  e ’l  vento  ugual  ne  spira. 

Temp*  è che  pósi  ornai:  china  la  lesta, 

E fora  gli  ocelli  a la  fatica  un  poco,  » 

Poscia  eli’  io  son  qui  leco  e per  te  veglio. 

Cui  Paliuurorgià  gravato  il  ciglio, 

Cosi  rispose:  Ah!  tu  non  credi  adunque  * - 
Gli’  io  conosca  «lei  mài*  le  perfìd’  onde, 

E ’l  falso  aspetto  ? A tale  infido  mostro 
Gli’  io  fidi  il  mio  signore  c i legni  suoi  ? ' • 
Ch’ai  fallace  sereno,  ai  venti  instabili 
Presti  fede  ió,  clic  ■son  da  lor  deluso 
Già  tante  volte?  E ciò  dicendo,  uvea 
- Le  man  ferme  al  timon,  gli  occhi  a le  stello. 

Il  Sqnno  allora  di  letèo  liquore, 

E di  sligio  veleno  un  ramo  asperso 
Sovra  gli  scosse,  e'  I’  una  tempia  e 1’  altra 
Gli  spi* uzzo  sì,  elio  gli  ocelli  anqor  rubelli 
Gli  stri  use,  gli  gravò,  gli  chiuse  alfine. 


£840-851»] 


X 


- *■ 


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[1219-1242]  libro  v.  • 254 

A peno  avean  le  prime  gocce  infusa 
La  lor  virili,  che  ’l  buon  uocchier  disleso 
Ne  giacque:  e.*1  dio  col  suo  mentito  corpo 
Sopra  gli  si  recò,  pinse  e sconfìsse 
Un  ghcron  de  la  poppa,  e lui  con  esso 
E col  temon  precipitò  nel  mare. 

Nè  gli  valse  a gridar  cadendo  aita, 

Chè  T un  qual  pesce,  e Y altro  qual  augello, 
Questi  ue  1’  onda,  e quei  ne  1*  aura  sparve. 
Nè  I*  armata  ne  gfo  però  men  ratta, 

Nè  men  sicura  ; chè  Nettuno  stesso, 

Come  promesso  avea,  la  resse  e spinse. 

Era  de  le  Sirene  ornai  solcando 
Giunta  agli  scogli  perigliosi  un  tempo 
A’  naviganti  ; oftdfe  di  teschii  e d?  ossa 
D’  umana  gente  si  vedean  da  lungo 
Biancheggiar  tutti.  Or  sol,  di  canti  invece, 
Se  n’ode  un  roco  suon  di  sassi  e <J’  onde. 
Era,  dico,  qui  giunta,  altor'ch’  Enea 
Al  vacillar  del  suo  legno  s’  accorse, 

Clic  di  guida  era  scemo  e di  temone  : 

Ond*  egli  stesso,  infin  che  ’l  giorno  apparve, 
Se  nc  pose  al  governo,  e ’l  caso  indegno 
Del  cara  amico  in  tal  guisa  ne  pianse: 

Caro.—  17.  [S57-S69] 


. | 

f 

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254 


l’ ENÉiDE.  [1243-1247J 


Troppo  al  sereno,  e .troppo  a la  bonaccia 
Credesti,  Pnlìnuro.  Or  ue.T  arena 
Dal  mar  pittato  in  qualche*  strano  li r o. 
Ignudo  e sconosciuto  giacerai,  ‘ ■*. 

Nò  chi* t'onori  avrai  nè  chi  ti  copra. 

{8I0-87J}  ' ' 


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255 


DELL"  ENEIDE 

' * 

• r 

Libro  Sesto. 


> • 

Cosi  piangendo  disse;  e navigando 
Di  Cuu\a  in  vèr  1’  euholca  riviera 
Si  spinse  a lutto  coi'so,  onde  ben  tosto 
Vi  furon  sopra,  e v’  approdat  o alfine. 
Volser  le  prue,  gitlàr  V ancore  j ci  leghi, 
Si  come  stero  un  dopo  1’  altro  in  (ila, 

Di  lungo  tratto  ricovrir  la  riva. 

Lieta  la  gioventù  nel  iito  esperio 
fiittossi;  ed  in  un  tempo  al  villo  intesi, 

•w  I 

Citi  qua.  chi  là  si  diero  a picchiar  selci, 

A tagliar  boschi,  a cergar  dumi  e fonti. 

Intanto  Enea  versò  la  ròcca  ascese, 
Ove  in  alto  sorgea  di  Febo  il  tempio, 

E là  dov*  era  la  spelonca  immane 
De  I’ orrenda  sibilla,  a cui  fu  dato 
Dal  gran  delio  profeta  animo  e mente 
I)’  aprir  1*  occulte  e le  future  cose~ 
Avea-di  Trivio  già  varcato  il  bosco, 

[Li») 


256  L*  ENEIDE.  [19-42] 

Quando  avanti  di  marmo  ornato  e d’oro 
Il  bel  tcnipio  si  vide.  È fama  antica 
Che  Dedalo,  di  Creta  tri lor  fuggendo 
Cli’  ebbe  ardimento. di  levarsi  a volo 
Con  più  felici  e con  più  destre  penne-* 

Che  ’l  suo  figlio  non  mosse,  il  freddo  polo 
Vide  più  presso;  e per  sentici'  non  dato 
A l’uman  seme,  a questo  monte  alfine  ’ 

Del  Calcidico  seno  il  cor$o  volse. 

Qui  giunto  c‘  fermo,  a le,  Febo,  de  I’  ali 
l/ordigno  appese,  e ’l  tuo  gran  tempio  eresse, 
Ne  le  cui  porte  era  da  I’  un  de’  lati  . 

I)’  Andrògco  la  morte,  e quella  pena 
Che  di  Còerope  i- figli  a dar  costrinse 
Sette  lor  corpi  a l’empio  mostro  ogn’anno: 
Miserahil  tributo!  e v’era  l’urna,' 

Onde  a sorte  eran  tratti.  Eravi  Creta 
Da  I’  altro  lato,  alto  dal  mar  levata, 

Ch’avea  del  tauro  istoriata  intorno, 

E di  Pasife  il  bestiale  amore, 

E la  bestia  di"tor  nata  bifórme, 

Di  si  nefando  ardor  memoria  infame, 
beavi  1 intricato  laberinto  ; 

Eravi  il  filo,  onde  gl’  intrighi  suoi 
[13-28] 


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[4^-6G]  libro  vi.  257 

E le  sue  cicche  vie  Dedalo-stesso, 

Per  pietà  ch’  ebbe  a la  regina,  aperse. 

E tu,  se  ’1  pianto  del  tuo  padre  e ’l  duolo 
Noi  contendea,  saresti,  Icaro,  a parte 
Di  si  nobil  lavoro.  Ma  due  volte 
Tentò  ri  tra  rii  in  oro;  ed  altrettante  . ' ' 
Si  I’  nbborrì,  che  1’  opera  e lo  stile 
Di  mai»  gli  cadde.  Era  con  gli  altri  Enea 
Tutto  a mirar  sospesi,  quando  Acate 
Tornò)  di’ era- precorso,  e seco  addusse 
Deìfobe  di  Glauco,  una  ministra 
Di  Diana  e d’  Apollo.  El la^ rivolta 
Al  frigio  duce,  Non  è tempo,  disse, 
di’  a ciò  si  badi.  Or  è d’offrir  jncstiero 
Sette  non  domi  ancor  giuvenchi,  c scile 
Negre  pecore  elette.  E ciò  spedito 
Tosto,  come  s’jinpose,  ella  nel  tempio 
Seco  i Teucri  condusse.  È da  1’  un  cauto 
Dell’  eubolca  rupe  un  antro  immenso 
Che  nel  monte  penètrà.  Avvi  d’  intorno 
Cento  vi 9,  cento  porte;  e cento  voci 
N’  escono  insieme  allor  che  la  Sibilla 
Le  sue  risposte  intuona.  Era  a la  soglia 
Il  padre  Enea,  quando,  Ora  6 il  tèmpo,  disse 

[28-45] 


2&8  L*  ENEIDE.  [67-90] 

La  vergine,  di’,  di';  chiedi  lue  sorti  : 

Ecco  lo  dio  eli’  è già  comparso  e spira. 

Ciò  dicendo,  de  l’ antro  In  su  Fa  bocca 
In  più  volti  oungiossi  c in  più  colori'; 
Scompigliossi  le  chiome;  aprissi  il  petto  ; 
he  ballò  ’l  fianco,  c ’l  cor  di  rabbia  1’  arse; 

Parve  in  vista  maggior;  maggior  il  tuono 

' * » 

Fu  che  d’  umana  voce;  e poiché.  M nume  • 

Più  le  fu  presso,  A che  baili, 'soggiunse, 

• » 

Figlio  jd’ Anelli  te?  Se  non  di’,  non  s’  apre 
Questa  di  Febo  attonita  cortina.  * • 

E 'qui  si  tacque.  Orror  per  P ossa  e gieìo 
Cqrse  allor  de’  Troiani  ; e M teucro  dufce 
Infili  da  l’ imo  petto,  orò  dicendo: 

Febo,  la  cui  pietà  mai  sempre  a Troia  ' 
Fu  propizia  c benigna,  onde  di  Pari 
Già  reggesti  la  man,  drizzasti  il  tèlo  • 
Contro  al  covpo  d’  Achille;  io,  dal  tuo  lume 
Scòrto  fin  qui,  tanto  di  mare  ho  corso* 
Tante  terre  ho  girate,  a tanti  rischi-  , 
Mi  son  esposto ;-insino  a le  remote 
Mossile  genti,  insili  dentro  a le  SLrti 
Son  penetrato;  ed  or,  pur  tua  mercede, 

Di  questa  fuggitiva  Italia  il  lite 
[iG-61] 


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' 


[91-114]  gBRo  vi.  - 259 

Ecco  lie  già  tocco,  e.ci  sor  giunto  alfine. 
Ah!  che  quésto  sia  il  fine  e qui^rimanga 
L’ infortunio  di  Troia!  È tempo  ornai,  ' 

Dii  tutti  3 Dee,  cui  la  dardapia^genté 
Unqua  fece  onta,  che  perdono  eupnee  • • 

Le  concediate.  E tu,  vergine  santa 
D?1  futuro  presaga,  .or  ne  dimostro 
li  peggio  e ’l  regno  èhe  ne  danno  i fati.  » 
(Se  pur  nèl  danno)  ove  i Troiani  afflitti,  ■ 
Ove  di  Troia  i travagliati  numi,  v-  . 

E i dispersi  Penati  alberghi  e posi; 

Ch'allov  di  saldo- marmo  a Tri  via,  a Febo 
Ergerò  tempii,  e del  supnome  i ludi  * - 
Consacrerollir  e i dì  Tèsti  c solenni. 

Ed  ancor-tu  nel  nostro  regno  avrai 
Sacri  luoghi  rèposti,  ove  serbati 
Per  lumi  c specchi  a le  future  genti  * 

Da  venerandi  a ciò  patrizi!  eletti 
Saranno  ideiti  e i vaticini i ludi. 

Quel  che  prima  ti  dileggio  è clic  i tuoi  caj'mi 
S’odan  per  la  tua  lingua,  c non  ch’jn  foglie 
Sian  da  te  scritti,  onde  ludibrio  poi  . 
Sian  di.  rapidi  venti.  E più  non  disse. 

Ella  già  présa,  ma  non  doma  ancora* 
[61-77] 


rii 


260  L’  ENEIDE.  [i  15-138] 

I lai  febeo  nume,  per  ili  sollo  trarsi  '•  * 

A si  gran  salina,  quasi  poltra  e licrd 
Scapestrata  giumenta,  per  la  grotta 
Im perversando  e mugolando  andava. 

.Ila  eom’  più  si  scotea,  più  dal  gran  dio 
Era  aflvcnata,  e le  rabbiose  labbia 
E l’efferato  corcai  suo  misterio 
Più  mansueto  e più  vinto  rcmlea. 

Eran  da  lor  già  de  la  grotta  aperte 
l.e  cento  porte,  allor  eli’  ella  gridando 
(.osi  mandò  la  sua  risposta  a l’.aura: 
Compiti  son  del  mar  tutti  i pericoli; 
Kestun  quei  de  la  terra,  che  terribili 
Stirali  veracemente  e formidabili. 

Verranno  i Teucri  al  regno  di  Lavhiio: 

Di  ciò  Callido.  Ma  beu  tosto  d’  esservi 
Si  pentiranno.  Guerre,  guerre  orribili 
Sorger  ne  veggio,  e pien  di  sangue  il  Tevere 
Saravvi  un  altro  Xanlo,  un  altro  Siinoi, 

Altri  Greci,  altro  Achille  che  progenie  *-■ 
Ancor  egli  è di  Dea.  Giulio  implacabile 
Allor  piu  li  sarà,  die  supplichevole 
Andrai  d’ Italia' a quai  non  te  ri1  e q popoli 
D aita  mendicando  e dlsossidii! 

[77-D2] 


A 


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LIBRO  Vi. 


-.2Gt 


* 


[139-162] 


E Pian  di  tanto  mal  di  nuovo  origine 

I)’  esterna  moglie  esterne  sponsalizic. 

Ma  il  tuo  cor  uon  paventi;  anzi  con  rutilino 
Supera  le  fatiche  c gl’  inferitimi; 

Clic  fua  salute  ancor  da  terra  ai  gotica 
(Quel  che  mcn  credi)  avrà  lume  e principio. 

Questi  intricati  e spaventosi  liciti* 

Dal  più  rcposto  loco  alto  mugghiando, 
ha  Cumèa  profetessa  empieo  lo  speco 
D’orribil  tuoni:  e come  il  suo  furore 
Era  da  Febo  ralTrenato-o  spinto, 

0 dal  suo  raggio  uvea  barbaglio  o lume, 
Cosi  miste  le  tenebre  col  vero 
Sciogliea  la  lingua,  è disgombrava  il  petto. 
Poiché  la  furia  e la  rabbiosa  bocca 
Quotassi,  Enea  ricominciando  disse: 
Vergine,  a me  irullu  si  mostra  ornai 
Faccia  nè  di  fatica  nè  cl’  aiTauno, 

Che  mi  sia  nuova,  o non  pensata' in  prima. 
Tutto  ho  previsto,  tutto  ho  presentito, * 

Che  da  te  nv  è predettole  tutto  io  sono 
A soffrir  preparato.  Or  sòl  li  dileggio 
(Poscia  che  qui  si  dice  esser  l’ inlrala 
De*  regni  inferni,  e d’  Acheronte  il  Ingo) 
[93-107] 


262  L’ ENEIDE.  [I63-.1&6] 

% . 

'Che  per  te  quinci  nel  cospetto  io  venga 
Del  mio  «liletto  padre;  e tu  la  porta, 

Tu  M sentici*  ine  ne  mostra,  c tu  -mi  guida. 

10  lui  dal  foco  a da1  militarmi  infeste 

i 

Tratto  ho  di  mozzo  a. le  nimichc  schiere  • 
Su  queste  spalle  ; cd  ci  scòrta  e compagno 
Del  mio  viaggio  e del  mio  cssiglio,  meco 
I perigli,  i disagi  e le  tempeste 
Del  mar,  del  .cielo  e de  1*  età  soflretìdo, .. 
Vèglio,  debile  e stanco  ha  me  seguito; 

Ed  egli  stesso  m’  ha  nel  sonno  imposto 
Che  ajè  ne  venga,  a per. tuo  mezzo  a lui 
Mi  riconduca.  Abbi  pietà,  ti  priego, 

E del  padre -e  del  tìglio;  ed  ambi  insieme 
Come  puoi, (che  puoi  tutto)  or  ne  congiungi; 
CIC  Ècate  non  indarno  a queste  selve 
V ha  d’  Averno  preposta.  Il  tracio  Orfeo 
(Sola  mercè  de  la.  sonora  cetra)  ‘ . 

Scender  potevvi,  e richiamarne  in  vita  -* 
L’amata  donna.  Ne  potè  Polluce 
Ritrarre  il  frale,  ed  a vicenda  seco 
Vita  c moige  cangiando,  irvi  e redirvi 
Tonte  fiale.  Andovvi  Tèseo;  amiovvi 

11  grande  Alcide  ; cd  ancor  io  dal  ciclo 

[408-123] 


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unno  vi. 


[IST-^NO] 


263 


Traggo  priucipio,  e son  da 'Gipye  aneli’  io. 

Così  pregando  avea  le  braccia  avyiutu 
Al  sacro,  altare,  allor  clic- la  sibilla 

• • i » • % 

A dir  riprese  :•  Enea,  germe  del  cielo, 

Lo  scender  ne  l’ A verno  è cosa  agevole.; 

Clic  notte  e di  ne  sta  1’  entrata  aperta, 

Ma  tornar  poscia  o riveder  le  stelle, 

Qui  la  fatica  e qui  I’  opra  consiste.  . . 
Questo  a pochi  è concesso,  ed  a quei  ppchi 
Ch’  A Dio  son  cari,-o  per  uman  vàlorcr 
Se  ne  poggiane  aLcielp.  A questi  è dato 
Come  a’  celesti.  Il  loco  tutto  in  mezzo 
E da  selve  intricalo,  e da  negv?  acque 
De  l’ iufernut  Cucito  intorno  è cinto. 

Ma  se. tanto  disio,  se  tanto  .amore  . .*  ' 

T’ invoglia  di  veder  due  vojlo.Stige 
K due  volle  l’  abisso,  e solTrir  osi-  • 

Un  così  grave  affanno,  odi  che  prima 
Oprar  coAvienti.  È oe  la  selva  upacu 
fra  valli  oscure  e dense  ombre' riposto 
E ne  V arbore  stesso  un  lento  ramo  . ' 

Con  foglie  d’  oro,  il  cui  tronco  è sacrato 
A Citino  inforna;  e chi  seco  divelto 
Questo  non  porta,  ne’ secreti  regni 
[123-141] 


l/  F.>EIDE. 


[2H-234] 
Penetrar  d i Plutone  urtqua  non  potè. 

Ciò  la  bella  Proserp'ma  comanda, 

(Mie  per  suo  dono  il  chiede  ; e svelto  V uno 

Tosto  P altro  risorge,  e parimente 

Ila  la  sua  Verga  e le  sue  chiome  d’  oro. 

Entra  nel  bosco,  e con  le  luci  inulto 
ho  cerca,  il  truova,  e di  tua  man  lo  sterpa  : , 

CIP  agevolmente  sterperassi,  quando 
ho  ti  consenta  il  fato.  In  altra  guisa 
Nè  con  inan,  nè  con  ferro,  nò  con  altra 
Umana  forza  mai  fi  a che  si  scili  unti, 

0 clic  si  tronchi.  Oltre  di  ciò,  nel  filo 
(Mentre  qui  badi  e la  risposta  attendi) 

Ciiace,  lasso!  d’  un  tuo,  che  tu  non  sai, 
Disanimato  e non  sepolto  un  corpo, 

Che  tutti  rende  i tuoi  legni  funesti. 

A questo  procurar  seggio  e sepolcro 
Pria  converrutti.  Or  per  sua  purga  in  prima 
Negre  pecore  adduci,  e ’n  colai  guisa 
Vedrai  gli  clisii  campi,  e i stigii  regni, 

Cui  vedere  a’  mortali  anzi  a la  morte 
Non  è concesso.  E qui  la  bocca  chiuse. 

Enea  gli  occhi  abbassando,  afflitto  e mesto 
Da  I antro  uscio,  Ira  sè  stesso  volgendo 
[141-157] 


/ 


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i 


* 


[235-258]  libro  vi. 

V oscure  profezie.  Giva  con  lui  * 

Il  fido  Acatc,  trcon  Ini  parimente 
Traea  pensieri  e passi.  Erano  entrambi 
Ragionando  in  pensar  di  qual  amico, 

Di  qual  corpo  insepolto  ella  parlasse, 

Clic  coprir  si  dovesse;  allor  clic  giunti 

« • 

Nel  secco  li  lo  in  sii  P arena  steso 
Vider  Miseno  indegnamente  estinto; 

Miseno  il  figlio  d’  Eolo,  di’  araldo 
Era  supremo,  e col  suo  fiato  solo 
Possente  a suscitar  Marta  e Bellona. 

Era  costui  del  grand’ Ettor  compagno, 

E de’  più  segnalali  intorno  a lui 
Combattendo,  or  la  tromba -ed. or  la  lancia 
Adoperava:  e poi  che  ’l  fiero  Achille 
Ettorre  ancise,  come  ardito  e fido  ' 

Seguì  l’arme  (V  Enea:  che  non  fu  punto 
Inferiore  a lui.  Stava  sul  mare 
Sonando  il  folle  con  Tritone  a gara, 
Quando  da  lui,  eh-’  aschio  sentitine  e sdegno, 
(Se  creder  dòssi)  insidiosamente 
Tratto  giù  da  Io  scoglio,  ov’  era  assiso, 

Fu  ne  I’  onde  sommerso.  Al  corpo  intorno 
Convocati  già  tutti,  amaro  pianto  , 
[158-175] 


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26G  i.’  im  ride.  [250.-282]’ 

Ed  alle  strida  insieme  ne  gittaro;  - 

% #s 

E più  degir  altri  Enea.  Poscia  seguendo 
Quel  eli’  era  lor  ila  Va  «sibilla  imposto, 

Gli  apprestaronl’essequie.  Enlròr  nel  bosco. 
Di  fere  Antico  albergo  ; ed  elei  ed  orni 
E frassini  atterrando,  alzAr  gli  alluri; 

Poser  la  tomba,  fabbricàr  la  pira, 

E la  spinsero  al  cielo.  II. frigio  duce 
Era  le  sue  schiere  di  bipenne  armalo  v 
A par  degli  altri,  e più  di  tutti  ardente 
Di  propria  mano  adoperando,  aTopra 
Essorlava  i compagni;  c fra  sè  stesso 
Pensoso,  inverso  il  bosco  il  guardo  inteso, 
Così  pregava:  Oli  se  quel  ramo  d’oro 
Ne  si  scoprisse  in  questa  selva  intanto, 

Come  n’  fia  la  sibilla,  oimò,  pur  troppo 
Di  te,  Miseno,  annunziato  il  vero! 

Ciò  disse  a pena,  ed  ecco  da  traverso.. 

Due  colombe  venir  dìil  ciel  volando, 
Cb’-avanli  a lui  sul  verde,  si  posal  o. 

Conobbe  il  magno  eroe  le  méssuggiere 
De  la  sua  madre,  c Lieto  orando:  0,  disse, 
Siatemi  guide  voi,  inatomù  augelli, 

S a ciò  senlièr  si  truova;  ite  per  l’aura 
[175-194] 


• i* 

» •f 


[2S3-306]  unno  vi.  . 267 

Drizzando  il  nostro  corso,  ov’  è de  l’ombra 
Del  prezioso  arbusto  il  bosco  opaco. 

E tu,  madre  benigna,  in  sì. dubbioso' 

Passo,  del  lume  tuo  ne  porgi  aita. 

E,  ciò  del^o,  fcrmossi.  Elle  pascendo, 
Andando,  saltellando,  a scosse,  a volo, 
Quanto  l’occhio  scorgea,  di' mano  in  ipano 
Giunsero  -ove  d’  Averno  era  la  bocca  : 

E ’l  tetro  alilo  suo  schivando,. in  alto 
Ratto  F ali  spiegavo,  e «hi  ciel.puro. 

Al  desialo  loco  iogiù  rivolte  ’ 

Si  posùr  sopra  a la  gefnclla  pianta  ; 

Indi  tra  frondi  e frondi  il  color  d’  òro, 

Che  diverso  dal  verde  uscio  raggiando, 

Di  tremulo -splendor  l’aura  percosse. 

Come  ne’  bocchi  al  brumai  tempo  suole 
Di  vischio  un  cesto  in  altrui  scorda  nato 
Spiegar  verdi  le  frondi  e gialli  i pomi, 

E con  le  sue  radici  ai  non  suoi  rami 
Abbarbicarsi  intorno;  cosi  ’l  bronco 
Era  de  l’oro  avviticehiato  a -Felce, 

Orni’  era  surto,  c cosi  lievi  al  vento 
Crepitando  moveaT  aurake'foglie. 

Tosto  che  ’l  vide  Enea  di  piglio  dieili, 
[195-210] 


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si 


2GS  l’  eneide.  [307-330] 

s 

E disioso,  ancor  clic  duro  c valido 
Gli  sembrasse,  a la  (in  lo  svelse;  e seco 
A P indovina  vergine  lo  trasse. 

Non  s’  intermise  di  Uliseno  intanto 
Condor  P esseqnie  al  suo  cenere  estremo. 

E primamente  la  gran  pira  ostruita, 

Di  pingui  lede  e di  squarciati  roveri 
V’  alzòr  cataste:  di  funeste  frondi, 

I)’  atri  cipressi  ornftr  la  fronte  c i lati, 

E piantar  ne  la  cima  armi  e trofei. 

Parte  di  loro  al  foco,  c parte  a P acque, 

E parte  intorno  al  freddo  corpo  intenti, 

Chi  lo  spogliò,  chi  lo  lavò,  chi  P unse. 

Poiché  fu  pianto,  in  una  ricca  bara 
Lo  collocaro,  e di  purpuree  vesti 
De’ suoi  più  noti  c più  graditi  arnesi  - 
Gli  feron  firegi  e mostre  e monti  intorno. 
Altri  (pietoso  e tristo  ministero) 

Il  gran  feretro  agli  omeri  addossarsi  ; 

Altri,  com’  è de’  più  stretti  congiunti 
Antica  usanza,  vólti  i vólti  indietro, 

Tenner  le  faci,  e dier  foco  a la  pira  ; 

E gran  copia  d’ incenso  e di  liquori, 

E di  cibi  c di  vasi  ancor  con  essi, 


[2.10-225] 


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LIDR0  VI. 


[331-354] 

Si  come  è F uso  a liti  cu,  entro  gillàrvi.. 

l'oidio  cessar  le  fiamme,  e ’ncenerirsi 
Il  rogo  e ’l  corpo;  le  reliquie  c I’  ossa 
l'uro»  da  Corinèo  tra  le  faville  r 

Ricerche  e sceltele  di  vi»  puro  asperse, 

Poi  di  sua  mano  acconciamente  in  una 
Di  dorato  metallo  urna  reposte. 

Lo  stesso  Corinèo  tre  volte  intorno 
Con  un  rampollo  di  felice  oliva 
Spruzzando  di  cliiar’ onda  i suoi  compagni, 
Li  purgò  tutti,  e ’ì  vale  ùltimo  disse. 

Oltre  a ch>,  fece  Enea  per  suo  sepolcro 
Ergere  un*  alta  e sontuosa  mole, 

E 1’  armi  e ’1  remo  e la  sonora  tuba 
Al  monte  appese,  che  d’  Aerio  H nome 
Eino  allor  ebbe,  ed  òr  da  lui  uoipato 
Miseno  è detto,  c si  «lira  mai  sempre. 

Ciò  finito,  a finir  quel  che  gl’  impose 
La  profetessa,  incontinente  mosse. 

Era  un’  atra  spelonca,  la  cui  bocca 
Fin  dal  baratro  aperta',  ampia  v or  ago 
Facea  di-rozza  e di  scheggiosa  roccia. 

Da  negro  lago  era  difesa  intorno1^ 

E «la  selve  ricinta  annose  e folte. 

Caro.—  [225-23S] 


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270  l’ enf.ide.  [355-378] 

Usciu  de  la  sua  bocca  a Paura  un  l'iato, 

Anzi  una  peste,  a cui  volar  di  sopra 
Con  la  vita  ivgl i uccelli  era  interdetto; 

Onde  da’  Greci  poi  si  disse  Averno. 

Qui  pria  quattro  giovenchi  Enea  condotti 
Di  negro  tergo,  la. sibilla  in  fronte 
Riversò  lor  di  vin -le  lazze  intere;  » 

E da  ciascun,di  mezzo  te  due  corna 
Di  setole  maggior  il  eiulTo  svelto, 

Diè  per  saggio  primiero  al  santo  fogo,  • - 

Beate  ad  alla  voce  in  ciò  chiamando,  ' 

De  P Èrebo  c del  ciel  nume  possente, 
l'arte  di  lor  con  le  coltella  in  mano 
Ec  vittimo  svenando,  c parte  in  vasi 
Stava  il  sangue  accogliendo.  Egli  a la  Nolte. 
Che  de  le  Furie  è madre,  ed  a la  Terra, 

Ch’  è sua  sorella,  con  la  propria  spada 
Di  negro  vello  un’  ugna, -ed  ima  vacca 
Sterile  a te,  Proserpina,  percosse. 

Poscia  a 1J  imperador.de*  regni  inferni 
Notturni  altari  ergendo,  i tauri  interi 
Sopra  a le  iìamme.jinposc,  e di.pingue  olio 
Ce  bollenti  lor  viscere  consporse. 

Ed  ceco  a P apparir  del  primo  solò 
[239-255] 


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1 


271 


[379-402]  libro  vi. 

Mugghiò  la  terra,  si  crollaro  i monti, 

Si  sgominar  le  selve,  ut-lòr  le  Furie 
Al  venir  de  la  Dea.  Via,  viaprofani, 
Gridò'  In  profetessa,  ileue  lunge 
Dal  bosco  tutto;  e tu  meco  te  n’entra, 

G la  tua  spada  impugna.  Or  d’ uopo,  Enea, 
Fa  d’animo  e di  cor  costante  e fermo.  . 
Ciò -disse  ; e da  furor  spinta,  «on  lui, 

Ch’  adeguava  i syoi  passi  arditamente, 

Si  mise  dentro  a le  secrete  cose. 

O dii,  che  sopra  I’  alme  imperio  avete, 
0 l ac  il' ombre,  o Flegelonte,  o Cao, 

0 ne  la  notte  e nel  silenzio  eterno'' 

Luoghi  sepolti  e bui,  cou  pace  vostra 
Siami  di  rivelar  lecito  a’  vivi 
Quel  c’  Ito  de’ morti  udito;  Ivan  per  entro 
La  cicche  grotte,  per.  gli  oscuri  e vóli 
Regni  di  Dite  ;,e  sol  d’  errori  e <1*  ombre 
Avean  rincontri:  come  ehi  per  selve  •• 

Fa  notturno  viaggio,  alior  che  scema 
La  nuova  lung  è da  le  nubi  involta,  - 
E la  grand’  ombra  del  terrestre  globo 
Priva  di  luce  e di  color  le  cose.- 

Nel  primo  entrar  del  doloroso  regno 

[25G-273] 

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L'  ENEIDE.  [403-42GJ 

Stanno  il  Pianto,  l’Angoscia,  c le  voraci 
Cure,  e i pallidi  Morbi  e'M  «loro  AtTunno' 

Con  la  dcbil  Vecchiezza.  Evvi  la  Tema-, 

Kvvi  la  Fame:  una  eli’ è freno  al  bene,* 

1/  altra  stimolo  al  male  : orrendi  lutti 
E spaventosi  aspetti.  Avvi  il  Disagio, 

La  Povertà,  la  Morto,  e ile  la  Morte 
Parente,  il  Sonno.  Avvi  de’ cor  non  sani 
Le  non  sincere  Gioie.  Avvi  la  Guerra, 

De  le  genti  omicida,  e de  le  Furie  . 

1 ferrati  .covili,  U Furor  folle, 

L’  empia  Discordia,  cho  di  serpi'  ha  ’l  cripc, 
E di  sangue  mai  sempre  il  volto  intriso. 

Nel  mezzo  erge  le  bracoia  annose  al  cielo 
Un  olmo  opaco  e grande,  ove  si  dice 
Clic  s’  annidano'  i Sogni,  e eh’  ogni  fronda 
V’ha  la  sua  vana  imago  c ’l^suo  fantasma. 

- Molte,, oltre  a ciò,  vi  sou  di  varie  fere 
Mostruose  apparenze.  Imsu  le  porte 

I biformi  centauri,  e le  biformi 
Doe  Sci  1 le  : Brìarèo  di-cento  doppi: 
l.a  Chimera. di  tre,  che  con  tre  bocche 

II  foco  avventa:  il  gran.  Serpe  di  Leena 
Con  sette  teste.;  e eoh  tre  corpi  umani 

[374-28H] 


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nano  vi. 


273 


[427-460} 

tirilo  e Gerióne;  e coti  Medusa 
Le  Gòrgóni  sorelle  ;e  I*  empie  Arpie,* 

Che  sob* vergini  insieme,  augelli  c cagne. 

Qui  preso  Ènea  da.sùbila  paura. 

Strinse  la  spada, e la. sua  punta  volse 
Incontro  a Pombre;  e se  non  ch'ombre  e vile 
# Vote  de’ corpi  e nude,  furine  £ lievi 
Conoscer  ne  le  fé  la  saggia  guida,  * 
Avrebbe  impeto  fatto,  e vanamente*  . 

In  vane  còse  ardir  mostro  c vplore. 

Quinci  preser  la- via  là  ’ve  si  varca/ 
il  tartareo  Acheronte.- Un  fiume  è questo 
Fangoso  e torbose  fa  gorgo. e vorago,  , 
Che  bolle  e frange,  e col-  suo  negro  loto 
Si  devolvo  in  Codiò.  È guardiano 
E passeggierò  a'questa  riva  imposto 
Carón  Demonio  spaventoso  ò so*7.o,. 

A cui  lunga  dal  mento,  incolta  ed  irta 
Pende  canuta  barbx^  Ha, gli  occhi  1100081 
Come  dr  bragia.  Ha  con  un  groppo  al. collo 
Appeso  tin  lordo  ammanto,  e con  un  pah),. 
Che  gli  fa  remo,  e con  la-vela  regge 
1/  affumicato  legno,  onde  tragitta 
Su  P altra  riva-  ognor  la  ‘gente -morta* 
[239-3041 


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274 


l’eseide.  [454-474] 


Vecchio  è d’ aspetto  e d’anni;  ma  di  forzo. 
Come  dio,  vigoroso  e verde  è sempre. 

A questa  riva  d’ogn’  intorno  ognora 
IV  ogni  età,  d’  ogni  sesso  e d’  ogni  grado 
A schiere  si  traean  I’ anime  spente,  ' 

E de’ tigli  anco  innanzi  a’ padri  estinti. 

Non  tante  foglie  né  V estremo  autunno 
Per  le  selve  eader,  non  tanti  augelli 
Si.  veggon  d’alto  mar  calarsi  a lemf, 
Quando  il  freddo  gli  caccia  ai  liti  aprichi, 
Quanti  eron  questi.  I primi  avanti  orando 
Chiedean  passaggio,  c coirle  sporte. mimi  • 
Mostravano  il  disio  de  l’altra  ripa. 

.Ma  il  severo  nocchiero,  or  questi  or  quelli 
Scegliendo  o rifiutando,  una  gran  parte 
Lunge  tenea  dal  porto  e da  P arena. 

Enea  la  moltitudine  e ’i  tumulto 
Meravigliando,  Ond’  è,  vergine,  disse, 
Questo  concorso  al  tiumq?  c qual  disio. 
Mena  quest’alme?  e qnal  grazia,  o divieto 
l a che  queste  dan  volta,  e quelle  approdano? 

A ciò  la* profetessa  brevemente 
Cosi  rispose:  Enea,  stirpe  divina 


Veracemente  (che  di  ciò  n’accerta 
[304-322] 


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LIBRO  VI. 


2-75 


[175-498] 


Il  qui  vederti),  là  Cocito .stagna; 

Quinci  va  S.tige,  la  palude  .e  *1  nume 
Per  cui  di  spcrgiuta*  fino  agli  Dei  ' 

Del  ci  eh)  è formidabile  e tremendo. 

Questi  è Caronte  il  suo  tristo  nocchiero; 
Quella  turba  che  passa,  è de’  sepolti ;• 
Questa  che  torna,  è de’  meschini  estinti 
Che  nè  tomba,  hè  lagrime,  nè  polve 
Ebber  morendo.  A lor  non  è concesso 
Traiettar  queste  ripe  e questo  fiume, 

Se  pria  fossa  non  ban  seggio  e covcrchio. 
Erran  cent’  anni  vagolando  intorno' 

A questi  liti,  e ’l  disiato  stagno 
Visitando  sovente,  infin  eh’  al  passo 
Non  sono  ammessi-.  Enea  di  ciò  pensando, 
.Mosso  u pietà  de  la  lor  sorte  iniqua, 
Kermossi;  ed  ecco  incontro  gli  Si  fanno 
Mesti,  d’essequie  privi  e di  sepolcro 
Leucaspi,  e ’l  coiidultor-de’  Licii  Oronte, 
Ambi  Troiani,  ambi  dal  vento  insieme 
Coi  Licii  tutti,  e cdn  l’ intera  nave 

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Nel  mar  sommersi. 'Appresso  Palinuro 
Il  gran  nocchier  de  la  troiana  armata, 

Che  dianzi  nel  tornar- di  Libia,  il  cielo 
[323-338] 


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276  - t’ ENEIDE.  ,[499-622] 

E le  stelle  mi  l'andò, -in  mar  fu.  tratto. 

A costui  si  rivolse  ;-c  poiché  1’ e[ibc 
Per  entro  una  granii' ombr.a  u pena  scoi  lo, 
Cosi  prima  gli  disse:  0 Paliniflvo,  . 

K (piai  fu  degli  Dei  eli’ a noi  li  tolse, 

Ed  a Ponile  ti  diede?  Or  Io  mi  conta: 

Gilè  deluso  dìi  Febo  ampia  non  Cui, 

Se  non  se  in  te:  Febo  predisse  pure  . 

Che  lu  nosco  del  mar  Securo  e salini 
Italia  a't  fingeresti.  Ali!  dunque  un  dio*  . 
E ilio  del  <ycro,  in  tal  guisa  ne  frod.a ? 
Rispose  Palinuro:  indilo  duce, 

Piè  P oraeoi  (l’Apollo  ha  (e  deluso, 

ÌNè  P ira  ha  me  di  Dio  nel  mar -sommerso; 

Che  ’J  U'inone,  oud’ fornai  non  ini  drvelsi 

« 

Per  tua  salute,  ancor  per  man  ritenni  . 
Allor  eli’  in  mai'e  io  caddi.  Io  giuro,  Enea, 

Per  Fonde  irate,  che  di  me  non  tanto 

• > ' 

Quanto- der  tuo  periglio  ebbi  timore. 

Che  non  la  nave  tua,  del  mio  governo 
Spogliala  e del  suo  freno,  al  mar  già  gonfio 
Restasse  in  preda.  Austro  tre  notti  intere 
Cen  la  sua  correntia  per  I’  ampio  mare 
Mi  trasse  p forza.  Il  quarto  giorno  a pena 
[339-356] 


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[523-646] . libro-  vi.  277 

BiScQvcrta  l'Italia',  a poco  a poco 
M'  accostala  la  terra-;  e giunto  ornai» 

Così  eom'  era  Ancor  di  veste  grave  • 

E stanco  c molle,  con  I’  adunche  mani 
M'  aggrappava  a la  ripa,-  e salvo  fòro; 

m Se  ndn'cli*  ignara  e fera  gente  incontro,  . 

* Cori)’  a preda  marina,  mi  si  fece, 

E col  t'éfro  m’  aheise.  Or  ltfngo  ai  liti 
Vassené  il  corpo  mio  ludibrio  a' venti  " * 
E scherzo  ai  flotti.  Ed  io,  signore  invitto. 
Per  la  superna  Juce,  per  quell-  aura 
Onde  si  vive,  per  tnotpadre-Anchlsè, 

Per  le  spcrdnze  del  Ino.  figlio  luto, 

Priegoti  a sovvenirmi;  o che  di* tèrra  ' 

Mi  c'uopra  (Come  puoi)  cercando  il  corpo 
Per  la  spiaggia  di  Velia, *o  in  altra  guisaf 
S’ allea  ne  ti  sovviene,  o li  si  mostra  * 

Da  la  tua  diva  madre  ;*c!ȏ  non  Senza 
Nume  divino  un  tal-passaggio  imprendi.-. 
Porgimi  la  tua  destra,  e teco  tra  rumi  - 
Oltre  a quell'  acqtife,'  perchè  mòrto  almeno 
Pace  troovi  e riposo.  Avea  ciò  detto, 
Quando  cosi  la  vergine  rispose: 

Ali  ! Palinore,  e qual  dira  follia 
[357-373] 


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278  l’ eneide.  [Ó47-570] 

A ciò  t’ invoglia?  Non  sepolto  adunque 
1/  acque  di  Stige  e la  severa' foce 
Traicttar  de  I’  Gumcnidi  prosami? 

Tu  di  qui  tòrti  a l’altra  riva  intendi 
Senza  comiato?  Indarno  indarno  speri 
Che  per  nostro  pregar  fato  si  cangi.  * 

Ma  con  questo  t’  acqueta, -e  ti  conforta 
De  P infortunio  tuo;  chè  quelle  teine 
Vicine  al  luogo,  ove  il  tuo  corpo  giace  , 

Da  pestilenza  e da  prodigi!  astrette 
Lo  raccorranno,  e con  solenne  rito 
(ili  faran  sacrificii,  essequie  c tomba  ; 

E da  te  per  innanzi.avrà  quel  loco 
Di  Palinuro  eternamente  il  nome. 

Lieto  (P  un  tanto  onore,  e consolato 
Da  tale  annunzio,  il  travagliato  spirto 
Restò  contento  ed  appagato  in  parte.. 

Indi  il  camin  seguendo,  a la  riviera 
S’  nppvossimaro;  e il' passeggici’  da  Luige,  • 
Poiché  senza  far  motto  entro  a la  selva 
Passar  gli  vide  c ’ndirizzarsi  al  vado: 

Olà,  ferma  costi,  disse  gridando, 

Qual  clic  tu  sci,  eli’ al  nostro  fiume  armato 
leu  \ai  sì  baldanzoso;  e di  costinci, 
[373-389] 


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I 


571-6943  UB,>0  v'' 

Di’  chi  sci,  qutl  che  cerchi,  c perche  vieni: 

Chi  notte  solamente  . sonno  ed  ombre 
Han  qui  ricetto,  e non  le  genti  vive. 

Cui  di  varcare  al  mio  legno  noli  eci 

E s’ Ercole  e Tesòa  e Pirilòo 

Ciò  V accettai,  scorno  e dolore  io»  ebbi; 

Chi  I’  un  d’ cesi  il  tartareo  custode 
hicatenovvi,  e,  di  sotto  anco  al  se*^'“ 

Del  proprio  re,  tremante  a l auro  ,1  Ha»». , 
E gli  altri  infili  dal  marnale  albki  g» 

Rapir  di  Ditelo  regina  osavo. 

Nulla  di  queste  insidie,  gli  rispose 
l.a  profetessa,  a macchinar  si  viene. . 
Stanne  sicuro-,  c quest’  orme  a di 
Si  portan  solamente,  e non  ad  onta- 
Spaventi  il  con  tritane,  asuo .diletto 
Le  palliti'  ombre;  eternamente  lai 
Ne  l’  antro  suo  ; col  suo  man  “ 1 
Si  stia  casta  Proserpinu  mai  semi' re, 

Che  di  nulla  celi  cale.  Enea  troiano  - 
ù (li  pietà  famoso  e d armi, 

em  per  disio  del  padre  iufino  al  Comjo 
De  I’  Èrebo  discende;  e se  1 esempli 
-ni,  min  ti  commuove, 

Di  tonta  carilo  non  » 

raxy-AOo] 


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280  l’ e^eide.  [595-618] 

Questo  almcn  riconosei.  E fuor  ilei  senp 
D’  oro  il  tronco  traendo,  altro  non  disse. 

Ei  rimirando  il  venerabil  dono 
De  la  verga  fatai,  già  ili  gran  tempo  • 

Non  vc.luto  ila  lui,  l’orgoglio  c l’ ira 
Tosto  ilcpose,  é la  sua  negra  cimba 
A lor  rivolse,  e ne  la  ripa  stette. 

Indi  i banchi  sgombrando  e ’1  legno  tutto, 
1/  anime  óbe  già  dentro  erano  assise, 

Con  sùbito  scompiglio  uscir  ne  fece, 

E ’l  grand’  Enea  v’ accolse.  Allor  ben  d’altro 
Parve  che  d’ ombre  curco;  e si  coni’  era 
Mal  contesto  e scommesso,  cigolando 
Chinossi  al  peso,  c più  d’  una  fissili"» 

A la  palude  aperse.»  Al  fin  pur  salvi  , 

Ne  E altra  ripa,  tra  le  canne  e i giunchi 
Sul  palustre  suo  limo  ambi  gli  espose. 

Giunti  che  furo,  il  gran  Cerbero  udirò 
Abbaiar  con  tre  gole,  e ?l  buio  regno 
Intonar  lutto*,  indi  in  un  antro  immenso 
Sei  videi*  pria  giacer  disteso  avanti, 

Poi  sorger,  digrignar,  rabido  farsi, 

Con  tre  colli  arruffarsi,  e mille  serpi 
Squassarsi  inforno.  Allor  la  saggia  maga, 
[40G-4I9] 


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V tnr 


[619-642]  libro  vi.  2M 

Traila  di  mòlo  c d’ incantate  biade 
l'qa  ta-l  soporifera  mistura, 
fa  gitiò  dentro  a le  bramose  canne. 
Egliiingordo,  famelico  e rabbioso 
Tre  bocche  aprendo,  per  tre  goje  oh  ventre 
Trangugiando  inandoila,  e 4011  sei  lumi  v 
Chiusi  dal  sonno,  nnzrcol  corpo.tulto 
Ciacque  ne  1’  antro  abbandonato  c vinto. 

.Cerbero  addormentato,  occupa  Enea 
D’  Èrebo  il' passo,  e ratto  s’  allontani) 

Dal  fiume,  cui  chi  varca  unqua  non  riede. 

Sentono  al. primo  entrar  voci  e vagiti 
Di  pargoletti  infoiai,  che  dal. latte  . 

E da  le  culle  acerbamente  syejii 
Videi*  ne’  primi  di  I’  ultima  sera. 

N arcano  appressi  condannati  e morti" 
Senza  lor  colpa,  c unirseli za  compenso  ' 
Di  giudizio-c>di  sorti.  Han  quelle  genti 
Così  disposti  c divisati  i lochi. 

Sta  MLnos  ne  I’  entrata,  e l’urna  avanti 
l icii  de’  lor  nomi,  e le  lor  vite  cssnmina,* 

E le  lor  colpe;  e quale  è questa  o quella, 
Tal  le  dòsito,  eTq  rauoa  c parte. 

Passai!  di  mano  in  ihano  a quei  clic  feri 
[419-434] 


19. 

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2$2  l*  eneide.  [G43--666] 

Incontro  a sè,  la  luce  in  odio  avendo 
E Palme  a vile,  anzi  al  prescritto  giorno 
Si  son  da  Iqro  ihdegnamenle  alleisi. 

Ma  quanto  ora  vorrebbono  i meschini  ’ 
Esser  di  sopra,  e povertà  vivendo 
Soffrire  e de  la  vita  ogni  disagio! 

Ma  ’Pfato  il  nrega,  e nove  volte  intorno  * 
Stige  odiosa  gli  ristringe  e fascia. 

Quinci  non  luuge  si' distende  un’  ampia 
Campagna,  che  del  Pianto  è nominata; 

Per  cui  fra  chiusi  còlli  e fra  soUnghe 
Selve  di  mirti,  occulte  se  ne  vanno 
L’  alme,  e’  ha  léra  mente  arse  e consunte 
Fiamma  d’ amor,  eh’ ancor  ne’ morti  ò vi\u. 

Qui  videi*  Cedrò  e Proeri  cd  Erifile 
Infida  moglie  c sfortunata  madre. 

Di  cui  fu  parricida  il  proprio  figlio; 

Vider  haodamia,  Pasife, ^Evadile, 

E Cùneo  con  esse,  che  di  donna 
ln*uomo, -ed’  uomoalfin  cangiossi  in  donna. 

Era  con. queste  la  fenissa  Dido* 

Che  di  piaga  Tecenle  il  petto  aperta  • 

Per  la  gran  selva  spaziando  andava. 

I osto  clic  lo  fu  presso,  Enea  la  scòrse 
[434-452] 


DiyitizuO  by  Googte  * 


LIBRO  Vh 


[067-600] 


2S3 


Per  entro  a l’ ombre,  qual  chi  vede  o crede 
Veder  tal  volta  infra  16  nubi  e ’L-chiaro  • 
La  nova  luna,  ullor  che  i primi  giorni 
Del  giovinetto  mese  appena  spunta  : 

E.di  dolcezza  intenerito  il  core 
Dolcemente  inirolla,  e pianse  e disse: 
Dunque,  Dido  infelice,  e’  fu  pur  vera 
Quell’  empia  che  di  ite  novella  udii, 

Che  col  ferro 'finisti  i.  giorni  tuoi? 

Ah  eh’  io  cagion  ne  fui!  HI»  per  le  stelle, 
Per  gli  superni  Dei,  per  quanta  fede 
Ifa  qua  giù,  se  pui*  v’  liu,  donna,  ti  giuro 
Che  mal  mio  grado  dal  tuo  lito  sciolsi. 
Fato,  fato  celeste,  imperio  espresso  », 

Fu  del  gran  Giove,* c quella  stessa  forza, 
Che  da  V etcria  luce  a questi  orrori 
De  la  profonda jì otte  ormi  conduce, 

Che  da  te  ini  divelse;  e mai  creduto 
Ciò  di  me  non  avrei,  che  ’l  partir  mio 
Cagion  li  fosse  oud;  a morir  ne  gissi. 

Ma  ferma  il  passo,  e le  mie  luci  appaga 
De  la  tua  vista.  Ah!  perchè  fuggi?  e cui? 
Quest’  è V ultima  valla,  oimèl.clie.’l  fato 
Mi  dà  eli’  io  ti' favelli,  e loco  io  sia. 

[.tò2-4G6] 


.r)  \i  jfoj-' 
• **  #! 

• i"r  gt  •• 


28 i l’eseiue.  [691-714] 

Così* dicendo *e  lacrimando,  intanto 


Placar,  tentavi  o raddolcir  quell’ alma, 

Ch’  una  sol  volta  disdegnosa  e torv.ar 
Lo  rimirò,’  poscia  o.con  gli  occhi  in  terra, 
0 con  gli  *o  inferi  vòlta,  ai  delti- suoi 
Stette  qual,  alpe  a l’aura,  ©scaglio  a Tonde. 

A I fin  «mentre  diòea,  come  nimica  *' 
fili  si  tolse  davanti,  c ne  la  selva 
Al  suo  «caro  Sichèo,  cui  fhunma  Uguale 
E par  cura  acccndca,  si  ricondusse. 

Nè  però  nien  dolente  q.  men  pietoso 
Hestonnc  il  teucro  duce," anzi  quaut’  oltre 
Potè  eon  gli  ocelli,  c lungo  spazio  poi 
Col  pianto  e coi  sospiri  accompagno! Ui.  _ • 
Coscia  tornando  al  suo  fatai  viaggio 

Giunse  là  ’vc  accampato  era  in  disparte 

6 • 

Gente’ di0 ferro  e di  valore  armata.  < 

Qui  ’l  gra-p  Tidèo,  qui -’l  gran  figlio  di  Marte 
Partenopeo,  q^i  del  famoso  Adrasto 
La  pallid’  ómbra  Tncoutro.gli  si  fece. 

Quinci  de’ suoi  più  nobili  Troiani 
Un  gran  drappello  avanti  gli  comparve. 
Pianse  a veder  quei  glóilosi  eroi, 

Tanto  di  sopra  disiati  e pianti, 

[4G7-481] 


* 


L715-73&]  lujro  vi.  givo 

Coinè  Glaueo,  Xersiloeo,  Medonte  ' ’ , 

I tre  figli"  il’  Antenore,  il  Sacrato' 

A Cerere .ministrò  Polibete, . 

E’l  chiuTo  Idèo  con  l’arinHmco  e coj  carro. 

é 

Fatto  gli  avean  costor  chi.  Un. man  destra, 
Chi  da  sinistra  unafcorona*  intorno.  , 

Nè  d’ averlo  veduto  éran  contenti, 

Clȏ  ciascun  desiava  essergli  appresso. 
Ragionar,  passeggiar,  far  seco  indugio, 

E spiar  cóme  e d’oòdce  perchè  venne.  ' * 
Ma  degli  Argivi  e le. falangi  e i duci, 
Quand’egli  appai:ve,<fchc  tea  lor  n©  l’ombre 
1 lampi  folgoràr  de  1’  armi  sue, 

Da  gran  timor  furo  .assaliti;  e piarle 
Volser  le  terga,  com4  già  fuggendo 
Verso  le  navi^  e parte  alzàr  le  voci 
Che  per  tema  sembrAr  languide  e fioche.  ' 
Deifobo,  di  Priamo  il  gran  figlio. 

Vide  ancor  qùi,  chè  crudelmente  anciso 
(n  disonesto,  e miserabrl  guisa'  * 

Avea  le  man,  gli  orecchi,  il  naso  e ’l  volto 
Lacerato,  incischiato  e- monco  tutto. 

Per  temenza  iLmeschipo,  e per  vergogna 
D’  esser  veduto,  con  te  tronche  braccia 
Caro.—  19.  [4*3*4971* 


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I », 


* • \ J h.l\:  * 

••  ’ ^ lift. 


2SG  l’  eneidc.  [739-762] 

Uj|  fi  brutto  spettacolo  celando, 


Indarno  si  Tacca  schermo  e riparo; 

Oli’  al  fui  lo  riconobbe,  e-con  I -usata  * , 
Domestichezza  incontro  gli  si  fece, 

Cosi  dicendo  : Poderoso  eroe, 

Gran  germoglio  di  Teucro,  c chi  sì  crudo 
Fu  mai,  chi  tanto  osò,  cui  ii. permise 
Che  facesse  di  te  strazio  sì  licro?  ' 

La  notte  clic  seguì  l’orribrl  caso 
De  la  nostra  ruina,  io  di  le  seppi' 

* • 

Ch’assaliti  i nemici  e di  lor. fatta 
Strage  che  memorabile  tia  sempre, 

Tra  le  caterve  de’  lor  corpi  estinti, 

Stanco  via  più  clic  vinto,  aliin  cadesti;* 
Ed  al  lor  io  di  lieto  in  su  la  riva 
A l’ombra  tua  con  le. mie  mani  un  vóto 
Sepolcro  eressi,  e te  gridai  tre  volle  ; 

E ’l  nome  e Carini  tue  riserba  ancora 
Il  loco  stesso.  Io  te,  dolce  signore, 

Nò  veder,  nò  coprir  di  patria  terra 
Avanti  al  mio  partir  mai  irou  potei. 
Deifobo  rispose:  Ogni-jnetoso,  < 

Ogni  onorato'officio,  Enea  mio  caro, 

Ha  P amor  tuo  vòr  me  compito  a pieno. 
[498-510J 


Diqitigoò  byXjOOglc 


763-786]-  libuo  vi.  287 

Ma  1’  empio  falò  mio,  1’  empia  e malvagia 
Argiva  donna  ù- tal  in’  Ita  qui  condotto; 

E tal  di  sè  lasciò  memoria  al  mondo. 

Ben  ti  ricorda  (e  ricordar  leu  dèi)  • 

Di  quell’  ultiiuu  notte  che  sì  Ijeki 
Mostrqssi-in  pria,  poi  ne  sì  volse  in  pianto. 
Quando  il  fatai  cavallo -il  salto  fece 
Sopt-aìc  nostre  murale  ’l  ventre  pieno  ' 
I)’  armate^schiere  ne  votò  fin  dentro 
A 1’  alta  ròcca.  Allora  ella  di  Bacco 
Fingendo  il  coro,  e con  le  frigie  donne  - 
Scorrendo  in  tresca,  una  gran-face  in  inailo 
Si  presele  diè  con  essa  il  cenno  alGreci. 
lo  dentro  alla  mia  camera  (infelice!) 

'.ili  ritrovai  sol  quella  notte;  e stanco  - 
Di  laulexlie  n’aveu  con  tónti  affanni  -, 
Verghiate  avanti,  un  tal  prcudeu  riposo 
Che  a morte  più' clic  a sonno  era  simile.  * 
Fece  la  [Tuona  moglie  ogn’tormc  intanto 
Sgombra r di  casa,  eia  mh*  fulu  spado 
I\li  sottrasse  dal -capo.  Indi  la  por.ta 
Aperse,  e Menelao  dentro  v*  accolse, 

Così  sperando  tin  prey oso  dono-  - 
Fare  al  marito;  c de’  suoi  falli  antichi 
(5ll-5’271 


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288  l’  enejde.  [787-810] 

Riportar  venia.  Che  più  dico?  Basla-  ' 

Ch’cntràr  là  V io.dormia.;  e con  eési  era 
Pei*  consultore  Ulisse.  0 dii,  se  giusto  • 

È.M  pricga  mio,  ricompensate  voi 
Di  quest’ opere  > Greci.  E tu  che  vivo 
Sei  qui',  dimmi  a rincontro,  il  caso,  o ’I  fato 
0 I’  errore  o ’l  precetto  "degli  Dei, 

0 q imi  altra  fortuna  t’ha  condotto, 

Ove  il  sol  mai  nou  entra  e (mio  è sempre. 

• # f- 

Cosi  tra  lò'r  parlando  e rispondendo, 

Avea  già. ’l  sol  del  suo  cerchio  diurno  . 
t Varcalo  il  mezzo,  e l’avria  forse  intero; 

Se  non  che  la  Sibilla  rampognando  * .* 

Così  gli  fe  delbrevc  tempo  accorti: 

Enea,  giù  notte  fassi^  c noi  piangendo 
Consuiuiam  1’  ore.  Ecco  siam  giunti  al  loco 
Dove  la  strada- in  due  sentici*  si  parte. 
Onesto  a man  dritta  a la  città  ne  porla 
Del  gran  Plutone;  c quindi  ai*tam(?i  Elisi; 
Quest’  altro -a  la*  sinistra  a I’  empio  abisso 
Ne  guida,  ov’ hanno  i rei  supplizio  eterno. 

Il  figlio  a ciò  di  Priamo  soggiunse: 

Non  ti  crucciare,  o dql  gran  Delio  umica, 
Ch’or  oe  dà  voi-  mi  'tolgo,  u dii  -rifiry. 
[527-Ó4Ò]- 


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-jgagasiBu. 


£811-834}'  LiBfto  vi.  ' -289 

Piede  tenebre  mie.  Tu  nostro'tmore, 

Vaiteli  felice,  già  che  scòrto  sei 

Da  miglior. furto  ; 6 meglio  tè  n’ avvenga. 

Tanto  sol  disse,  c sparve. .Enea. si  volse.  , 

Prima  ji  sinistra,  e sotto  un’  alto,  rupe 

Vide  un’  ampia  Città  die  tre  gironi 

Aven  di  mura,  cd  un  di  -fiume  intorno  • 

Ed  era.il  fiume  il  negro  Flcgetontc,  • * 

Ch’  al  Tartaro  con  éùono  e con. rapina 

1/  onde  seco  truca,  le  fiamme  e-i. sassi. 

♦ , 

Vede  nel  primo  incontro  una  g^an- pòrta 
C’  ha  la  soglia,  i pilastri  e le  colonne  " 

D’  un  tal  diamante;  che  le  forze  umane,  \ 
Nòtlegli  stessi  Ilei,  romper  noi  ponilo.  • 
Qui  nei' si  spicca  una  gran  Jorre- in  alto s.  ' 
Tutta  di  ferro.- A guardia  de  l’ entrata 
La  notte  e ’l  giorno  vigHando^tssisa 
Sta  la  fiora  Tesifone  succinta,.  • '• 

Col  braccio  ignudo,  insanguinata  e torva. 
Quinci  di  lai,  di-pianti  e di  perisse 
E di  stridordi  ferri  e di  catene 
Cotale  un  suono  udissi,  che  spavento 
Enea  .sentitine;  c.raUenulo  il  passo, . . 
Dimmi;  vergine;  disse,  l che  clulitti  ' 
[5A5-560]- 


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Ipy»  .u^Vv 


290  l’ihèide.  .^[83à-8à8] 

Son  qur  puniti? -e  che  pianti  son  questi? 

Ed  ella:  Inclito  sire,  a nessun  lece, 

Che  buono  e giusto  sia,  di  portar  oltre 
Du^quella  soglia  scelerata  il  piede. 

Ma  ine  di  ciò  elio  dentro  vi  s’accoglie 
Ècate  instrusse  allor  ch’ai  sacri  boschi 
Ali  prepose  d’ Averno;  c d’  ogni  pena 
K d’  ogni  colpa  e.d’  ogni  loco  a pieno, 
Quando  seco. vi  fui,  notizia  diemnii. 

Questo  è di  Raduniamo  il  tristo  regno, 
hà  dov’  egli  ode,  essamjua,  condanna 
K discuopre  i peccati,  che  di  sopirà  n. 

Son  da  le  genti  o vanamente  ascosi  * 

In  vita,  o non  purgali -anzi  a la  morte: 

Nè  pria  di  Radamanto  esce  il  precetto, 

Che  Tesifonc  è presta  ad  esscguirlo. 

Ella  con  l’una  man  la  srerza  impugna, 

Ne  l’altra  ha  serpi  ; ed  ambe  intorno  arrosta, 

E grida  e fere,  e de  le  sui  sorelle 
Le  mostruose  ed  empie  schiere  tutte 
Al  ministerio  de*  tormenti  invita. 

Apronsi  l’-essecrate  orrende  porte 
Stridendo  intanto.  Tu,  che  quinci  vedi 
Che  faccia  è quella  che  di  fuor  le  guarda, 
[ód  1-575] 


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* ■ 

. 


[JSÓ9-&8-2]  libro  vi.  w*JI 

Peusa  qugl  a veder-sia  dentro  un’  Idra 
Ancor  più  fiera  aprir  cinquanta  incordo 
Rabbiose  bocche'.  Jl  Tartaro  vicn  dopo  ; 

Una  vorago  che  due  volte  tanto 

Ha  di  profoodo, .quanto  in  su  guardando  1 

È da  la  terra  al  crelo’  c qui  nc  I’  imo' 

Suo  baratro  dui  fulmine  trafitti 
Son  gli  antichi  Titàni  al  eiel  rubclli. 

Qui  vidi  ambi  ti’  Alùo  gli  orrendi  figli,  . - 
Che  scinder  con  le  mani  il  cielo  osare, 

E tór  Io-scettro  del. suo  regno  a Giove.. 

Vidi  vi  1’  orgoglioso  Sulmonèo 
Di  sua  ieinerilà  pagare  il  fio  ; 

Che  temerario  veramente  ed  empio 
Fn  di  voler,  quale  il  Tonante  iu  cielo, 
'fonar  qua  giuso  c folgorare;  a pruovn. 
Questi  su  quattro  §uoi  giunti  destrieri, 

La  man  di  face  armulo  alteramente 
Per  la  Grecia  scorrendo,  c fin  per  inerbo 

t t 

IV  Eli.de,  ov’è  di  Giove  il  maggior  tempio, 
Di  Giove  stesso.il  nume,  c de  gli  Dei 
S’ attribuiva  i sacrosanti  onori. 

Folle,  che  con  le  fiaccole  e co’  bronzi,  ■ 

E con  lo  scalpitar  de’  suoi  ronzoni 
[&7G-590] 


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292  i,*  cteide.  [888-906] 

I tuoni,  i, nembi  e i folgori  imitava 

Cli’ imitai*  non  si'ponuo;  e lien  fu  degno 

Oli’  ei  provasse  per -man  del  patire  eterno 

I)’  altro  fulmine  il  colpo  e d’  altro  -va/npo 

Clic  di  tede  e di  fiwiio,  e degno  ancora 

Che  nel  baratro  andasse.' Eravi  Tizio, 

• 7 • 

Quei  de  la  terra  smisurato  alunno. 

Che  lien  disteso  di  campagna. quanto,,  ' 

Uh  giogo  in  nove  giorni  ara 'di  buoi. 

• ^ | 
O’uesti  Ita  sqpra  un  famelico  avoltorc, 

• # 

Clic  con  lradunco  rostro  al  cor  d’ intorno 
(ili  picchia  e rode;  e perchè  sempre  il  pasca, 
Non  mai  lo  sdenta. sì  ohe  ’l  pa$to  eterno, 

Ed  eterna  non  sia  la  pena  sua; 

Clic  fatto*'»  chi  lo  sccpip.ia*  esca  e ricetto,  ' 

* * * • 

Del  suo  proprio  martir  s’  avanza  e cresce; 
E pcrclrè  sempre  langua,  iniqua' non  more. 
Di  Là[iiti  a clic  parlot  ti' IssJón.e 
Di  L’tritòo,  e di  quegli  altri  tutti, 

C.ui  sopra  al  oapo  un’atra  selce, pende 
Che  grave  c ruijnosa  tìd  ora  .ad  ora*  • , 

Sembra  clic  caggia?  Avvi  la  mensa  d’-oro 
Con  preziosi  cibi  in  regia  guisa 
Apparecchiati  e proibiti  insieme:: 

[591-605] 


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[907-930]  fcianq  vi.  293 

Che  la  Fame,’ inferii»!  furia  maggiore. 

Gli  siede  accanto  jecóin’più  ’l  gusto  incende 
Di  lui,  più  dal  gustarne. indietro  LI  t rag  gè, 

E sorge*  e la  sua  face  estolle  e grida. 

Quei  che  son  vissi  ai-lor  fratelli  amari; 
Quei  c’  bau  battuti  i pad  ri  j quei  ebefrode 
Huono  ordito  a’  clienti  ; i ricchi  avari, 

E scarsi  a’  suoi,  di-  cui  hi  turba  è grande  ; 
Gli  occisi  in  adulterio;  i violenti, 

Gl’  infidi,  i traditori  in  questo  abisso 
Ilaii  tutti  i Jor  ridotti  c le  lór  pei\e. 

E die  pena  e die  fórma  c die  fortuna 

• * * / 

Di  ciascun  sia,*  non  è d’ uòpo  eh’  io  dica: 

Ma  dii  sassi  rivolgono,  e chi  vólti  . 

Son  da  le  |*tiole,  ed  nitri-in -altra  guisa 
Son  tormentati.  In  un  petroli  eontiUo’ 

Vi  siede,,  e sederavvi  eternamente, 

Tèseo  infelice;  e Flegia  infdieissmio  " 

Va  tra  l’ ombre  gridando- ad  alta  voce: 
Imparate  da  me  voi  clio^mirate 
La  pena  inia:*non  violati  il  giusto, 
Riverite  gli  Dei.  Tra  questi  tali 
È cbi  vendè  la  patria  ; dii  la  pose 
Al  giogo  de’  tiranni  ; dii  per  prezzo  ' 
1606-622] 


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291  !.’  F.NF.inr.  [93 1-9541 

l'cec  leggi  c ilisfi'cc  ; chi  di»  «stupro 
K di  figlia  mucchiato,  o di  si roccl i i :i  ; 

Tutti  che  brutte-ciLcmpic  scclcranze 
Hanno  osato,  o commesso;' e cento  lingue 
E cento  bocche,  c voci  anco  di  ferro, 

Non  basteriun  per  divisare  i nomi 
K le  forme  de’  vi/.ii  e de  le  pene 
Ch’entro  vi  sono.  Poiché  la  sibilla 
Kbhe  ciò  (letto.  Via.  soggiunse,  attendi 
A l’ impreso  viaggio,  è studia  il  passo; 

Clic  già  le  mura  da’ Ciclopi  estratte 
Mi  veggio  avanti,  e sotto  a quel  grand’arco 
La  sacra  porta  che  ’l  tuo  dono  aspetta. 

Cosi  mossi  amhidne,  lo  spazio  tutto; 

Ch’  era  nel  mezzo,  per  sentiero  opaco 
Posto- varcando,  anzi  a la  porla  furo. 

Incontinente  Enea  l’ intra  la  occupa; 

✓ 

Di  viva  acqua  si. spruzza:  c ’l  sacro  ramo 
A la  regina  de  I’  inferno  affigge. 

Ciò  fatto,  a i luoghi  di -letizia  pieni, 

A P amene  verdure,  a le  gioiose 
Contrade  de’  felici  e de’ -beati 
Giunsero  alfine.  È questa  una  campagna 
Con  un  iicr  più  largo,  e con  la  terra 
[622-640] 

1 . 

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[96^-978]  libro  vi.  .29 

Clic  di  un  lume  iK  puipura  è vestila, 

Ed  ha  ’l  suo  sole  e le  sue  stelle  anch’  ella. 
Qui  se  ne  siati  le  fortunale  genti, 

Parte  in  su’  prati,  e parte  in  su  1’  arena 
Scorrendo,  Volteggiando,  e varii  giuochi 
Di  piacevo!  contesa  essercitando. 

Parte  in  musiche, rrt  feste,  in  balli,  in  suoni 
Se  nc  vnn  diportando,  ed  Imn  con  essi 
Il  traéro  Orfeo,  eli’  in  lungo  obito  e sacro 

t 

Or  con  le  dita-cd  or  col  plettro  eburno, 
Sette  nervi  diversi  insieme  imiti, 

Tregge  del  muto  legno  umani  accenti. 

Qui  di  Teucro  l’ antica  e beila  razza 
Facea  soggiorno  ; quei  fumosi  eroi  " 

Cb’  in  quei  tempi  migliori  al  mondo  furo, 
Ilo,  Assàrac'o,  Dàrdano,  quei  prinii  • 

De  la  gran  Troia  fondatori  c regi. 

Veggon  da  lunge  le  vane  arnie  ed  carri 
A lor  d’ intorno,  e Y aste  in  terra  fisse, 

E gli  sciolti  destrier  per  la  campagna 
Vagar  pascendo  ;,chè  ’l  diletto  antico 
E de  l’ Armi  e de’  cafri  e de’  cavalli 
Gli  segue  anco  sotterra.  ImlLalfri  altrove 
Scorgono,  etie  da  destra  e da  sinistra 
[640-656] 


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2‘>G  i.’eseide.  [979- J 002 

Cnnvivnndo  £ cantando,  sopra  l'erba 
Si  stanno  assisi,  cd .Itati  di  lappi  intorno 
Un  odorato  bosco,  onde  il  l’a-sorge 
Sopra  la-  terra,  e spazioso  inonda. 

li  questi  crai)  oolor  clic. combattendo 
Non  fur  di  sangue  a la  lor  patria  avari: 

K quei  che  saèerijoki' erano  in  vita 
Castamente  vissuti  c quei  veraci, 

N . r # 0 

K quei  pii  c’Iian  di  (pia  parlato  o scViilo 
Cose  degne  di  Febo,  c gl’  inventori  • * 

De  Farli,  bnd’ è gentile  il  mondo  e bello, 
li  quei  clic,  ben  oprando,  bau  tra’  mortali 
Fatto  di  fama  o di  memoria  acquisto; 

Cui  tutti,  in  segno  di  celeste  onore. 

Candida  benda  il  fronte  orna -e  colora. 

A questi,  eh’  a la  vergine  sibilla 
Fer  cerchio  intorno,  ed  a Museo  tra  loro, 
Che  dagli  omeri  in  sii  gli  altri  avanzava, - 
Diss’ ella:  Alme  felici,  e*  tu  buon  vate. 
Ditene  in  qual  contrada  e ’n  qual  magione 
Qui  tra  voi  si  ripara- il  grande  Anchisc, 
Chèqui  cerchiamo,  e sol  per  lui  varcati 
IV Èrebo  i fiumi  c le  caverne  avemo. 

A cui  .Museo  cosi  breve  rispose:  v 

[657-672] 


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[1003-IQ26]  libro  vi.-  297 

Ntilto  è di  iiqi.ctì’ insalare  luogo  alloggi 
Come  in  suo  propria;  e tulli  o per  le  sacre 
Opacbe  selve,  o per  J*  amene  Vive 
De’ chiari  fremi  o per  gli  erbosi  prati  . 

Tra  riva  e fonti  i nostri  alberghi. aveino.'- 

Sia  se  di  ciò  vi  calertene  dieco  - . » v 

* 

Sovr’  a quel  giogo;  e quindi  agevolmente 

» • 

Il  sentior  ne  vedrete;  In  .ciò  si  mosse 
Come  Ior  guida,  e sopra  al  colle  asceso 
Mostrò  Ior  d’  alto  i luminosi  campi. 

Additò  ’l  calle,  ed  inviolUal  piano. 

Èra  per  avventura  in  una  valle.  . 
Atvchise,  che 'da  poggi  era  ricinta, 

R ili  yerde  coverta.  Ivi  in  disparte  . < 

De’  suoi  nepoti  avea  l’ anime  accolte*  > 
Cir  a la  vita  di  sopra  eraii  chiamate, 

Fi  facendo  di  Ior  rassegna  e mostra 
Gli  annoverava,  essa  minava  i fati,  , 

Le  fortune,  fi  valor, di’manQ.in  mano, 

Gli  ordini  e i tempi  loro.- Enea  comparve' 
Sul  campo,  intanto;  a .pui  tosto  che  ’l  vide 
Lieto  Aneli isO  avventosstr  e coirle  braccia 
In  alto  d’  accoglienza,  0 figlio,  disse 
Dolcemente  piangendo,  io  pur  ti  veggio, 
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298  l’emide.  [1027-4050] 

l’m’  soi  venuto,  Ita  pur  la  tua  pictadc 


Superati  i disagi  c la  durezza 
Di  si  strano  viàrio.  Ècco  m’ è dato 


Di  veder,  figlio,  il  tuo  bramato  aspètto, 

E sentirli  e parlarli,  lo  di  ciòpunlo  - 
Non  era  in  forse,  c sol  pensava  al  quando, 
Contando  i giorni.  Oli  dopo  quanti  affanni. 
Dopo  quanti  perigli,  o quanti  stoppii 
E di  mare  e di  terra  io  li  riveggio! 

E quanto  ebbi  timor  che  di  Gartago  * • 

Venisse  al  corso  tuo  sinistro  intoppo!» 

Ed  egli  a lui:  La  sconsolata  imago. 

Che  mie,  padre,  di  te  sovente  apparsa,  - 
Per  te  per  le  veder  qua  giù  m*  ha  Fratto, 

K ili  sopra  (in  qui  salvo  a la  riva 
Del  mar  Tirreno  il  mio  navile  Ó sorto. 

Or  dammi,  padre  mio,  domini  eh’  io  giunga 
La  mia  con  la  tua  destra,  c grazia  fammi 
Clic  di  vederti  e di  parlarti- io  goda. 

Mentre  cosi  dicea,  di  largo  pianto 
Rigava  il  volto,  e distcndea  le  palme; 

E- tre  volte  abbracciandolo,  altrettante 
(Come  vento  stringesse,  o fumo,  o sogno) 

Se  ne  tornò  con  le  man  vote  al  petto. 
[687-702]' 


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[1064-1074]  unno  v».  299 

Intanto  Enea  per  culto  a la  gran  valle 

Vide  scevra  da  l’-ullre  una  foresta, 

f % 

I cui  rami  sonar  da  lunge  udiva.  • . 

A piè  di  questa  era  di  Lete  il  rio  * 

Ch’ai  dilettosi  e fortunati  campi 

Correa  davanti,  e piene  avea  le  ripe  ~ -*/ 

. Di  genti  mirumerubili,  eli’  intorno 

A caterve  aliando  ivano  in  guisa 

Che  fan  le  pecchie  a’ ciliari  giorni  estivi. 

Oliando  di  fiore  in  /fior,  di  giglio  in  giglio 

Si  van  posando,  e per  i’ apriche  piagge •* 

Dolcemente  ronzando.  Enea,  che  nulla"- 

Di  ciò  sapea,  di  sùbito  stupore 

Imi  sovraggiunlo,  c la  cagion  spianilo,  ' 

0,  disse,  padre,  che  riviera  è quella? 

K clic  gente,  e chò  mischia,  e die  bisbiglio? 

1/  anime,  gli  rispose,  a cui  dovuti 

Sono  altri  corpi,  a questo  fiume  accolte  - 

lléon  dimenticanze  e lunghi  oblii 

De  1*  altra  vita;  c questi  io  desiava 

Che  tu  vedessi,  e che  ila  me  n’udissi 

I nomi  e i gesti,. onde  contezza  a pieno 

Del  nostro  sangue,  e piena  gioia  avessi 

De  1’  aéqoisto  d’ Italia.  0 padre,  adunque, 

[703-7  K)] 


300  L’cnEiDE  [1075-1 098] . 

Soggiunse  Enea,  credei*  si  dee  che  .Pai  me, 
Che  son  qui  scansile  e libere  c felici, 

Cerchili  di  nuovo  a la  terrena  ialina, 

Di  nuovo  a la  prigion  tornar  de’ corpi? 

E. qual,  misere  loro!  empio  desire 
Del- lume  di  lagsù  tanto  le  invoglia  . 

Figlio,  rispose  Aneli ise,  acciò. sospeso 
Più  noli  vacilli  in  questo  duino,  ascolta; 

(E  ’n  tal  guifa  per  ordine  gli  narra): 

Pnmierumpnt.e  il  cid,  la  terra  e ’l  mare, 
L’afir,  la  luna,  il* sol,  quanto  è nascosto. 
Quanto  appare  e spi  a ni’- è',  muove,  nndriscc 
E l egge  un,  che  v’è  dentro,  o spirto  o mente 
0 anima  clic  sia  de  P universo; 

Che  sparsa  per  lo'tutlo  e per  le  parti 
Di  si  gran  mole,'  di  sè-P  empie,  e seco 
Si  volge,  si  rimes'cQla.e  s’unisce. 

Quinci  Puinu.ii  legnaggio,  i brilli,  i pesci, 

E ciò  che  vola,  c ciò. che  serpe,  bau  vita, 

E dal  foco  e dal  eiel  vigore  e ^eme 
Truggon,  se  timi  se  quanto  il  pondo  c ’l  gielo 
De’ gravi  corpi,  e le-caduche  meiphra 
he  fan  terrene  c tìirde.  E quincTancora  * 
Avvici!  che  téma  e speme  e duolo  e gioia 
[719-733] 


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1 101)9-4  libro  vi.  301 

Vivendo,  te  conturba,  e die  Vinchi  use 
Nel  tenobroso  carcere,  e-  ne.  1? ombra  • * 

Del-  mortài  velo,  a le  bellezze  eterne  , 

Non  ergali  jgliocclri.Ed,  oltre  q ciò,  morendo 
Perchè  siali  fuor  itela  terrena  vesta» 

Non  del  tutto  si  spogliàn  le  ineschine 
. De  le  sue  macchie j chè  'l  corporeo, lezzo 
Si  I’  ha  per  lungo  suo  contagio  infette, 

Che  scevre  anco.dal  corpo, -in-nuova  guisa 
Le  tien  contaminale,  impure  c,sozzc. 

Perciò  di  purga -han  d’  uopo,  c per  purgarle 
Son  de  ir  auliche  eplpejn  varii  modi 
Punite  e travagliate  : -alt4*e  ne  l’aura 
Sospese  al  vento,  alt re-me  L’acqua  immerse. 
Ed  altre  al  foco  raffinate  eli  arser 
Chè  quale  è di  ciascuna  il  genio  e ’l  fallo, 
Tale  è’1  castigo.  Indi  a venir  n’'è  dato 
Negli  ampli  elisi»  campi  ; e poche  siamo  ^ 
Cui  si  lieto  soggiorno  si  destini. 

Qui  stiamo  inducile  ’l  iempe  a ciò  prescritto 
. D’  ogni  immondizia  .ne  forbisca  c terga, 

• Si  eli’ a nitida' fiamma, -a  semplice  aura, 

A puro  etcrio  senso  ne  riduca. 

Quest’  almejutìe,  poiché  di  ipiU’auni 
Caro.  — 20.  [733-748] 


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302  l’ eneide.  [1123-11  46] 

Uan  vólto  il  giro,  alfi»  son  qui  chiamate 
. Di  Lete  al  fiume,  e ’u  quella  riva  fanno, 
Qual  tu  vedi  colà,  turba  e concorso. 

Dio  le  vi  chiama,  acciò  eh’  ivi  deposto 
Ogni  ricordo,  mcn  de’ corpi -schive, 

K più  vaglie  «li  vita  un’  altra  volta 

4 

l'oruin  di  sopra  a riveder  le  stelle. 

Ciò  detto,  Anchise  a quelle  genti  in  mezzo 
Condusse  il  figlio,- e la  sibilla  insieme; 
fi  prese  uncolle,  ove  le  schiere  tutte, 

Si  come  ne  venian  di  mano  in  mano, 

Avea  d’  incontro,  e le  scorgea  nel  volto. 

Or  qui  ti  mostrerò,  soggiunse  Anchise, 
Quanta  sarà  ne’  secoli  futuri 
•la  gloria  nostra;  quanti  e quai  nepoti 
De  la  Dardania  prole  a nascer  hanno; 

E quante  del  mio  sangue  anime  illustri 
Sorgeranno  in  Italia.  Indi  a te  conte 
Le  tue  fortune  e L. tuoi  futi  saranno. 

Vedi  colà  quel  giovinetto  ardito 
Che  su  quell’  asta  pura  il  braccio  appoggia? 
Quegli  a la  luce  è-destinato  in  prima, 
Primo  che  di 'Lavinia  in  Lazio  avrai 
figlio  postumo  ft  le  già  d’unni  grave, 
[7-48-764] 


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[H47-H70J  libro,  vi.  303 

di’  alfin  da  lei  fuor  de  le  selve  additilo, 

Re  sarà  d’  Alba,  e degli  albani  regi 
Autore  e-padre;  e Sii  vi  i dui  suo  nome 
Fiati  tutti  i nostri,  che  da  Idi  discesi 
Ivi  poscia  gran  tempo  imperio  avranno. 

Proca  è qtici  dopo  lui,  gloria  e splendore 
De  la  stirpe  troiana;  e quegli  è Capi, 

E quegli  è. Numitore;  e l’altro  appresso 
È Silvio  Enea, -cileni  tuo  nome  rinova; 

E se  fia  mai  che  ’l  suo -regno  ricovri, 

Non  sarà  men  di  te  pietoso  e forte. . 

Mira  che  gioventù,  mira  che  forze 
Mostrali,  solo  a vedérli.  Appo»,  costoro 
Quei  che  sou  là  di  quercia,  inghirlandali, 

Di  Gabii,  dlNoinento,  c ili  Fidcnc  .. 

Parte  propughcrnnti  il  piuciol  regno, 

Parte  su’  monti  il  tempio  ti  porranno 
D’ luue,  e la  terra  che  da  lui  dirassi, 

E Collazia  e-Pómezia  e Boia  e Cora; 

Clic  questi  nomi  allor  quei  luoghi  avranno 
6h’* or  ne  son  senza.  In  compagnia  de -Favo 
Romolo  se  ne  vien,  di  Marte  il  tiglio,. 

Di  Roma  il  padre.  Al  mondo  Ill.a  darallo 
De  la  stirpa  d’  Assprncoiin  rampollo.. 
[7B5-786] 

✓ 


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301  ..  l*  eiìeidb.  [1174-4194] 

Veti i I colò,  c’4m  iù  su  la  teslà  un  elmo 

l 

Con  due  cimieri,  e tal,  clic  il  pini  re' ‘Stèsso 
Ciià  par  eli’  in  cielo  e irei  suo  seggio  il  ponga. 
Quest],  figlio,  sarà  quel  grami’ eroe, 

Onde  i suoi  primi  gloriosi  àuspieih 
Avrà  l’inclita  Roma, quella  Roma, 

(Mie  setto  monti  entro  al  suo  cerchio  accolti, 

• •* 

Tanto-si  stenderà,  clie  fia  con  1’  armi  k- 
Uguale  al  mondo,  e con  le  nienti  al  cielo; 
Roma  di  cosi  prodi  e'òliiari  figli 
liladre  felice.' Tal  di  Rerecinto  ^ 

• La  maggior  maitre  infra  i leoni  assisa, 

E di  to^rri  altamente  indoro  nata 
Va  per  la  Frigia,  gloriosa  e lieta 
Clic  tanti  ha  tìgli  in  gioì,  tiepoli  in  seno,’ 
Tutti  clic  dii  già  sono  odii  si  fanno. 

Or  qui,  figliuolo;  ambe  le' luci  affisa  « 

A mirarla  tua  gente  e i ino!  Romani. 
Cesare  è qui.  qui  la  progenie  è;  tutta  ' 

Del  grande  lido,  a cui  già  s’  apre  il  cielo.- 
Questi,  questi  è colui  cliè  tanfe  volle 
T’è  già  promesso,  il  gran  Cesare  Augusto, 
Di  divo  padre  figlio,  e divo  tfneh’  egli. 

Per  lui  risorgerà  quel  seco!  d>  oro, 
[780-793] 


MfiRO  VI. 


305 


[M93-4&18J 

Quel  ilei  vefchiqlSahirno  antico' regno, 

*Ciie  fe  ’l  Lazio  sì  bello  e’1  mondo,  tulio. 
Q'uesli  oltre  ai  Garamantied  oltre  agl7  ImJi 
Impererà  fin  dove  il  sóle  e Tanno 
Non  giunge, e più  non  va  se  non  s’arretra: 
Trapasserà  di  là  dal  inaurò  Atlante 
Che  con  gli  .omeri  suoi,  folce  le  stelle. 

Al  venir  di  <^o$tui,  sol  de  la  voce  ~ 

Che  ne  danno  i profeti,  i Caspii  regni, 

La  l^eoticn  terra,  e quanto  inonda 
Il  sette  velie  ^eminató^Niloj 
Tremar  già  \eggio,  e star  pensoso  e mesto.. 
Tanto  del  mondo,  ij  glorioso  Alcide 
Non  corse  mai,  se  beq  de’  Ceselliti, 

Di  Lerna  c d’firimanto  i mostri  ancise-, 

Nè  lauto  ne  (tornò  chi  domò  gl’ Indi,  , 

. E rtel  trionfo  suo  di  viti  e pàmpini  /• 

A le  tigri  di  Nisa  il  giogo  impose.- 
E sarà  poi  clic  ’l  valor  nostro  manchi 
Di  gloriar,  e tu  di  speme  e d’  ardimento 
Di  far  d’  Ausonia  il  desiato  acquisto? 

Ma  chi  fia  questi  che  da  lung*  scorgo 
Si  venerando,  il  cria  cinto  d’olivo, 

Con  quelle  bende  e con  quei  sacri  arredi? 
VMA-810] 


30G  l’  eneibe.  [1219-1242] 

A la  chioma,  a la  barba  irla  e canuta 


.Ili  sembra,  ed  è «li  Roma  il  santo  rege, 
Clic  dal  picciolo  Curi  a grande  impero 
Sarà  «la  lei  chiamato,  e sarà  il  primo 

Clic  cerimonie  inlrodnrravvi  e leggi. 

% * 

A lui  Tulio  vien  dopo,  il  forte  e saggio, 
Ch’  ai  dismessi  trionfi  rivocando 


l.a  genie  già  per  lunga  pace  imbelle, 


l.a  tornerà,  di  neghittosa  e mite, 

Un’  alita  volta  armigera  e guerriera.  . 
Anco  ò quell’ altro  che  lo  segue  appresso, 
('die  d’onor  troppo  e del -favor  del  volgo 
I)i  già  si  mostra  ambizioso  e vago. 

Or  vedi  là,  se  di  vedvidi  agogni, 

Anco  i Tarquinii  regi,  e quel  superbo 
Vendicato!*  de  la  superbia  loro, 

Bruto,  consol  primiero,  e quei  saoi  fasci 
E quelle  accette  ond’  ei,  padre  crudele, 

De  lu  patria  buon  figlio,  i figli  suoi 
Per  l’altrui  bella  libcrtadc  ancide.  - 
Infortunalo  lui!  che  clic  dopoi 
Da  la  posterità  se  ne  favelle. 

Vince  il  puhlico  amore,  e’1  gran  desio 
l)’  umana  lode  in  lui *1’ affetto  interno  1 
[8.1  1-824] 


oogle 


[1243-1 2ff6]  libro  vi.  307 

De  In  natura  e de]  suo  sangue  stesso. 

Mira  poco  in. disparte  i Deeii,  i Densi, 

Il  severo  forquate  e ’1  buon  Camillo  ; ‘ 

1/  uuo  che  tien  già  la  secure  in  mono, 

E l’altro  che  da’  Galli  ne  riporta 
1 perduti  vessilli;  I due,  che  vedi 
Sì  risplender  ne  1'  arnli,  e die  rinchiusi 
In  questa  notte,  s.em brano  a la  rista 
Gir  di  pari  e d’ accordo,  oh  se  a la  vita 
Vengou  di  sopra,  quanta  guerra  e quale, 
Con  che  strage  di  genti  e con  tjhe  forze, 
l'aran  tra  loro!  Il  suocero. da  Polpi 
É da  P-occaso,  il  genero  .da  4’  orto 
Verrà  P un  contea  P atirò.  Ah  figli,  ah  figli, 
Non  così  rio,  non  cos\  fiero  apuso 
D’armar,  voi  comtr’a  voi,  contr’a  le  viscere 
De  la  patria  vostra!  E tu  che  traggi 
Dal  ciel  legnaggio,  tu  mio  sangue,  astienti 
Da  tanta  Xer iti»;  perdona  il  primo, 

E gilfa  P armi  in  terra.  Ecco  qhi  vincc- 
Corinto  e ’l  popol  greco,  e ’n  Campidoglio 
Trionfando  ne  saglie.  Ecco  chi  d’  Argo 
E di  Micena  ancor  Te  torriaibbàlte,  r 
E chi-IMrro  debella  e’1  seme  estingue 
[824-840] 


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■ 


308  l’  u.neide.  [I267-1290J 

• % 

Del  belli  case  Addile;  alta  vernicila 
Clic  ben  degli  avi  ricompensa  i danni, 

® Y 0 

E M tempio  violalo  db  Minerva. 

Dove  lass’.iole,  gran  Catone,  e Cosso? 

E i Gracchi,  e i due  gran  folgori  di  guerra 
Ambedue'  Sci  pioni,  ambi  Africani, 

Strage  F un  di  ■Caetago^c  P altro  essizio? 
DoveTalirizio.il  povero,  e potente 
Con  la  sua  povertà?  Dove  Serrano, 

Gli’ è, ''di  bifólco,  al  grande  imperio  assunto? 
Dove  restano-i  FaUii?  Eccone  un  solo, 
Massimo  veramente,  che-Con  arte 
■ Terrà  il  nemico  trqpquillando  a bada. 
Abbinsi  .gli  altri  de  I’ altre  arti  il  vanto  ; , 
Avvivino  i colpri  c i bronzi  é i mai-mi; 
Muovano  con  la  lingua  i tribunali, 
Mostrinogli  F astrolabio  c col  quadrante  ' 
Meglio  del  elei  le  stelle  e i mòti  loro: 

Clic  ciò  meglio  sapran  forse  di  Voi;' 

Ma  voi,  Romani  miei,  reggete  il  mondo 
Con  F imperio  e con  F armi,  e F arti  vostre 
Sien  F esser  -giusti  in  pace,  invitti  in  guerra; 
Perdonare  -a’  soggetti,  adeòr  gli  umili, 
Debellare  i superbi.  In  questa  guisa 
[840-855J 


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tiano  vi. 


809 


[1291-134*] 


Parlava* H santo  vèglio,  ed  essi  attenti 

Stavan  con  meraviglia  ad  ascoltarlo; 

, ■ ' 7 \ 
Quando  soggiunse:  Ecco  di  qua  Marcello; 

Mira  come  se  n.’ entra  adorno  e carco 

■ • • 

D’  opime  spoglie,  e quantojigli  altri  avanza. 
Quesl’  è qyel  generoso,  eh’  a grand’  uopo 
Yien*di  Roma  a domare  i Penici  Galli, 

E del  gallica  duce  i fregi -e  darmi 
La  terza  volta  al  gran  Qurrino  appende. 

Qui  videdìnea  eli’ un  giovinetto  a pari  * 

Gli  si  ti*ae"à,  eli’’ era  d’  arnesi  e d’  armi 
E via^prù  ^ii  beltà  vago  e lucente; 

Se  non  che  poco  lieta  nveaTa  fronte** 

E chino  il  visti.  Onde  rivolto-nl  padre, 

Eclu,  disse,  è costui  che  V accompagna? 
Saria  de’  figli  o de’  nipoti  alciino 
Del  gran  ftostrojegnnggro?  € che  bisbìglio 
E che  mischia  Ira  d’intorno  ?0  quale  e quanto  * 
Di  già  ini  sembra!  Sla  gli  veggio- al  capo 
D’atra  notte  girati  di -sopra  un  nembo..  . 

Anchise  lagrirtùmdo  gli  rispose: 

Amaro  desiderio  Tl  cor -ti  toeca 
A voler,  figlio,  un  gran  danno,  un  gran  lutto 
Udir  de’  tuoi.  Queslj,  a la  luce  a peua 
[855-870] . 


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310  i/ us  Et  de.  [1315-13381 

Verrà,  che  ne  fia  tolto.  0 dii  superai. 
Troppo  parravvi  la  romana  stirpe 
Possente  allor  che  in  sul  fiorir  preciso 
Ne  (in  si  vago  c si  gentile  arbusto. 

i • 

0 che  duolo,  o che  pianto,  o clic  funebre 
Pompa  ne  vedrà  Roma  e’1  Marzio  campo  ! 
Qual,  Tiberino  padre,  a la  tua  rivo 
Nuova  se  n’ergerà  funesta  mole! 
tìermc  non  sorgerà  del  seme  d’ilio 
Più  di  questo  gradito,  uè  ehc  tanto 
De’ latini  avi  suoi  la  speme  estolta; 

Nè  la  terra  di  Romolo  arò  inai 
Piglio  onde  più  si  pregi  e pfù  si  vanti. 

(>  pietà  non  più  vista!  o fede  antica!  ‘ 

O verlù  senza  pari  ! E qual  nc  1’  armi 
Sarà?  Chi  sosterrà  P incontro  suo 
Pedone  o cavalier  eli’  armato  in  giostra, 

0 pur  nel  campo,  il  suo  nemico  assalga?  \ 
Miserabil  fanciullo!  Così  morte 
Te  non  vincesse,  come  invitto  fora 
Il  tuo  valore,  c come  tu,  Marcello, 

Non  men  de  P altro,  eroica  vertute. 

E più  splendore  c più  fortuna  avresti.. 
Datemi  a pione  mani,  oud’io  di  gigli 
[870-b84] 


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[1339-1362]  librò  vi.  311 

E di  purpurei,  fiori  un  nembo  sparga, 

Che,  se  ben  contro  al  già  fisso  destino 
M’  adopro -invano,  almen  con  questi  doni 
L’ombra  d’ un , tanto  mio  nipote  onori. 

Dopo  ciò  detto,  per  gli  aerei  campi 
Vagando, a partea  parte  e l’ ombre  e i lochi 
Gli  mostrò,  l’ invaghì,  tutto  d’umore 
De  la  futura  gloria  il  cor  gli  accese, 
ludi  le  guerre  e le  fortune  sue 
D’ Italia,  di' Laurehto,  e di  Latino 
La  figlia,  il  regno,  i popoli  e lo  stato 
Tutto  gli  rivelò.  D’  ogni  suo  affanno 
(Come  a fuggir,  come  a soffrir  P avesse) 

Gli  diè  lume  e compenso.  Escono  i'Sogni 
D’ inferno  per  due  porle;  una  è ili  corno, 
L’altra  è d’avorio.  Manda  il  corno  i veri, 
L’avorio  i falsi;  e per  P'eburna  Anchise 
Diede  (quando  4or  iliè  connato  alfine) 

A (a  sibilla  ed  al  suo  figlio  uscita. 

Enca^verso  le  navi  a’  suoi  compagni 
Fece  ritorno.  Indi  sciogliendo,  dritto 
Lungo  la-riva  il  suo  corso  riprese; 

E giunto  ov’oggi  è di  Gaiela  il  porlo, 
L’afferrò,  giltò  P ancore,  e fer mossi. 

[3hà-9U2] 


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[1**8] 


312 


* DELL’  ENEIDE 


. Libro  Settimo. 

•v  ( * * 

■ Rii  ancor  tu,  d’  Enea  fida  nudricc 
Gaieta,  ni  Giostri  liti  eterna  fama  . 

DéstP  morendo,  edcssi  anco  a tc  diero 
Sede  onorata,  stvd’-onore  a’  morti 
È d’  aver  1’  ossa  consecrnte  e 'I  nome 
Tic  la  famosa^Esperia.  Ebbe  Gaieta-,  . 

Dal  suo  piovoso  alunno, essequic  e lutto, 

E sepoltura  alteramente  eretta. 

Indi, <già  fatto  i)  jnaij  tranquillo  c quoto, 
Spiegàr  le  vele  a’ venti,  e i venti  al  corso 
Eran  secondi  ; e *11  sul  calar  del  sole 
La  luna,  che  sorgea -lucente  e piena, 
Chiare  1’  onde  Iacea  tremule  e crespe. 
Uscir  dot  porto;  e pria"  raserò  i liti 
Ove  Circe  del  Sol  .la  ^icea  figlia  •• 

Gode. felice,  e mai' sempre  cantando 
Soavemente  al  periglioso  varco 
De  le  sue  selve  i peregrini  invita: 

[1-12]  ’ ' 


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313' 


[19-42]  “ Liane  vii.  313 

E de  la  reggia,  ove  tessendo  Slassi 
Le  ricche  tele,  con  l’ arguto  sùouo 
Chcfa'n  le  spuole  e i pettini  e i telaci, 

E co’  fuochi  deNiedri  e de’  ginépri 
Porge  funge- hi  notte  indicio  e lume. 

Quinci  là  verso  il  dì,  lontado  udissi 
Rpggir-leonì,  urlar  lupi,  adièarsi, 

E fremire  e grugnire  orsi  ^cignali, 
Cb’eran  uomini  in  prima:  e’n  queste  foruib 
Da  lei  con  erbe  e con  malie  cangiati' 
Giacean  di  ferrile  di  ferrate  sBarrì;  • 

Ne  lé  sue  stalle  incatenati  e chiusi.  * 

E perchè  ciò  non  avvenisse  o»  Teucri  * 

Che  buoni  erano  £ pii,  da  colai  porto 
E da  spiàggia  sì  ria  Nettuno  stesso* 

Spinse  i lor  legni,  e diè  lor  vento  e foga, 
Tal  che  fuor  d’  Ogni  rischio  gli  condusse.-  * 

GiiVroìsseggiava  (P  oriente  il -balzo, 

K nel  suo  carro  d*  ostro  ornata  e d’oro 
L’auròra  si  traea  de  l’  onde  fuori, 

Quando  sybitumente-ogn’  aura,  ogn’  alito  ' 
Cessò  del  vento,  e ne  fu  ’l  mare  in  calma 
Sì  eh’ a forza  ne  gian  tle’  remi  a pena. 

Qai  la  leiu  a jnirando  il  padre  Enea- ' 
[12-29] 


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sii  l’  emeide.  [ia-r.fi  i 

Vede  un’ampia  foresta,  e dentro,  un  Uume 
Lapido,  vorticoso  e queto  insieme, 

Clic  per  1’  amena  selva,  e per  la  bionda 
Sua  molta  arena  si  devolve  al  marev 
Questo  era  il  Tcbro,  il  tanto  desiato, 

Il  tanto  eerco  suo .Tcbro  fatale: 

A le  cui  ripe,  a leVui  selve  intorno,.  ^ 

E di  sopra  volando  ivaiL  le  schiere 
Di  più  canori  suoi  palustri  augelli. 

Allor,  Via,  dice  a’  suoi,  volgete  il  corso, 

Itene  a riva.  E tutti  in  un  momento 
Hi  volti 'e  giunti,  de  l’opaco  fiume 
Preser  Ja  foce,  e lietamente  entralo. 

Porgimi,  Èrato,  aita  a dir  quai  regi, 

Quai  tempi,  e quale  stato  avesse  allora 
1/ antico  Lazio,  quando  prima  i Teucri 
Gon  questa  armata  a’  stioi  liti  upprodaro; 

Ch’  io  di i*ò  da  principio  le.  cagioni 
E gli  accidenti,  onde  con  essi  a Parme  < 

Si  venne  in  pria:  dirò  battaglie  orrende, 

Dirò  stragi  d’  esserciti,  c duelli 
Di  regi  slessi,  e la  Toscana  tutta, 

E tutta  aqco  l’Esperia  in  arme  accolta. 

Tu  d Elicona  DPa,-tu  ciò  mi  delta, 

[29-41] 


t6'7-90} 

CIP  alti-’  ordine  di  cose,  altro  Inroro 
E maggior  opra  ordisco.  Ero  signore  . 
Quotalo  ciò  fu,  di  Lazio  il  're  Latino,  ’ - 
Un  re  che  vèglio  e precido  gran  tempo 
Avea  I suo  regno  amministralo  in  pace 

Questi,  nacque  di  Fanno  e di  Morie. 

Ninfa  di  Laurénto,  e Fauno  a Pico 
Era  figlinolo,  e Pico  a te,  Saturno,-  ■ ' 
el  suo  regio  legnaggio  ultimo. autore. 

, 11  avea  quest»  re  stirpe  virile, 

Com’era  il  suo  desti.ro;  e q(lèlkl  pJl,efcb 

fu  nel  fior  de’ suoi  ver,!’  anni  aueisa. 
^ola  d un  sangue  lai,  U'tìn  tai„0  rcgno 
Kestuyu  una  sua  ^gliu  unica  erede, 

Che  già  d’annì  malora,  e di  bellezza 
Ptù  d’ ogni  altra  fumosa,  era  da  molli 
Eroi  del  Lazio  e de  l'  Ausonia  lui  la 
Desiala  e -ricerca.  Avanti  agli  aln  i 
La  chiedea  Turno, -un  giovine,  il  più  bello, 
il  piu  possente  e di  più  chiara  stirpe  < 
Clic  gli  altri  tutti;  e più  eh’  agli  altri,  a Ini 
Ann  a lui  $ol  la  sua  regina  màdie  • - 
Con  mirabile  affetto  era  inchinata. 

Ma  clic  sua  sposa  fosse,  avverso  fato, 

[41-5S]  • 


315 


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•n 


3 1 1»  l’  ENi:inn.  [9  1-1 1 i] 

Varii  porlenti  c spaventosi  augùri 

Faccan  contesa.  Era  un  cortile  in  mezzo 

A le  stanze  reali,  ove  un  gran  lauro 

Cià  «li  gran  tempo  consccrato  e cólto 

Con  molta  riverenza  era  serbato. 

Si  dicea  clic  Latino  esso  re  stesso 

ISel  designare  i suoi  primi  editici, 

Là  ’vc  trovollo,  di  sua  mano  a Febo 

L’  avea  dicalo.;  e ch’indi  il  nome  diede 

A’ suoi  Laurenti.  A questo  lauro  in  cima 

Meravigliosamente  di  lontano 

Rumoreggiando  a la  sua  vetta  interno 

Venhe  d’api  una  nugola  a posarsi; 

E con  1’  ali*  e co’  piè  l’  una  con  1’  altra, 

E tutte  insieme  aggraticciale  c strette 
* * 

Sticr  d’  uva  in  guisa  a le  sue  fiondi  appese. 
Ciò  l’indovino  interpretando,  Io  veggo, 
Disse,  venir  da  lungo  un  duce  esterno, 

Ed  una  gente  clic  d’  un  Jbco  uscita 
In  un  loco  medesmo  si  raunà,  * 

Ed  altamente  ivi  $’  alloga  e regna. 

Stando  un  giorno,  oltre  a ciò,  Lavinia  virgo 
Sacrificando  col  suo  padre  a canto, 

Ed  a V aitar  caste  fucellc  offrendo, 

, s [58-72] 


i 


[II5-Ì38]  udrò  'Vii.  317 

Parve  (nefanda  vista  F)  che  dal  foco 
Fossero  i lunghi  suoi  capelli  appresi, 

E elle  stridendo,  non  pur  l’oro  ardesse 
De  le  suc-trecce,  ma  il ‘suo  regio  arnese. 

E La  corona  stessa,  che  di  gemme 
Era  fregiata.  Indi  con  rogio  vampo, 

Con  nero  fumo  e con  volumi  attorti 
S’avventasse  d’  intorno,  c l’alta  reggia 
Tutta  di  fiamme  empiesse:  orrendo  mostro, 
E di  gran  meraviglia  a chiunque  il  vide.  ' 
Gfi  àuguri  ne  dicean  che  fama  illustre 
E gran  fortuna  a lei  si  portendea  ; 

.Ma  mina  a lo  stato,  e guerra  a’ popoli. 

A questi  mostri  attonito  e confuso 
Il  re  tosto  a l’  oracolo  di  Fauno 

H * - * 

Suo  genitor  ne  l’alta  Albunea  selva- 
Per  consiglio  ricorse,  fi)  questa  selva 
Immensa,  opaca,  ove  mai  sempre  suona  - 
Un  sacro  fonte,  onde  mai  sempre  essala 
Una  tetra  v'orago.  Il  Lazio  tutto 
E tutta  Italia  iji  ogni  dubio  caso  , 
Quindi  certezza,  aita  e ’ od  rizzo  attende. 

E I’  oracolo  è tale.  Il  sacerdote 

r 

Nel  profondo  silenzio  de  la  notte 
Caro.  — 21.  [73-36] 


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3I8>  L*  ENEIDE,  . [139*463-] 

Si  ltt  de  Uàminolate  pecorelle  * . 

Sotto  un  covitej.ovfj  s’  adagin-e  donne. 

Nel  sonno  con  mirabili  apparenze 
Si  ve«le  intorno  i sinici  ac  ri  e l’ ombre  - , 
Di  ciò  di’  ivi  si  chiede,  e varie  voci 
Ne  sente,  c con  gli  Dei  parla  e con  gl’  Inferi! 

In  questa  guisa  il  re  Latino'stesso1 
Al  vaticinio  del  suo  padre  intento  ^ 

Cento  pecore  ancide-,  e i Velli  e i tergili 
Nel  suol  ne  stende,  c vi  s’involve  e corca: 
Ed  ecco  un’alta  repentina  voce 
Clic,  de  la  selva  uscendo;  intuona  e dice: 
Invan,  figlio,  procuri,. invan  t’ imagini 
Clic  tua  figlia  s’  ammogli  ^ìvsposo  ausonio. 
Vane  e nulle  saniti  le  sponsalizie 
Cli’  or  le  prepari.  Di  lontano  un  genero 
Venir  ti  veggio, Y>er  cui  sopra  a l’etera 
Salirà  il  nostro  nome;  c i nostri  posteri 
Ne  vedrà n sotto  i piè  quanto  I’  Oceano 
D’ambi  i lati  circonda  e ’l  sole  illumina,  - 
Questa  risposta  e questi  avvertimenti, 
Perchè  di  notte  e di  secreta  parte 
I*  osscr-  da  Fauno  usciti,  il  re  iion  tenne 
In  se  stesso  celati;  anzi  la  fama 
[8-7-104] 


le 


319 


[163-180]  LIBRO  VII. 

Per'lSXerre  d’Ausonia  gl]  spargea,.; 
Quando ìa  frigia  àrmata  di  Xebra  aggi  uose. 

Enea  col  figliole  co’ suoi  primi  duci 
A T oYubra  iVun  grand’  albero  in  dispórle 
Dagli  altri  a prender  cibo  insieme  unissi. 
Eran  su  H eVba  agiati;  (e* come» avviso . 
feeder  si  dee  òhe  del  gran  Giove  fosse,)  , 
Avean  podhe  vivande;  e*qticlle  poche 
Gran  forme  di  Tocacae  o di  farrtite  . * 

In  vede  avean  di  lavofé  e di  quadra,  • 

E la  terra  médesma  e i solchi  suoi 
Ai  pomi  agresti- eran  fiscelle-e  nappi. 

Altro  per  avventura  àHor  non  yféi*a 
Di  clic  ciham.rOitde,  fluiti  i <fibi9  . * 

s , 

V.olser  per  fame  a quei  lor  deschi  i denti, 

E motleggiando  alldra,  0,  disse  Ui1or 
Fino  a le  mense  ancor  ne  divoriamo? 

E rise  e tacque.  A questa  voce  Eneo, 

Sì  come  a*  fin  de  le  fatiche  loro, 

Avverti  primamente,  e stupefatto 
Del  suo  misterio,  subito  inchinando 
' Disse:-0  da’  fati  a*  me  puomessaderra,  ; 
lo  te  devotò  adoro:  e voi  ringrazio, 

Santi  numi  di-T/oia,  amiche  c fide 
1105-121]  . 


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320  l’  e5eidb.  [487-210] 

Scorte  dcjili  error  miei.  Questa  p la  patria 
Quest’ è V albergo  nostro  e questo  è’LsegiK) 
Che ’l  mio  padre  lasciommi^or  mi  ricordo 
Degli  occulti  miei  fati),  Allor,  dicendo, 

Che  sarai,  tiglio,  in  peregrina  terra  - 
Da  fame  a manducar  le  mense-astretto, 

Pia  ’l  tuo  riposo:  allor  fonda  gli  alberghi, 
Allor  le  mura.  Or  questa  è quella  fame, 
Ultimo  rischio  ad  ultimar  prescritto 
. Tutti  i nostri  altri  perigliosi  affanni. 

Or  via,  dimane  a I’  apparir  del  sole 
Per  diversi  sentier  lungi  dal  porto 
Tutti  gioiosamente  investighiamo  * 

Che  paese  sia  questo,  da  che  gente 
Sia  cólto,  o dove  siati  le  terre  loro. 

Ora  a Giove  si  bòa;  Tacciasi  preci 
Al  padre  Anchise;  e sian  le  mense  tutte 
Di  vin  piene  e di  ta&ze.  E,  ciò  dicendo, 

Di  frondi  s’  inghirlanda;  e del  paese 
Il  genio,  c de  la  terra  il  primo  nume 
Primieramente  inchina,  e le  sue  ninfe, 

E ’l  Piume  ancor  non  conto.  Indi  la  Notte, 
h de  la  Notte  le  sorgenti  stelle, 

E Gio\c  Idèo,  e d’ Ida  la  gran  madre, 

• [121-439] 


by  IjOOglè  ' 


321 


[21Ì-234]  libro  vi». 

E la  madre.di  lui  dal  cielo  invoca, 

E da  T Èrebo  il  padre. -E  qui  di  lampi 
Cinto,  di  luce  e d’  oro,  e di  sua  manor 
Folgorando  il  gran  Giove  a ciel  sereno 
Tonò  tre  volte.  Tu  ciò  repente  nacque- 
Tra  le  squadre  troiane  un  lieto  grido, 

Gì’ -era  già  ’l  teinpo'di  fondar  venuto 
Le  desiate  mura.  A tanto  annunzio 
Tutti  commossi,  a rinovar  le  mense, 

Ad  invitarsi,  a coronarsi,  a bere 
Lietamente.si  diero.  Il  di  seguente 
Nel  sorger  dell’  aurora  uscir  diversi 
A spiai*  del  paese,  che  contrade- 
E che  liti  eran  quelli,  e di  che  genti. 
Trovftr  che  di  Numlco  era  lo  stagno, 

E che  ’l  fiume  era  il  Tebro,  c la  cittudc 
Da’  feroci  Latini  era  abitata. 

Allor  d*  Anchise  il  generosofiglio 
Cento  fra  tutti  i più  scelti  oratori 
D’  oliva  incoronati  al  re  destina- 
Con  doni,  con  avvisi  c con  ricliieste 
D’  amicizia,  di  commodi  e di'pace. 

Questi  il  viaggio  lor  sollecitando 
Se  ne  van  senza  indugio.  Ed  egli  intanto 
[140-157] 


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322 


V EJIEIDp- 


[235-258} 


Preso  nel  lito  il  primo  alloggiamento 

l-tff 

Di  piccjobfosSo  la  muraglia  insolca; 

4 ff  ' . 

E ’-n  sembianza  di  campo  è di  fortezza 

•t  :J  f 

D’  argini  lo  circonda  e di  steccalo. 

• i . * 

Seguon  gl’  kn  base  iato  ri,  c già  da  presso 

■ . r . 

La  citlàj  P alle  torri  c i gran  palagi 

JHj.  ..  ^ 

Scoprendo  do’  Latini,  ani)  a le  mura 

- : j 

Veggono' il  fior  «le’ giovinetti. loro  ♦ 

,■  .> 

i . . 

Su’  cavalli. e su’  carri  cs&crcitarsi, 

LutleggLur,  tirar  d’  arco,  avventar  pali, 

E cotali  altre  oprar  contese' e prove 
f)i  corso,  d’ attitudine  e di  forza. 

Toslo  che  compariscono,  un  messaggio 
Quindi  si  spicca  in  fretta,  e prccorréndo 
Riporta  al  vecchio  re,  che  nuova -gente 
I)i  gran  sembiante  e d’  abito  straniero . • 
Vien  dal  mare  a sua  corte.  11  re  comanda 
Che  siano  ammessi;  (r  ned’  antica  seggio 
Per  ascoltarli  in  maestà  si  reca. 

Era  la  corte  un-  ampio,  antico,  augusto 
Disili  di' Ctento  colonnati  estratto 
In  cima  a la  città  sublime  albergo:  * 

Pico  di  Làiirento'  il  vecchio  rege 
1/  avea  fondata.  Era  d’ oscure  selve, 
[157-172] 


[359-28-2}  mbro  vii.  323 

Era  de.  numi  deprimi  avi  suoi . ' _ 

• * * ' 

Sovra  d’ogu’  attra  veneranda  è sacra:  - <■ 
Qui  de’  lor  féltri,  qui  de’  primi  fasci 
■S’ investivano  i,  regi.  In  questo*  tempio 
Era  la  curia,'eran'lesacre  cene,  • . 

Era'n  de’padri'i  pubiici  conviti 
. De  P occi  strani  ete.  Avea  d*  antico  * * - 
Cedronel  primo  eutrar  ua  dictro-a  l’ altro, 
De1  suoi  grand’  avi  -i  simotacri  èretti.  * ' 
Italo  v’  era,- e il  buon  padre  Sabino/*  » 

Saturno  con  la.  vile  e con  la  falce, 

^ • * 

Giano  con  ie'due  testé,  e gli  akri  regi 
Tutti-di  mano  in  man;  chre  combattendo  • 
Non  far > di  sangue  a' |a  lor  patria  avari. 
Pendean  do  le  pareli  e da^pllastrk 
Un'gran  numero  d’  armi  e d’  altre  spoglie 
Prese  in  bàttagfiò.  Ai  portici.  d’  intorno 
Carri;  trofei,  catene,  ehtìi  e cimieri 
E secarle  corazze  e scudi,  e fancev 
E rostri  dinavili  e ferri  e sbarre 
Di  fracassate  porte  erano  affìsse. 

In  abito  succinto,  « con  la  verga 
Cbe  lu  poi  di  Quirino,  q,con  1’  ùnciic 
Ne  la  sinistra  osso  re  Pico  assìso 
'[172*189] 


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3 24  l’ eheide.  [283-30G] 

V’  era,  pria  cavaliero,  e poscia  augello; 
Ch’ili  augello  il  cangiò  la  maga  Circe, 
Sdegnosa  amante;  c gli  suoi  regii  fregi 
(ìli  converse  in  colori,  e ’l  manto  in  ali. 

In  questo  tempio  sovra  al  seggio  agiato 

De’  suoi  maggiori,  a sé  Latino  i Teucri 

* • 

Chiamar  si  fece  ; e dolcemente  in  prima 
Cosi  parlò:  Dite^.Troiani  aulici, 


A che  venite?  ehè  venite  in  luogo 


C’  ha  di  Troia  e di  voi  contezza  a pieno; 
Siatevi,  o per  errore  o per  tempesta 
0 per  bisogno  a questi  liti  addotti, 

Come  a gente  di  mar  sovente  avviene; 

Ch’  a buon  fiume,  a buon  porto, a buon  ospizio 
Siete  arrivali.  Da  Saturno  scesi 
Sono  i Latini,  ed  ospitali  e buoni, 

Non  per  forza  o per  leggi,  ma  per  uso 
E per  natura;  c del  buon  vecchio  dio 
Seguitiam  I’  orme  e de’  suoitempi  d’  oro. 
lo  mi  ricordo^ (ancor  che  questa  fama 
Sia  per  inoli’  anni  ornai  debile  e scura) 

Clic  per  vanto  solcano  i vecchi  Àuruuci 
Dir  clic  Dardano  vostro  in  queste  parli 
l.bbe  il 'suo  nascimento  ; c quinci  in  Ida 
[18‘J-20G] 


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[307-330]  libro  vii.  325 

Passò  di  Frigia,  e ne  la  tracia  Saipo,- 

CIT  or  Samotracia  ò detta.  Da’  Tirreni, 

• » ' 

E da  Còri  lo  uscio  Dò  Filano  vostro,  ‘ 

Ch’  or  fatto  è dio,  e fra’  celesti  in  ciefo 
D’  oro  ha  la  sua  ihagion,  di  $|elle*il  seggio, 
I>quu  giù  tra!  mortali  altari  e voti. 

Avea  ciò  detto?  quando  a*  detti  suoi  - 
Il  saggio  Uionèo  cosi  rispose) 

Alto  signor,  di  Fauno  egregio  figlio, 

Non  tempesta  di  mar,  noil  venti' aV.versi, 
Non' di  stelle  o di  liti  o di  nocchieri 
Error  qui  n’  ave,  od  ignoranza. addotti. 

Noi  di  postro  voler,  di  nostro  avviso*  * 

Ci  siam  venuti,  discacciati  e -privi 

D’  un  regno  de’  maggiori  e ite’  più  chiari? 

Ch’  unqua  vedesse  d’  oriente  il  sole.  ' . 

Da  Dàrdano  e da  Giove  il  suo  legnaggio 
Ha  quella  gente,  e quel  troiano  Enea 
Ch-  a le  nc  manda.  La  tempesta,  i fati, 

E la  rubra  che  ne*  cafopi  Idèi 

Venne  di  Grecia,  onde  1’  Europa  e l’ Asia" 

E ’l  mondo  tutto  sottosopra  andonne, 

Cui  non  è conia  ? Citici  lungé  è posto  . 

Da  noi,  che  non  I’  udisse?  « ciie  da  l’acquo 
• $06-225] 


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326  „ n*  eheide.  [33!-35'4} 

De  1’  estremo  Oceano,  o che  dal  foe<*  . w 
De  la  torrida  zona  sia  divido 
Da  la  nostra  notiziari!  nostro  affanno 
Tal  fece  intorno  a sè  diluvio  e moto, 

•Che  scosse  ed-  allagò  la  terra  tutta. 

Da  indi  in  qua -disporsi  e.  vagabondi  , 

Per  tanti  mari,  un  sol  picekd  ridotto  • -, 

Agli  Dei  nostri,  un  Irto  clic  ri*  accolga.  ' 

Non  da  nemici,  un  poco  d*  acqua  e d’  aura. 
Lassi  ! quel  eh’  ogn’  noni’  ha,  cercando  andiamo 
Non  disutili,  erodo,  e non  indegni 
Sarcni  del  regno  vostro.»  a voi  uon  lieve 
Ne  verrà  fama  ; e d’  un  tal  merto  tanto 
Vi  sarem  grati,  che  I’  ausònia  terra 
Non  ipai  si  pentirà* d’  aver  i tigli 
De  la  misera  Troia  in  grembo  accolti.  » 

Io  ti  giuro,  signor,  per  le  fatiche, 

Per  gli  fati  d’  Enea,  per  la  possente 
Sua  destra,  già  per  fede  c per  valore 
Famosa  ol  mondo,  che  da  molte  genti  - 

. H 

Molle  fiate  (c  ciò  vii  non  ti  sembri, 

Che  da  noi  stessi  a te  ci  proferiamo 
E ti  preghiamo)  siain  pregati  nói, 

È per  compagni  desiati  esercii». 

{22a*238] 


Dicyjized^b^^ogle 


[3o5-378]  ninno  vii.  ^ • 327 

Ma  dai  Tali? signore,  e dagli  Dei 
Siam  qui  .mandati,  Dardauo  jqui  nacque, 
Qua  Febo  ne  richiama.  Febo-stessor-  . • 

E quei  dà  Deio,  è eh’  ai  Tirreni,  al  Tebroj 

* • • 

Al  fonte  di  Rumici  a voi  c’  invia. 

Queste,  oltre  a*ciò,  poche  reliquie  e segni 
De  P andata  fortuna  c del  suo  amoFfc  * - 

Il.i^  ifostro  vi  manda,  che  dal  fot*> 

Son  de  la  patria  movrate  a pe»a.J 

Con  questa  coppa  il  stiO  Inibii  padre  Anchine 

Sacrificava.  Questo. regno  in  testa, 

Quando  era  in  solio,  il  gran.  Priamo  uvea  : 
Questo  è lo  scettro,  questa  è la  tiara, 

Sacro  suo  pesamento;  e queste  vesti 
Son  de  le  donne  d’  IHq  opre  e fatiche. 

' ÀI  dir  dMdioiièo  stavn  Latino 
Fisso  col  voi  tool  terra  immoto,  e saldo,  v 
Come*  in  astratto,  c solò  uvea  le  luci 
Degli  occhi  iutese  a rimirar,  non  tanto 
Il  dipinti  ostro  c gli  altri  regii  arocsir 
Quanto  in  pensar  de  la  diletta  figlia 
Il  maritaggio,  e ’l  vaticinio  uscito  , 

Dal  vécohio  Fauno.- E ’n  sè  stesso  ruccollb, 
Questi  è certo*  dipea,  quei  che  da’,  fati  « 
[239-255] 


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328  l’ ENEIDE.  [379-402] 

Si  denunzia  venir  di  strati  paese 
Genero  a me,  sposo  a Lavinia  mia, 

Del  mio  regno  partecipe  e consorte. 

Onesti  è ila  cni  verrà  l’egregia  stirpe, 

Clic  eoi  valor  fat  assi  c con  le  forze 
Soggetto  e (riluttano  il  mondo  lutto. 

Ed  a I fi n lieto,  0,  disse,  eterni  Dei, 

Secondate  voi  stessi  i vostri  auguri  * 

E i pensici*  mici.  Da  me,  Troiani,  aretc 
Tutto  clic  desiate;  e i vostri  doni 
Gradisco  e pregio;  e mentre  re  Latino 
Sarà,  sarete  voi  nel  regno  suo 
Cortesemente  accolti;  e ’l  seggio  e i campi 
E ciò  eh’  è d’  uopo,  come  a Troia  foste, 

In  copia  arele.  Or  s’ei  tanto  desia 
L’  amistà  nostra  e ’l  nostro  ospizio,  vegna 
Egli  in  persona,  c non  abborra  ornai 
Il  nostro  amico  aspetto.  Arra  e certezza' 

Ne  Ha  di  pface  il  convenir  con  lui, 

E dritti  stesso  aver  la  fede  rii  pegno. 

Da  l’altra  parte,  a mio  nome  gli  dite 
Quel  eli’  io  drrovvi.  Io  senza  più  mi  trovo 
Una  rnia  figlia.  A questa  il  mio  paterno 
Oracolo,  c del  ciel  molti  prodigi 
[255-268] 


[403-426]  libro  vn.  329 

Vietan  eh’ ro  dia  marito  nitro -eh’ esterno» 

D*  esterna  parte,  tal  d’ Italia  è M fato,1 
Un  genero  dal  ciel  mr  si  promette,-  '*  * 

Per  labili  stirpe  il. mio nome  e’I  'mio  sangue 
Ergeraàsi  a le  stellc.  Or.se  del  vero  , 

Punto  è’1  mio. cor  presago,  egli  è quel  desso 
r Cred’io,che  ’l  fato  accenna, e ’l  credo e’1  bramo. 

Cfò  detto,  de’ trecento,  che  mai  sempre  . 

A' suoi  presepi  avea,  nitidi  e pronti 
Destrier  di  fazione  e di  rispetto,-  . . 

Per  gli  cento-orator  cento  n’ elegge,  » 
di’  avean  le  lor  coverte  e i lor  girelli, 
l.e  pettiere  c le  briglie  in  varie  guise 
D’  ostro  e di  seta  ricamati  e d’  oro,'' 

E d*  òr  le  ghie  re*  e d’ òr  le  borchie  e i fréni. 

Al  troiaa  duce  assente  un  carro  invia 
Con  due  corsier  chKerón  di  quei  del  Sole 
Generosi  bastardi,  e vampa  e foco 
, Sbruffava!!  per  le  nari.  Al  Sol  suo  padre 
La  razza  ne  furò  la  scaltra  Circe 
Allor  eh’  a 1*  incantate  sue  giumente 
Eto  e Piròo  furtivamente  impose. 

Tali  in  su  tai  cavalli  alteramente 
Tornando  i Teucri  iti  teucro  duce,  allegri 
• {209-285] 


330  l’  cneide.  [427-450] 

Portàr  novelle  e parentela  e pace.  - > 

Ed  ecco  che  di  Grecia  uscendo  c d’  Argo, 

1/  empia  moglie  di  Giove,  alto  da  terra 
Sospesa,  infin  dal -siedo  Pachino  m 
Yjde  i legni  troiani;  e vide  Enea 
Cou  tutti  i "suoi , che  lieto  e fuor  del  more 
E secur  de  la  terra,  incominciava  . „ 

IP  alzar  gli  alberghile  di  fondar  le  mura 
Già  d’ un  alti  ’ Ilio.  E,  punta  il  voi' di  doglia, 
Squassando  il  capo,  Ali, disse,  a. me  pur  troppi 
Nimicn  razza!  uh  troppo  a’ fati  mici 
Fati  de’ Frigi  avversi  ! E forse  estinti 
Fur  ne*  campi  sigei?  forse  [uituli 
Si  son  prender  gjà  presi,  ed  arder  arsi  ? 

Per  mezzo  ile  le  schiere  c de  gl.’  incendi i 
llan  trovala  la  via.  Stanca  fia  dunque 
Questa  mia  deità,  quando  qncor  sazia 
ISon  è de  I’  odio?  E già  s’  è resa,  quandq 
Ila  fin  qui  nulla  oprato?  E che  mi  giova 
Che  sian  del  regno  e de  la  pall  ia  in  bando? 

Che  .mi  vai  ch’io.mi  sia  con  tutto  il  mare 
A loro  opposta?  Ali  ! che  del  mar  già  tutte, 

E del  ciel  centra  lor  le  forze  ho  logre. 

E che  le  Sirti,  e che.  Scilla  e Cariddi 


[285-302] 


[451-474]  Lffino  vu.  331 

A me  con  lor  son  va|se?  Ecco  iian  dclTebro 
La  desiata  foce;  e non  Iian  tóma 
Del  mar  più,  nò  di  riie.  Marte  polóo 
Disfar  la  gente  de’  Lóprti  immane  ; ' . 

Potè  Diana  aver  ila  Giovò  in  preda 
Del  suo  disegno  i Calidòni  antichi, 

Quando  do’ Calidòni  e de’  Capili  , 

Vèr  le  pene  era  il  fallo  o nullo  o leve:' 

Ed  io  consorte  del  gran  Giove  esuma, 
Misera,  incontro  a lor  che  non  ho  mosso? 

Che  di  me'noii  ho  fallo?  E pur  son -vinta. 
Enea,  Enea  mi  vince.  Ah'se  con  lui  • 

Il  mio  nume  non  può,  perchè  d’ognuno, 
Chiunque  sia,- npn  ogni  aita  imploro? 

Se  mover  contea  fai  non  posso  ^ cielo. 
Moverò  I*  Acheronte.  Oh  non  per  questo  '• 

Il  fato  si  distorna;  e<l  ci-Tionmeno 
Dilatino  otterrò  la  figlia  e.M  regno. 

Che  più?  Lo  tratterrò:, gli  darò  brigo:  * 
Porrò,  s’  altro  non  posso,  in*  tanto  affare  ' 
Gara,  indugio  e scompiglio:  a strage,  a morte 
Ad  ogni  strazio  condurrò  le  genti  * 

De  l’un  rege  e de  I’  altro;  c questi  avadzi 
Fauan  primieramente  i lor- suggelli 

(303-316]  • 


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332  l’  exeide:  [175-498] 

Di*  la  lor  amistà.  Con  questo  in  prima, 

Si  sinn  silurerò  e genero.  Di  sangue 
De’ Troiani  e tic’  Rullili  dotala 
N’andrai  regia  donzella,  al  tuo  marito; 

E del  tuo  maritaggio  c del  tuo  letto 
Auspice  Pia  Bellona  in  vece  mia. 

Colai  non  partorì  di  face  pregna 
Kcuha  a Troia  incendio,  qual  Ciprigna 
Ara  con  questo  suo  novello  Pari 
Partorito  altro  foco,  altra  mina 
A quest’  altr’  Ilio.  Ciò  dicendo,  in  terra 
Discese  irata,  e da  I’  inferno  grotte 
A sò  chiamò  la  nequitosa  Metto. 

De  le  tre  dire  Furie  una  è costei, 

Cui  son  P ire,  i danneggi,  i tradimenti, 

Le  guerre,  le  discordie,  le  mine, 

Ogn’ empio  officio,  ogni  mal’ opra  a core. 

E tale  un  mostro  in  tanti  e così  Pieri 
Sembianti  si  trasmuta,  c de’ serpenti 
Sì  tetra  copia  le  germoglia  intorno, 

Che  Pluto  c le  tartaree  sorelle 
Sue  stesse  in  odio  ed  in  fastidio  1’  hanno. 
Giunon  le  parla,  c via  più  co’ suoi  detti 
In  tal  guisa  Faccende:  0 de  la  ISolt-c 
[317-331] 


■I 

3 


[499-522]  libro  vii.  333 

Possente. figlia,  io  per  mio  proprio  affetto, 
Per  onor  del  mio  nume,  pei*  Salvezza 
Oe  la  mia  fama  un  tuo  servigio  agogno.'- 
Adòprati  per  me,  che,  mal  mio  grado, 
Questo  troiano  Enea  del  re  Latino 
Genero  don  divenga,  e nel  suo.  regno 
Con  gran  mio  pregiudicio  non  s* annidi. 

Tu  puoi,  volendo,  armar  l’ un  contea  l’altro 
I concordi  fratèlli:  odii  e zizzanie 
Seminar  tra’ congiunti;  e perle  case' 

Con  mrll’  arti  nocendo,  in  mille  guise 

Infrà  mortali  indur  morti  e ruine. 

-»  ) 

Scuoti  il  fecondo  petto,  e le  sue  forze 
T utt’a  quest’  opra  accampa.  Inferma,  annulla 
Questa  lor  pace;  infiamma  i cori  a 1’  armi 
Arme  ognun  brami, ognun  le  gridi-e  prenda. 

Di  serpi  e di  gorgònei  vèneni  * 

Guarnissi  Aletto;  e per  lo  Lazio  in  prima 
Scorrendo,  e per  Laurénto,  e per  la  corte 
De  la  regina  Amata  entro  la  soglia 
Insidiosamente  si  nascose. 

Era  allor  la  regina,  come  donna, 

E come  madre,  dal  materno  affetto, 

Da  lo  scorno  de’ Teucri,  dal  disturbo 
Caro. — 22.  [331-345] 


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— i 


334  'l'ékeide.  [.523-546] 

De  le  nozze  di  .Turno  in  molte  guise 
Afflitta  e conturbata,  -quando  AlcUo, . 

Per  rivolgerla  in  furia,  e co’  suoi  mostri  _ 
Sossopra  rivoltar  la  reggia  lutta, 

Da’ suoi  cerulei  crini  un  angue  in  seno 

- % 

1/  avventò  sì,  clie'P  entrò  poscia  al  cqre. 

Ei  primamente  infra  la  go.nna  e ’I  petto 
Strisciando,  c non  mordendo,  a poco  a poco 
Col  suo  vipereo  liuto  un  non  sentito.  / 
Furor  Je  spira.  Or  le-si  la  monile 
Attorcigliato  al  coljo;  or  lunga  benda  * 

Le  pende  da  le  tempie;  or  quasi  un  nastro 
L’  annoda  il  crine.  Alfin  lubrica  errando, 
Per  ogni  membro  le  s’  avvolge  c serpe. 

Ma  fin  che  prima  andò  languido  e molle  • 
Soli  i sensi  occupando  il  suo  vpleno, 

Fin  clic  il  suo  foco  penetrando  a P ossa 
Non  nyen  tutto  ancor  P animo  acceso, 

Ella  donnescamente  lagrimando 
• Sovra  la  figlia  .e  sovra  le  sue  nojtze 
Con  tal  queto  rammarco^si  dolea:  *% 

..  Adunque  si  darà  Lavinia  nna 
A Troiani?  a banditi?  E lu  suo  padre,  .. 

I u cosi  la  collòchi?  E non  t’  incresce 
: [345-3G1] 


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[547-570]  libro  vii.*  335 

Di'  lei,  di  te,  di  «ut»  madre  infelice?. 

• > %• 

CI»*  al  primo  vento  di'  di  tfuoi  legni  spiri,  * 
Di  così  caro  pegno  orba  rimas  i 
(Come  dir  si  potrà)  da  questo  infido 
Fuggitivo  ladrone  abbandonata 
Del  mar  vedrolla  e do'  e orsa  ri  in  preda? 

0 non  cosi  di  Spartà’anco  rapita  ' 

Fu  la  figlia  di  Leda?. E chi  rapida  -* 

Non  fu  Troiano  anch’egli?  Ali  ! dov’è,  sire. 
Quella  tua  santa  iòViolabil  Tede  ? 

Quella  cura  de*  tuoi  ? quella  promessa 
Che  s’ è fatta  da  tegià. tante  volte 
Al  nostro  Turno?.*Sc  d'  esterna  gente 
Genero  ne  Videe;  se  fisso  c saldo 
È ciò  nel  Hia*. pensiero  j sé  di  Fauno  ..  -> 
Tuo  padre  il  Vaticinio  a ciò  Ti  stringe  ; ** 
-lo  credo  .che  ogni  Terra,  ch’ai  Ino  scèttro 
Non  è soggetta,  £ia  straniera  à noi. 

Così  ragion  mi  delta,. c cosi,  penso*  * 

Che T oracolo  intenda.  Olire  .clic  Turno 

* - • * 

(Se  la  sua  prima  originasi  mira)  » 

Per  suoi  progenitori  irfa'ci),  Acri  sio,  • 

m * • 

E per  patriaTia  Ittfecue.  A qiiesto  dire 

Slava  nel  soo  proposito  Latini?  - 

[.36 1-373] 


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X 


•>  'v^i  :■ 
1 


336  l’ ereide.  [571-594] 

Ognor  più  duro.  E la  regina  intanto. 

é f * 

Più  dal  veleno  era  del  serpe  infetta: 

E gin  tutta  compresa,  e da  gran  mostri 
Agitata,  sospinta  e forsennata,  • 

Senza  ritegno  a correre,  a scagliarsi, 

A gridar  fra  le  genti  e fuor  d’ogni  uso 
A tempestar  per  la  città  si  diede. 

Qual  per  gli  al  ri  i scorgendo  e per  le  sale 
Infra  la  turba  de’  fanciulli  a volo 
Va  sferzato  palèo  eh’  a salti,  a scosse, 

Ed  a suonali  guinzagli  roteando 
E ronzando  s’  aggira. e si  travolve, 

Quando  con  meraviglia  e cou  diletto 
(ìli  va  lo  stuol  de’ semplicetti  intorno, 

E gli  dan  co’  tlagelli  animo  e forza  ; 
l ai  per  mezzo  del  Lazio  e de’  feroci 
Suoi  popoli  magando,  insana  andava 

La  regina  infelice.  E quel  clic  poscia 

• • 

l’u  d’  ardire  c di  scandalo  maggiore, 

Di  Racco  simulando  il  npine  c ’l  coro 
l’er.tòr  hi  figlia  ai  Teucri,  e le  sue  nozze 
Distornare  o’ndugiure,  a’  monti  ascesa 
Nq  le  selve  I’  ascose:  0 Bacco,  o Libero, 
Gridando,  Euòò,  questa  mia  vergine 
[374-38't»] 


337 


[595-618]  libro  vii. 

Sola  a te  si  convien, solo  a te  serbasi. 

Ecco  per  te  noi  tuò  coro  s’  esserci!» 

Per  te  prende  i tuoi  tirsi,  a te  s’  impampinu, 
A te  la  chioma  sua  nodrisce  e dedica. 

Divolgasi  di  ciò  la  fama  intanto 
Fra  le  donne  di  Lazio,  c tutte  insieme 
y Da  furor  tratte,'  e d’  uno  ardore  accese 
Saltan  fuor  degli  alberghi  a la  {presta. 

Ed  altre  igaude  i colli  e sciolte  i crini, 

D’ irsute  pelli  involte,  e d’  aste  armate, 

Di  tralci  Avviticchiate  e di  corimbi, 

Orrende  voci  e tremuli  ululati 
Mandano  a l’  aura.  E la  regino  in  mezzo 
A tutte  I’  altre  una  facella  in  mano 
Prende  di  pino  ardente,  e P imeneo 
De  la  figlia  e di  Turno  imita  e canta, 

E con  gli  ocelli  di  sangue  e d’ ira  infetti 
Al  cielo  ad  or  ad  or  la  voce  alzando, 

> Uditemi,  dicea,  madri  di  Lazio, 

Quante  ne  siete  in  ogni  loco,  uditemi. 

Se  può  pietàte  in  voi,  se  può  la  grazia 
De  la  misera  Amata,  e la  miseria 
Di  lei,  eh’  ad  ogni  madre  è d’ infortunio, 
Disvelatevi  tutte  e scapigliatevi  j 
[390-402] 


338  l’  exeidi^.  [6tO»G42] 

liiiòè^  a questo  sacrificio 
Ne  venite  con  me,  meco  ululatemi. 

Cosi  da  Bacco  e da  lefurie  spinta  ••  » 

Ne  già  per  selve  e [ter  deserti  alpestri 
La  regina  infelice,  quando  Aletto, 

Cli’ assai  già  disturbato  aveà  il  consigliti 
Di  re  bai  ino  e la  sua  regia  tutta, 

Ratto  su  je  |'osc’  ali  à 1’  aura  alzossi;' 
li  là  ’vc  già  d*  Acrisio  il  seggio  pose 
L’avara  figlia,  ivi  dal  vento  esposta, 

A I’ orgoglioso  Turno  si  rivolse. 

Ardèa  fu  quella  terra  allor  nomata, 
li  d’ Ardèa  il  nome  insino  ad  or  le  resta, 

Ma  non  gin  la  fortuna.  In  questo  loco 
liti t ro  al  suo  gran  palagio  a mezza  notte 
l'rendea  Turno  riposo.  Allor.  di’ Aletto. 

Vi  giunse,  r ’l  torvo  suo  maligno  aspetto 
Con  ciò  eli’ uvea  di  Furia,  hi  seui I. forma 
Cangiando,  raggrqppossi,  incanutissi, 
li  di  bende  e d’  ofivo  il  erin  velossi  : 

Calibe  in  tutto  fessi;  una  veeebiona  * 
di’  era  sacerdotessa  e guardiana 
Del  tempio  di  Giunone;  e ’n  eòtal  guisa 
Si  pose  a lui  davanti,  c cosi  disse: 

[403-420]  • 


1 


1 


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[643-6d6]  libro  vii.  339 

Turno;  adtfnquc  a-vrai  tu  sofferte  indarno 

Tante  fatiche',  e questi  Frigi-  avranno  ' 

La  tua  sposale  1 tuo  regno? -il  re,  la-figlia 

E la  dote,  eh*  a te -pei:  gli  tuoi  merli,  " 

Per  Io.  sparso  tuo  sangué  era  dovuta,  ' "" 

E già  dir  lui'  promessa,  or  ti  ritoglie; 

E de  l’  uria  e de  V altro  erede  e sposo 

, . ' * «*  * . 
Passi  un  esterno»  O vn’ così -deluso, 

E per  ingrati  Ja  persona  eXsflma 

Inutilmente  a!  tanti  rischi  esponi. 

Va’,  fa’  strage  de’  To9cJit.  Va*;  difendi  . 

I tuoi  Latini, .£  in  pace  li  mantieni.  - 
Questo  mi  mauda  apertamente  a dirti 

La  gran  saturriia  Giuno.  Arma,  annidi  tuo»; 
Preparati  a la 'guerra;  esci  un  campagna; 
Assagli  i Frigi',  e snidagli -dai  fiume-  . - • 

C’  han  di  già-proso,  e i lor.\»aviH  incendi. 
Dal.ciel  ti  si  comanda.  E seJLalinp  . . 

A le  promisslon  non  corrisponde; 

Se  Turno  nou  accetta  e non  gradisca.  ' - 
Nè  per  suo  difensor  nè  per  suo  genero,  * 
Pruovi  qualsia-iie  l’armi, e quel  eh’  importi 
Averlo  per  niiwice.  Al  cui  parlare  • • 

II  giovine  con  beffe  e con  rampogne 

[421-435.] 


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310  l’  Eneide.  [667-690] 

dosi  rispose:  Io  non  son,  vecchia,  ancoro, 
Come  te,  fuor  tlc’sensi  ; e ben  sentita 
Ilo  la  nuova  de’ Teucri,  c me  ne  cale 
Più  clic  non  creili.  Non  però  ne  temo 
Onci  che  tu  nc  vaneggi;  e non  m’  ha  Giano 
(Penso)  in  tanto  dispregio  e ’n  tale  oblio. 

Ma  tu  dagli  anni  rimbambita  c scorna 
Entri  folle  in  pensici'  d’armi  e di  stati, 

Ch’  a le  non  tocca.  Quel  eh”  è tuo  mestiero, 
Governa  i templi,  attendi  ai  simulacri, 

E di  pace  pensar  lascia  e di  guerra 
A chi  di  guerreggiar  la  cura  ò data. 

Furia  a la  Furia  questo  dire  accrebbe, 

Sì  che  d’  ira  avvampando,  ella  il  suo  volto 
Ri  prose  è rincagnossi:  ed  ei  negli  ocelli 
Stupido  ne  rimase,  e tremò  tutto: 

Con  tanti  serpi  s’  a mitrò  I’  Erinni, 

Con  tanti  ne  fischiò,  tale  una  faccia 
Ee  si  scoverse.  Indi  le  bieche  luci 
Di  foco  accesa,  la  viperea  sferza 
Gli  girò  sopra;  c si  com’  era  immoto 
Per  lo  stupore,  cd  a più  dire  inteso, 

Eo  risospinse  ; e i suoi  delti  e i suoi  scherni 
Cosi  rabbiosamente  improvcrògli  : 
[435-451] 


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[691-714]  LIBRO  vii,  3.41 

Or  vedrai  ben  se  rimbambita  e scema 
Sono  entrata  in  pcnsier  d’  armi  c di  stati, 

Oli’ a me  non  tocchi  le  se  son  vecchia  e folle 
Guardami,  e riconoscimi;  eh’ a questo 
Son  dal  Tartaro  uscita.  E guerra -e  mòrte 
Meco  ne  porlo.  E,  ciò  detto,  avventògli 
} Tale  una.  face  e con  tal  fumo  un  foco,- 
Che  fe  tenebre  agli  occhi  e fiamme  ttl  core. 

Lo  spavento  del  giovine  fu  t^le, 

Che  rotto  il  sonno,  di  sudor  bagnato 
Si  fi*ovù  pér  angoscia  li  corpo  tutto: 

E stordito -sorgendo,  arme  d'intorno 
Cercossi,  armi  gridò,  d’ ira  s' accese, 

D’empio  disio,  di  scelerala  insania 
Di  scompigli  ò di  guerra  ;sin  quella  guisa 
Che  con  alto  bolior  risuona  e gonfia  • 
tJn-gran  caldai*,  quand’  ha  di  verghe  a'  fianchi 
Chi  gli  ministra  ognor  foco-maggiore,  * 
j Quando  l’onda  più  ferve,  e gorgogliando 
Più  rompe,  più  s'  volve  e spuma  e versa, 

E’I  suo  negro  vapore  a I*  aura  essala. 

Così  Turno  commosso  a muover  gli  altri 
Si  volge  inconlingnte  ; e de' suoi  primi, 

Altri  al  re  manda  con  lu  rotta  pace, 

[453-4G7] 


m ? 


■ 1. 


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342  l’  eneide.  [7+5-7$8'| 

Ad  altri  1’  apparecchio  impon  de  I’  arnie, 
Onde  Italia  difenda,  onde  i Troiani 
Siau  .d’  halla  cacciati,  cd  eLsi  vanta 
Con  tra' de’ Teucri  c contea  de’  Latini 
Aver  forze  a bastanza.  E ciò  commesso, 

E ne’  suoi  voli.»  suoi  numi  invocati, 

I Putidi  infra  loro.a  gara  armando 
S’  essortavan  I’  ufi  t!ialtro  ; e lutti  insieme 
Eran  tratti  via  lui,  chi  perdili  stesso 
(Clic  giovili  era  amabile  c*genlilc) 

Chi  per‘Ia  nobiltà  de’ suoi  maggiori,  . 

E ehi  per  la  vietule,  c per  le  pruovc  1 • 

Di  lui  viste  altre  volte  in  altre  gnerre. 

IVI cn tre  cosi  de’  suoi  Turno  dispone 
' fili  animi  c V armi,  m altra  parte  Alelto 
Sèn  vola  a’ Teucri,  e con  nuov’  arte  apposta 
In  su  la  riva  un  Loea,ove  jn .campagna 
Correndo  c ’nsidiando  il  bello  lulo 
Seguia  le  fere  fuggitive  in  caccia. 

. Qui  drsdbita  rabbia  i cani  accese  *• 

La  virgo  vii  .Cocito,  e per  la  traccia  v 

Cdi  mise  lutti;  onde  scoprirà  un  cervo 
Che  fu  poi  di  tumulto,  di  rottura  <• 

I)i  guerra  e d’ogni  mal  prima  cagione. 

[468-4823 


[739-762]  nono  vii.  343 

• Qi^to  era.  tfn  cervo  mansueto  e v»go^ 
Gitv  grande  e di  gran  corna.,  che  divello  . 

Da  la  sua  madre,  era  nel  gregge  addotto 
Di  Tirro  c de’ suoi  figli:-  ed  era/Tirro  - 
Il  eustode  maggior  de^regii  armenti 
E de’  regi»  .poderi-;-  ed  egli  stesso  • 
f 1/  avea  nudrito  e fatto-umile  e fnanso. 
Sìlvia,  ona  giovinetta  sua  figliuola,  * " * 
L’nvea  per  suo  trastullo;  e c<m  gran  cura 
Di  fior  J’ inghirlandava,  il  pettinava, 

Lo  lavava  sovente.  Era  a la  mensa  - 

• % 

A lor  d* intorno;" e da  for-tiitti  anuria  *'  ' 
Esser  pasciutd.  e vezzeggiato  e tocco. 

Errava  per  le  selve  a suo  diletto,  _ - 
E da  sè  stesso  poi  Ih  sera  a cn&u,.  * » 

Come  a.  proprio  cosi+,  se  ne  kmnava. 

Quel- di’ per  avventura  di  lontano  - 
Lungo  il  fiume  venfatra  -1*  ombre  e Fonde, 
Da  la  sete  schermendosi  e dal  -CQldo, 

Quando  d’ Aseanio  I’  arrabbiate rca'gue 

(ìli-s’ avventa  ro,  ed  esso  a farsi  inteso 

■ ♦ s 

D’uii  tale  onore  e di  tal  preda  acquisto,  -. 
Diede  a V arco  di  piglio,  «snettollo.  . 

La  Furia  stessa  gli  drizzò  la  mano,  * 
[483--Ì98] 


3i4  l’emeide.  [7G3-786] 

I-'  spinse  il  dardo  sì^th’ a pieao  il  colse 
Ne  P un  de’  fianchi,  c pcnetrògli  a l’  epa. 
Ferito,  insanguinato,  e con  lo  strale* 

Il  meschinello  ne  le  coste  infìsso, 

Al  consueto  albergo  entro  ai  presepi 
Mugghiando  e lamentando  si  ritrasse; 

Ch’  un  lamentarsi,  un  dimandar  aita 
D’  uomo  in  j;uisa  più  tosto  che  di  fera. 

Frano  i mugghi  onde  la  casa  empirà. 

Silvia  lo  vide  in  prima, -e  col  suo  pianto, 

(’.ol  batter  de  le  mani,  c con  le  strida 
Mosse  i villani  a far  turbe  c tumulto. 

Sta  questa  peste  per  Je  macchie  ascosa, 

Di  topi  in  guisa,  a razzolar  la  terra  •'*’ 

In  ogni  tempo,  si  che  d’  ogni  lata 
.V  uscirmi  d’ improvviso;  altri  con  pali 
E con  forch$  e con  bronchi  aguzzi  al  foco; 

Altri  con  mazze  nodorose  c grhvi, 

E tutti  con  quell’  armi  eli’  a ciascuno  > , 

Fecer  P ira  e la  fretta.  Era  per  sorte 
Tirro  in  q.ucl  punto  ad  una  quercia  intorno, 

E per  forza  di  cogiti- e di  bipenne 

1/  uvea  tronca  e squarciata  :,onde  affannoso. 

Di  sudor  pieno,  fiera'mentc  ansando 
[498-5 10] 


545 


[787-810] 


LIBRO  VII. 


Con  la  stessa  eli’  avea  secure  io-  mano 
Corse 'a  le  grilla,  e le  masnade  oecolse. 
L’infernal  Dea,  eh’ a la  veletta  stava 
Di  tuttoché  seguia,  veduto  il  tempo 
Accoimuodato  al  suo  pensier  malvagio,  ' ' 
Tosto  nel  maggior  opimo  se  ne  salse 
p De  In,  ca.panna,  e con  un  corno  a-bocca 
Sonò  de  Tarmi  il- pastorale  accento. 

La  spaventosa  voce  phe  n’  uscio  • • 

Dal  tartaro  spiccossi.  E pria  le  selve  . 

Ne  tremar  tutte;  indi  (limano- in  mano 
Di  Nemo  udi Ila  e di  Diana  il  lago, 

Udilla  <je  la  Nera-il  bianco  iiume, 

E di  Velino  i fonti,. e lui  T udirò, 

Che  ne  stringer  le  madri  i figli  in  seno. 

A quella  voce,  e verso  quella  parte 
Onde  sentissi,  [contadini  armati, 
Comunque  ebhei*  tra  via  d’armi  rincóntro, 
Subitamente  insieme  s’  adunal  o. 

• r 

Da  T altro  lato  i giovani  Troiani 
Al  soccorro  d’ Ascanio  in  campo  uscirò,' 
Spiegar  lc.schiere,  misersi  in.  battaglia, 
Vennero  a Tarmi';  si  clic  non  più  «uffa 
Sembrava  ili  villani,  e non  più  pad 
[510-524] 


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34G  i.’  e.xeide.  [SII -831] 

Avean  penarmi,  ma.  forbiti  ferri 
Serrati  insieme,  elio  dal  sol  percossi 
Per  le  campagne  e fi i>  sotto-  a le  inibì 
Ne  mandavano  i lampi;  ili  quella  guisa 
Clic  lipve  al  primo  vento  il  mar  s*  increspa? 
Poscia  biancheggia,  ondeggia,  e' goufia  e frange 
E cresce  in  tanto,  che  dà  P imo  fondo  H 
Sorge  fino  a le  stelle.  Alinone,  il  primo  • 
Figlio  di  Tirro,  primamente  cadde 
In  questa  pugna.  Ebbe  di  strale  un  colpo 
In  su  la  strozza,  clip  la  via  col  sangue 
Gli  chiuse  e de  la  Voce  e rie  1,1  vita.  * 

Caddero  intorno  a lui  moli* altri  corpi. 

Di  bona  gente.  Cadde  tra’  migliori. 

Mentre  V armi  detesta,  e per  la  pocc 
Or  con  questi  or  con  quelli  si  travaglia, 
Gaiòso  il  vecchio*  il  più  giusto  e ’l  più  ricco 
De  lu  contraria.  Cinque  greggi  àvea  • 

Con  cinque  armenti  ; e con  ben  cento  arati  i 
Coltivava  e pnscea  F ausonia  terra.  - 
Mfentré  così  vie’ campi  si  combattè 
Con  egual  marie,  Aletto  già  compita' 

• La  sua  promessu,  poi  eh’  a i’ armi,  al.sanguo 
lui  a le  stragi  era  la  guerra  addotta1, 

[52.1-5  i 2] 


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t • 

[835-S5S]  libqo  Vii.  347. 

Uscì  4el  La^io,  e baldanzosa  a Paura 
Levossi,  ed  a Giunon  supecba  disse: • 

Eccoti  1’  arme  e lei. discordia  irr  campo, 

E la  guerra  già  rotta.  Or  di’  eh’  amici, 

Di’  che  con  federati, 7 & che  paventi- 
si sieno  ornai,  poiché  d’ausonio  sangue 
y Giù- sono  i Teucri  .aspersi.  Io,  se*più  vuoi,-* 
Più  farò.  Di  rumori  e di'  sospetti  v’  * , •. 
Empierò  questi jiopoli  vicini;'  . 

Condnrrògji  in  aiuto;  andrò  per  lutto 

• ^ 

' Desiando  amor  di  guerra;  andrò  spargendo 
Per  le  campagne  orror/funJrc  ed  armi.. 

Assai,  Gi unp  rispose,  Irai  di  terróre 
E di  frodo  commesso:  ha  già  là  guerra  • 

Le  sue  cagioni } Iranno  (comunque  in  prima 
. La  sorte  le  si  regga)  ainbe;  le  parti  ’ 

Le  gentiin  campo, e l'jvrmi  in  mutui,  cP  armi  *• 
Son  già  di  suugue  tinte,  e ’1  sangue  è . fresco. 
Or  queste' sponsalizie  e queste  nozze- 
Comincino  a godersi  il  .re  Latino,  - 
E questo  di  Ciprigna  egregio  Piglio.-*  • 
Tii,. perchè  uon.ednsent6.il  Padre  eterno 
Cli’in  questo  eterea  luce  c sopra  terra 
Còsi  licenzìosfirte  nc  vada'  - . . 


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3 i8  ' l’exeidb.  [859-882} 

Torna  a’  tuoichiostri;edio,s’altro  infciò  resta 
Da  finir,  finirò.  Ciò  disse  a pena 
La  figlia  di  Saturno,  che.d’  Alcllo 
Fischiar  le  serpi,  e dispiegarsi  l’  ali 
In  vèr  Cocito.  È de  l’Italia  in  mezzo 
E de’ suoi monti  una  famosa  valle, 

Clic  d’  Anisanto  si  dice.  Ila  quinci  e quindi  4 
Oscure  selve,  e tra  le  selve  un  fiume 
Che  per  gran  sassi  rumoreggia  e cade, 

E sì  rode  le  ripe  6 le  scoscende, 

Che  fa  spelonca  orribile  e vorago, 

Onde  spira  Acheronte,  e Dite  essala. 

In  questa  buca  1’  odioso  nume 
De  la  crudele  e spaventosa  Erinne  * 

Gittossi,  e dismorbò  1’  aura  di  sopra. 

Noii  però  Giulio  di  condur  la  guerra 
.* Ri liiansi  intanto.  Ed  ecco  dal  confiilto 
Venir  nC  la  città  la  rozza  turba 

De’ contadini,  e riportare  i corpi 

» * 

Del  gioviuctto  Alinone  e di  Galèso, 

Cosi  coni’  erau  sangóinosi  e sozzi: 

Gli  mostrano;  ne  gridano;  n’  implorano 
Dagli  Dei,  da  Latino  e da  le  genti 
Testimonio,  pietà,  sdegno  e vendetta. 
[5*9-576] 


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349 


[8S3-906]  libro  vii,  . 

Evvi  Turno  presente,  che  con  essi 
Tumultuando  esclama,  e ’l  fallo  aggrava, 

E detesta  e rimprovera  e spaventa. 

Questi,  questi,  dicendo,  son  chiamati 
A regnar  ne  l’Ausonia:  ai  Frigi,  ai  Frigi 
Dà  Latino  il  suo  sangue,  e Turno  esclude. 

' Sopravvengono  intanto  i furiosi, 

Che,  con  le  donne  attonite  scorrendo, 

Gian  con  Amata  per  le  selve  in  tresca; 

Chè  grande  era  d’  Amata  iti  tutto  il  regno 
La  stima  e.’l  nome;  e d’ogni  parte  accolli 
Tutti  contro  gli  annunzi,  coutru  i Fati 
L’  armi  chiedendo  e la  nou  giusta  guerra,. 
Yan  di  Latino  a la  magione  intorno. 

Egli  di  rupe  in  guisa  immoto  stassi, 

Di  rupe  che,  nel  mar  fondala  e salda, 

Nè  per  venti  si  crolla,  nè  per  onde 
Che  le  fremano  intorno,  e gli  suoi  scogli 
Son  di  spuma  coverti  e d’ alga  invano. 

Ma  poiché  superar  non  puote  il  cieco 
Lor  malvagio  consiglio,  e che  le  cose 
Givan  di  Turno  e*di  Giunone  a voto^ 

Mollo  pria  con  gli  Dei,  con  le  van’aurc 
Si  protestò  5 poscia,  Dal  fato,  disse, 

Caoo. — 23.  «[0/7*594] 


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350  . l’bxmbb.  [907-930] 

Som  vinto,  o la- tempesta  mi  trasporta. 

Ma  voi  per  questo  sacrilegio  vostro 
Il  fio  nc  pagherete.  E tu  fra  gli  altri, 
Turno,  tmpria  n!  avrai  supplizio  c morte; 
E preci  e voti  a tempo  ne  farai, 

(lira  tempo  non  saranno. Io,  quanto  a n»e,‘ 
(lià  de’  mie»  giorni 'e  de  la  mia  quiete 
Son  quasi  in  porto  : c da  voi  sol  m’ è tolto 
Morir. felicemente.  E qui  si  tacque, 

K T governo  depose,  e ritirossi.  " 

. Era  in  Lazio  un  costume,  che  venuto 
È poi  di  mano  in  man  di  Lazio  in  Alba, 
fi  d’  Alba  in  Roma , ch’  or  del  mondo  è capo  ; 
dhe  nel  muover  de  l’ armi  ai  Geli,  agl’  lndi,v 
Agli  Arabi,  agl’  litania  qual  sia  gente 
Gli’  elle  situi  mosse,  si  com’  ora  a’  Parti 
Ter  ricovrir  le  mal  perdute  insegne, 

$’  apron  le  porte  de  la  guerra  in  prima. 

Queste  sòn  due,  che  per  la  riverenza, 

Per  la  religione  e per  la  tema 
Del  fiero. Marte,  orribili  e tremende 
Souo.a  le  genti  ; e con  beh  cento  sbarre 
Di  rovere,  di  ferrò  e di  metallo 
Stai»  sempre  chiuse  :*è'lor- custode  è Giulio. 
[594-6  IO] 


LIBRO  VII. 


[93* -95£J 


551 


Ma  quando  per  .consiglio  e per 'decreto 
De’  Padri  si  deiernfiiià  e s’  appruova 
Clic  si  guerreggi,  il  consolo  egli  stesso',  . 
Si  come  p I’  uso,  in  abito  c.cOh-ponipa 
C’  ha  da’  Gabini  origine  e da’  regi, . -• 
Solennemente  le  disferro  e I’ opre: 

* Ed  egli  stesso,  al suon  de  le  catene  r * 

E de  la  ruginosa  orrida  soglia, 

La  guerra  intitolili  : guerra  'dopo  lui* 

Grida  la  gioventù;  guerra  e battaglia  » 
Supnun  le  trombe;. ed 'èr la  guerra  iudiUu. 

In  questa  guisa  era  Latino  astretto 
D’  annunziarla  ai  Teucri;  u lui  quest* atto 
D*  aprir  le  triste  e spaventose  porle 
Si  doveu  come  a rege.'Ma  ’l  buon  padre; 
Schivo -di  si  neftUido  ministero, 

S’ nstennCdi  toccarle,  è gli  ocelli  indietro 
Volse  per  non  ’vederle,  e «si.  nascose.  • . • 

>.  Ma  per  tórre  ogni  indugio  un’altra  volta. 
Ella  stessa  Regina  de’ Celesti  * 

Dalciel  discesele  di  sua  propria  mano  * 
Pinse,  disgbanglierò,  ruppe  e sconfìsse 
De  le  sbarrale  portò  ogni  ritegno, 

Si  die  I’  aperse.  Allor  l’  Ausonia  tutta,  ■ 

-t&H-oaaV 


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352  l’  eneide.  [955-978} 

Ch’ora  dianzi  pacifica  c quieta, 

S’ accese  in  ogni  parte.  li  (pia  pedoni,  ' 

Là  cavalieri;  a.  la  campagna  ognuno, 

Ognuno  a l’arme,  a maneggiar  destrieri, 

A fornirsi  di  scudi,  a provar  elmi, 

A far,  dii  con  la  cote,  e chi  con  I’  unto, 

Ciascuno  i ferri  suoi  lucidi  e tersi.  . -, 

Altri  s’addestra  a sventolar  l’ insegne, 

Altri  a spiegar  le  schiere,  e con  diletto 
S’ode  annitrir  cavalli  e sonai*  tube. 

Cinque  grosse  città  con  mille  incudi 
A rubricare,  a risarcirai  danno 
I)’  ogni  sorte  armi.  La  possente  Alina, 

Ardua  P antica,  Tivoli  il  superbo, 

E Crustumerio,  e la  tornita  Antenna.  • 

Oui  si  vede  cavar  elmi  e celale; 

Là  torcere  e covrir  targhe  c pavesi  ; - 
Per  tutto  riforbire,  auzzar  ferri, 

Annestar  maglie,  riti  ter  za  r corazze, 

E per  fregiar  più  nobili  armature, 

I irai-  lame  d’  acciaio,  (ila  d*  argento. 

Ogni  bosco  fa  lance,  ogni  fucina 
Disfà  vomeri  e marre,  e spiedi  c spade 
Si  formati  dui  bidenti  e da  I c ' fu  lei. 

[G23-rt3dj 

• ^ 


1 


[979-1002]  libro  vii.  353 

Suoiian  le  trombe,  dossi  il  contrassegno,  . 
Gridasi  a Tarmi:  e chi  cavalli  accoppia, 

E chi  prende  elmo,  e chi  picca,  e chi  scudo. 
Questi  ha  In  piastra, equei  la  maglia  indosso, 
E la  sua  fida  spada  ognuno  a canto» 

Or  m’ aprite  Elicona,  e di  conserto 
Meco  il  canto  movete,  alme  Sorelle, 

A dir  quui  regi  e quai  genti  e qual’ armi 
Militassero  allora,  e di  che  forze, 

E di  quanto  valore  era  in  quei  tempi 
Lu  milizia  d’ Italia.  A voi  conviensi 
Di  raccontarlo,  a cui  conto  e ricordo 
De  le  cose  e de’ tempi  è dato  eterno: 

A noi  per  tanti  secoli  cimasa 

N’  è di  picciola  fama  un’  aura  a pena. 

11  primo,  che  le  genti  a questa  guerra 
Ponesse  in  campo,  fu  Mezenzio,  il  fiero 
Del  eie!  dispregiatore  e degli  Dei. 

D’Etruria  era  signore,  e di  Tirreni 
Condueea  molte  squadre.  Avea  suo  figlio 
Lauso  con  esso,  uu  giovine  il  più  bello. 

Da  Turno  in  fuori,  che  I'  Ausonia  avesse. 
Gran  cavaliero,  egregio  cacciatore 
Pino  tillor  si  mostrava;  e mille  armali 
[G37-G52] 


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334 


i.  .>  lu- 


ti 003-1 02GÌ 

Avea  la  schiera  sua,  che  sèeo  uscita 

Fuor  d’  Agillina,  ne  1’. essigli©  ancora 

ImlariK)  lo  seguia;  degno  che  fosse 

Ne  I’  imperio  del  padre.  A questi  dopo  *■ 

Segue  A venti  ivo,  de  Finvilto  Alcide  '•* 

Leggiadro  figlio.  Questi  col  suo  capro  ' 

Di  palme  adorno,  e co’ vittoriosi 

Suoi  corridori  in  campo  apprescntossi. 

Avea  nel  suo  cimiero  e nel  suo  scudo, 

In  memoria  del  padre,  un’  idra  cinta 

Da  cento  serpi.  D’Èrcole  o-.di  Rea 

Sacerdotessa  ascosamente  nato 

Nel  bosco  d’Avcntino  era  costui  j 

Clic  con.  la  madre  il  poderoso  iddio - 

Quivi  si  mescolò  quando  di  Spagjrn,  * 

Da  Geritone  estinto,  ai  campi  venne.  , 

Di  Laureato;  e nel  Tirreno  (iumc 

. * 
Lavò  d’ Ibèro  il  conquistato  armento. 

Eran  di  mazzafrusti,  di  spuntoni, 

Di  cbjuvnrine, ,e  di  snvclii  spiedi 

Armate  le  sue  schiere.  Ei|  egli,  a piedi, 

I)’  un  cuoio  di  Icon  velluto  ed  irlo  * . 

Vestia  gli  omeri  e ’l  dorso,  e-  del  suo  ceffo, 

Clic  quasi  digrignando  ignudi  e biaucjii 

[«52-667] 


. Diqilized  by  CooqIc 


[ IOiT7-'i050]  . libro  vii.  35-6 

Mostrava  i d.enti  e l’ima  e Talora -gola,.. 

'Si  coppia  ’lcapo.  E con  tal  fiera  mostra,  : 
D’Èrcole  in  guisa,  a corte  si  condusse. . - 
Vennero  appresso  -i  due  fratelli'  ar  gì  vi 
Catillo  e Cora:  e di  Tiburte  il  tèrzo 
(iuidùr  ledenti,  che  da  lui  nomate 
Fur  Tiburtine.  Boi  lor  colli  entrambi 
Calando  avanti  a l’  ordinate  schiere, 

Due  centauri  sembravano  u vedergli, 

Che  gwi- correndo  da’ nevosi  gioghi 
6’Òmole  e d’Otri,  rjsonandp  funsi  .. 

Dar  la  via  da’ virgulti  c da  le  selve. 

Cècolo,  di  Prenèste  U fondatore; 
Comparve  aneli’ egli:  un  re  che  do  bambino 
fu  tra  l’ agresti  belve  appo  d’  un  foco 
Trovato  esposto  ; onde  di  foco-  natp  . . 

Si  crede. poscia,- e di  Volcanp  figlio.  • 

Avea  costui  di  rustici  d’ intorno 

Una  gran  compagnia,  cb’eran.de  l’ alta 

Preneste,  de’ sassosi  èrnici  monti,  , . 

De  la  gabina  Giuno  c d’ Amène, 

È d’Àmasèno  e de  la  ricca  Anagni  , 

Abitanti  e cultori  : e come  gli  altri» 

Non  erano  ih  su’  car^i , o d’aste  armati 
[668-685] 


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356  I.’ ENEIDE.  [1051-1071] 

0 ili  scudi  coverti.  Una  gran  parie 

Fruii  frombolatori,  e spargean  ghiande* 

% 

Di  grave  piombo,  e parie  avean  due  dardi 
Ne  la  sinistra, e cappelletti  in  testa 
D'orridi  lupi:  il  manco  piò  discalzo, 

Il  destro  o d’  uosa  o di  corteccia  involto. 

Messiipo  venne  poscia,  de’  cavalli 
Il  domatore  e di  Nettuno  il  tiglio, 

Contro  al  ferro  fatalo  e contro  al  foco.  * 
Onesti  subitamente  armando  spinse 
Le  genti  sue  per  lunga  pace  imbelli. 

Deviò  dalle  nozze  i Fescennini, 

Da  le  leggi  i Falisci  : armò  Soratte 
Armò  Flavinio,  c tutti  che  d’intorno 
Ila  di  Cimini  c lu  montagna  e ’l  lago, 

F di  Capèna  ì'  boschi.  Ivan  del  pari 
In  ordinanza,  c del  suo  re  cantando; 

Come  soglion  talor  da  la  pastura 
Tornarsi  in  vèr  le  rive  al  ciel  sereno 

1 bianchi  cigni,  e le  distese  gole 
Disnodar  gorgheggiando,  e far  di  Slitti 
lale  una  melodia,  che  di  Cuistro  . 

Ne  suona  il  fiumo  e d’Asia  la  palude. 

Nè  pur  un  si  movea  di. tanta  schiera 
[686-703J 


[1075- IG9S]  libro  vi».  357 

Da  la  stia-  fila,  in  ciò  1q  siuol  sembrando 
De’  roehi  augelli  allor  che  di  passaggio 
Vico  d’  alto  mare,  e come  intera  nube 
A terra  unitamente  se  ne  cala. 

• Ecco  di  poi  venir  Clauso  il  sabino, 

Di  quei  vero  sabino  antico  sangue; 

Ch’  avea  gran  gente,  e la  sua  gente  tutta 
Pareggiava  sol  egli.  Il  nome  suo 
Fece  Claudi^  nomare  e la  famiglia 
E la  tribù  romana  allor  che  Roma 
Diessi  a’ Sabini  in  parte.  Era  con  lui 
La  schiera  d’Amitqrno  e de’ Quiriti 
Di  quegli  antichi.  Eravi  il  popol  tutto 
D’  Erèto , di  itfbtisca  , di  Nomento 
E di  Velino,  c quei  che  da  l’ alpestri» 
Tètrica,  da  Sevèro,  da  Caspèriu, 

Da  Fòruli  e d*  lineila  erau  venuti  : 

Quei  che  bevean  del  Fàbari  e del  .Tebro  ; 
Che  da  la  fredda  Norcia  eran  mandati  ; 

Le  squadre  degli  Ortini,  il  Lazio  tutto, 

E tutti  olfin  che  nei  calarsi  al  mare 
Bagna  d’  ambe  le  sponde  Alita  infelice. 

Tanti  flutti  non  fa  di  Libia  il  golfo 
Quando  cade  Orion  ne  V onde,  il  verno  ; 

[703-719] 


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358 


358  l’£S«i>e.  [1099-  Il  22] 

Nè  tante  spiche  hanno  dal  sole  aduste, 
ha  state,  o d’  Ermo  o de  la  Licia  i campi. 
Quante  emù  genti.  Arme  sonare  e scudi 
S’udian  per  tutto,  e tutta  al  suon  eie' predi 
Trepidar  si  vedrà  l’Ausonia  terra.  . 

Quindi  ne  vieti  I'Agamennonio  auriga  * 
Alèso,  <lel  troion  nome  nimico; 

Che  di  mille  feroci  nazioni 
In  aria  di  Tufno  un  gran  miscuglio  • 
Dietro  al  suo  carro  aveadi  montanari. 
Parte  de’  pampinosi  a Bacco  amici 


s s 

Màssici  colli,  e parte  degli  Anemici,  - ' 
De’Sedicini  liti,  di  -Volturno, w 
Di  Cale,  dc’Saticoli,  e degli  Osci. 

Questi  per  arme  avean  mazze  e lanciotti 
Irti  di  molte  punte,  e di  soatto 
Scudisci  al  braccio,  onde  erano  i lor  colpi, 
Traendo, e ritraendo,  in  molti  modi  * 
Continuati  e doppi.  E pur  con  essi 
Avcano  e per  ferire  e per  coprirsi  ; 

Targhe  ne  la  sinistra,  e storte  al  fianco. 

Nè  tu  senza  il  tuo  nome  a questa  impresa, 
hhalo,  te  n’  andrai  del  gran  Telone 
E de  la  bella  ninfa  di  Scbcto 
[720-734] 


(ìnoglr 


[I42ÌSMÌA#}  libro  vii.  359 

Figlio  onorato.  Di  costui  §i  dice 
Clie,  nop  contento  del  paterno  regno,  . 
CtìpTral  vfecc^iiò  lasciando  c i Tcleboi, 

Fe  iY  esterni  paesi  ampio  conquisto, 

E fu  re  de’  Saldasti  e de  le  genti 
Clic  Santo,  irriga.  Insignorissi  appresso 
Di  Bàttilo,  di  Uufra,  di  Celenne 
E decampi  fruttiferi  d’Àvella. 

Mezze,  plfccjie  avean  questi  a la  tedesca 
Per  avventarle,  e.  per  celate  in  capo 
Suveri  scortecciati,  e di  metalli 
Brocchieri-  a la  sinistra,  c stocchi  a loto.  . 

.Calò  di  Nursa  e de’ suoi  monti  alpestri 
Uferìtc  iw.condottiei\cli’  erti  in  quei  .tempi 
Di  molta  fama  e fortunato  in  arme. 
EqiitgoliTivea  seco  la  più  parte, 

Orrida  gente,  per  le  selve  avvezza 
Cucciarle  fere,  adoperar- la  marra, 

Arar  con  1/ armi  in  dosso,  e tutti  insieme 
Viver  di  cacciagioni  e di  rupine. 

De  la  gente  marrubio  nn  sacerdote 
Venne  fra  gli  altri  5 sacerdote  insieme 
E capitan  di  gelile  ardito  e forte. 

Umbrone  era  il  suo  nome  ; Arcb'rppo  il  rege 
' [735-752] 


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300  L*  ENEIDE.  [1147-1170] 

Clic  lo  mandava.  Di  felice  oliva 

Aven  il  cimiero  c l’elmo  intorno  avvolto. 

Era  gran  ciurmatore,  c con  gl’  incanti  , 

E col  tatto  ogni  serpe  addormentava  : | 

Degl’  idri,  de  le. vipere,  e de£li  aspi 
Placava  l’ ira,  raddolciva  il  losco, 

E risanava  i morsi.  E non  per  tanto  _ 

Potè,  nè  con  incanti  nò  con  erbe 
De’  marsi  monti,  risanare  il  colpo 
De  la  dardunia  spada:  onde  il  meschino 
ISe  fu  da  le  foreste  de  l’Angizia, 

Dal  cristallino  Fucino  e dagli  altri 
Caghi  d’intorno  disiato  c pianto. 

Mandò  la  madre  Aricia  a questa  guerra 
Virbio,  del  casto  Tppolito  un  figliuolo, 

Gentile  e bello:  c da  le  selve  il  trasse 
D’  Egèria,  ove  d’ Imèto  in  su  la  rivsj 
Più  cólta  e più  placabile  è Diana; 

Cliè,  per  fama,  d’ Ippolito  si  «lice, 

Poscia  clic  fu  per  froda  e per  disdegno 
De  l’ iniqua  madrigna  al  padre  in  ira, 

E che  gli  spaventati  suoi  cavalli 
Strazio  e scempio  ne  fòro,  egli  di  nuovo, 

Per  virtù' d’erbe  e per  pietà  che  n’ebbe 
[702-768] 


[1171-1194]  libro  vii.  361 

La  casta  Dea,  fa  rivocato  in  vita. 

Sdegnossi  ii  padre  eterno  eh’  uu  mol  lale 
Fosse  a morte  ritolto;  c l’ inventore 
Di  cotal  arte,  clic  d’Apollp  nacque, 
Fulminando  mandò  ne’ regni  bui. 

Ippolito  da  Trivia  in  parte  occulta, 

Scevro  da  tutti,  a cura  fu  mandalo 
D’  Egèria  ninfa,  e ne  lu  sclvu  aseoso, 

Là  ’ve  solingo,  e col  cangiato  nome 
Di  Virbio,  sconosciuto  i giorni  mena 
D un’altra  vitu.  E quinci  è che  dal  tempio 
E da  le  selve ’a  Trivia  consecrate 

I cavalli  4ian  divieto  : chè  lor  colpa 

Fu’l  suo  carro  e‘l  suo  corpo  al  murin  mostro, 
E poscia  a morte,  indegnamente  esposto. 

II  figlio,  clic  pur.  Virbio  era  nomalo,  . 

Non  nieu  di  lui  feroce,  i suoi  destrieri 
Essercitava,  c’nsu’l  paterno  carro 
Arditamente  a questa  guerra  uscio. 

Turno  infra’  primi,  di  persoua  e d’  unni 
Riguardevole  cTicro,  e sopra  tutti. 

('.un  tutto’!  capo  in  campo  appreseli  tossi, 
lln  cimo  uvea  con  tre  cimieri  in  testa 
E stivi  una  Chimera,  checon  tante 
[769-785] 


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302  [;t  195-4  21 S]- 

Bocclic  foco  anelava,  quante  a pena 


Non  aprnrMongibello  ; o-con  piu -fremito 
Spargea  le  fiamme,  come  piu  crudèle 
Era  la  /uffa,  e pi ù- <1  i saligne  av$n%  •* 

Lo  scudo  era  d’acciaio,  e d’oro  iittóino  . • 
Tulio  commesso,  e d’  òr  nel  mezzo  un’  Io 
Era  scoi  pi  taglie  già  ’l  manto  e ’l  ceffo.  * 

Le  setole  c le  corna  avea  di  bue: 

• » 

Mcmorabil  soggetto!  Eravi  appresso 
Argo  che  la  guardava;  oravi  il  padre  . 
Inaoo,  die  chiamandola,  versava, 

Non  men  degli  ocelli, diede  l'urna, cu  fiume. 
, Dopo  Turno  venni  di  fanti  up pendio,, ^ 

IJn’ ordinanza,  una  campagna  pie.ua  . 

Tutta  di  scudi.  Eran  le  genti  sue  * * . 

° • Z.%  t 

Argivi,  Aaroiici,  "Rutiili,  Sicaui  • * 

E Sacràni  e Labici,  che  dipinti 
Portali  gli  setoli.  Avea  del  Tiberino,.  ~ 

Avea  del  sacro  lite  di  Nuniico 
E «le  Rutuli  cojli  e delCircèo,  . ’ * 

D A usure  a Giove  sacro,  di  Eeroniu 
Diletta  a Giuno.  de  là.  paludosa  . . \ 
Satura,  e del  gelalo  e scemo  Utente 
Gran  turba  di  villani  c d’  araTori. 

[780-802] 


' ! 

• 4 


uhy-CkìOglp 


21219-1241]  unno  vii,  3o*3 

L’  ultima  a l*k  rassegua  vieti  Camilla 
Cli’  eri»  ìli  volsca  gente  una  (lamella, 

ISon  di  conocchia  o di  rioanii  esperta. 

Ma  d’  armi  e di  cavalli,  e .benché  virgo, 

Di  cavalieri  e di  caterve  armate 
•Gran  condottiero,  e ne  le  guerre  ‘avvezza. 
Era  fiera  ili  Attaglia,  é lieve' a l'ebrèo' 

< Tanto,  che,  quasi  oh  vento  sopra  Pcrlu» 
Correndo,  non  avrebbe  anco  de’Jìori  * 

Tocco,  nè-cfe  l’ ariste  il  Sommo  a pena.'  " 

Non  avrebbe  per  E onde  e per  gli  flutti 
Del  gonfio  mar,  non  clic  le  piante  immerse, 
Ma  nè  pur  tinte.'  Per  veder  costei  * ' ' 

Usciali  de'  tetti,  fcmpìèan  le  strade  eTcfftnp*» 
Le  genti  tutte ; i giovini  e l<f donne-  ■ 
Stavan  éon  meraviglia  e con  diletto 
Mirando  e vagheggiando  qiiqfe  andava, 

E cpial  sembrava-;  ccrnie'regianiente  ' 

D'ostrò  ornato  avcti  ’l  tergo,  e ’l  capò  dWo!; 
È con  che  dispregiata  leggia'drfà  * . 

Portava  un  pqstoral  nodoso  nifrto 

Loti  piccini  ferro' in  punta;  e con  dtp  grazia 

Se  ne  già  d’ arco  e di  faretra  armata*  ' **  K 

. • V‘-  [803-817]  • . ‘ 


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3G4 


[M*J 


DELL’  ENEIDE 

Libro  Ottavo. 

Poscia  clic  di  Laurcnto  in  su  la  ròcca 
Fe  Turno  inalberar  di  guerra  il  segno, 

E che. guerra  sonòr  le  roche  trombe, 

Spinti  i carri  e i destrieri,  e 1’  armi  scosse 
Di  Marte  al  tempio,  incontinente  i cuori 
Si  turbAr tutti,  e tutto  il  Lazio  insieme 

Con  subito  tumulto  si  ristrinse.  _ 

0 s 

Fremessi,  eongiuròssii  rassettossi 
Ognun  ne  l’ urm.e.  I tre  grun ‘'condottieri 
Messùpo,  Ufente,  e l’empio  de’ celesti 
Dispregiato)’. Mezenzio,  uscirò  in  prima. 
Accolsero  i sussidi  ; arinAr  gli  agresti  ; 
SpogiiAr  d’ugricoltor  le  ville  le  i campi. 

In  Arpi  a Diomede  si  destina 
Venuto  imbasoiatorc  : e gli  s*  impone 
Glie  soccorso  gli  chiegga,  e clic  gli  esponga 
. Quanto  Ciò  dq  1*  Italia  c del  suo  stato  * 

I orni  u grand’  uòpo;  con  che  gente  Enea, 

’ * [ I - i 0] 


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y 


[ 1 9-423  ' libro  vili.  365 

Con  quale  armala  v*  ha  già  posto  il  piede. 
E fermo  il  seggio,  e rintegrolo  il  culto 
A’ suoi  vinti  Penati  ; come  aspira 
A questo  regno,  e come  anco  per  fato, 

E per  retaggio  del  durdanio  seme,  , 

Lo  si  promette.  Che  perciò  da  molti 
È già  seguito  e ch’ogni  giorno  avanza 
JcL  di  forze  e di  nome.  Indi  soggiunga: 

Quel  che’l  duce  de’ Teucri  in  ciò  disegni 
E che  miri  e che  tenti  (se  fortuna 
Gli  va  seconda  ) a le  via  più  eh’  a Turno 
Esser  può  manifesto,  e eh’  a Latino. 

Questi  andamenti  e queste  trame  allora 
Correan  per  Lazio,  e lo  scaltrito  eroe 
Le  sapea  tutte,  onde  in  un  mare  entrato 
Di  gran  pensieri,  or  la  sua  ménte  a questo. 
Or  a quel  rivolgendo  ili  varie  parti, 

D’ ogni  cosa  avea  téma  c speme  c cura. 

Così  di  chiaro  umor  pieno  un  gran  vaso. 

Dal  sol  percosso,  un  tremulo  splendore 
Vibra  ondeggiando,  e rinfrangenilo  a volo 
Mandò  i suoi  raggi,  e le  pareti  e i palchi 
E l’aura  d’ ogn’ intorno  empie  di  luce. 

Era  la  notte,  e già  per  ogni  parte 
Caro. — 24.  [41-26] 


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366  l’ ENEIDE.  [43-66] 

t * 

Del  mondo  ogni  animai  d’  aria  e di  terra 
Altamente  giacca  nel  sonno  immerso, 

Allor  die  ’i  padre  Enea,  cosi  eom’  era 
Dal  pensier  de  la  guerra  in  ripa  al  Telino 
Già  stapco  e travagliato,  addormentossi. 

Ed  ecco  Tiberino,  il  dio  del  loco 

Veder  gli  parve,  un  che  già  vecchio  al  volto  „ 

Sembrava.  Avea  di  pioppe  ombra  d’intorno; 

Di  soli  il  velo  e trasparente  in  dosso 
Ceruleo  ammanto, e i crini  e ’l  fronte  avvolto 
D’ombrosa  canna.  E de  l’ameno  li  urne 
Placido  uscendo,  a consolar  lo  prese 
In  cotal  guisa:  Epea,  stirpe  divina, 

Clic  Troia  da’ nemici  ne- riporli  « 

E la  ravvivi  e la  conservi  eterna  ; 

0 da  me,  da’  Laureali  e da’ Latini 

Già  tanto  tempo  a tanta  speme  atteso, 

> — 

- Questa  è la  casa  tua,  questo  è sccura- 
mcntc,  non  l’arrestare,  il  fatai  seggio 
* Che  t’è  promesso.  Le  minacce  e ’l  grido 
Non  temer  de  la  guerra.  Ogn’ odio,  ogn’  ira 
Cessa  già  de’ celesti.  E perché  ’l  sonno 
Credenza  non  ti  scemi,  ecco  a la  riva 
Sci  già  del  fiume,  u’ sotto  a 1’ elee  accolla 
[2G-43] 


ied-byXIuogle 


.•1 


[67-90]  libro  vm.  367 

Sta  la  candida  troia  con  quei  trenta 
Candidi  fi^li  a le  sue  poppe  intorno. 

Questo  Ha  dunque  il  seguo  c’  I tempo  e’  I loco 
Da  fermar  la  tua  sede.  E questo  è ’l  fine 
De’  tuoi  travagli;  onde  il  tuo  figlio  Ascanio, 
Dopo  trent’  anni,  il  memorabil  regno 
Fonderà  d’Alba,  che  cosi  nomata 
Fia  dal  candore  e dal  felice  incontro 
Di  questa  fera.  E-tutto  adempiessi, 

Ch’  io  li  predico,  e t’è  predetto  avanti. 

Or  brevemente  quel  ch’oprar  convieni!',. 
Per  uscir  glorioso  e vincitore 
Di  questa  guerra,  ascolta.  È ili  qui  lunge 
Non  molto  Evandro,  un  re  clic  de  l’Arcadia 
E qua  venuto  ; e sopra  a questi  monti 
Ha  degli  Arcadi  suol  locato  il  seggio. 

H loco,  da  Pollante  suo  hisavo, 

È stato  Pallantèo  da  Itii  nomato  ; 

Ed  essi  perchè  son  nel  Lazio  esterni,* 

Son  nemici  abatini  ed  han  con  loro 
Perpetua  guerra.  A te  fa  di  mestiero 
Con  lor  confederarti,  e per  compagni 
A questa  impresa  avergli.  Io  fra  le  ripe 
.Mie  stesse  incontro  a 1’  acqua  a la  magione 
[44-57] 


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368  V ejikide.  [91-114] 

D’ Evandro  agevolmente  condurrolti. 

Désta  ti  de  la  Dea  pregiato  figlio; 

E come  pria  vedrai  cader  le  stelle, 

Porgi  solennemente  a la  gran  Giuno 
Preghiere  c voli;  c supplicando  vinci 
De  1’  inimica  Dea  I’  ira  c l’orgoglio  ; 

Ed  a me,  poi  che  vineitor  sarai, 

Paga  il  dovuto  onore,  lo  sono  il  Tebro 
Cerco  da  te,  che  qual  tu  vedi,  ondoso 
Rado  queste  mie  rive,  e fendo  i campi 
De  la  fertile  Ausonia,  al  cielo  amico 
Sovr’ ogni  fiume.  Quel  che  qui  m’ò  dato, 

E ’l  mio  seggio  maggiore  ; e fia  che  poscia 
Sovr’ ogni  altra  citladc  il  capo  estolla. 

Così  disse,  e tufTossi.  Enea  dal  sonno 
Si  scosse;  il  giorno  aprissi,  ed  ci  col  sole 
Sorgendo  insieme,  al  suo  nascente  raggio 
Si  volse  umile:  c con  le  cave  paline 
De  P onda  si  spruzzò  del  fiume,  e disse  : 
Ninfe  laureati,  ninfe  ond’  hanno  i fiumi 
1/  umore  c M corso  ; e tu  con  P onde  tue, 
Padre  Tebro  sacrato,  al  vostro  Enea 
Date  ricetto,  e da’ perigli  ornai 
Lo  liberate.  E io  da  qual  sia  fonte, 

[58-74] 


[M5-T38]  libro  vi».  3G9 

Che  sgorghi,  iu  qual  sii  riva,  in  qual  sii  foce 
(Poiché  tanta  di  me  pietà  ti  stringe) 
Sempre  t’ onorerò,  sempre  di  doni 
Ti  sarò  largo.  0 de  I’ esperiti’ onde 
Superbo  regnatore,  amico  e mite 
Ne  sia  il  tuo  nume, e i tuoi  detti  nou  vani. 
Così  dicendo,  de’suoi  legni  elegge 

I due  migliori,  e gli  correda  e gli  arma 
Di  tutto  punto.  Cd  ecco  d’  improviso 

( Mi rabil  mostro  ! ) de  la  selva  uscita 
Una  candida  scrofa,  col  suo  parto 
Di  enndor  pari,  sopra  l’-erba  verde 
Ne  la  riva  accosciata  gli  si  mostra. 

Tosto  il  pietoso  Eroe  col  gregge  tutto 
A 1*  aitar  la  condusse  ; e poiché  sacra 
L’  ebbe  al  gran  nome  tuo,  massima  Giuno, 

A te  l’ uccise.  Il  Tebro  quella  notte 
Quanto  fu  lunga,  di  turbato  c gonfio 
CIP  egli  era,  si  rendè  tranquillo  e queto 
Si,  che  senza  rumore  e quasi  in  dietro 
Tornando,  come  stagno,  o come  piena 
Palude  adeguò  1’  onde,  e tolse  a*  remi 
Ogni  contesa.  Accelerando  adunque 

II  cantin  preso,  iben  unti  c spalmati 

[74-90] 


370  l’  ene|de.  [159-162] 

Loi*  legni  so  ne  vati no  incontro  al  fiume  ' 
Coni’ a seconda  ; si  die  1’  onde  stesse 
Stavan  meravigliose,  e i boschi  intorno, 
Non  solili  a veder  Tarmi  e gli -scudi, 

E i dipinti  navi I i,  clic  da  lunge 
Tacean  novella  c peregrina  mostra. 

Se  nc  van  notte  e giorno  remigando 
Ili  tutta  forza,  e i seni  e le  rivolte 
Varcati  di  mano  in  inano,  or  a P aperto, 

Or  tra  le  macchie  occulti,  c via  volando 
Segati  P onde  e le  selve.  Era  il  sol  giunto 
A mezzo  il  giorno,  quando  incominciaro 
Da  lunge  a discovrir  la  ròcca  e’I  cerchio, 

E i rari  allor  ilei  poverello  Evandro 
Umili  alberghi,  ch’  ora  al  cielo  adegua 
ha  romana  potenza.  Immantinente 
Volscr  le  prore  a terra  ed  appressarsi 
Là  ’ve  per  avventura  il  re  quel  giorno 
Solennemente  in  un  sacrato  bosco 
Avanti  a la  città  stava  onorando 
Il  grande  Alcide.  Avea  Fallante  seco 
Suo  figlio,  c del  suo  povero  Senato, 

E de’  suoi  primi  giovini  un  drappello, 

Che  d incensi,  di  vittime  c di  fumo 

[91-106] 


? 


A '.un^k1 


[163-4  86]  nano  A-iii.  371 

Di  caldo  sangue  empican  Pare  e gli  ailari. 

Tosto  che  di  lonlan  videp  le  greggio, 

E per  entro  de’ boschi  occulte  e chete 
Gir. navi  esterne,  insospettiti  in  prima 
Si  levàr  da  le  mense.  JMa  Pollante 
Arditamente,  Non  movete,  disse, 

Seguite  il  sacrifìcio.  E tosto  a Porrai 
Dato  di  piglio,  incontro  a lor  si  spinse. 
Giunto,  gridò  da  P argine  : 0 compagni, 
Qual  fin  v’  adduce,  o qualV  intrica  errore 
Per  così  torta  e disusata  via? 

Ov’  andate  ? chi  siete  ? onde  venite  ? 

Che  ne  recate  voi  ? La  pace,  o P armi  ? 

Enea  di  su  la  poppa  un  ramo  alzando 
Di  pacifera.-oliva,  Amici,  disse, 

Vi  siamo,  e siam  Troiani,  e coi  Latini  _ 
Vostri  nimici  inimicizia  avenio. 

Questi  superbamente  il  nostro  essiglio 
Perseguitando  ne  fan  guerra  cd  onta. 
Ricorr.emo  ad  Evandro.  A lui  porgete- 
Da  nostra  parte,  che  de’ Teucri  alcuni 
Son  qui  venuti  condottieri  eletti 
Per  sossidi  impetrarne,  c lega  d’arme. 

Stupì  primieramente  a sì  gran  nome 
[106-121] 


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372 


* 

l’  ENEIDE. 


[187-210] 


l'aliante,  indi  vèr  lui  l ivello  umile, 

Signor,  qual  clic  tu  sii,  scendi  e tu  stesso 
Parla,  dissecai  mio  padre,  e nosco  alloggia. 
E lo  prese  per  mano  ed  abbrucciollo. 

I. ascialo  il  fiume  c ne  la  selva  cufrati, 

Enea  dinanzi  ai  re  comparve  c disse: 
Signor,  che  di  bontà  sovr’  ogni  Greco, 

E di  fortuna  sovr*  a me  leu  vai 
Tanto  che  supplichevole,  e co’  rami 
Di  benda  avvolti  a tua  magion  ne  vengo; 
lo,  perchè  sia  Troiano  e tu  di  Troia 
Per  nazion  nimico  c per  legnaggio 
Agli  Atridi  congiunto,  or  non  pavento 
Venirti  avanti,  chè’l  mio  puro  affetto, 

(ìli  oracoli  divini,  il  sangue  antico 
De’  maggior  nostri,  il  tuo  famoso  grido, 

E ’l  fato  c’I  mio  voler  m- Ilari  teco  unito. 

t 

Dardano  de’ Troiani  il  primo  autore 
Nacque  d’ Elettra,  come  i Greci  han  detto; 
E d’ Elettra  fu  padre  il  grande  Atlante, 

Che  con  gli  omeri  suoi  folce  le  stelle. 
Vostro  progenilor  Mercurio  fue, 

Che  nel  gelido  monte  di  Ciilene 
De  la  candida  Maia  al  mondo  nacque;  - 
[121-1 39] 


LIBRO  Vili. 


373 


[2M-234] 

E Maia  ancor,  se  questa  fama  è vero, 

Venne  d’Atlante,  e ila  lo  stesso  Atlante 
Clic  fa  con  le  sue  spalle  al  ciel  sostegno. 

Così  <!’  un  fonte  lo  tuo  sangue  c’I  mio 
Traggo»  principio.'  E quinci  è che  sccuro 
Senza  opra  ili  messaggi  e senza  scritti. 

Pria  eh’  io  ti  tenti,  e pria  che  tu  m’  affidi. 
Posto  ho  die  stesso  e la  inia  vitati  rischio, 

E supplichevolmente' a la  tua  casa 
Ne  son  venuto.  I Putidi  eh*  infesti 
Sono  anco  a te,  se  de  P Italia  fuori 
Caccerun  noi,  già  de  l’Italia  tutta 
L’imperio  si  promettono,  e di  quanto 
Ragna  l’un  mar/è  e l’altro.  Or  la  tua  fede 
Mi  porgi,  c la  mia  prendi  ; ch’.ancor  noi 
Siamo  nsi  a guerra,  e cor  ne’petti  «verno. 

Il  re,  mentre  eh’ Enea  parlando  stette, 
il  volto  e gli  occhi  e la  persona  tutta 
Gli  andò  squadrando  $ e brevemente  al  line 
Così  rispose:  Valoroso  eroe, 

Come  lieto  iò  t’accolgo,  e come  certo 
Raffigurar  mi  sembra  il  volto  e i gesti 
E la  favella  di  quel  grande  Anchise 
Tuo  genitore!  Io  mi  ricordo  quando 
[140-157] 


374  l’  ejieide.  [2^.5-258] 

Priamo  per  riveder  la  sua  sorella 
Estone  e’I  suo  regno,  in  un  passaggio 
Che  perciò  fe  da  Troia  a Salamina, 

Toccò  d’ Arcadia  i gelidi  confini.  . . 1 

De  le  prime  lanugini  fiorilo  . 

Era  il  mio  mentova  pena  allor  ch’  io  viihi 
Quei  gran  duci-di  Troia,  e dé’ Troiani 
Lo  slesso  re.  Con  molto  mio  diletto 
Gli  mirai,  gli  ammirai,  notai  di  tutfi  *.  : 

• Gli  abili  e le  fattezze,  e sopra  lutti 
Leggiadro,  riguardevole  ed  altero 
Sembrommi  Ancbisc.  Un  desiderio  ardente 
Mi  prese  allor  d’ offrirmi,  e d’ esser  conto  . 
A quel  signore.  Il  visitai,  gli  porsi 
La  destra,  ospite  il  fei,  nel  mio  Feneo 
Meco  I’  addussi.  Ond’ci  poscia  partendo, 

Un  arco,  una  faretra  e molli  strali  ; 

Di  Licia  presentommi,  c d’oro  appresso 
Una  ricca  intessuta  sopravesta 
Con  due  freni  indorali  eli’ ancor  oggi 
Son  di  Pollante  mio:  si  die  gid  ferma 
fi  tra  noi  quella  fede  e quella  lega 
CIP  orme  chiedete.  E non  fìa  il  sol  dimane 
Dal  balcon  d’  oriente  uscito  a pena, 
[157-170] 


-Bìgifeed  by  iìpagle 


LIBRO  Vili. 


375 


[25*9-282] 

Che  le  mie  genti  e i miei  sossidi  avete. 
Intanto  a questa  festa,  che  solenne 
f acciamo  ogni  anno,  e tralasciai'  non  lece, 
(Già  che  siete  venuti  amici  nostri) 

Nosco  restate,  e come  di  compagni 
Queste  mense  onorate.  Avea  ciò  detto, 

Allor  che  nuovi  cibi  e nuove  tazze. 

Ripor  vi  fece,  e lor  tutti  nel  prato 
A seder  pose;  e sopra  tutti  Enea, 

Di  villoso  leon  disteso  un  tergo, 

Seco  al  suo  desco  ed  al  suo  seggio  accolse. 
Per  man  de’ sacerdoti  e de’ ministri 
Del  sacrificio,  d’ arrostite  carni 
De’  tori,  di  vin  puro,  di  focacce, 

Gran  piatti,  gran  canestri  e gran  tazzoni 
N’ andavo  a torno;  e co’ suoi  Teucri  tutti 
Enea  fu  de  le  viscere  pasciuto 
Del  saginato  a Dio  devoto  bue. 

Tolte  le  mense,  e ’l  desiderio  estinto 
De  le  yivande,  a ragionar  rivolti, 

Evandro  incominciò:  Troiano  amico, 
Questo  convito  e questo  sacrificio 
Cosi  solenne,  e questo  a tanto  nume 
Sacrato  altare,  instituiti  c posti 
[171-188] 


l’  fpieide. 


376 


[283-306] 


Non  sono  a caso  ; cliè  ilei  vero  cullo 
li  «logli  antichi  Dei  notizia  avemo. 

Per  memoria,  per  merito  e per  voto 
D’un  gru  il  periglio  sua  mercè  scampato, 
Son  questi  onori  a questo  dio  dovuti. 

Mira  colà  quella  scoscesa  rupe,  • 

E quei  rotti  macigni,  e di  quel  colle 
Quell’ alpestre  ruina,  c quel  deserto. 

Ivi  era  già  remota  e dentro  al  monte 
Cavata  una  spelonca,  ov’  iniqua  il  sole 
Non  penetrava.  Abitatore  un  ladro 
N’  era,  Caco  chiamato, .un  mostro  orrendo 
Mezzo  fera  e mezz’uomo,  e d’uman  sangue 
Avido  si,  cho^Lsuol  n’  aVea  mai  sempre 
Tiepido.  Ne  grommavao  le  pareti, 

Ne  pendevano  i teschi  intorno  adissi, 
DiqiaUùr,  di  /quallor  luridi  e marci. 
Voltano -era 'suo  padre;  c de’  suoi  fochi 
Per  la  bocca  spirando  atri  vapori, 

Giu  d’  un  colosso  c d'umi  torre  in  guisa. 
Centra  si  diro  mostro,  dopo  molti 
Dannagli  e molte  morti,  il  tempo  aliine 
Ne  diede  e questo  dio  soccorso  e scampo. 
Egli  di  Spagna  vincitor  ne  venne  V 
[188-201] 


[307- 330]  libro  vili.  377 

In  queste  parli, 'de  le  spoglie  altero  * 

Di  Gerìone,  in  cui  tre  volte  estinse 
In  tre  corpi  una  vita,  e ne  condusse 
fai  qui  d’ibèro  un  copioso  armento,  ' 
Oh’ avea  -pien  questo  fiume  e questa  valle. 

Caco  ladron  feroee-e  furioso, 

D’ogni  misfatto  ed’ ogni  sceleranza 
Ardito  e frodolente  essecutore, 

Quattro  tori  iuvolonne  e quattro  vacche, 

Ch’  eran  fior  de  I’  armento.  E perchè  1*  orme 
Indicio  non  ne  dessero,  a rovescio 
Per  la  coda  gli  trasse;  e ne  la  grotta  • 

Gli  condusse,  e celògli.  Eran  1’  impronte 
De’  loi*  piè  volte  al  campo,  e verso  l’ nutro 
Seguo  non  si  vedea  eh’  a la  speloncn 
Il  cercator  drizzasse.  Avea  già  molti 
Giorni  d’  Anfìtrion  tenuto  il  figlio 
Qui  le  sue  mandre,  e ben  pasciuto  e grosso 
* Era  il  suo  armento;  sì  che  nel  partire 
Tutte  queste  foreste  e questi  colli 
Di  querimonie  e di  muggiti  empierò. 
Mugghiò  da  1’  altro  canto,  e ’l  vasto  speco 
Da  lunge  rinlonar  fece  una  vacca 
De  le  rinchiuse:  oude  schernita  e vana 
[202-318] 


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378  l’ ENEIDE.  [331-35A] 

Restò  di  Caco  la  custodia  e'I  furto, . . 

Gli’  udilla  Alcide,  c d’ ira  e di  furore 
In  un  subito  acceso,  a la  sua  mozza, 

Ch’era  di  quercia  nodorosa  e grave, 

Diè  di  piglio,  c correndo  al  monte  ascese. 
Quel  dì  da’ nostri  primamente  Caco 
Temer  fu  visto.  Si  siparrì  negli  ocelli, 

Si  mise  in  fuga  e fu  la  fuga  un  volo: 

Tal  gli  aggiunse  un  timor  le  penne  a’  piedi. 

Tosto  clic  ne  la  'grotta  si  rinchiuse, 
Allentò  le  catene  e di  quel  monte 
Una  gran  falda  a la  sua  bocea  oppose; 

Cb’  a la  bocea  de  1’  antro  un  sasso  immane 
Avea  con  ferri  e con  paterni  ordigni 
Di  cataratta  aceommodato  in  guisa  _ 

Con  puntelli  per  entro  e stanghe  e sbarre. 
Ecco  Tirinzro  arriva,  è come  è spinto 
Da  la  sua  furia, -va  per  tutto  in  volta 
Fremendo,  ora  ai  vestigi,  ora  ai  muggiti, 
Ora  a l’ entrata  de  la  grotta  intento. 

E portalo  da  l’impeto,  tre  volte 
Scorse  de  I’  Aventino  ogni  pendice;- 
Tre  volle  al  sasso  de  la  soglia  intorno 
Si  mise  indarno;  e tre  volte  aiTunnnto 
[218-2321 


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[35&'-3.78]  libro  vili.  379 

Biforcò  ne  la  valle  a riposarsi. 

Era  de  ki  spelonca  al  dorso  in  cima 
Di  selce  d’ ogn’  intorno  dirupata 
Un  cucuzzolo  altissimo  ed  alpestro, 

Eli’  ai  nidi  d’ avvoltoi  e di  tali  altri 
Augelli  di  rapina  e di  carogna 
f Era  opportuno  albergo.  A quesfo  intorno 
Alfin  si  mise;  e siccom*  era  al  fiume 
Da  sinistra  inchinato,  egli  a rincontro 
Lo  spinse  da  la  destra,  lo  divelse,  ■ 

Col  calce  de  la  mazza  a leva  il  pose, 

E gli  diè  volta.  A quel  fracasso  il  cielo 
Rintouó  tutto,  si- orollàr  le  ripe, 

E ’l  fiume  impaurito  si  ritrasse. 

Allor  di  Caco  fu  lo  Speco  aperto: 
Scoprissi  la  sua  regia,  e le  sue  dentro 
Ombrose*  e formidabili  caverne. 

Coinè  chi  de  la  terra  il  globo  aprisse 
* A vivafprza,  e de  l’ inferno  il  centro 
Disctovrissje  in  un- tempo,  e che  di  sopra 
De  l’  abisso  vedesse  quelle  oscure  * 

Dal  cielo  abbomìnale  orride  bolge  : 

Vedesse  Pluto  a I’  improviso  lume 
Restar  del  sole  attonito  e confuso  ; 

[232-246] 


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* 1 . ; 


3S0  l’ eneide.  [379-402] 

Colai  Caco  ila  subito  splendore 
Ne  la  sua  tomba  abbarbagliato  c chiuso- 
Digrignar  qual  mastino  Creole  vide; 

E non  più  tosto  il  vide,  ebe  di  sopra 
Sassi,  travi,  tronconi,  ogn’  arme  addosso 
Fulgorando  a v ventàgli.  Ei  ebe  nè  fuga 
Avea,  nè  schermo  al  suo  periglio  altronde,  -j 


Da  le  sue  fauci  (meraviglia  a dirlo!) 

# t # 

Ir  1 

^ . ( 

Vapori  e nubi  à vomitar  si  diede 

) 

Ir- 

Di  fumo,  di  caligine  e di  vampa, 

1 

•ii 


Tal  che  miste  le  tenebre  col  foco 
Toglican  la  vistaagli  ocelli, eM  lumeal’antro. 
Non  però  si  contenne  il  forte  Alcide, 
die  d’  un  salto  in  quei  baratro  gitlossi 
Per  lo  spiraglio,  e là  V era  del  fumo 
La  nebbia  e I’  ondeggiar  più  denso,  e’J  foco 
Più  rogio,  a lui  ebe  ’l  vaporava  indarno, 

S’  addusse,  e lo  gbermi  ; gli  fece  un  nodo 
De  le  sue  braccia,  e si  la  gola  c ’i  banco 
Gli  strinse,  che  scoppiar  gli  fece  il  petto, 
Escbitzargliocchi  ;c’l  foco  e’1  batoel’nlma 
In  un  tempo  gli  esliusc.  Indi  la  bocca 
Apri  de  I’  antro,  e la  frodata  preda, 
h del  suo  frodatore  il  sozzo  corjM) 

[247-2G4] 


J 


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[403-426]  ufino  \;m.  381 

Fuor  per  un  piè  ue  trassero  cui  dintorno 
Corser  le  genti  ameraviglia, ‘ ingorde 
Di  vedetegli  occhi- biechi,  il  volto  atroce, 

E’  ispido  petto,  e V ammorzato,  foco. 

Da  indi  in  qua  questo  di  -santo  ógn’ anho 
Da’  nostri  è liètamente  celebralo,  ■* 

E ne  sono.i  Petizii  i primi  autori, 

E i Pinarii  ministri.  Allor  quest’ ara, 

Che  massima  sì  disse^  oche  inai  sempre 
Massima  ne  sarà,  fu  consecrata,  . 

In  questo  bosco.  Or  via  dunque,  figliuoli, 
Per  celebrar  tanV  onorala  festa, 

Coprami  in  fronte  c eoa  le  lazze  in  mano 

. * * * 

Il  compì  un. dio. -chiamato,  e lietamente 
. L’un  Con  Y altro,  invitatevi,  e beete. 

Ciò  detto,  il  divisalo  erculeo  pioppo- 
Tessérp  filtri  in  ghirlande,  qltri  in  festoni, 
Altri  i maii  nè  piantanvEdi  ght .pieno 
Di  sacrato  liquore  il  gran- catino, 

Tutti  p mensa  gioiosi  s’  adagiato, 

E spargendo  e beando,  ni  santi  numi 
Porser  preghière,  c .voti.  Espcro  intuii  Io- 
Era  a l’ occidente!  1 ilo  ipeiuo  ** 

Già  pertufTnrsi,. quando  i sacctdoti 
Caro.  — 25.  [265-281] 


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I 


382  l’  ereidb.  [427-450] 

Un’  ultra  volta,  e ’l  buon  PotLzio  avanti 
Con  pelli  indosso  e. con Taccile  ifi  inano,' 
Coni’  è postume,  a convivar  tornato, 

E le  seconde  mense  c I’  are  salite 

Di  grati  doni  e di  gran  piatii  empierò.  • 

# ”*  • 

I Salii  intorno  ai  luminosi  altari 
Givano  it)  tresca,  c di  populea  fronde 
Cingcair  Ip  tempie.  I vecchi  da  1’  un  coro 
he  prodezze  cantavano  e le  lode 
Del  grande  Alcide.  1 giovini  da  Fottio 
IS’ atteggiavano  i fatti:  come  prima 
Fauciul  da  la  matrigna  insidialo 
I due  serpenti  strangolasse  in  citila; 

Come  al  suolo  adeguasse  Ecalia  e Troia, 
Cititi  famoso;  come  superasse 
Alili’ altre  insuperabili  fatiche  • 

Sotto. al  duro  tiranno,  e coutr.’ai  fati 
_ De  l’empia  Dea. Tu  sei,  diccqti  cantando, 
Invitto  iddio,  che  de  le  nubi  i ligli 
ISilèo  e Folo  uccidi  ; lu  che  ’l  mostro 
Domi  di  (Anita;  tu  che  vinci  il  fiero 
Ncmòo  leone;  te  gi’inferni  laghi, 
le  1 inferno  custode  ebbe  in  orrore 
Ne  1’  orrendo  suo  stesso  e diro  speco/ 
[281-29-G] 


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LIBilO  V41I. 


383  • 


[Vói -474] 

Là  ’vfe  tra  ’l  Sangue  c le  corrose  membra 
Ila  de  la  morta  gènte  il  suo  covile* 

Cosa  non  è si  spaventosa  al  mondo. 

Che  te  spaventi,  non  lo  stesso  armato 
Incoiftn’  al  eiel  Tifèo,  nè  quel  di  terna 
Con.  tanti  e tanti  capi  orribil  angue 
Senza  avviso'ti  J*ide  o senzu  ardire. 

A te  vera  di  Giov?  inclita  prole, 
llmilmentè  inchinarne,  a te  del  cieto 
Nuovo  aggiunto  ornamento.  E tu  benigno, 
Mira  1 cor  nostri. e i sacrifìci!  tuoi. 

Così  pregando  e celebrando  in  versi 
Cantavan  le  sué  pruovc.  E sopra  tutto 
Diccan  -di  Caco,  e de  la  sua  spelonca 
E de’ suoi  fòchi;  c i boschi  a i colli  intorno 
Rispondeun  rintonando.  Eran  finiti 
1 sacrifici!,  quando  ilvreocfiio  Evandro. 
Mosse  vèr  là  citiade  ; e seco  a puri 
Da  T un  de’ lati  Enea,  da  l’altro  il  figlio 
Avea,  cui  s’  appoggiava; «-ragionando 
Di  varie. cose,  agevolava  il  calle. 

Enea,  meravigliando,  in  ogni  parte 
Volge»  le  luci,  desioso  e lieìo 
Di  veder  quel  paese,  e di  Saperne 
[297-312] 


3Si  l’  i:nkit»e.  [475-498] 

I sitici  luoghi  e le  'memorie  antiche. 

Di  che  spiando,  il  pruno  fondatone  .•  . 

De  In  romana  ròcca  in  calai  guisa 

A tlir  gli  cominciò  : Questi  contorni  . . 

Eran  pria  selve  ; e gli  abitanti  loro  . 

Eran  qui  nati,  ed  eran  fauni  p ninfe, 

,E  genti  che  di  roveri  e dUtroncl\i 

Naie,  nè  di' costumi,  nè  di  culto, 

Nò  di  tela  accoppiar,  nò  -di  por  viti,  » 

Nè  d’  altr’arti  o d’  acquisto  o di  rispiarmo 

Avcan  notizia  o cura  : c’I  vili  od  oro. 

Era  dbcaccingion,  d’  erbe  e di  pomi; 

E la  lor  vita,  aspra,  inuocenlè  e pura. 

Saturno  il  primo  fu  eh’ in  queste  parti 

Yenue,  dal  ciel  cacciato,  c vi  s’ascose. 

• • * < 

E (fucile  rozzo  genti,  che  disperse 

Eran  per  questi  monti,  insieme  accolse, 

E diè  lor  leggi;  onde  il  paese  poi 

Da  le  latebre  sue  Lazio  no  mossi. 

Di  con  che  sotto  il  suo  placido  impero  „ 

(>)n  giustizia^ con  "pace  e con  amore" 

Si  visse-.un  secò!  d’oro,' in  fin  che  poscia 

1/ctà,  degèneraìulo,  appoco  a poca 

Si  fe  d altro  colore  e (Koltra  lega. 

[3 E2-326] 


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* 


[499- ó22]  libro  vhi»  385 

Quinci  di  gareggiar  fenile, ii  furore, 

L’ ingordigia  iP avere,  e lemischianr.e 
De  Pulire  genti,  fc’  assalir  gli  Ausoni;  - * 
L’inondàr  i Sicani]  ónde-più  volte  - 
Quésta,  che  pwa  Saturnia  èra  pomata, 

Ila  con  la  signoria  cangiato  il  nome,  * . 

E co’  signori.  E quinci  è die  da  Tetro* 

Che  ne  fu  re  terribile  -ed  immane, 

Telmo  fumetto  qucstQ  fiume  an.co'ra,* 
Ch’Àlbulasi  di  eoa  ne’ tempi  antichi. 

Ed  ancor  me  de'  la  mia  patria  in  bando' 
Dopo  molli  perigli  ^ molli*  affanni 
Del  mar  sofferti,  ha  qfcì  l' onnipotente 
Fortuna,  ei’  invincibil  mio  destino 
Portato  alfine  ; e qui  pQsar  mi  fero 
Gli  oracoli' tremendi  e spaventosi 
Di  Carmenta  mia  madre,  e Febo  stesso 
Che  mia  madre  inspirava.  E fin  qui  «letto, 

Si  pinse  avanti,  e quell’ava  mt>£lrògli, 

E quella  portar  che  fu  poi  di  Roma  _ . 
Carmentaridetta,  onore  e ricordanza^  . 

De  la  ninfa  indovina,  eh’ a*n7.i  a tutti  • 

Del  Pallantèo  predisse,  e de’ Romani/.  - 
La  futura  grandezza:  Indi  seguendo 


" [327-341] 


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386  l’ eneide.  [523j-546] 

Un  gran  bosco  gli  mostra  ; ove  1*  Asilo 
Romolo  contrafece p e ’l  Lupercalc,  , 

Clic,  quale  era  in  Arcadia  a Pan  Liceo, 

Sotto  una  fredda  rupe  era  dicalo. 

Poscia  de  l’Argileto  gli  dimostra 
La  sacra  selva  ;-e  d’Argo  ospite  il  caso 

fili  conta,  c se  ne  purga  c se  ne  scusa. 

/ 

A la  Tarpeia  Rupe,  al  Campidoglio 
Poscia  1’ addusse;  al  Campidoglio  or 'd’oro, 
'die  di  spini  iij  quel  tempo  era  coverto, 
Un'ermo 'colle  dai  vicini  agresti 
Per  la  rcligìon  del  loco  stesso 
Insino  ullor  temuto  e riverito: 

Ch'a  vedep  sol  quel  sasso  e quella  selva 
Si  paventava.  Equi  soggiunse  Evandro: 

In  questo  bosco, c là -ve  questo  monte 
E più  frondoso,  un  ilio,  non  si  sa  quale, „ 

.Ma  certo  abita  un  dio.  Queste  mie  genti 
D’Arcadia  bau /erma  fede  aver  veduto 

» 

Qui  Giove  stesso  balenar  sovente, 

E far  di  nembi  occulta.  Oltre  a ciò  vedi, 

Qui  su,  quelle  mine  e quei  vestigi 
Di  quei  due  cerchi  antichi.  Una  di  queste 
Città  fondò  Saturno,  e l’ultra  fiiano, 
[342.-357] 


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[547-5J0]  ujmo  yju.  3S 

Clic  Saturnia,  e Gialliccia  fui*  «lette. 

In  cotal  guisa  ragionando  Evandro, 

Se  ne  gian  verso  il.suo  picciolo  ostello. 

Elie  l’ urinar,  là  VoY  di  Roma  è il  Fòro, 

Ov’  è quella  più  florida  contenda 

De  le  Carine,  ad  ogni  passo  intorno 

Udian  greggi. belar,'  mugghiare  armenti. 

• • 

Giunti  oli.e  furo  : In  questo  umile  albergo 
Alloggiò,  disse,  il  vincitore  Alcide. 

Questa  fu  la  soa  reggia.  E tu  v’  alloggia. 

E tu  M gradisci,  e le  delizie  e gli  agi  - 
Spregiando,  imita  iu  ciò  Tinnzio  c Dio, 

E del  tugurio  mio  meco  ^appaga.  . 

Cosi  dicendo,'. il  grand’ospite  accolse 
Ne  1’  angusta  magione;  e collopollo 
Là  dove  era  di  froridi  e d’irta  pelle  ' 

Di  libic’orsa  attapezzato  un  seggio.  . 

Venne  la  notte,  e le  fase’  ali  stese 
Avea  di. già  sovra  la  terra,  quando 
Venere  come  madre,  e non  in  vano 
Del  suo  figlio  gelosa,  il  gran  tumulto 
Vcggendo  c le  minqcce.de’  Lqurcnti, 

Con  Volcan  suo  marito  si  ristrinse 
Con  gran,  dolcezza  ; e nel  suo  letto  d’oro, 
[358.373] 


388  * t’  éxeidiì.  [571-594] 

Amor  spirando,  io-tal  guisa  gli  disse  : - 

Caro  consorte,  iiifinchè  i'i:egi  argivi 

Furo  a’danni  di  Troia,  e che  jjer  fat.o 

Cader  dovea;  audio- da  le  seecoi’so 

Volsi,  o da  Carte  tua;  nè  ti  richièsi  L 

D’armi  allor,  nè  di  macchine,  nè  d’altro 

Per  iscampo  de’ miseri  Troiani. 

Le  man, T ingegno  tuo,  le  tue  fatiche  . 

Oprar  non  volli  indarno,  ancor  che  molto 
Con  Priamo  e co’ figli  ehligo  avessi*. 

E molto  mi  premesse  il  duro  ufiauQO' 

D’Enta  mio  figlio.  Or  per  imperto  espresso  * 
E de’ fati  e. di  (dove -egli.Hfcl  Lazio’- 
E tra’ Rotoli  è fermo.  A te,  mio  sposo,  - • 
Ricorro;  a te,  mio-vefièrando  numi; 

E madre  per  un  figlio  arme  li. dileggio^ 

L)ud  die  da  te  di  Nòreo  la  figlia, 

E di  Titoli  la  moglie  hanno  impetrato. 

Mira  in  qiihtit’uopoìo  le  ti  dileggio,  e (pianti 
E che  popoli  sono,- a mia  mina 
E de’ miei,  congregali;  e qunl  fan -d’armi 

•'X , • * 

A porte  chiuse  orribile  apparecchio. 

Stava  a questa  richièsta  in  sé  Vulcano 
Ritroso  anzi  che  no  quando  Ciprigna 

% r / tiiw  i 


* / 


* 


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I 


389 


[59^-618]  libro 

Con  la  «tiepida  neve  p col  viv’ ostro 
De  le  sue  faccia  al  'colto  gli  si  avvinie, 

C striaselo  e baeiollo.  In  un  momento 
La  consueta  fiamma  gli  s’apprese,  - " ; 

E per  Tossa  gli  corse  e Te  midolle, 

E per  Ip-v-ene  al  corej  in  quella  guisa 
Che  di  coruSCa  nube  esce  repente  . ^ 

Una  lucida  jlsta,  e lampeggiando' 

E serpendo,  il  ciel  tutlo  empic'di  foco.  - 
3entì  la  scaltra,  che  sapea-'la  forcai 
Di  sua  beltà', 'che  Tavqa  prego  e vinto; 

E de  T inganno  Si  ceippiacquc  e rise. 
E’Lbuon  marito,  che  iT  eterno  amore 
Avea  il  coY  punto,  le  si  volse,  e disse:. 

A che  si  lurfgo  essordio?  Ov’è,  ccrtisorte, 
Vèr  me  la  tua  fidanza?  Lo  fin  d’ allora, 

Se  l’era  grado^avrei  d’arme  provisti 
I Teucri  tuoi;  nè’l  .padre  onnipotente,  : 

Nè  i fati  ci  vietavano  che  Troia  * 

Non  si  tenesse*,  e Priamo  non  fosse*'' 
Restato  .ancor  per  diecc  al  tr’ anni  in  vita. 
Ed  or  s*-a  guerra  t’apparecchi,  e questo  • 
È tuo  consiglio,  quel  die  Torte’ paolo  . 

0 di. ferro,  o di  liquido  metallo, 
[387-402]* 


3M)  I.’  EJCE1DE.  [fi  .l ‘J  - fi  i g2] 

i 

Quanto  i mantici  han  (iato,  c forza  il  foco, 

10  li  prometto.  1*1  lu  con  (|4icsìi  (neghi  - 
Cessa  di  rivocnr  la  pòssa  in  forse  * . 

Del  tiro  volere,  e’I  mio  desir  eh’ è sempre 
Di  far  le  voglie  lue  paghe  e contente. 

Così  dicendo,  disioso  in  braccio  > 

La  si  recò;  gioitine,  c poscia  in  grembo 
. Di  lei  placidamente  addormentassi. 

Finito  il  primo  sonno,  e de  hi  notte 
(ìià  corso  il  mezzo,  come  fcmiuella 
Che  col  fuso,  con  l’ago,  e con  laspuoja 
La  sua  vita  sostenta  e de’ suoi  figli  ; 

Clic  la  notte  aggiungendo  al  suo  lavoro,  • 

11  dal  suo  focolar  pria  clic  dal  sole 
Procacciandosi’!  lume,  a la  conocchia, 

A l’aspa,  a l’arcolaio  esscrcitando 
Sta  le  povere  ancelle,  onde  mantenga 

'Il  casto  letto  e i pargoletti  suoi; 

Tale  in  tal  tempo,  e epu  tal  cura  a l’opra 
Sursp  il  gran  labro,  C la  fucina  aperse. 

Ciuco  tra  la  SicamylaT  un  canto 
h Lipari  da  l’altro  un’  isolctta 
(di  alpcstra  ed  alta  esce  de  Fonde,  c fuma. 
Ila  sotto  una  spelonca,  c grotte  iiUornn, 
[403-418] 


fi 


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I&43-666J.  libro  viti.  3'J! 

Che  drferj  ciclopi  antri  e fucine 

Son,  dà*  lor  fochi  affumicali  e rosi.- 

Il  picchiar  ded’iucudl  e de’ martelli 

Ch’entro  si.  sente,  lo  stridor  de’ ferri, 

Il  fremere  e’1  bollir  de  le  sue  fiamme 

E de  le  subornaci,  d’Etna  in  guisa' 

intonar  s’ode  ed  anelar  si  vede. 

Questa  è la  casa,  ove  qua  giù  s’adopra^ 

Vulcano,  oude  da  lui  Yolcunia  è detta  : ' 

E qui  per  Tanni  fabbricar  discese 

Del  grami’  Enea.-  Stavan  ne  Ta-ntro  allora 

Stèrope  e Bronte  e Pi  memòrie  ignudi 

A rinfrescar  T aspre  saetto  a Giove. 

Ed  una  aliar  n’avean  parte  polita,. 

Palle  abbozzata, -con  tre  raggi  attorti 

Di  grandinoso  nembo,  tre  «li  nube 

Pregna  di  pioggia,  tre  d’acceso  foco, 

E tre  di  vento  impetuoso  e fiero. 

I tuoni  v’  aggiungevano  e i baleni, 

* * • ^ 

E di  fiamme  e ìli  furia  e di  spavento 

lln  cotal  misto.  Altrove  erano  intorno 

* * 

Di  jttarte  at  carro',  e le  veloci- ruote 
Accozzavano  insieme,  ond’  £gli-urmnto 
Le  genti  e le  città  scuote  e Coinmovc. 

[418-434]  v 


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392*  l'  eheide»  ,{667-690] 

l-o  scudo,  la  corazza  c l’pjnjoe  l’ tosta* 

Avean  da  K "al Ira’  parledncominciati 

De  l’ armigera  Palla,  e di  affinmcsso  ' . 

I.e  fregiavano  a gara.  Erano  i fregi 

Nel  pollo  de  la  Dea  gruppi  «Li  serpi 

Clic  d’oVo  avean  lefscaglie,  c conio  intrichi 

Facean  guizzando  di  Medusa  intorno  . 

Al  fiero  teschio,  che  così  com’era 
Disanimato  e tronco,  le  sue  luci 
Volgea  d’ intorno  minacciose  o torve. 

- Tosto  che- giu  use,' via,  disse  a’ ciclopi, 
Sgombratevi  davanti  ogni  laVoro, 

E qui. meco  a guarnir  d’orme  attendete 
IJn  gran  campione.  E s' iniqua  fu  mest-ieró 
D’arie,  di  sperlenza  e di  prestezza, 

È questa  volta.  Or  v’  accingete  a l’ opra 
Senz'altro  indugio.’ E. fu  ciò. detto  a pedi»,  * 
Che  divise  le  vcei  e i magisteri, 

A fendere,  ^bollire,  a martellare 
Chi. qua,  chijà  si  diede.  1+  bronzo  e l’oro 
Corrono  a rivi  :s’  ammassiccia  il  ferro, 

Si  raffina  l’acciaio;  e tempre  e leghe 
In  più  guise  si  fan  d’  ogni  metallo. 

. 1)1  sclt?  falde  in  selle  doppi  unite 
[435-447]  • 


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[6JH-714]  LiBUOvut.  393 

fticotto.al  /ocoé  ribàttrite  e salde 
Si  forma  un  saldo  e smisurato  scudo;  • 

Da  poter  solo  incontri) Uunnùtutte 
Star  dc’Latini.  Il  fremito  del  vento 
Che  Spira  da* gran  mantici,  e le  strida 
Clic,  -ne’  laghi  alt  uffa  ti  fe  ne'T  incudi 
Battuti, .fanno  i ferri,  in  un  sòl-' tuono 
Ne  l’antro  uniti,  di  tenore  fu  guisa 
Corrispondono  a’  colpi  de’  ciclopia 
Ch*ahmota.'dg  Imbraccio  or*  al  Le  or  basse 
.Con  le  tenàglie  c co’, martelli  a lempa 
Fan  cpnserto,  armonia,  numero  e metro* 
Mentre  in  Eolia  era  A quest’  opra  intento 
Di  Lenno  il  padre,  ecco,  sorgendo  il  sole,- 
Sórse  al  cantar  dei  inai  lo  li  ni  augelli* 

Il  vecchio  Evandro;  e fuori  use  iq  vestito 
Di  giubba  coi\  le  guigge  a’  pSiedi.avvolte,  . 
Com’ò  terrena  usanza.  Avep  dal  destro 
Omero  a .la  Tegéa  nel  manco  lato 
Una  sua  greca  scimitarra  appesa-. 

Avcà  da  la  sinistra  di  pantera 

Una  picchiata  pelle,  che.  d’tiU*tergo'< 

Gli  sbyolgen  su  V altro  ;.c  da  la  ròcca  - 
Scendendo,  glf  veuitUMbre  cani  avanti, 


3^1  • l’ F.jtKiDE.  [715-73*] 

Come  custodi  i suoi  passi  osservando.  * 

In  questa  guisa  il  gQiferoso  eroe, 

Come  quei  die Tehea  'memoria  e cura 
Di  compir  quattro  avca  la  sera  avanti 
Ragionatole  promesso,  a le  scesele 
Stanze  del  padre  Enea  si  ricondusse. 

Enea  da  l’altra  parte  assai jier  tempo 
S’era  levato;  e solo  in  compagnia 
L’un  seco  avea -Fallante,  c l’altro  Acato. 
Poscia  che  rincontrati  e ’nsieme  accolti* 

Si  saluterò,  al  fin,  tra  loro  essisi, 

A ragionar  si  diero.  E prima  Evatufro  * 
Così  parlò  : Signor,  cui  vivo,  in  vita 
Dir-si'pbò  che  sia  Troia,  c che  del  tutto 
Non  sia  caduta  c vinta;  in  questa  guerra 
Quel  che  possMo  per  tjjo  sossidioè  poco 
A tanto  affare.  Il  mio  paese  èchiuso 
Quinci  dal  Tosco  fiume, e quindi  librarmi 
Clic  gli  suonati  ile’ Ruttili  d’  intorno 
Fin  sulle  porte.  Avviso  c pensier  mio 
E per  confederati  c per  compagni 
DurtPuna  gente*  numerosa  c grande 
Con  molti  regni.  lu  tai  qui  UTnipo. amputilo 
Sci  capitato,  c tal  felice  inoonlro 
[ 4G2-477] 


-X 


LIBflò  vili. 


335 


[739.?(J2J 

Ti  porge  amica  e non  pensata  sorte. 

non. lungo  di  qui,  su  questi  monti 
.D’  EtruTia,  una  famosa  enobil  ìerra  -> 

CI»'  è sopra' un  sasso  anticamente  estrulh». 
Agiliitia  si  dice^òve  lor  seggio 
Posero  (è  giù  grau  tempo)  i «bellicosi 
E chiari  -Lidi  ; e floridi  e felici 
Vi  fur  gran  tempo  ancora.  Or  sotto  il  giogo 
Son  di  Mezenzio  capitati  ai  line. 

A che  "di  lui  contarle  sceleranze? 

A clie Ha  feritili?  Dio  le  riservi 
Per  suo  fustigo  c de’ seguaci  suoi. 

Questo  crudele  insino, , a’  corpi  morti 
Mescolava  co’  vivi  (odi  tormento) 

Elie -giunte  inani  a mani.,  e bocca  a bocca, 
In  cosi  miserando  aliracciamento  \ 

, Dii  face»  dr  putredine  e di  le**o, 

Vivi,  di  lunga  morte  alfin  morire. 

I cittadini  o (li itti,- disperati, 

E fatti  pev  paura  aitili  securi, 
l esero  insidie  a lui,  fecero  strage 
De’sufìi,  posero  assediò,  avventàr  foco 
A le  sue  case.  £1  de  le  mani  uscito”  - 
Degli  uccisori,  ebbe  rifugio  a Turno 
[477*493] 


306  f enkide.  £763-786] 

CIP  or  P accoglie  cM  difende.  Onde  commossa 
li  per  giusto  cagione  in  fùria  volta 
L’ Etrurja  tutta  in  conira  al  suo  tiranno 
Grida  che  muoia,  e già  con  Parrai  in  filano 
.A  morte  lo  persegue.  A questa  gente  • - . 

Di  molle  milil  condotticroie  cape 
Aggiungerò! ti’. li  già  d’arriiulc  navi-,  . 

Son  pieni  itili  : ognun  freme*  o gnu  fi  chiede 
Che  si  spieghiti  P insegne;  uii  vccchip'solo 
Aruspice  e ’ndovinoè,  che  sospesi  . 

Gli  ficue  infoio  a qui;  Gente  meoniu* 
Dicendo, .fiondi  gente  antica  o nol>ile> 
Benché  giifsto-dolor  colitra  a Mczcnzio, 

E degli’  ira-v’  incenda,  incontro  a-Lazio  • 
Non  movete  voi  già;  ch’a  nessun. Italo 
Domar  cP  Italia  una  tal  geote  è lecito,  , 
S’cstcruo  duce  à t a ut’ uopo  non  preudesi. 
Così  parato,  e per  timor  confpso ' 

Del  vatreinio  stassi-il  campo  etruscol  - u 
E-già  Tacconi  e stesso  a questa  impresa 
M’invita,  è già  mandalo  a presentarmi 
Ha  la.  sedia  e lo  scettro  e P altre  Insegne 
Del  tosco  regno, 'perdi’  io  re  ne  sia, 1 
Ed  a PostOic  vada.  Ma  là- tarda 
[4&3-508] 


397 


[787-8  fO]  unno  viti. 

E fredda  mia  vecchiezza,  e le  mie  forze 
Debili,  smunte  c diseguali  al  peso 
Fan  di’  io  rifiuti.  Essorlercj  Fallante 
Mio  figlio  a questo  impero,  SO  non  fos'se 
Che  nato  di  Sabella,  Italo  anch'egli 
È per  materno  razza.  Or  questo  incarco 
Dagli  anni,  da  la1  gente,  dai  destino, 

Dal  tuo  stesso  valore  a le  si  deve. 

E tu  il  prendi,  Signor,  eh’ abile  c. fot* te 
Sci  più  d’ogni  Troian,  d’ ogni  Latino 
A sostenerlo.  Ed  io  Pallante  mio, 

La  mia  speranza  e ’l  mio  sommo  cerfforto, 
Manderò  teco;  che  ’l  meslier  de  l’arme, 
Che  le  fatiche  del  gravoso  Marte 
Ne  la -tua  scuola  a tollerare  impari*: 

E te  da’ suoi  prirti’  anni,  e i gesti  tuoi 
Meravigliando  ad  imitar  s’  avvezze. 
Dugento'cavalieri,  il  nervo  e ’l  fiore 
De’  miei  d’  Arcadia,  spedirò  coti  lui, 

E dugento  altri  il  mio  Pailaute  stesso 
In  suo  nome  duratti.  Avea  ciò  dótto 
Evandro  a pena,  che  d’ Anchise  il  figlio 
E ’l  fido  Acate  ster  co’  volti  a terra 
Chinati.  E da  pensier  gravi  e molesti 
Caro.—  26.  [508-52?] 


398  l,’  r.ixEiDE.  [84  1-834] 

Fòran  oppressi,  se  dal  cicl  sereno 
liti  madre  Citcren  segno  non  dava, 

Sì  coinè  diè.  Chè  (al  per  1’  aria  un  lume 
Vibrassi  d' improviso  c con  lai  suono, 

Clic  parve  di  repente  il  mondo  tutto 
Come  scoppiando  e minando  ardesse; 

Ed  in  un  tempo  di  terreue  tube 
Squillar  ne  l’aura  alto  concento  udissi. 
Alzarmi  gli  ocelli;  e la  seconda  volta, 

E la  terza  iterar  sentirò  il  tuono; 

K vider  là  ’ve  il  cielo  era  più  scarco 
E più  tranquillo,  una  dorata  nube 
E d’armi  un  nembo  die  tra  lor  percosse 
Scintillando  facean  fremili  e lampi. 
Stupiron  gli  altri.  Ma  il  troiano  eroe 
Che  ’l  cenno  riconobbe  e la  promessa 
De  la  diva  sua  madre,  Ospite, 'disse, 

Di  saver  non  ti  caglia  quel  eh’  importi 
Questo  prodigio;  basta  eh’  ammonito 
Son  io  dal  cielo,  e questo  è ’l  segno  e ’l  tempo, 
Che  la  mia  genitrice  mi  predisse; 

Che  quandunque  di  guerra  incontro  avessi^ 
Allora  efla  dal  ciel  presta  sarebbe 
Con  1’  armi  di  Voltano  a darmi  aita. 
[522-530] 


[835-858]  libro  vili.  399 

Or  quanta  di  voi  strage  mi  prometto, 
Infelici  Laurenli!  e qua!  castigo, 

Turno,  da  nie  n’  avrai  ! quatti’  armi, quanti 
Corpi  volgere  al  mar,  Tcbj-Q,  ti  veggio  ! 

Via,  patto  e guerra  mi  si  rompa  untai. 

Cosi  detto,  dal  soglio  alto  lu$ossi; 

E con  Evandro  e co’ suoi  .Teucri  in  prima 
D’  Ercole  visitando  i sunti  altari, 
il  sopito  carbou  del  giorno  avanti 
Lieto  desta  e raccende;  I Lari  itichina  ; 

I pargoletti  suoi  Penati  adora, 

E di  più  scelte  ugnelle  il  sangue  offriste. 

Indi  torna  a le  navi,  e de*  compagni 
Patte  due  parti,  la  più  forte  elegge 
Per  seco  addurre  a preparar  la  guerra  ; 
L’altra  a seconda  per  io  fiume  invia, 

Che  pianamente  e scnz’  alcun  contrasto 
Si  rivolga  ad  Ascauio  e dia  novelle 
De  le  cose  e de!  padre.  A quei  che  seco 
In  Etruriu  adduce»,  tosto  provisti 
Puro  i cavalli.  A lui  venne  in  disparte 
Da  tutti  gli  altri  un  palafreno  eletto, 

Di  pelle  di  leon  tutto  coverto 
CI»'  » velli  avea  di  seta  e Pugna  d’oro. 
[537-553] 


•A 

* 

i 


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400  i.’  r.NEiDE.  [859-882] 

4 

Per  la  piccola  terra  in  un  momento 
Si  sparge  il  grillo  ch’ai  tirreni  liti 

Ne  va  lo  st noi  de’ cavalieri  in  fretta.  - 

* w 

he  madri  paventose  ai  tempii  intorno 
llinovcllano  i voti  : e giù  per  téma 
Più  vicino  i 1 -periglio,  c più  l’aspetto  • 
Sembra  di  Marte  atroce.  Evandro  il  figlio 
Nel  dipartir  teneramente  abbraccia  ; 

Nò  divelto  da  lui  nò  sazio  ancoro 

Di  lagrrmar  gli  dice:  0 se  da  Giove 

Mi  fosse,  figlio,  di  tornar  concesso 

Ora  in  quegli  anni  c ’n  quelle  forze,  orni’  io 

Sotto  Preueste  il  primo  incontro  fei 

Co’  miei  nemici,  e vincitore  i monti  - 

Arsi  de’ scudi  ; allor  clf  Èri  lo  stesso, 

Lo  stesso  re  con  queste  mani  cucisi, 

A cui  nascendo  avea  Feronia  madie 
Date  tre  vite  e tre  corpi,  e tre  volte 
(Meraviglia  a contarlo  !)  era  mestiero 
Combatterlo  c domarlo  ; ed  io 'Ire  volle 
Lo  combattei,  Io  vinsi  e lo  spogliai 
IV  armi  e di  vita-,  se  tal,  dico)  io  fossi, 

Mai  non  sarei  da  te,  figlio,  diviso; 

Mai  non  fòra  Mezenzio  oso  d’apporsi 
[554-569] 


libro  Vili. 


401 


[883-006] 


A questa  barba  ; nè  per  tal  vicino 
Vedova  resterebbe  or  la  mia  terra  . _ 

Di  lauti  cittadini.  0 dii  superni,  * 

0 de' superni  dii  nume  maggiore, 

Pietà  d’.un  re  servo  e devoto  a voi, 

E d’  un  padre  clic  padre  è sol  d’ un  figlio 
Unicamente  amato.  E se  da’ fati, 

- Se  da  voi  m’è  Fallante  preservato, 

E s’  io  vivo  or  per  rivederlo  mai, 

Questa  mia  vita  preservate  ancora 
Con  quanti  iniqua  soffrir  potessi  affanni. 

Ma  se  fortuna  ad  infortunio  il  tra,r,,e 

PC  ? 

Cli  io  dir  non  oso,  or,  or.  prego,  rompete 
Questa  misera  vita,  or  eli’ è la  tema, 

Or  eli’  è la  speme-dei  futuro  incerta; 

E che  te  figlio  mio,  mio  sol  diletto 
E da  me  desiato  in  braccio  io  tengo, 

Anzi  eli’ altra  novella  me  ne  venga 

Clic’l  cor  pria  che  gli  orecchi  mi  percuota. 

Oosi  ’l  padre  ne  I’  ultima  partita 

Oisse  al  suo  figlio  ; c da  l’ambascia  vinto, 

Imi  da’ sergenti  riportato  a braccio. 

A la  campagna  i cavalieri  intanto 
beano  usciti.  Enea  col  fido  Acato, 

[Ò70-Ò8G] 


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402  l’  eneide.  [907-930] 

li  co’ suoi  primi  era  nel  primo  stuolo. 
Pallante  iirmezzo  risplemlea  ne  1’  armi* 
Commesse  il’  oro,  risplemlea  nc  1'  ostro 
Clic  l’arme  avean  per  sopravesla  intorno; 
.Ma  via  più  risplemlea  ne’ suoi  sembianti 
di’  eran  ili  fiero  c di  leggiadro  insieme. 
Tale  è quando  Lucifero,  il  più  caro  .. 

Lume  di  Citerea,  da  l’Qceàno, 

Quasi  da  1’  onde  riforbito,  estojlc 
Il  sacro  volto,  e 1’  aura  fosca  inalba. 

Stan  le  timide  madri  in  su  le  mura 
Pallide  attentamente  rimirando 
Quanto  puon  lunge  il  polveroso  nembo 
l)o  l’armate  caterve;  e i lustri  e i lampi 
(Mie  facean  l’armi,  tra  i virgulti  e i dumi 
Lungo  le  vie.  Va  per  la  schiera  il  grido 
Che  si  cavalchi:  e lo  squadron  già  mosso 
\ Al  calpitar  de  la  ferrata  torma 

Fa  ’l  campo  risonar  tremante  e trito, 
li  di  Cere  vicino,  appo  il  gelato 
Suo  fiume  un  sacro  bosco  antico  e grande 
D’ombrosi  abeti,  che  da  cavi  colli 
Intorno  è cinto,  venernbil  molto 
L di  grau  lunge.  È fama  clic  i Pelasgi, 

^ [6S6-G00] 


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LIBRO  Vili. 


403 


[931-954] 


Primi  del  ^.azio'occupatori  esterni, 

A Sii van,  diade’ campi  e degli  armenti, 

Consociar  cresta  selva,  e con  solenne 
Itilo  gli  dedicar  la  festa  c’I  giorno. 

Quinci  poco  lontano  era  Tarconte 
Co’ Tirreni  accampato;  e qui  del  campo 
Giunti  a la  vista,  là  ’ve  un  alto  colle 
Lo  scopria  lutto,  Enea,  co’ primi  suoi 
Fermossl.  ove  i cavalli  e i corpi  loro 
Già  stanchi  ebbero  uliiji  posa  e ristoro. 

Era  Venere  in  Ciel  candida  e bella 
Sovr’un  etereo  nembo  apparsa  intanto 
Con  l’armi  di  Volcano  ; e visto  il  figlio' 

C’ oltre  al  gelido  rio  per  erma  valle 
Sen  già  dagli  altri  solitario  e scevro, 
Apertamente  gli  s’offerse,  e disse: 

Eccoti  ’l  don  che  da  me,  figlio,  attendi* 

Di  man  del  mio  consorte.  Or  francamente 

* % 

Gli  orgogliosi  Laurenti  e’I  fiero  Turno 
Sfida  a battaglia,  e gli  combatti  e vinci. 

E,  ciò  detto,  1’  abbraccia.  Indi  gli  addita 
D’armi  quasi  un  trofeo,  cli’appouna  quercia 
Dianzi  da  lei  disposte,  incontro  agli  occhi 
Facean  barbaglio,  e contro  al  sol,  più  soli. 
[G00-GI0] 


4G4  l*  epoeide.  [955-978] 

D’ un  tanto  donqEnea,  d’iin  tale  onore 
Lieto,  e non  sazio  di  vederlo,  il  mira, 
L’ammira  e ’l  tratta,  Or  l’elmo  in  munsi  prende 
E l’ ori-ibi I cimici'  contempla  e ’l  foco 
Clied’ogni  parte  avventa:  or  vibra  il  brando 
Fatale^  or  ponsi  la  corazza  avanti 
Di  fino  acciaio  e di  gravdso  pondo, 

Che  di  sanguigna  luce  e di  colori  ' 
Diversamente  accesi  era  splendente, 

Oual  sembra  di  loritan  cerulea  nube 
Arder  col  sòie  c variar  col  moto. 

Brandisce  l’asta;  gli  stinier  vagheggia 
Nitidi  e lievi,  che  fregiati  e fusi 
Son  di  fin  oro  e di  forbito  elettro. 
McravigliandtfTilfin  sopra  Io-scudo  * 

Si  ferma,  c.l’  incredibile  artifìcio 
Ond’cra  intesto,  e l’  argomento  esplora. 

In  questo  di  commesso  e di  rilievo 
Avea  fatto  de’  Incili  il  gran  maestro 
(Come  de’ vaticini  e del  futuro 
Presago  anch’egli)  con  mirabil  urte 
Le  battaglie,  i trionfi  e i fatti  egregi 
D’ Italia,  de’  Romani  e de  la  stirpe 
(.he  poi  scese  da  lui.  Dal  figlio  Ascanio 
[6 17-629]  ‘ 


.'.i&raag 


[979-ÌO02]  udrò  vii».  40> 

Incominciando,  i discendenti  tutti 
E le  guerre  che  fèr  di  mano  in  mano. 

V’  avéa  del  Tebro  in  su  la  verde  riva 
Finta  la  marnai  nudricc  lupa 
In  un  antro  accosciati*,  e i due  gemelli 
Cbe  da  le  poppe  di  sì  fiera  madre 
Lascivetti  pcndean,  senza  paura 
Seco  scherzando.  Ed  ella  umile  e blanda 
Stava  col  collo  in. giro,  or  Tulio  or  l’altro 
Con  la  lingua  forbendo  e con  la  coda. 

V’era  poco  lontan  Roma  novella 
Con  una  pompa,  e con  un  circo  avanti  <• 
Pien  di  tumulto  ov’  era. un’  insolente 
Rapina  di  donzelTe,  un  darsi  a l’arme 
Infra  Romolo  e Tazio,  e Roma  c Curi. 

E poscia  infra  gli  stessi  regi  armali 
Di  Giove  anzi  às l’altare  un  tener  tazze 
Invece  d’  armi  in  mano,  un  ferir  d’ambe 
Lé  parti  un  porco,  e far  connubi  e pace. 

Nè  di  qui  lunge, erano  a quattro  aquatico 
Giunti  n due  carri  otto  destrier  feroci,  . 
Che,  qual  Tulio  imponea,  (stato  non  fossi 
Tu  si  -mendace  e traditore,  Albano  ! ) 

In  due  parti  traean  di  Mezio  il  corpo; 
[629-644] 


\ M 


\ 


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•406  i.’ eneide.  [I003-*1026] 

K si  com’cr-a  tratto,  i brani  e’1  sangue 
Ne  mostravan  le  siepi,  i carri  e’I  suolo. 
V’era,  olire  a eiò,  Porsenna,  il  tosco  rege, 
CIP  imperiosamente  da  l’cssiglio 
Invocava  i Tarquini,  e.’n  duro  assedio  . 

Ne  tenea  Roma,  che  del  giogo  schiva 
S’avventava  nel  ferro.  Avea  nel  volto 
Scolpito  questo  re  sdegno  e minacce, 

E meraviglia,  che  sol  Code  osasse 
Tener  il  ponte;  e Clelia,  una  donzella, 
Varcar  il  Tebro  e seior  la  patria  e lei. 

In  cima  de  lo  scudo  il  Campidoglio 
Era  formato  e la  Tarpeia  rupe, 

E Manlio  clic  del  tempio  e de  la  ròcca 
Stava  a difesa;  e la  romulea  reggia 
Che ’I  comignolo  avea  di  stoppia 'ancora. 
Tra’ portici  dorati  iva  d’argento 
E’ ali  sbattendo  e schiamazzando  un’oca, 
Ch’apria  de’ Galli  il  periglioso  agguato: 

E i Galli  per  le  macchie  e per  le  balze 
De  1*  erta  ripa,  da  la  buia  notte 
Difesi,  quatti  quatti  erano  in  cima 
Giù  de  la  ròcca  ascesi.  Avean  le  chiome, 

Avea n le  barbe  d’  oro:  aveano  i sai 
[615-659] 


e 


e^s**.*  c- 


[I027-t<0ó0]l  LIBRO  Vili. 

Di  luciti’  ostri  divisali  a liste, 

E ti’ òr  monili  ai  bianchi  colli  avvolti. 

Di  forti  alpini  dardi  avea  ciascuno 
Da  la  destra  una  coppia,  e ne’ pavesi 
Slavan  coi  corpi  rannicchiati  e chiusi. 

Quinci  de’ Salii  c dc’Luperci  ignudi, 

E de’ greggi  de’ Flamini  scolpito 
V’  avea  le  tresche  e i cantici  e i tripudi, 
Ed  essi  tutti  o coi  lor  fiocchi  in  testa, 

0 con  gl»  anelli  ocon  le  tibie  in  mano  : 
Cui  le  sacre  carrette  ivano  appresso 
Coi  santi  simolacri  e con  gli  arredi, 

Che  tnrean  per  le  vie  le  madri  in  pompa. 
E più  lunge  nel  fondo  era  la  bocca 
De  la  tartarea  tomba,  e del  gran  Dite 
La  reggia  aperta  : ov’  anco  eran  le  pene 
E i castighi  degli  empi.  E quivi  appresso 
Stavi  tu,  scelerato  Cutilina, 

Sopra  d’un  ruinoso  acuto  scoglio 
Agli  spaventi  de  le  furie  esposto. 

K scevri  eran  da  questi  i fortunati 
Luoghi  de’ buoni,  a cui  M buon  Calo  è duce. 

Gonfiava  in  mezzo  una  marina  d’oro 
Con  la  spuma  d*  argento,  e con  delfini 
[669-07.3] 


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408 


L*  ENEIDE. 


[1051-4074] 

» ± 

I)’  argentino  color,  die  con  le  code 
Givnn  guizzando,  e con;le  scjiienc  in  arco 
Gli  aurati  flutti  a loco  a loco  aprendo. 

E i liti  e’I  mare  e’I  promontorio  tutto 
Si  vedea  di  Lenente  a ì’Azzia  pugna 
Star  preparati;  e d’  una  parte  Angusto 
Sovra  d*  un’  alta  poppa  aver  d1  intorno 
Europa,  Italia,  Roma  e i suoi  Quiriti, 

E*)  senato  c i Penati  e i grandi  iddii. 

Di  tre  stelle  il  suo  volto  era  lucente. 

Due  ne  facea  con  gli  ocelli,  ed  una  sempre 
Del  divo  padre  ne  portava  in  fronte. 

Ne  l’  altro  corno  Agrippa  era  con  lui, 

Del  maritimo  stuolo  invitto  duce, 

Gli’ altero,  e’I  capo  alteramente  adorno 
De  la  rostrata  sua  nn.val  corona, 

I venti  e i numi  avea  fausti  e secondi. 

Da  1’  altra  parte  vincitore  Antonio  • 

Di  vèr  I’  aurora  e di  vèr  l’onde  rubre 
Barbari  aiuti,  esterne  nazioni 
E diverse  armi  dal  Cntaio  al  Nilo 
Tutto  nvea  seco  l’Oriente  addotto: 

E la  zingara  moglie  era  con  lui, 

Milizia  infame.  Ambe  le  parti  mosse 

[673-689] 


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[1075-4098]  libro  vili.  409 

Se  nc  ginn  peiv  urtarsi,  e d’ambe  il  mare 
Scisso  da’ remi  e -da’  stridenti.  rostri 
Lacero  si  vedea,  spumoso  e gonfio. 
Prendean  de  1?  alto,  i legni  in  tanta  altezza, 
Che  Cicladi  con  Cicladi  divelle 
Parean  nel  mar  gir  a ’ncontrarsi,ó  ’n  terra 
Monti  con  monti:  di  si  fatto  moli 
Awcntavan  le  genti  e foco  e ferro, 

Onde  il  mar  tutto  era  sanguigno  e rag  io. 

Stava  qual  Isi  la  f'cgina  in  mezzo 
Col  patrio  sistro,  e co’  suoi  cenni  il  moto 
Dava  a la  pugna  ; e non  vedea  {meschina!) 
Quai  due  colubri  4e  veniali  da. tergo. 

1/ abbaiatore  Anòbi  e i mostri  tutti, 

CI»’  eran  suoi  dii,  confra  Nettuno  c contea 
Venere  e Palla  artnati  eran  con  lei. 

E Marie  in  .mezzo  che  nel  campo  d’oro 
Di  fen*o  era  scolpito  or  questi  or  quelli 
A la  zuffa  infiammava  : e l’ empie  Furie 
Co’lor  serpenti,  la  Discordia  pazza 
Col  suo  squarciato  ammanto,  con  la  sferza 
Di  sangue  tinta  la  crudel  Bellona 
Sgoiniifavnn  le  genti  ; e l’Azzio  Apollo 
Saettava  di  sopra:  agli  cui  strali 
[689-705]  • 


410 


l’  ENEIDE. 


[1099-1122] 

1/  Egitto  c gl’  indi  e gli  Arabi  c i Sibei 
Davan  le  spalle.  E già  chiamare  i velili, 
Scioglier  le  funi,  inalberar  le  vele 
Si  vede  a la  regina  a fuggir  volta. 

Già  del  pallor  de  la  futura  morte, 

Ond’  era  dal  gran  fabro  il  volto  aspersa, 

. In  abbandono  a fonde,  e de  la  Puglia 
Ne  giva  ai  vènto.  Avea  d*  incontro  il  Nilo 
Un  vasto  corpo,  clic,  smarrito  e mesto, 

A'  vinti  aperto  il  seno  c steso  il  manto, 

I letabrosi  suoi  ridotti  offriva. 

Cesare  v’era  alfin  che  trionfando 
Tre  volte  in  Roma  entrava;  e per  trecento 
Gran  tempii  a’ nostri  dii  voti  immortali 
Si  vedean  consecrati.  Eran  le  strade 
Piene  tutte  di  plauso,  di  letizia, 

E di  feste  e di  giuochi.  Ad  oglii  tempio 
Concorso  di  matrone; ad  ogni  altare 
Vittime,  incelisi  e fiori.  Egli  di  Febo 
Anzi  al  delubro  in  maestade  assiso 
Riconoscea  de’  popoli  i tributi, 

, E la  candida  soglia  e le  superbe 
Sue  porte  ne  fregiava.  Iva  la  pompa 
De  le  genti  da  lui.domatc  intanto 
[705-722] 


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LIBRO  Vili. 


[H23-H38] 

Varie  di  gonne,  d’ idiomi  e d’armi. 

Qui  ili  Nomadi  e d’Afri  era  una  schiera 
In  abito  discinta;  ivi  un  drappello 
Di  Lèlegi,  di  Cari  e di  Geloni 
Con  archi  e strali.  Infili  dai  liti  estremi 
I Mòrini  condotti  erano  al  giogo 
E gl’indomiti  Dai.  Con  meno  orgoglio 
Giva  l’ Eufrate:  ambe  le  corna  fiacche 
Portava  il  Reno  : disdegnoso  il  ponte 
Nel  dorso  si  scotea  l’armenio  Arasse. 

A tal,  da  tanta  madre  avuto' dono. 
Ed’ un  tanto  maestro.  Enea  mirando. 
Benché  il  velame  del  futuro  occulte 
Gli  tenesse  le  cose,  ardire  e speme 
Prese  e gioia  a vederle;  c de’  nepoli 
La  gloria  .e  i fati  agli  omeri  s’ impose. 
[723-731] 


DELL’  ENEIDE 

»» 

N 

Libro  Nono. 


Mentre  così  da’ suoi  scevro  e lontano, 
Enea  fa  d’armi  e di  sossidi  acquisto, 

Giulio  di  concitar  la  furia  e l’ira 
Di  Turno  unqtia  non  resta.  Erusi  Turno 
Col  pensier  de  la  guerra  al  sacro  bosco 
Di  Pi  Iti  n ho  suo  padre  allor  ridotto, 

Che  mandala  da  lei  di  Taùmanle 
Gli  fu  la  figlia  in  colai  guisa  a dire: 

Ecco,  quel  clic  tu  mai,  chiedere  a lingua, 
O'mpetrar  dagli  Dei,  Turno,  potessi, 

Per  sè  l’ occasi on  li  porge  o ’l  tempo. 

Enea,  mentre  dagli  altri  implora  aita, 

Le  sue  mura,  i suoi  legni  e le  sue  genti 
Lascia  ora  a te,  se  tu  ’l  conosei,  in  preda. 

Ei  coi  migliori  al  palatino  Evandro 
Se  n’ è passalo,  e quindi  è ne  l’estremo 
Penetrato  d' Strutta.  Ora  è nel  campo 
De’Toschi,  e favvi  indugio  ed  arma  agresti. 

[MI] 


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• «1 


[19-42]  unno  ix.  413 

E tu  qui  badi  or  che-di*  earri-c  d’  armi- 
E di  prestezza  è d’  uopo?  E clic  non  premii 
1 suoi  steccali  clic  som  or  di  tanto' 

Per  1’ assenza  di  lui  turbali  (*  scemi? 

Poscia  che  così  disse,  alto  su  Pali 
La  Dea  levossi  ; e Ira  P opache- nubi 
Per  entro  al  suo  grand’  arco  ascese  c sparve: 
Turno  che  la  conobbe,  limbo  a le  stelle 
Alza  le  palme;  c nel  fuggir  con  gli  occhi 
Scguilla  c con  la  voce,  Il  i,  dicendo, 

Lume  e fregio  dot  cielo,  e chi  li  spiega 
Or  da  le  nubi  ? E uhi  quaggiù  ti  manda  ? 
Ond’è  l’aer  si  chiaro  e si  tranquillo 
Così  repente?  Io  veggio  aprirsi  il  cielo, 
Vagar  le  stelle.  0 qual  tu  de’  celesti 
Sii;  eli’ a Panni  m’ invili,  io  lieto  accetto 
Un  tanto  augurio,  e lo  gradisco  c’1  seguo. 
Cosi  dicendo  al  fiume  si  rivolse; 

IV  attinse  ; se  ne  sparse  ; e precide  voli 
Molte  fiate  al  ciel  porse  e riporse. 

Eran  già  le  sue  genti  a la  campagna, 

E de’ cavalli  il  condottici'  Messàpo 
Di  ricca  sopravesta  ornato  e d’oro 
Movea  d’ovanti.  I giov ini  di  Turo 
C \ no.  — 27.  [12-28] 


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* 

•ili  L*  ENEIDE.  [43-66] 

TVncan  rultimc  squadre,  e Turno  in  mezzo 
Con  tutto  il  capo  a tutta  la  battaglia 
Sopravanzando,  armato  cavalcava 
Per  P ordinanza.  In  colai  guisa  i campi 
Primieramente  inonda  il  Gange,  o ’l  Nilo 
Con  sette  fiumi;  indi’  ristretto  c queto' 
Correndo,  entro  al  suo  letto  si  raccoglie. 

Qui  d’ improviso  d’  un  oscuro  nembo 
Di  polve  il  ciel  ravvilupparsi  i Teucri 
Scorgon  da  lungc,  e intorbidarsi  i campi. 
Caico  il  primo  da  l’avversa  mole 
Gridando,  0,  disse,  cittadini,  un  gruppo 
Vèr  noi  di  polverio  ne  l’aura  ondeggia. 
Ognuno  a l’armi  ; ognuno  a la  muraglia  : 
Ceco  i nemici.  Di  ciò  corre  il  grido 
Per  tutta  la  città;  chiuggon  le  porte: 
Empion  le  mura.  Tale  avea,  partendo, 

Dato  il  sagace  linea  precetto  e nórma, 

Ch’  in  caso  di  rottura,  a campo  aperto 
Senza  lui  non  s’ardisse  o spiegar  schiere  . 
O far  conflitto  ; c solo  a la  difesa 
S*  attendesse  del  cerchio.  Ira  c vergogna 
Gli  animava  a la  zuffa;  editto  e tema 
Gli  ritenea  del  duce.  Ond’ entro  armati 
[38-46] 


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LIBRO  IX. 


415 


[67-90] 


Ne  le  torri,  iu  su’  merli  e ne’  ripari 
Aspettaro  i nemici.  Aleuto  passo 
Proccdea  l’ ordinanza  ; e Turno  a volo 
Con  venti  eletti  cavalieri  avanti  • 

Si  spinse,  e d’ iinproviso  npprescntossi. 
Cavalcava  di  Tracia  mi  gran  corsiero, 

Di  bianche  macchie  il  vario  tergo  asperso, 
E’I  suo  dorato  e luminoso  elmetto 
D’alto  cimici*  copria  cresta  vermiglia. 

Qui  fermo:  Chi  di  voi,  giovini,  disse, 

Meco  éarà  conte’  a’ minici  il  primo? 

E quel  ch’era  di  pugpa  indiziò  e seguo. 
L’asta  a l’aura  avventando,  alteramente 
Trascorse* il  campo, ed  ingaggiò  battaglia. 
Con  alte  grida  c con  orribil  voci 
Fremendo  lo  seguirò  i suoi  compagni, 

Non  senza  meraviglia  che  si  vili  > 

Fosserò  i Teucri  a non  osar  del  pari 
Uscirgli  a fronte,  non  mostrarsi  in  campo, 
Ferir  da  lungo,  c di  muraglia  armarsi. 
Turno  di  qua  di  là  turbato  c fiero 
Si  spinge,  c scorre  il  piano,  e cerchia  il  muro, 
E d’entrar  s’argomenta  ov’anche  ò chiuso. 

Come  rabbioso  ed  affamato  lupo 
[46-59] 


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416  L*  ENEIDE.  [94-114] 

Al  pieno  ovile  insidiando,  freme 
La  notte,  al  vento  ed  a la  pioggia  esposto-, 
Quando  sotto  le  madri  i puri  agnelli 
Brian  secali,  ed  ci  la  fame  c l’ira 
Incontro  a lor  che  gli  son  lungc,  accoglie  , 
Cosi  gli  occhi  di  foco  e’I  cor  di  sdegno 
Il  Buttilo  infiammato,  anelo  è fiero 
Va  de’  ni  miei  agli  steccati  intorno, 

7 i.  | 

Ogni  loco,  ogni  astuzia,  ogni  sentiero 
Investigando,  onde  o co’snoi  vi  snlga? 

0 lor  ne  sbuchi,  e ne  gli  tiri  al  piano. 

Alfin  l’armata  assaglie,  eli’ a’ ripari 
Da  1’  un  canto  congiunta,  entro  un  canale  t 
IV  onde  e d’argini  cinta,  era  nascosta. 

Qui  foco  esclama,  e foco  di  sua  mano 
Con  un  ordente  pino  a’  suoi  seguaci  _ 
Dispensa,  e lor  con  la  presenza  accende: 
Onde  tosto  e le  faci  c i legni  appresi, 

Fumo,  fiamme,  faville  e vampi  e nubi 
F volumi  di  pece  al  ciel  n’andaro. 

Muse,  ditene  or  voi  qual  nume- allora 
Scampò  de’ Teucri  i legni,  e come  un  -tanto 
De  la  novella  Troia  incendio  estinsc. 

Fama  di  tempo  in  tempo  e prisca  fede- 
[59-79] 


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417 


- [ 1 15-138]  libro  ix. 

M* avvera  il  fallo,  e ^oi  conio  ne  'l.fjie. 

Dicon  che  quando  a navigar  .costi-elio  ' 
Enea  -primieramente  i suoi  navili 
A formar  cominciò  nel  bosco  Ideo; 

D’Ida  di  Bereeinlo  e degli  Dei  > 

Là  madre,  al  sommo  Giove  orando,  disse  : 
Figlio,  che  sei. per  me  de.i’  universo 
Monarca  eterno,  a me  tua  .cara  .madre 
Fa’  quel  ch’io  chieggio,  e tu  mi  devi,  onoro. 
K nel  Gàrgaro  giogo  un  bosco  in  cima 
Da  me  diletto,  ed  al  mio  nume  addillo  - 
Già  di  gran  tempo.  Era  d’  abeti  e d’aceri 
E di  pini  e di  peci  ombroso  e denso; 

Ma  quando  de  l’armata  ebbe  uopo  in  prima 
Il  giovine  Troiano,  al  magistero 
Volenticr  de’ suoi  legni  il  concedei. 

Quinci  uscir  le  sue  navi  ; e come  figlie 
Di  quella  selva,  a me  sou  sacre  e care 
Sì  ch’or  ne  temo;  e del  timor  che  n’ aggio 
Priego  che  m’  assicuri;  c ’l  priego  mio  °° 
Questo  possa  appo  a te,  che  tanto  puoi, 

Che  nè  da  corso  mai,  uè  da  fortuna 
Sia»  di  venti,  o di  flutti,  o di  tempeste 
Squassate  o vinte:  e-lor  vaglia  che  nate 
[79-923 


* 


Ì: 


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4 IS  l’emide.  [139-162] 

Son  nc’ miei  monli.  A cui  Giove  rispose: 
Madre,  a clic  stringi  i fati  ? E q.ual,  per  cui, 
Cerchi  tu  privilegio-?  A mortai  cosa 
Farò  dono  immortale?  E mortai  uon)o 
Non  sarà  sottoposto  a’  rischi  umani  ? 

Ed  a qual  degli  Dei  tanto  ò permesso? 
l’iù  tosto  allor  clic  saran  giunte  al  fine,  1 
E che  in  porto  saranno,  a quelle  tutte 
Che,  scampatela  Fonile,  il  teucre  ducè 
Avraii  ne’ campi  di  Lourento  esposto, 

'Porrò  la  mortai  forma,  e Dee  farolle, 

Che  qual  di  Nòreo  c Dolo  e Galateo 
Fendaci  coi  petti  e con  le  braccia  il  male. 
Cosi  detto,  il  torrente  e la  vorago 
E la  squallida  ripa  e l’atra  pece 
D’Achcronte  giurando,  abbassò  ’l  ciglio, 

E fe  tutto  tremar  col  ccnuo  il  mondo. 

Or  questo  era  quel  di,  quest’era  il  fine 
Da  le  Parche  devoto  ai  teucri  legni: 

Onde  la  madre  Idèa  centra  1’  oltraggio 
Si  fe  di  Turno,  e gli  sottrasse  al  foco. 
Priinieramantc  inusitata  luce 
Balenando  rifulse;  indi  un  gran  nembo 
Di  Coribanti  per  lo  ciel  trascorse 
[93-111] 


411) 


[163-186]  unno  ix. 

Di  vèr -l’aurora;  ed  una  voce  udissi 
Ch’empiè  di  meraviglia  e di  spaventa 
L’  un  esercito  e l’altro  : 0 miei -T roteili, 
Dicendo,  non  vi  caglia  a’ miei  navili 
Porger  soccorso;  nè  perciò  nel  campo 
Uscite  a rischio.  Arderà  Turno  il  ma*e 
Pria  che  le  sacre  a ine  dilette  navi. 

E voi,  mie  navi,  itene  sciolte  ; e Dee 
Siate  del  mare,  lo  genitrice  vostra 
Lo  vi  comando.  A questa  voce,  in  quanto 
Udissi  a pena,  s’  allentar  le  funi 
De’  lor  ritegni  ; e di  dellìni  in  guisa 
Coi  rostri  si  tuflaro.  Indi  sorgendo 
[Mirabil  mostro!),  quante  a riva  in  prima 
Eran  le  navi,  tanti  di  donzèlle 
Si  vider  per  lo  mar  sereni  aspetti. 
Sgomentaronsi  i Rutuli  ; e Messàpo 
Co’ suoi  cavalli  attonito  fcrmossi. 

Il  padre  Tibcrin  roco  mugghiando 
Dal  mar  fuggissi.  Nè  perciò  di  Turno 
Cessò  l’audacia,  anzi  via  più  feroce, 

Gli  altri  cssortandoe  riprendendo, Ah, disse 
Di  che  temete?  Incontro  ai  Teucri  stessi 
Vengon  questi  prodigi;  e loro  lia  Giove 
. [H2-12>] 


•420  * l’ejieide.  [187-210] 

De  le  lor  forze  cssausli.  il  ferro  e’1  fuoco 

Non  aspettati  de’ Rullili  : lian  del  irrure 

Perduta  c de  la  fuga  ogni  speranza. 

^ • 

Essi  del  mare  infino  a qui  son  privi 

E la  terra  è per  noi:  tante  son  genti 

D'  Italia  in  arnie.  Nètein*  io  de’ vanti 

Che  de’  lor  vaticini!  e de’  lor  fati 

Da  lor  si  danno.  Assai  de’  fati,  assai 

E l’ intento  di  Venere  adempito, 

Clic  son  nel  Lazio.  E’ncontro  ai  fati  loro 

Son  anco  i miei,  clic  <tòr  de].Lazio  iodeggia, 

Anzi  del  mondo,  questi  scelcrati 

De  I’  altrui  donne  usurpatori  c drudi  : 

Che  non  soli  gli  A trilli,  e non  sola  Argo 

N*  lini)  duolo  e sdegno.  Oli!  hastach’una  volta 

Ne  son  periti.  Sì,  se  lor  bastasse 

D’aver  in  ciò  sol  una  volta  errato. 

Nuovo  error;  nuova  pena.  Or  non  aranno 

Ornai  quest’ infelici  in  odio  adulto 

Le  donne  tutte,  a tal  di  già  condotti, 

Che  non  lian  de  la  vita  altra  fidanza, 

Clic  questo  poco  e debile  steccato 

- Clic  da  lor  ne  divide?  e lauto  a pena 

Son  (unge  dal  morir,  quanto  s'indugia 

[12D-142J 


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[211-234]  libro  ix.  , 42 

A varcar  questa  fossa.  In  ciò  riposto 
flan  la  speme  e P ardire.*  0 non  ban  visto 
Le  mura  gnco  di  Troia,  che  costruite 
Fur  per  man  di  Nettuno,  a terra  sparse 
E’n  cenere  converse?  Ma  chi  meco 
Di  voi,  guerrieri  eletti,  è che  s* accinga 
D’assalir  queste  mura  e queste  genti  • 
Già  di  paura  offese  ? A me  lor  con  Ira 
D’uopo  uon  son  nè  Farmi  di  Voleano, 

Nè  mille  navi.  E vengane  pur  tutta 
L’Etruria  insieme.  E nou  furtivamente 
E non  di  notte,  come  fanno  i vili, 

It  Palladio  involando,  ^de  la  ròcca 
I custodi  occidendo,  assalirògli  ; 

Nè  del  cavallo  ne  l’  oscuro  venite 
M’ appiatterò.  Di  giorno  apertamente 
D’armi  e di  fuoco  cingerògli  iti  guisa, 
Ch’altro  lor  sembri,  che.  garzoni  e cerne 
Aver  di  Greci  e di  Pelasgi  intorno', 

Di  cui  l’assedio  infido  al  decidi’ anno 
Ettor  sostenne.  Or  poscia  die  del  giorno 
S’è  buona  parte  insino  a qui  passata 
Felicemente,  il  resto  che  n’avanza  • 
Attendete  a posarvi,  a ristorarvi, 
[143-iòS] 


422 


L*  ENEIDE.  [2S5-2ÓS] 

A disporvi  a l’assalto;  e ne  sperate 
Lieto  successo,  ludi  n Mossa  po  incarco 
Si  dà,  die  sentinelle  c guardie  e fochi 
Disponga  anzi 'a  le  porte  c’ntorno  al  muro. 
Ei  sette  e sette  capitani  egregi, 

Hululi  tutti  a quest’impresa  elesse, 

Con  cento  che  n’avca  ciascuno  appresso 
Di  purpurei  cimieri  ornati  e d’  oro. 

Questi,  le  mute  variando  c Pure,  • 
Scorrevano  a vicenda;  e’ntorno  a’ fochi 
Desti  in  su  l’erba,  infra  le  tazze  c I’  urne 
Tracan  la  notte  in  gozzoviglie  e’n  giuochi. 

Stavano  i Teucri  il  campo  rimirando 
Da  la  muraglia  ; e per  timore,  armati 
Visitavan  le  porte,  e ’n  su’  ripari 
Pacca n bertesche  e sferratole  e ponti. 

Era  Mennno  lor  sopra  e’I  buon  Sergesto, 
Cile  fur  dal  padre  Enea  nel  suo  partire 
A guerreggiar,  se  guerra  si  rompesse, 

Per  condottieri  e per  maestri  eletti. 

Già  su  le  mura,  ovunque  o da  periglio 

0 da  la  vece  eran  disposti,  ognuno 

1 enea  il  suo  luogo.  Un  de’  più  (ieri  in  arme, 
ISiso  d il  iaco  il  lìglio,  ad  una  porla 

[458-17GJ 


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423 


[259-282]  unno  ix. 

Era  proposto.  Da  le  cacce  il’  Ida 
Venne  costui  mandato  al  Irokm  duce, 

Gran  feritor  di  dardo  e di  saette. 

Eurìalo  era  seco,  un  giovinetto 

e 

Il  più  bello,  il  più  gaio  e’I  più  leggiadro, 
Che  nel  campo  troiano  arme  vestisse  ; 

Cb’a  pena  avea  la  rugiadosa  guancia 
Del  primo  bordi  gioventute  aspersa. 

Era  tra  questi  due  solo  un  amore 
Ed  un  volere;  e nel  meslrcr  de  Tarmi 
L’un  sempre  eracon  Ualtro  ed  ambi  insieme 
Stavano  ullor  vegghiando  a la  difesa 
Di  quella  porta.  Disse  Niso  in  prima  : 

Em  ialo,  io  non  so  se  Dìo  mi  sforza 
A seguir  quel  eli’ io  penso-,  o se’l  .pensiero 
Stesso  di  noi  fossi  a noi  forza  e dio. 

Un  desiderio  ardente  il  cor  m’ invoglia 
D’ uscire  a campo,  e far  conlr”  a’  nemici 
Un  qualche  degno  e memorabil  fatto: 

Sì  di  star  pigro  e neghittoso  aborro. 

Tu  vedi  là  come  securi  od  ebri  ; 

E sonnacchiosi  i Rutuli  si  stanno 
Con  rari  fochi  e gran  silenzio  inlorqo. 

1/  occasione  è bella,  ed  io  son  fermo 


Di  porla  in  uso:  or  in  qual  modo  ascolto. 

Ascanio,  i consiglieri  e’I  popol  tutto, 

Per  richiamare  linea,  per  avvisarlo, 

E per  avvisi  riportar  ila  lui, 

Ccrcan  messaggi,  lo,  quando  a te  promesso 
Premio  ne  sia  (eli’ a me  la  fama  sola 
Pasta  del  fatto)  di  poter  m* affido 
Lungo  a quel  colle  investigar  sentiero, 

Onde  a Pollatilo  a ritrovarlo  io  vada 
Securuinente.  Eurìalo  a tal  dire 
Stupissi  in  prima;  indi  d’amore  acceso 
Di  tanta. lode,  al  suo  diletto  amico 
Così  rispose  : Adunque  ne  l' imprese 
Di  momento  e d’onore  io  «la  te,  Niso, 

Son  co.<i  rifiutato?  E te  posso  io 
Lassar  sì  solo  a sì  gran  rischio  andare  3- 
A me  non  diè  questa  creanza  Ofelte 
.Mio  genitore,  il  cui  valor  mostrossi 
Negli  affanni  di  Troia,  e nel  terrore 
De  1’  argoliea  guerra.  E«l  io  tal  saggio 
Non  t’ Ito  dato  di  me,  teco  seguendo 
Il  duro  fato  e la  fortuna  avversa 
Del  magnanimo  Enea  Questo  mio  core 
È spregiatore,  è spregiatore  anch’egli 
[15)1-200] 


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[307-330]  libro  rx.  42 

Di  questa  vita,  e degnamente  spesa 
La  tiene  allor  che  gloria  se  ne  merchi 
E quel  ehe  cerchi,  ed  n me  nieglii,  onore. 
Soggiunse  NisoT:  Altro  di  te  concetto 

Non  ebbi  io  mai,  nè  tal  sei  tu  eh'  io  deggia 

% 

Averlo  in  altra  guisa.  Cosi  Giove 
Vittorioso  mi  ti  renda  e lieto 
Da  questa  impresa,  o qual  altro  sia  nume 
Che  propizio  e benigno  ne  si  mostri. 

Ma  se  per  caso  o per  destino  avverso 

« 

(Coinè  sovente  in  questi  rischi  avvène) 

Io  vi  perissi,  il  mio  contento  in  questo 
È che  tu  viva,  sì- perchè  di  vita 
Son  più  degni  i tuoi  giorni,  e si  perdi’  io 
Aggio  chi  dopo  me,  se  non  con  l’ arme, 
Alinen  con- l’oro  il  mio  corpo  ricovre, 

E lo  ricuopra.  E s*  ancor  ciò  m’è  tolto, 
Allin  sia  chi  d'essequie  è di  sepolcro 
Lóntan  m’ onori.  Oltre  di  ciò  cagione 

j "" 

Esser  nondeggio  a tua  madre  infelice 
D'  un  dolor  tanto  : a tua  madre  che  sola 
Di  tante  donne  ha  di  seguirti  osato, 

I commodi  spregiando  e la  quiete 
De  la  città  d’Aeestc.  A ciò  di  nuovo 
[206-219] 


426 


t’  ENEIDE. 


[331  -35  i) 


Eurìulo  rispose:  Indarno  adduci 
Sì  vane  scuse;  ed  io  già  fermo  e saldo 
Nel  proposito  mio  pensici*  non  muto. 
AflYcltianci  a P impresa.  E,  cosi  dello, 

Desiò  le  sentinelle,  e le  ripose 
In  vece  loro  ; e P uno  e P altro  insieme 
Se  ne  partirò,  e ne  la  reggia  andaro. 

Tulli  gli  altri  animali  aventi, dormendo, 
Sovra  la  terra  oblio,  tregua  e riposo 
Da  le  fatiche  e dagli  alTanni  loro. 

I teucri  condottieri  c gli  altri  eletti, 

Clic  de  la  guerra  avean  P imperio  e’I  carco, 
S’  erano  e de  la  guerra  e de  la  somma 
Di  tutto ’l  regno  a consigfiar  ristretti: 

E nel  mezzo  del  campo  altri  agli  scudi, 

Altri  a P aste  appoggiali,  avean  consulta 
Di  che  far  si  dovesse,  e chi  per  messo 
Ad  Enea  si  mandasse.  I due  compagni 
D’essere  ammessi  e ’ncontinenle  uditi 
Kccer  gran  ressa  e di  portar  sembiante 
Cosa  di  gran  momento,  e di  gran  danno 
Se  s’indugiasse.  A questa  fretta,  il  primo 
Si  fece  Ascanio  avanti;  e vólto  a Niso 
Comandò  die  dicesse.  Egli  altamente 
[219-234] 


427 


[355-378]  ueno  ix. 

Parlando  incominciò  : Troiani,  udite 
Discretamente ,*  e quel  che  si  propone 
E si  dice  da  noi,  non  misurate 
Dagli  anni  nostri.  I Kutuli  sepolti 
Se  nestan  da  la  crapula  e dal  sonno; 

E noi  stessi  appostato  avemo  un  loco 
Da  quella  porta  che  riguarda  al  mare, 

Atto  a le  nostre  insidie,  ove  la  strada 
Più  larga  in  due  si  parte.  Intorno  al  campo 
Sono  i fochi  interrotti  : il  fumo  oscuro 
Sorge  a le  stelle.  Se  da  yoi  n’  è dato 
D’usar  questa  fortuna,  e quest’ Onore 
Ne  si  fa  di  mandarne  al  nòstro  duce, 

Al  Pallantèo  n’andremo,  e ne  vedrete 
Assai  tosto  tornar  carchi  di  spoglie 
Degli  avversari  nostri,  e tutti -aspersi 
Del  sangue  loro.  E non  Ha  che  la  strada 
Ne  gabbi:  chè  più  volte  qui  d’intorno 
Cacciando,  avemo  e tutta  questa  valle 
E tutto  il  fiume  attraversato  e scorso. 

Qui  d’  anni  grave  e di  pensici’  maturo 
Alète  al  cicl  rivolto,  0 putrii  Dii, 

Disse  esclamando,  il  cui  nume  fu  sempre 
Propizio  a Troia,  pur  del  tutto  spenta 
[234-248] 


428 


[379-402] 


L’  ENEIDE. 

Non  volele  clic  $ia  mercè  di  voi, 

Poscia  che  questo  ardire  e questi  cori 
Ne’ petti  a’  nostri  giovini  pouete..- 
E stringendo  le  man,  gli  omeri  e ’l  collo 
Or  de  Pana  or  dell’altro,  ambi  onorava. 

Di  dolcezza  piangendo.  E qual,  dicea, 

Qual,  generosi  figli»  a voi  durassi 
Di  voi  degna  mercede?  Iddio,  eli’ è primo 
Degli  uomini  e supremo  guiderdone, 

E la  vostra  virtù  premio  a sò  stessa 

Sia  primamente.  E neh  poscia  useravvi 

Sua  largitale,  c questo  giovinetto 

Clic  d’  un  tal  vostro  mcrtoavrà  mai  sempre 

Dolce  ricordo.  Anzi  io,  soggiunse  lulo, 

Clic  senza  il  padre  mio  la  mia  saltile 
Veggio  in  periglio,  per  gli  dei  Penati, 

Per  la  casa  d’  Assórueo,  per  quanto 
Dovete  al  sacro  e vcnerabil  nume 
De  la  gran  Vesta,  ogni  fortuna  mia 
Ponendo,  ogni  mio  aliare,  in  grembo  a voi, 
Vi  prego  a rivocare  il  padre  mio. 

Fate  eli’  io  lo  riveggia;c  nulla  pòi 
Sarà  di  eli’  io  più  tema.  E già  vi  dono 
Due  gran  vosi  d’argento,  clic  scolpiti 
[24S-2Ù4] 


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1 


■ Xmì* 


. [403-^ÌCJ  LIBRO  IX.  J&Q 

Sono  a ((gucfjjjn  dot  più  ricchi  arnesi 
Cbe  del  sacco  tP  Arlsba  in.  preda  avesse 
Il  putire  mio;  due  Wrpodij’ dtìe'lT OJMI 
Maggior  talenta  ed  uiLtazzone  antico  - . 
DtHar  siiteli  iù  Ilidor  P^se  n’è  dato'*  / 
TQner  <l’  Italia  il  desialo  regno.,  ’ 

E che  preda  .iteritene  uuqaa  mi  tocchi, . 
Qtiellò  stésso,  destr  ter,  quello  stc^c  armi.  * 
Guarnite  d.  oro,  onjJe  vu  Turim  altero,  * 

P quel  suo  scudo,  e . quel  cinMer.sanguig.no  • » 
Sotjrarr.ò  d&  la-sorte;  e. di  già,’-!Siso* 

Gli  ti  consegno; ; c-ti -prometto  in  nome  * . 
•Dgl  pjOTre. mio, .clic  lairgiralli ancora  * 

Dodici  tra  rolli’ altri  eletti. corpi 
Di  bdÌis?im£-donue,  e dodici  altri’. 

DI  gioyiiii.  prigio'nij  e P armi'  lofo>ft- 
Con  essi  inaiein.e,  e di  Latino  stesso 
La  regia  villa.  Or  te, .mio  -venerando 
Fanciullo,  abbracciò,  aglixmi  gi'ot*ufl  i»T?i 
Vajl  piò  vicini,  lo  te  cuti  tutte  il  core  . 
Accetto  -pct  compagno  e per  fratello 
In  ogui'CTisoj  e nqlla  o gloria  o gipia 

Procurx'rornmi  in  paCQinnqna  od  inguciya. 
Che  non  sii  meco  d’  ogni  mio  pensiero  * 
Caro. 28.  [264-27n]. 


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131)  . l’  FtfninÉ.  [Ì27-450] 

• •*  . 

K d’ogni  ben  partecipi?  e consorte}1 
E iie  le  tue  parole  e ne*  tuoi  fatti  v * 
Sonuna  speme  avrò  sempre  c Somàlia  fede. 

• * .r**  $ * 

Minialo  rispose:  0 fera  0 mite 
Clic  fortuna  mi  sia,  non  sarà  filai 

1 . v.*  , » 

Gli’  io  discordi  da  me  : mai  non  uguale 

Lo  mio  cor  non  ved cassi  à questa  imprèsa  : 

àia  sopra  a’gli  altri  tuoi  promessi  doni 

Onesto  solo  brani’  io.  La  riunire  mia: 

# 7 * 

Che  dal  ceppo  di  Priamo  è discesa, 

E clic  per  me  seguire  ha  la  meschina  ' ' 

Non  pur  di -Troia  abbandonato  il  uido^ 

^ ^ i s • / ^ 

àia  ’l  ricovro  d’Aceste,  e la  sua  vita 
Stessa-  (a  tanti  per  me  i’  ha  fischi  esposta), 
Di  questo  mip  periglio/ qunl  che  e’ Sia; 

Nulla  ha  notizia;  ed  io  da  lei- mi  partor 
Senza  che  la  saluti,  c che  1o;veggia. 

Per  questa  man,  per  questa'  notte  io  giuro, 
Signor,  clic  nò  Vederla,  nò  la  pietà 
Soffrir  de  le  sùé  lagrime  non  posso. 

I u questa  derelitta  povèròlla 
Consola,  te  nò  priego,  c là  sovvipni 
in  vece  mia.  Se  tu  di  ciò  ta’ùffidf,  * ■! 

Andrò,  con  questa  speme,  ad  ogni  rischio 
[279-292} 


* 


> m 

[-tó  1-474]  libro' tx.  .431 

Con  pili- baldanza.  Si  coinmosseMntii 
A fai  paròle,  c higjuinàro  i'Teutfri.} 
l’i  pio  di  lutti  Asconio,^  cui-soyveiinc 
De  la  pitti-cli’  ebbe  $ùo  padre  al  padre; 

K disse  al  giovinetto:  lo  mi  ir' lego 
Per  fede^  tutto  ciò  'clic  fa  grandezza  •* 

Di  questa  impresi»  e ’l  tuo  valor  richiède. 

E perchè  mia  sia  Ha’ tua  madre,  il  nomp 
Sol  di  Crcusa,  è uiHI’ altro  le  manca.* 

Nè  di- picciolo  mMo  è'cli’lfn  tal  figlio 
N uggia  prodotto,  segua  elio  clic  "sia 
•Di  questo  fatto.  Ed  io  per  lo-ìnio^òpo 
Ti  giuro,  per  lo  qual  solca  pur  dianzi 
Giurai*  iniò  padre,  cltfà  la  madre  tua, 

A tutta  la  lira  stirpe  si  daranno 
I doni  stessi  clic  $crbar  mi' giova 
Pur  a te  nel  felice  tuo  ritorno. 

Così  disse  piangendo;  e la  stia  spada, 

Clic  di  man  di  J.icàone  gtiaimito 
Avrà  (l’avorio  il  fodro,  q Polso  d’oro, 
Distaccossi  dal  funicolo  lui  nc  cinse, 
iltemmo  al  tergo  di  Niso  un  tergo  impose 
Di  vi.Hòso  Icorte';  e-M  fide  Alcte 
(ili  scambiò  I’  dm'o.  Cosi  tosto  armali  . 


L’^ENctop.  [47^5.»4?98]  . 

Se  rì’  uscjr  <b»  li»  reggia; 'e  i primi- lutti 
(liovini  c veeclii  il»  veCe  d’onoranza 

• • 

.rino  a la. pol  la  con.prcconii  -e  voti  * - - 

(Ili  accampa  girò  ro.  Il  giovinetto  l.uio- 

t - • f v • * 

Con  v i rii  cura  e.jion  pensier fn;i 
Innanzi  ^ìgl i anni,  ragionando  innjezzo 

Diva  al’ entrambi  : c<l  or  H uno  ed  or  Tallio 

% . * " . » « 

Mollo  avvertendo,  motte  cose  a dire-  . , a 
Mandala  al  padre.;  le  qtiaf  tratte  a-Pvento.  , 
Fnrgn..coinniesse,-e.dissipate  a J’  apra. 

Escono  alfine.  E già,  varcalo  LI  fosso, ^ 

Da  le  uóttnrnè  tenebre  cqverli 
Si  metipn  per  la  via  clic  gli  conduce 
Al  campo  de*  nemici,  apii  ada  morte.  . . • 

Ma  non  ittorjrpnnp,  che  macello  eslrage  • 
Farao  di  molti  in  .prima.  O.vunqu'e  vanno 
Veggion  corpi  ili  genti,  clic  sepolti, 

Son  dai  sonno- e dal  vino.  I can  i vóli 
Con  ruote  e lu  iglic  intorno. uomiili  cd  otri  . 

E lazze  c scudi  in  un  miscuglio  avvolti. 

Disse d’ irla  co  il  figlio;  6r  qui  bisogna,'. 
KiUjalu,  aver  *ore,  oprarle  mani, 

E conoscere  il  tempo.  Il  camini»  nostro  . 

È per  di  -qua.  Tq.qui  li  ferma,  c V occhio 
v<  W [308-321]*--'  * 


[199*522]  libro  ix.  433 

Gira  .per  lutto?  die  non  sia  da  tergo  * 

Chi  n’  impedisca  ; ed  io  Unito  col  fgrro- 

•.  é 

Sgombrerò  M passone  l aprirò  1 sentiero. 

Ciò  eliclo  disso.  lùdi  Ilunnèle  assale, 

Il  superbo  Rannète,  che  per  sorte 
Entro  una-  sua  trabacca  aVaiiti  a lui 
In  sii  tappeti  a grand* agio  doniija,' ' 

E russava  altamente.  Erbosi  ili 

* • . \ 

A re  Turno  gratissimo,  ed  anch’egli' 

Regc  c ’ndovino^  ma  noti  Seppe  il  folle 
• • • 

Indovinar  ijuel  di’  a-  lui  stesso  pyveniie.  » ' 
Tre  suoi  famìgli,  Clic  dormeìplo  appresso 
Ciiacean  fra  l’  Ùrmi  rovesciati  a caso, 

^ « 0 _ • * 

Tutti  in  un  mucchio  uccise,  ed  un  valletto. 
Ch’era  di  Uomo,  c sotto  i suoi  cavalli 
Lo  stesso  a'urigu.  A costui  trasse  un  col|n> 

Che  gli  oìuiidò  giù  ciondoloni  il  collo: 

Indi  al  padron  di  netto  lo  recise 

Si,  clie’1  sangue  spi  eoi  andò  d’ogni  vena, 

La  terrario  stramazzo  e ’l.  desco  'intrise.' 
Tamiro  estinse  dopo  questi  C Lamo,*- 
EM  giovine  Sacrano.  Un  bel  garzone 
Era  costui  gran' giocatore,  e ’n  gioco* 

Insino  allora  avoa  sempre  -vegliato. 

[322-3-S7] 


•! 

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431  l’kkeide..  [523-.V4G] 

Felice  lui  per  lo  suo  vizio  slesso  * 

Se  giocato  e perduto  ancora  avesse- 
Tutta. la  noltej  Era  a veder  ,tiva  loro  - 
Il  lìero  Niso',  qual  «la  faine  spinto 
Non  pasciuto  Icone,  un  pieuo  ovile 
Imbelle  e per  timor  già  mulo  «fssaglU*, 

Clic  d’unghie  armato,  e sanguinoso  il  dente 
Trnendó  c divorando  ancide  6-rugge. 

Nò  Te- strage  minor  da  l'altro  canto' 
Furialo,  eli’  acceso  c furioso 
Tra  molta  plebe  molti  senza  nome  ' 

E quasi  senza  vita  a morte  trasse; 

Sì  dal  sonno  eran  vinti ;-e  de’  nomati 
Oceise-Ebèsq,  Fado,  Àlrari  e Roto. 

Qoesto  Reto  era  desto:  onde  reggendo 
Coti  la  morte  degli  alilo  il  suo  periglio, 

Per  la  paura  appo  d’  un1  urna  ascoso  • 
Quatto  e queto  si  stava.  Indi  sorgendo 
fili  fu  ’I  giovine  sopra,  c’1  ferro-tutto 
Entro  al  petto  gl’  immerse, e con  gran,  puete 
De  la  sua  vita  indietro  lo  ritrasse; 

Si  che  tra’l  vino  e ’l  sangue  ond’  era  involta, 
(di  usci  l’alma  di  purpura  vestita. - 

Con  questa  occision  di  buia  notte 
[337- 350.) 


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4| 


[5  47-570]  j.iBno  ix. 

E ai  furtivo  agguato,  il.buoix  gavone 
Fervidamente  instava.  E già  rivolto 
S’  era  contro  a la  schiera  di  Mcssàpo  - . 

’ve’l  foco  vei^ea  «rei  totto-cstii)to, 

E là  ’ve  i suoi  cavalli  a la^cnmpagna 
Pasccan  legati  ; all'or  clic  Niso  il  vide  ; , 
Elie  da  l’occislone  c da  l’ardore 
Trasportar  si  lasciava.  E brevemente  : ^ • . 

Non  più,  gli  disse,  che ’l  nimico,  sole 
Ne  sorge  incentra.  Assai  di  sangue  astile, 
Fin  qui  s’  è sparso;,  assai  di  largo  aveiuo. 
Moli’ armi,  inolt’  argenti’ e inoli’ arnesi 
Lasciarò  indietro.  I guarnimcnti  soH 
Del  cavai  di  Ranuòlc  e le  sue  borchie 
Furialo  si, prese  con  un  cinto  1 / 

Bollato  d’oro,  un  pre/.joso  dona  . : 

Che  Cèltico,  un  ricchissimo  tiranno, 

A Remolo  tiburte  òspitivassente  . - 

Fece  in  quel  tempo.  Remolo  al  iti  poto 
Lo  lasciò  per  retaggio  e quest]  in  guerra 
Ne  fu  poscia  da’Rutuli  spogliato:. 

Quinci  gli  ebbe  Ranuètg,  e quinci  preda 
Fur  d’ Euri  alo  al  fine.' Egli  graVoune 
1 forti  omeri  indarno.  Appresso  in  capo 
[350-365] 


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4^0  1/  EÌlElDF..  [o7-t-M£t] 

• N • 

S’adattò  di  Messàpct  un  lucid’  elinrt  "• 

I)’  alto  cimiero  adorno  ;Vn  questa  gq-isa.'  . 
Se  né  pài*tia il ,V ilio  r't os  iV-safi  v i . ■»  ‘ , r... 

iti  la  n Co  di*  Laureato  eraìi  Jescliiere 
Uscite  a campo,  c i lor  camalli  avanti 
Precorrenti  Uui-dinanza; -ed  a re  Turno 
Ne  portavano  avviso.  EràiPtT’écétflo.v.  . 

Tutti  di  6cudi.*arroalf;  e capone  gurcTit  :‘.‘ 
N’era  Volscente.jGià  vicini  al  campo  . - 
Scorgdàn  le  mura  ; quando  fuor  di  stintela 
Videro  da  man  munteti  i due  compagni  ; ■' 
Tener  sentieri  obliquo.  Era  un  barlume  * • 

Là  ’v*erà  1’  ombVà,  e làVeraJa  luna,*.  ‘ 

».  • , .••••*’  • 

• Agli  avversi  suoi-  raggi  la  celata 
Del  malo  accorto  Éorlalo  rifulse:^ 

Di  cotal  vista  InsósjleHi  Vo^centc,. 

E gridò  dà  la  sq.uàdrà  ; 0 là,  fermate.  , 
Chi.  viva?  A eh  e vcpitc?-6ve  n’andate?  - 
Clù  siete  voi?  La  lor  risposta  incontlpo  . 

Fu  sol  di  porsi  in  fuga.e  prevalcrsi 

De  la  selva  c flel  buio.  I cavalieri'  • v.y;  - 

i # r » 0 ^ % ■ • * ^ 

Ratto  dìi  quadri  là  corsero  a’ passim  >;vr 
Circondarono  11  bosco  ; ad  ogni  uscita 
Poserà  assedio.  Ertila  selva  un’ arti  pia 
[365- 


•« 


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[-5-95-61-8]  * libro  ix. 

« • ' * ^ ^ . 

Macchi;}  d’alci  e di  pruni  prrida  e Taira, 

Gli’  uvea  tari  i sentièri,  occulti  c stretti. 
E JiFAutriclii  de- rami  e de- la  preda 
Eli’  era  pur  grave,  cTdùbtiio  «l«f- la  strad 
Teneau  sovente  Eurralo  impellilo. 

ISiso  xKscioliò  e'  IicVe,  enlel  compagno 
Non  s'accorgendo  di’ era  indietro  assai, 
Oltre  si  spinse.  E già  fuor  de’  nemici 
Era  ne’ campi  che  dal  nome  d'Àlba 

Si  spu  poi  delU  albani.  Allor  le  tazze* 

, k | *•  • » 

E le  Stalle  V avea  de* suoi  cavalli  s 

% , * * ( ■ • 

Il  re  Latino.  E qui  ’posCìif’cli'  un’noco 

• • • •*  - 

Kbbcjl  suo  caro  amico  indurila  atteso, 
(Iridando,  ph  disse,  E, ni  lalo  infelice,  * 

U’sei  riinaso?  U’ più  (lasso)  ti  trovo 
Per  questo  labirinto  ? E tosto  indietro* 


I e 


Rivolto,  per  le  vie,  J^r  l’ orme  stesse- 
hi  tornar  ricercando,  si  rimboséa.^ 
Erra  pria  lungamente,  e nulla  sentii:  .* 
Posffia  senta  di  trombe  e di  cavalli 
E di  voci,  un  tumulto:  ovede  appresso 
Eurlalo  fra  mezzo  a quelle  genti,  . 
Qual  cacciato  icone.  E già  daHocó. 
E,da  la  notte  oppresso  si  travaglia, 
[381-39S] 


^ I 


438  i.*  Eterne.  • [619.642] 

E si  difende  il  payqrfllo  invano.  . * 

Che  farà?  Con  clic  forze,  c con  qual*  armi  . ' 

Eia  che'lo  scampi  ? Avventerassi  in  mezzo 

De’ minici  a- morir  morte  onorata? 

Così  risolve,  e prestamente  uq  dardo 

S’ adulta  in  mano;  è. vólto  io  vèr  la  Lupa,  *' 

Cli’  allora  alto  splendca,  cosi  la  prega  : 

Tu,  Dea,  tu  de Ja  notte  eternò  lume, 

Tu  regina  de* Loschi,  in  tanto  rischio 
* • * ' • \ 

Ne  porgi  aita.  E s’trlaco  mio  padre 

Per  irte  de  le  sue  cacce,  io  de  le  mie 

Il  dritto  iniqua  t’  offrimmo  ‘t  e se  t’  appesi,  • 

E se  t'affissi  mai  teschio*  nè  spoglia 

Di  fera  belva,  or  mi  eonccdi  ch’io 
0 “ # 

Questa  gente  scompigli* e la  m hi  mano 

Reggi,  e i mici  colpi.  E piò  dicendo,  il  dardo 

Vibrò  di  tutta  forza.  Egli  volando 

Fendè  la  notte  e giunse  ove  a rincontro 

Ero  Salutone,  e T investi  nel  tergo 

Là  ’vc  pentirà  lo  targa  ; e T ferro  c l’asta 

Passagli  al. petto,  e gli  trafisse  il  core. 

Cadile  freddo  il  meschino:  e con  un  caldo 

" • t % 

Fiume  di  sangue,  clic  gli  uscio  davanti, 
l ini  la  vita  c col  singozzo  il'fiuto. 

[398-415] 


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UDRÒ  IX. 


[ti  Ì3-666] 


433 


Guarda ii si  l’uno  a l’ altro;  c tutti,  insieme 
Miràn  d’ intorno  ^li.stupor .confusi.  • 

E di  timor  d’  insidie. E.Niso  inlauto  » . , 

^ ia  più  si  sludia  ; ed' ecco  un  altro  fiero 
Colpo,  eli’ anca *li  giù  librato,  e dritto  . . 
Di  sopra  gli  si  spierà  da  l’ Orecchio, 

E per  l’aura  ronzando  in  una  teiqpia 
Si  conficca  dbTag'o,  c passa  a l’altra.  ~.  • 

N discente  acceso  d’ira,  non  veggcndo 
Con  chi  sfogarla,  al  giovine  rivolto, 

1 u me  ne-  pagherai  per  ambe  il  fio, 

Disse,  e strinse  la  spada,  e vèr  lui  sorse. 
Niso  a tal  vista  spaventato,  c fuori 
Uscito  de  l’Ttggualo  c di  sé  stesso 
(Chi  soffrii;  poi!  poteo  tanto  dolore) 

Me,  me.,  gridò,  me,  Rullili,  uccidete, 
lo  son  che ’l, feci;  io  son  che  questa  frothi 
Ho  prima  ordito.  In  me  l’armi  volgete; 

Che  nulla  hu  contea  a voi  questo  meschino 
Osalo,. n£  potuto.  Io  lo  vi  giuro 
l'er  lo  ciel  che  n’è  conscio  c per  le  stelle,  / 
. Questo  tanto  ili  mal  solo  ha.  commesso, 

Che  troppo  amalo  ha  .1’, infelice  amico. 

Mentre  cosi  dicea,  Volscentc  il  colpo 

[4Ì0-43ÌJ  • 


. i 


440'  l’  ENEIDE;  [GG7r600] 

' w.  . . : 

C.ià  con  "ran  forza  spinto,  il  bianco  petto 
Del  giovine,  trafisse*.  E già  morendo".  * 
Eurìalò-cadea,  di  sangue  asperso 
belle-membra,  erovesefutó  il  eòlia' 

Qual  reciso  dal  Voniéro  languisco 
Purpurea  fiore1,  o di  rugiada  pregno  ’ ' 
Papavero  ch’a  terrari  capò  inchina. 

^ i*  \ * • • 

In  meno  de  lo  sluul  Niso  si  scoglia 

Solo  a Volsòeutc,  solo  contea  Uri 

Poti  la  sua  mira.  I cavali  ér  che  intorno  ' 

Stavano  a sua  difesa,  or  quinci  or  quindi 

l.o  tenevano  a didtro.  Ed-erpur  sempre 

‘Addosso  a lui  la  sua 'fulminea  spada 

Potava  a ccrccù  E si  ie  largo  intanto  * 

Ch’ai  fih  fo  giùnse  ; e mentre- cho^gridava, 

Cacciagli  il  ferro  ne  la  Strozza,  c spinse. 

vCosl  non  inorsè,  clic. si  vide  avanti 

« * 

.Morto  il  nemico.  Indi  da  ccifto  lance  , 

• , • * • 

Trafitto  addosso  q lui,  per  eoi  moriva. 

C.it tossi:  e sopra  lui  contento  giacque. 
Fortunali  amhrdue!  Se  i versi  mici 
lauto  ha»  di  forza,  nò  pei*  morte  ifitii 

Nò  per  teinpo  sarà  (dte.’l  valor ‘vostro 
Glorioso  non  sia, 'finché  la  stirpe  . . 


[691-714]  libro  ix.  . 441 

I)’  Etnra  possederà  del  Campidoglio 
L’  immobil  sasso,  line  he-  imperai  lingua 
Avrà  l’jnvitta  c fortunata  Roma..  '• 

1 Rutuli  con  T armi  e con  le  spoglie 
Dei  due  compagni  uccisi  il  modo  còrpo . 

Al  campo  ne  porTAr  del  duce  loro  :••••. 
Lacrimosa littoria  !.E  non  meno  anco 

Fu  nel  campo  uf  lagrime  e di  lutto, 

_ _ • • ^ 

Allorché  di  Rannète  e'di  Surrano  \ 

E di  Nuora  Ju.  Strage  si  geoverse.  . - 
E di  lani’ altri  efi’cran  morti  in  prima. 
Corse  ognuno  veder  j-chè  parìe  spenti/ 
Parte  ermi -mozzi  vivi;  e calilo  c pieno 
E spumante  di  sauguo  era  anco  iPsuolo 
Ove  giàcean  quegl-’ iu  felici  estinti; 
Riconobbcr  trajor  le  spòglie  e I’  elmo 
EM  cwnior  di.jllessnpo,  c i gnqtnimenti 
-Che  con  tento'  suilon  ricoverati  • . 

. » ■ j * . • .• 

S’  erano  a pena.  Era  vermiglio  c rancio  ** 

l'atto  già  de.  la  notte  it  nero  ammanto, 

/ • / 

Lasciando  di  Titoli  f’Aurura.  il  letto  ; 

. . • • * 

E comparso  era  il  spie,  e drsètJvCvk»  , 

Già  ’l  moHifo  .Curio,  allor  obe  Turno  armato- 

•’  . y - • * ■ * 

A’ l’arme,  a. l’ ordinanza,  a la  battaglia  . . 

[4^-46^  • . • * 


* 


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l’  ENEIDE. 


442  l’e*eide.  [715-738] 

Concitò  M campo  ; e diede  ordinò  e loco 
Ciascun  a1  suol.  Vendetta,  ira  e disio 
D’assalir,  di  combatter,  di  far  sangue 
Vfcdeansi  in  tutti*.*  A «lue  grandmaste’ in  cima 

• l • • . » 

Conllccarondc  teste  (orribil  mostra  T) 

* ^ • ‘ v * m 

D’ Enfialo  e di  Nrso,  c'pon  le  grida 
Nc  fòro  onta  c spettacolo  a’  juùniei.- 
I Teucri  arditamente' in  su.le  mura: 

Da  la  sinistra  incontra  si  mostralo; 

Clic  la  destra  dal  fi  il  me  era  difesa. 

E cld’dà  le  trincee, -chi  da  le  torri 
Sla'van  dòlenti  rimirando  i teschi 
>e  P aste  affìssi  polverosi  e lórdi,  " 

CIP  ancor  sangue  gocciando  eran  pur  troppo 
Cosi  Inngc -da’ miseri  compagni 

* t * m * r 

Raffigurati  ji  le  fattezze  conte. 

Spiegò  la  Tiima  le* sue  perniò  intanto,  . 

E la  trista  novella  in  ogni  parto 
Sparse 'per  la- città,  si  di’ agli  oreccjii 
De  la  Vnatfrè  «P  ÉuriaTo  pervertine. 

Corse  subita  mente' ri  n giel  per  l*ossa 
A. la  meschina';  c db  fé  man  le  uscirò’ 
i.c  sue  tele  e i suoi  fili.  Indi;  rapita'  ' * 
Dal  duolo  e da  la  furia,  forsennhta 


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LIBfiO  IX. 


[7391762]  , 


413 


E scapigliata*-  ne  là  si  rada  uscio  > 

E per  meszorde  l’armi  c de  le  genti 
Correndo-,  e' mugolando,  senza  téma 
Di  periglio  « di  hiasrno,  {iridò  gridando/ 

E di  questi  dementi  il  cielo  empiendo,:  *' 
Ahi  così  cencio,  Eurialo*  dil  tomi  ? - • 

Euiialo  sei*tu*?  Tu  sei  ’!  mio  figlio, 

Ch’eri  la  mia  speranza  e’I  mio  riposo  • 

Ne  l’ est  retile  gToTHa tè  di  mia  vita  ? 

Ahi  come  così  sola  mi  lasciasti, 

• * » a V • 1 

Crudele?  E come  a -così  gran  periglio 

N’andasti,  nirzt  a la  morté,  -che  .tua  madre 

Non  ti  parlasse  ohimè!'*!*  ultima  Volta, 

Nè  che  pur  ti  vertesse  ?*  Ahì-clf  or  Ir  veggio 

In  peregrina  tèrra  esco  di  catti,' 

D' avolKii  e di  còrvi.  Ed  io  tua  madre,  t.  * 

lo  cui  l’esseqhìe  ermi  dovute  e’Muolo 

» * • *'*•*' 
IV  un  oolal  figlio,  notvt’  bo  chkistvgli  occhi. 

Nè  lavate  vle-piaglie;' nè  coperte  - 

Con  quella*  veste  elle  con  tanto. studio 

T’  ì>o  per  trastullo  de  la  mia  Vecchiezza  * 

Tessuta  io  smessa  e ricamata  invano.  * * 

i 

Figlio/dove  ti  cerco.?  ove  ti  trovo 
Sì  diviso  da  te  ? come rqccòzzo  -*  »•; 


454  kV&eijiE.  ,£743-3 

Le  Iqe  così  sbranate  e scarse  membra*? 
Sòl  questa  parte  del-luo  corpo -rendi 
A la  tua  madre,  cbe  pcr-esser-  teeu 

i • *•  '»  * •-  # . 

-T’  ha  per  terra  e .perniai’  tanto  seguito, 
K sTguì  ratti  dopo  morte'ancora^ 

In  me,  Rutuli,  in  me  lutti  volgete 
r vostri' ferrile  pur  regna  in  voi 
Melòde  alcuna»  A «ne  la  morte» date  . * 
Pria,  ni  li’  a dui  l’ altra. $ tu,  padre  celeste- 
Miserare  di  noe.  Tu  col  tuo  t.èlo 

a I * * • ' fc  • 

Mi  trabocca  «rei  tartara  e nr’-apculi.  ;* 

• • . ■ . . • » 

PQicbè- 1*001  per  norr posso  in  altra  guisa 
Questa  crudele*  e. dispera  la  vita. 

Da  questo  putrito  una  mestizia,  un  du 
Nacque. ne’ Teucra  e tale  anco  ne  l’armi 
Un  languore,  un  timore,  una  desidia, 
Cbe.gramt^addoloraij-e  di  già  vinti  * 

Sèm’brtfva^  tutti.  Onde  Attore  ed  Idèo, 

• „■  . ' > 

Con  qugl’di  lèi  log  lièti  do  11  piatilo  ^altrui 
Per  consiglio  del.  saggio  JliOnèo,  » 

L per  compassiop  deùb'uoqo  dòlo 
Cbe  «hollo^amuramento-ne  piangea. 
Tosto  a bracai  e prendendola,  ambedue 
J.a  poi-laro  a f albergo.  .Ed  ceco  inljulo' 

' fiài^os]  . 


[787-810]  unno  ix.  445 

Squillar  s’ode  da  lunge  un  suon  di  trombe. 
Un  dare  a l’arme  ed  un  gridar  di  genti 
Tal,  che  ne  tuona  e nc  ritnugghia  il  cielo. 

E veggonsì  in  un  tempo  i Volsci  tutti, 

Sotto  pavesi  consertati  e stretti 
In  guisa  di  testuggine,  appressarsi, . . 
Empier  le  fosse,  dirupare  il  vallo, 

E tentar  la  salita,  e por  le  scale 
Là  dove  la  muraglia  era  di  sopra 
Con  minor  guardia,  e là  ’vc  raro  il  cerchio 
Tralucea  de  la  gente.  Incontro  a loro 
I Teucri  i sassi,  i travi  ed  ogni  télo 
Miventaron  dal  muro;  e con  le  picche 
Risospingendo,  come  il  lungo  assedio 
Insegnò  lor'di  Troia,  a la  difesa 
Si  fermàr  de’ ripari;  e le  pareti 
E i pilastri  e le  torri  addosso  a loro 
E sopra  a la  testuggine  gittando, 

(ìli  scudi  dissiparono  e le  genti,  " 

Si  che  più  di  combattere  al  coverto 
Non  si  curaro.  Ma  d’  ogni  arme  un  nembo 
Lanciando  a la  scoperta,  i bastioni 
Offendean  de’ Troiani.  E d’  una  parte 
Mezenzio,  formidabile  a vedere, 

Caiio. — 29.  [503*521] 


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44G 


L’  ENEIDE. 


1811-834] 

Sen  già  con  un  gran  pina  acceso  in  inano 
Lo  steccato  infocando.  Iva  da  l’altro 
Il  Pier  Messàpo  di  Nettuno  il  figlio, 

Domator  de*  corsieri  ; e scisso  il  vallo, 

Scale,  scale,  gridava,  c per  lo  muro 
Rampicando  saliva/ Or  qui  m’è  d’  uopo, 
Calliope,  il  tuo  canto  a dir  le  pruove, 

A dir  l’occisìon  che  di  sua  mano 
Fece  Turno  in  quel  dì  ; chi,  quali  e quanti 
A l’Orco  ne  mandasse.  Ogni  successo 
Spiega  di  questa  guerra  in  queste  carte. 
Tutto  a voi,  Muse,  è conto;  e voi  la  possa 
E 1’  arte  avete  di  contarlo  altrui. 

Era  una  torco  di  sublime  altezza 
Con  bertesche  e.eon  ponti  un  sopra  l’altro, 
Loco  opportuno.  A questa  eran  d’ intorno 
Di  fuor  gl’italiani,  e dentro  i Teucri  ; 

E quei  facenti  per  espugnarla- ogni  opra, 

E questi  per  tenerla.  Avanti  a tutti 
Si  spinse  Turno;  ed  una  face  ardente 
Lanciovvi  da  1’  un  fianco,  ove  s’  apprese 
Con  molta  fiamma  ; così  fiero  il  vento, 

Cosi  secchi  e disposti  erano  i legni. 

Ardca  la  torre  da  quel  canto,  c dentro 
f 522-f  3S] 


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I 


[835-858]  libro  ix.  . 447 

Là  gente  per  timor  cercava  indarno 
Di  ritrarsi  dal  foco  : onde  a la  parte 
Da  I*  incendio  remota  in  un  sol  mucchio 
Si  ristrinsero  insieme;  e da  quel  peso 
Da  quel  lato  in  un  subito  la  torre  . * 

Quasi  spinta  inchinossi,  aprissi  c cadde. 

' Il  eie!  ne  rintonò  ; la  gente  infranta, 
Storpiata,  sfracellata,  infra  i suoi  legni 
Da  Tarmi  proprie  infissa,  e fin  ne  l’aura 
Morta  e sepolta  a terra  se  ne  venne. 

Soli  due  vivi  e per  ventura  .intatti 
Dal  nembo  de  la  polvere,  e dal  fumo 

. Uscir  nel  campo:  Elenorb  fu  l’uno, 

Lieo  fu  l’altro.  Elenorc,  un  garzone 
Di  prima  barba,  di  Licinia  serva 
E.di  Meonio  re  nato  di  furto,  . • 

E sotto  Troia  a militar  mandato 
Furtivamente.  E’ si  trovò  com’era 
Pria  ne  la  terra  lievemente  armato 
Col  brando  ignudo  e con  la  targa  al  collo 
Bianca  del  tutto,  come  non  dipinta 
D’ alcun  suo  fatto  glorioso  ancora. 

Questi,  vistosi  in  mezzo  a tante  genti 
Di  Turno  e de’  Latini,  come  fera 
[538-551] 


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448 


I.’  LIVE! DE. 


[859-8S2] 

Ch’aggio  di  cacciatori  un  cerchio  intorno, 
.Muove  conira  agli  spiedi,  inconlr’a  T armi; 
Mosse  là’vc  più  folle  cran  le  schiere, 

E certo  di  morire  a morte  corse. 

Ma  Lieo  in  su  le  gambe  assai  più  destro 
Infra  Tarmi  c i nemici  a fuggir  vólto, 
Giunse  a le  mura  ed  aggrappossi  in  guisa 
Clic  stendea  già  le  mani  a’ suoi  compagni. 
Quando  Turno  c co’  piedi  e con  la  spada 
Lo  sopraggiunse,  e come  vincitore 
Hampognando  gli  disse:  bche?  pensasti, 
Folle,  uscirmi  di  mano?  E le  man  tosto 

0 

Gli  pose  addosso,  e si  come  dal  muro 
Pendca,  col  muro  insieme  a len  a il  trasse. 
In  quella  guisa  che  gli  adunchi  ugnoni 
Contra  una  lepre,  o contro  un  bianco  cigno 
Stende  Taugel  di  Giove,  o’I  marzio  lupo 
Da  le  reti  rapisce  un  agnelletto, 

Clic  da  la  madre  sia  belato  invano. 

Si  rinovàr  le  grida,  e tutti  insieme 
0 le  faci  avventando,  o ’1  fosso  empiendo, 
Hinforzavan  T assalto.  Illonòo 
Con  un  pezzo  di  monte,  a cui  la  pinta 
Diè  giù  da' merli  sopra  al  ponte  infranse 
[551-569] 


I 


[883-906]  libro  ix.  449 

Lutezio  eli/  a la  porta  era  co!  foco. 

Ligero  occisc  Emozione;  Asila 
Uccise  Coriuèo,  buon  feritori 
L’uno  di  dardo  e l’altro  di  saette. 

Ortigio  da  Cenèo  trafitto  giacque; 

Cenèo  da  Turno  : ammazzò  Turno  ancora 
Iti  e Prèmuto  e Ctònio  e Diosippo, 

E Sògari  con  Ida:  Ida  che  in  alto 
Stava  d’un  torrione  a la  difesa. 

Capi  ancise  Priverno.  Avca  costui 
Pria  nel  fianco  una  picciola  ferita^ 

Anzi  una  graffiatura,  die  passando 
Pe  l’asta  di  Temitia:  e’1  male  accorto, 

Per  su  porvi  la  mano,  abbandonalo 
Avea  lo  scudo;  quando  ecco  volando 
Venne  una  freccia  clic  la  mano  e’1  fianco 
Insieme  gli  confisse;  e via  passando 
Penetrògli  al  polmone.  Il  mortai  colpo 
Si  lo  spirar  de  l’anima  gli  tolse, 

Che  non  mai  più  spirò.  Starasi  Arcente, 
D’Arcentc  il  figlio,  in  su’  ripari  ardito 
Egregiamente  armato,  e sopra  I’  arme 
D’una  purpurea  cotta  era  adobbato 
Di  ferrigno  color,  di  drappo  ibero  ; 
[070-582] 


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450  l’  eneide.  [907-93 

Un  giovine  leggiadro,  che  dal  padre 
Fu  nel  bosco  di  Marie  a Farmi  avvezzo 
Lungo  al  Simòto,  u’ Fara  di  Palico 
Tinta  non  come  pria  di  sangue  umano, 

Più  pingue  e più  placabile  si  mostra. 
Mezenzio  il  vide;  e F altre  armi  deposte, 
Prese  la  fromba,  e con  tre  giri  intorno 
Se  l’avvolse  a la  testa.  Indi  scoppiando 
Allentò ’l  piombo,  che  dal  moto  acceso 
Squagliossi,  e con  grafi  rombo  in  una  tempi 
Il  garzon  percotcudo,  ne  l’arena 
Morto  quanto  era  lungo  lo  distese. 

Ascanio  che  (in  qui  solo  a la  caccia 
Avea  F arco  adoprato,  or  primamente 
Opinilo  in  guerra,  e col  primiero  colpo 
Il  feroce  Numàno  a terra  stese. 

Remolo  era  costui  per  soprannome 
Chiumato;  e poco  avanti  avea  per  moglie 
Presa  di  Turno  una  minor  sorella. 

Ei  di  questo  favor,  di  questo  nuovo 
Suo  regno  insuperbito,  altero  e gonfio 
Stava  ne  F antiguardia,  e con  le  grida 
Si  ringrandiva:  e di  lontano  i Teucri 
Schernendo  in  colai  guisa  alto  dicea: 

, [683-597] 


[931-954]  libro  ìx.  45 ( 

Questo  è I’  onor  che  voi*, -Frigi,  vi  fate 
D*  un  altro  assedio  ? Un’  altra  volta  in  gabbia. 
Vi  riponete?  E pur  còl  vostro  muro, 

E coi  vostri  ripari  or  da  la  morte  ' 

Vi  riparate? -e  voi,  voi  fate  guerra 
Per  usurpare  a noi  le  donne  nostre? 

Qual  dio,  qual  infortunio,  qual  follia 
V’  ha  condotti  in  Italia?  E chi  pensaste 
Di  trovar  qui  ? Quei  profumati  Allùdi, 

0 *1  ben  parlante  Ulisso?  In  una  gente 

Avete  dato  che  da  stirpe  è dura..  , 

1 nostri  Agli  non  son  nati  a pena, 
Chesiiuffan  ne’ fiumi.  A Fonde,  al  gielo 
Noi  gl’ induriamo  e gl’incallimo  in  prima; 
Poscia  per  le  montagne  e per  le  selve 
Fanciulli  se  ne  van  la  notte  e’1  giorno.  - 

Il  lor  studio  è la  caccia;  e’I  lor  diletto 
È’I  cavalcare,  e ’I  trar  di  fromba  c d’ arco, 
ha  gioventù  ne  le  fatiche  avvezza,  • 

E contenta  del  poco,  o col  bidente 
Doma  la  terra,  o con  l'aratro  i buoi, 

0 col  ferro  i nemici..  Il  ferro  sempre 
Avemo  per  le  mani.  Una  sol’ asta 
Ne  fa  picca  e pungetto.  A noi  vecchiezza 
[598-610]  * , 


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fTY/ 

2 ' L ENEIDE.  [95Ó-078] 

Non  toglie  ardire,- e de  le  forze  ancora 
Non  ci  fa,  come  voi,  debili  e scemi; 

Per  canute  cito  sian  le  nostre  teste, 

Yeslon  celate,  e nuove  prede  ognora, 
Quando  da’  boschi  c quando  da’ nemici 
Addur  ne  giova,  e viver  di  rapina. 

Voi  con  1’  ostro  e co’  fregi  e co’  ricami, 

Con  le  eotte  a divisa  e con  le  giubbe  . . 
Immanìcate  e coi  fiocchetti  in  testa, 

A che  valete?  A gir  cosi  dipinti 
F cosi  neghittosi?  A far  balletti 
Da  donnicciuole.  0 Frigi,  o Frigiesse 
Più  tosto!  in  questa  guisa  si  guerreggia? 

Via  n'e’Dindimi  monti,  ove  la  piva 
Vi  chiama  eJl  tamburino  e ’l  zufoletto. 

F con  quei  vostri  galli,  anzi  galline 
Di  Bereeinto,  ite  saltando  in  tresca  ; 

E Carpii  e’i  ferro,  che  non  fan  per  voi, 
Lasciate  a quei  che  son  prodi  e guerrieri. 

Non  potò  tanto  orgoglio  e tanto  oltraggio 
Soffrir  d’un  folle  il  generoso  lulo, 

E teso  l’  arco  con  la  cocca  al  nervo, 
ltimirò  ’l  cielo  e disse:  Onnipotente 
Giove,  tu  l’ardir  mio*  tu  la  mia  mano 
, [610-625] 


LIDRO  IX. 


45 


[979-1002]  ' 

Fomenta  e reggi.  Ed  io  sacri  c sol  emù 

Ti  farò  doni  : io  coudurrotti  a 1’  arar 

» • 

Un  candido* giuvenco  che  la  fronte  ' 

Aggio  indorata,  c de  la  madre  al  pani 
Erga  la  testa,  e già  scherzi  e già  cozzi 
Con  de  corna,  e co’  piè  sparga  l’arena. 
Giove,  mentre  diceaf,  tonò  dal  manco 

Sereno  luto:  e col  suo  tuono  insieme 

* # 

Scoccò  l’arco  mortifero  d’ Itilo.  „ 
Volò  1’  orribil  tèlo,  e per  le  tempie 
Di  Remolo  passando,  le  trafisse. 

Or  va’,  t’ insuperbisci  ; or  va’,  deridi, 
Scempio,  V altrui  virtù.  Queste  risposte 
Mandano  i Frigi  che  son  chiusi  in  gabbia 
Ai  Rullili  signor  de  la  campagna 
Questo  sol  disse  Ascanìo;  ed  al  suo  colpo 
Le  grida  i Teucri  e gli  animi  in  un  tempo 
Al  cielo  alzaro.  Era  il  crinito  Apollo, 
Quando  ciò  fu,  ne  la  celeste  piaggia 
Sovra  una  nube  assiso;  e d’alto  il  campo 
Scorgendo  de’  Troiani  e degli  Auspni, 
Come  vede,  ogni  cosa,  visto  il  colpo 
Del  vincitore  arciero,  in  vèr  lui  disse: 

Ahi  buon  fanciullo,  in  cui  virtù  s’avanza! 
[625-641] 


454  l’ eneide.  [1003-ÌCF2( 

Così  vassi  a le  stelle.  Or  ben  tu  mostri 
Che  dagli  dii  sei  nato,  e oh’.allri  dii 
Nasceranno  da  te.  Tu  sei  ben  degno 
Ch’ogni  guerra,  chc’l  fato  ancor  minacci: 
A la-casa  d’Assàraco,  s’  acqueti 
Per  tua  grandezza,  a cui  Troia  6 minore, 

Sì  che  già  non  ti  cape.  E,  cosi  detto, 

Si  fendè  l’aura  avanti  e vèr  la  terra 
Calossi,  tfasmùlossi,  e come  fusse 
Il  vecchio  Bute  al  giovine  accostossi. 

Fu  Rute  in  prima  del  dardanio  Anchise 
Valletto  d’arnie  e cameriero  e paggio, 

E poscia  per  custode  e per  compagno 
L’ebbe  Ascnnio  dal  padre.  A questo  vecchi 
Mostrossi  Apollo  di  color,  di  voce, 

D’andar,  di  canutezza  e d’armatura 
Simile  in  tutto;  ed  a l’ardente  lulo 
Fatto  vicino,  in  tal  guisa  gli  disso: 

Bastiti  aver,  d’Enea  preclaro  figlio,  . 
Senza  alcun  rischio  tuo  Numàno  ucciso. 

Di  questa  prima  lode  il  grande  Apollo 
Ti  privilegia,  e non  t’ invidia  il  colpo, 

Nè  1 paraggip  de  l’arco.  Or  da  la  pugna 

R i I nrrr»  • • V?  \ .1  _ » . i ì - • . 


Rilraggili.  E,  ciò  detto,  da  la  vista 
[641-G5G] 


[f027-40?0]  libro  1 *.  455 

Da'  circostanti  si  ritrasse  anch’egli, 

E sormontando  dissipossi  c sparve. 
Rassembrarono  in  Bute  i Teucri  Apollo 
E riconobbe!*  la  faretra  e l’arco, 

Che  fuggendò  sonar  anco  s’ udirò. 

E fèr  sì  oon  le  preci  e col  precetto 
D’un  tanto  iddio, ch’Ascanio,  ancor  che.  vago 
Fosse  di  pugna,  se  ne  tolse  alfine; 

Ed  essi  apertamente  a ripentaglio 
Miscnj  in  vece  sua  le  vite  Toro. 

Spargesi  un  grido  per  le  mura  intanto, 
Per  tutte  le  difese;  e tutti  agli  archi, 

Tutti  a tirar,  tutti  a lanciar  si  diero 
D’ogni  sorte  arme,  c d’ogni  parte  il  suolo 
N’era  coverto  ; quando  altro  conflitto 
Cominciossi.di  scudi  e di  celate; 

Una  mischia  di  picche,  una  battaglia 

« 

Che  creseea  luttavoltn,  rinforzando 
Con  quella  furia  che  di  pioggia  un  nembo 
Vien  da  l’ occaso,  allor  che  d’oriente 
Fan  sorgendo  i Capretti  a noi  tempesta; 

0 quando  orrido  e torbo  e d’austri  cinto 
E’n  grandine  converso  irato.Giove, 

D’alto  precipitando,  si  devolve 
[657-674] 


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45G  l’  e.mude.  [ 105 1-10^ 

Sopra  la  terra,  e ’l  ciel  rompendo  i nino i 

Pàndaro  e Bizia  d'Aleanòro  Ideo, 

E d’ lera  selvatica  sua  moglie 

Figli,  in  Ida 'acquistali,  e d’ Ida  usciti 

L’  uno  a l’altro  simile,  ed  umbidue 

A ipicgli  abeti  cd  a quei  monti  uguali 

Ond’  eran  nati,  uvean  dal  teucro  duce 

Una  porta  in  custodia.  C confidati 

Ne  le  forze  e ne  Farmi;  a bello  studio 

La  lasciarono  aperta,  cd  a’  nemici 

Fèr  da  le  mura  marziale  invilo: 

Essi  armati  di  ferro,  un  da  la  destra, 

1/ altro  da  la  sinistra,  a due  pilastri 
« 

Sembianti,  anzi  a due  torri  clic  nel  mezzi 
Tengali  la  porta,  con  le  teste  in  alto 
E co’  raggi  degli  elmi  i campi  intorno 
Folgorando,  squassavano  i cimieri 
Fin  sovr’ a’ merli.  In  cotal  guisa  nate 
Ne  le  ripe  si  veggon  di  Liquczio, 

De  l’ Adice,  o del  Po  due  querce  altiere 
Sorgere  al  cielo  e sventolarsi  a l’  aura. 

Visto  l’adito  aperto,  incontinente 
Ni  si  spinsero  i Unitili.  E Querccnte 
Eil  Equicoh)  i primi  armati  c lieri, 
[671-G84] 


[1075-1098]  libro  ìx.  Abl 

L’  ardilo  Ornavo  c ’l  bellicoso  Gmone 
Tutti  co’  lor  compagni  impeto  févo; 

E tutti  o fuv  da’  Teucri  in  fuga  vólti, 

0 ne  T entrar  di  quella  porta  alleisi.  - 
Giunto  agli  animi  infesti  ii  sangue  sparso, 
S’ accrebbe!'  l’ire;  e de* Troiani  intanto 
Tale  un  numero  altronde  vi  concorse, 

Che  prender  zuffa  e tener  campo  osavo. 

Turno  sfogava  ii  suo  furore  altrove' 
Conti-’  a’  nemici  ; quando  un  messo  avanti 
Gli  comparve  dicendo,  che  di  Troia 
Erano  usciti,  c stavau  con  le  porte, 

Quanto  eran  larghe,  a far  strage  e macello 
De  le  sue  genti.  Ei  tostò  da  quel  canto 
Lasciò  1’  impresa  ; e contro  i due  fratelli 
A la  dardania  porta  irato  accorse. 

E primamente  Antifate,  che  primo  •' 

Gli  venne  avanti,  un  gioviue  bastardo 
Di  Sarpedonle,  e di  tebana  madre, 

Con  un  colpo  di  dardo  a terra  stese. 

Col  pillo  ne  lo  stomaco,  e passòlli 
Oltre  al  polmone,  onde  di  caldo  sangue, 
Quasi  d’un  antro,  dilagossi  un  fonte. 
Mèropc,  Albino  ed  Erimanlo  appresso 
[òbó-702] 


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458  l’  f.ineide.  [1099- i 1 

Uccise  con  la  spada,  un  dopo  l’altro 
Come  a caso  incontragli.  Atterrò  Bizia 
Dopo  costoro,  nia  non  gin  col  dardo, 
li  mcn  col  brando;  ch’altro  colpo  er’  uof 
A ti  gran  corpo.  A costui,  mentre  infurii 
Mentre  stizza  per  gli  occhi  avventa  e foc 
Infocato,  impiombato  c grave  un  tèlo 
Scaricò  di  falarica,  che  in  guisa 
Di  fulmine  stridendo  e perèotendo, 

Lo  giunse  sì  che  nè  Io  scudo  avvolto 
Di  due  bovine  terga,  nè  la  fida 
Lorica  di  due  squame  e d’  òr  contesta 
Non  lo  Sostenne.  Barcollando  cadde 
La  smisurata  mole,  e tal  diè  crollo 
Che’!  terrcn  se  ne  scosse,  e’I  gran  suo  se» 
Gli  tonò  sopra.  In  tal  guisa  di  Buia 
Su  l’euboica  riva  il  grave  sasso, 

Ch’è  sopra  Tonde  a fermar  Topre  eretti 
Da  l’alto  ordigno  ov’ era  dianzi  appreso 
Si  spicca  e piomba,  e fin  ne  T imo  fondo 
Ruinando  si  tuffa,  e frange  il  mare, 
h disperge  1’  arena:  onde  ne  trema 
Procida  ed  Ischia,  e’I  gran  Tifèo  se  n’ar 
Cui  si  duro  covile  ha  Giove  imposto. 
[702-716] 


I 


[1123-11-46]  libro  • ix.  459 

Qui  Marte  il  suo  potere  e ’l  suo  favore 
Volse  verso  i Latini.  Animi  e forze 
Aggiunse  loro,  gl’ incitò,  gli  accese; 

E di  téma  c di  fuga  c di  scompiglio 
Diè  cagione  a’ Troiani.  E già  eli’ a pugna 
S’  era  venuto,  e de  la  pugna  il  nume 
Era  con  loro  ; accolti  d’ogni  parte 
Si  ristringono  i Rullili,  e fan  testa. 

Pandoro,  poi  che'l  suo  fratello  estinto 
Si  vide  avanti,  e la  fortuna  avversa, 

A la  porta  con  gli  omeri  appuntossi: 

E si  com’era  poderoso  e grande,- 
Con  molta  forza  la  rispinse  e cliiusc, 

Molti  esclusi  de’ suoi,  che  per  la  fretta 
Rimascr  ne  le  peste,  e molti  inclusi 
Ch’eran  nimici;  c non  s’ avvide  il  folle, 

Che  de’  nemici  in  quella  calca, ancora 
Era  lo  stesso  re  da  lui  raccolto 
A far  de’ suoi  qual  tra  le  greggi  imbelli 
Ircana  tigre  immane.  Ei  non  più  tosto 
Fu  dentro,  che  raggiò  dagli  occhi  un  lume 
Spaventevole  e fiero  ; e 1’  armi  sue 
Fieramente  sonaro.  Il  suo  cimiero 
Ne  l’aura  ondeggiò  sangue,  e dal  suo  scudo 
[717-733] 


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400  I.’ EJCEIDE.  [1147-111 

Uscir  folgori  c lampi.  Incoili inente 
La  sua  faccia  odiala  c ’l  suo  gran  fusto 
Raffigurando,  i Teucri  si  turbaro. 
Pàndaro  allor  de  la  fraterna  morte 
Fervidamente  irato,  avanti  a tutti 
(ìli  si  fe  ’nconlro  e disse:  E’ non  è,  Turno 
Questa  la  reggia  clic  F assegna  in  dote 
La  tua  regina  ; c non  bui  d’ A i dea  intorno 
Le  patrie  mura.  Ne  le  forze  entrato 
Sei  de’ nemici  onde  scampar  non  puoi. 

Or  via,  Turno  ghignando  gli  rispose 
Placidamente,  via,  se  tanto  ardisci, 

Meco  ti  prova;  chè  ben  tostamente 
A Priamo  dirai  eli’  in  questa  Troia, 

Come  ancor  ne  la  sua,  trovassi  Achille. 
Ciò  detto,  gli  avventò  Pàndaro  un  dardo 
Di  tutta  forza  nodoroso  e grave, 

E di  ruvida  ancor  corteccia  involto. 
L’aura  lo  prese,  e" la  Saturnia  (ìiuno 
Deviò ’l  colpo  sì  che  da  la  mira 
Si  torse  e ne  la  porta  si  coulisse. 

Non  sì  cadrà  questu  mia  spada  in  fallo 
Disse  allor  Turno;  tale  è chi  la  vibra, 

L tal  fa  colpo.  Ed  a ferire  alzato 
[733-749] 


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[1171.1194]  usao  „ 
investì  ne  la  fronte,  e gli  di,ise 
■ e ‘emP“» le  mascclle  e 'I  me„l0  ; , 

Ancor  Ut  barba,  infi"  14  ^ s,  ^8 

" collo  al  petto.  Al  6U0„  ,|e  |a  pcrcossa 
AUracasso  de  l’armi,  „ la  rui„Pa  Ma’ 
Che  fér  cadendo  quelle  membra  immani 
Tremò  la  terra  e ne  fu  U’  atro  sangue  " * 

Cerve,la  osPersa.  Egli  morendo 
nacque  roveseio,  e decidui  la  testa  ■ 

’ 6 “ °n’e,  ° « porte  al  manco 

Al  cader  dt  costui  tal  prese  I Teucri  ' 

Tema  e spavento,  die  dispersi  in  fuga 

Sèn  giro.  E s’era  il  vincitore  accorto 
;l|mr  la  ',or,“  e -li  por  dentro  I suoi 

Hra  stato  quclgio, .n0e  de  la  guerra  ’ 

E ^ Troiani  i,„ne.Ma|a  fur.eaer™ 

- l ardor  d.  combattere  c |-  insana 
Ingordigia  ,1,  sangue  ne'l  distolse. 

Onde  seguendo,  in  Palaci  cd  i„  Gige 

q “b',a"è  l,rìma-  A P uno  il  petto  aperse  • 
Sgherret.6  Taltro.  A quei  eli  crandbasfuga 
Con  P aste  di  color  cip  erari  caduti,  ° 
eria  le  terga  ; e nuova  uccisione 

CI.  ponea  tuttavia  n„„,-„rmi  in  mano,  - 

Caro.—  30.  [750-7G4] 


461 


t 


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402  l’ ENEIDE.  [1195-12 

Si  come  ancor  Giunon  nuovo  ardimento 
(ìli  dava  e nuove  forze.  Ali  Ira  questi 
.Mandò  per  terra,  c Fègea  confisse 
Con  lo  suo  scudo.  Qccise  in  su  le  mura, 
Mentre  a’  nemici  eran  di  fuori  intenti, 
Alio  ed  Meandro  e Pi  llane  e Nomonc. 

A Linceo,  eh’  osò  di  starli  a fronte 
E chiamare  i compagni,  con  un  colpo, 
Clic  di  rovescio  con  gran  forza  diedi, 
il  capo,  e P avventò  con  1’  elmo 
dal  busto.  Dopo  questi  ancisc 
Amico,  un  cacciatoi’  eh*  era  in  campagna 
distruttor  di  fere,  e gran  maestro 
’ armar  di  tosco  le  saette  c’1  ferro  : 

E Clizio  ancisc  d’ Eolo  il  buon  tiglio, 
Crc.tèo  de  le  Muse  il  caro  amico 
M diletto  compagno,  che  di  versi 
E di  cetre  c di  numeri  e di  corde 
ra  sol  vago,  c di  cantar  inai  sempre 
O d’armi  o di  cavalli  o di  battaglie. 

I condottici*  de’ Teucri  udita  alfine 
De’  suoi  la  struge,  insieme  s’adunaro, 

e Scresto.  E visti  i lor  compagni 
Dispersi,  e già’l  nemico  in  salvo  addursi 
[7G4-7S0] 


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463 


[1219-4242]  libro  ix. 

Gridando,  Oli,  disse  Memmo,  ove  fuggite  ? 
Ove  n’ andate?  e qual  ridotto  avete 
0 di  mura  o di-sito  altro  che  questo  ? 

• Dunque  un  sol  uomo,  e d’ ogni  parte  chiuso 
In  poler  vostro,  avrà,  miei  cittadini, 

Senza  alcun  danno  suo  fatto  di  noi 
Ne  la  nostra  città  sì  gran  macello  ? 

Tanti  de’ nostri  giovini  sotterra 
Avrà  mandati.?  E noi,  noi  non  avremo 
(Si  codardi  saremo)  o de  la  nostra 
Infortunata  patria,  o degli  antichi 
Nostri  Penati,  o del  gran  nostro  Enea 
Nè  pietà,  nè  rispetto,  nò  vergogna-? 

Da  questo  dire  accesi  e rincorali 
Si  ristrinsero  insieme.  E Turno  intanto 
Da  la  pugna  allentando  in  vèr  la  parte 
Che  dal  fiume  era  cinta,  a poco  a poco 
Appressossi  a la  riva:  onde  i Troiani 
' Con  impeto  maggior,  con  maggior  grida 
Gli  furon  sopra.  E qual  fiero  leone 
Che  da  la  moltitudine  e da  1’  armi 
Si  vede  oppresso,  tra  fierezza  e téma 
Torvamente  mirando,  si  ritira; 

Chè  nè ’l  valor,  nò  l’ira  gli  consente 
[781-791] 


464  l’ enei  de.  [1243-126 

Volgere  il  tergo,  nè  de’  cacciatori, 

Nè  di  spiedi  spuntar  puotc  il  rincontro  ; 
Cosi  Turno  dubbioso  o di  ritrarsi 
0 di  spingersi  avanti,  irato  e lento, 
Guardingo  e minaccioso  se  n’andava: 

E due  volte  avventandosi  nel  mezzo 
Si  cacciò  de’ nemici;  ed  altrettante 
(ìli  ruppe  c salvo  indietro  si  ritrasse. 

* 

Alfine  in  un  drappello  insieme  accolte 
Le  teucre  genti  incontro  gli  si  fóro, 

E di  Saturno  non  osò  la  figlia 
Di  più  forza  prestarli;  chè  dal  cielo 
Giove  a la  sua  sorella  avea  mandato 
Iri  a farne  richiamo,  e minacciarle, 

Se  Turno  immantinente  da  le  mura 
Non  uscia  de’ Troiani.  Or  non  potendo 
Più  ’l  giovine  supplire  o con  la  destra, 
CI»’  era  a ferir  già  stanca,  o con  lo  scudo 
Che  di  dardi  e di  frecce  era  coverto; 
L’elmo  già  spennacchiato,  e l’armi  tutte 
Smagliate  e fesse,  cornili  nembo  addosso 
Di  sassi  per  le  tempie  e d’  aste  a’ fianchi 
Già  da  iMemmo  incalzato,  alfin  cedette. 

E come  di  sudor  colava,  ansava, 
[795-813] 


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• V.. 


v6(i 


DELL’  ENEIDE 


Libro  Decimo. 


Aprissi  la  magion  celeste  intanto, 

E del  cielo  il  gran  padre  in  cima  ascese 
Del  suo  cerchio  stellato.  Indi  mirando 
La  terra,  e de' Troiani  e de’ Latini 
Visto  il  conflitto,  a sè  degli  altri  Dei 
Chiamò  ’l  consiglio.  E com’era  da  l’orto 
E da  l’occaso  la  sua  reggia  aperta, 

Hallo  tutti  adunati,  assisi  c cheti, 

Disse  egli  in  prima:  Cittadini  eterni, 

Qual  v’  ha  cagione  a distornar  rivolti 
Quel  eh’ è già  stabilito?  A che  tra  voi 
Con  tanta  iniquità  tanto  contrasto? 

Non  s’è  da  me  già  proibito  e fermo 
Che  nondeggian  gli  Ausoni  incontro  a’Teuc 
Sorgere  a l’armi?  Che  discordia  è questa 
Contro  al  divieto  mio?  Qual  ha  timore 
A la  guerra  incitali  o questi  o quelli? 
tempo  vi  si  darà  ben  «legno  allora 
[t-11] 


[19-42]  unno  x.  467 

Di  guerreggiar  (non T affrettate  or  voi) 

Che  la  fera  Cartago  aprirà  l’ alpi. 

Grave  a Roma  portando  essizio  e strage. 
Allora  agli  odii,  al  sangue,  a le  rapine 
Larga  vi  si  darà  licenzia  c campo.* 

Or  lietamente  la  tenzone  e l’armi 
Fermate;  e sia  tra  voi  concordia  e pace. 

Tal  feee  ragionando  il  gran  monarca 
Breve  proposta.  Ma  non  brevemente 
* Venere  in  questa  guisa  gli  rispose: 

Padre  e re  de’ celesti,  e de’  mortali 
Eterna  possa  (e  qual  altra  maggiore 
S’implora  altronde?),  ecco  tu  stesso  vedi 
L’arroganza  de’  Rutuli,  e quel  fasto 
Con  che  Turno  cavalca  ; e vedi  il  vampo 
E la. mina  che  si  mena  uvanli, 

Da  la  sua  tracotanza  c dal  successo 
Di  questa  pugna  insuperbito  e gonfio. 

Vedi  i Teucri  infelici,  eli’ ancor  chiusi 
Non  son  secuin;  e’nfin  dentro  a le  porte 
E ’n  su’  ripari  e ’n  su  le  lor  difese- 
Son  combattuti!  e la  lor  propria  fossa 
È di  lor  sangue  un  lago.  Di  ciò  nulla 
Il  mio  figlio  non  so;  tanto  n’è  lungo. 

[H-2ÓJ 


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468  L*  ENEIDE.  • [43- 

Or  non  fia  di’ una  volta  esca  d’assedio 
Questa  misera  gente?  Ecco  lian  le  mura 
De  l’altra  Troia  altri  nimici  a torno  ; 
Altro  essercito  in  canapo;  un’altra  volta 
D’Arpi  vien  Diomede  a’ danni  suoi. 

Pesta  crcd’  io  eh’  un’  altra  volta  ancora 
Io  sia  da  lui  ferita,  e che  di  nuovo. 

Sia  la  tua  figlia  a mortai  ferro  esposta. 
Signor,  se  conira  la  tua  voglia  i Teucri 
Son  venuti  in  Italia,  è ben  ragione 
Che  sian  puniti,  e del  tuo  aiuto  indegni: 
Ma  se  tratti  vi  sono,  e s’è  ìor  dato 
Dagli  oracoli  tutti  c de’ celesti 
E degl’  inferni,  qual  può  senno  o forza 
A Giove  opporsi,  c far  nuovo  destino? 
Ch’io  non  vo’  dir  de  le  combuste  navi 
Su  la  spiaggia  Ericina,  nè  de’ venti 
Clic’l  re  spinse  d’  Eolia  a tempestarlo, 
ISc  d’Iri  che  di  qui  fu  già  mandata 
Per  darle  al  foco.  Infin  da  l’Acherontc 
Tratte  ha  le  furie  (questa  sol  mancava 
Parte  de  l’universo  non  tentata 
A loro  offesa);  d’Acheronte,  dico, 

Ila  tratto  Afelio  q.  suscitar  l’Italia 
, . * [25-41] 


».  - 


■è* 


[67-90]  libro  x.  469 

Incontr’a  loro.. Or,  signor  mio,  non  curo 
Piò  d’  altro  imperio.  Io  lo  sperava  allora 
Ch’era  più  fortunata.  Imperi  e vinca 
Or  chi  t’aggrada.  E s’  anco  non  è loco 
Nel  mondo,  ove  à la  tuo  dura  consorte 
Piaccia  che  sian  quesl’infelict  accolti, 

Per  l’ incendio,  signor,  per  la  ruina, 

E per  la  solitudine  ti  jirego 
De  la  mia  Troia,  che  ritrar  mi  lasci 
Salvo  da  questa  guerra  Ascanio  almeno. 
Lasciami,  padre  mio,  questo  nipote 
Mantener  vivo  ; e se  ne  vada  Enea 
Ramingo  ovunque  il  mare  o la  fortuna 
Lo  si  tramandi,  lo  lo  terrò  da  l’armi 
Remoto  ne’  miei  lochi  o d’Amatunta 
0 d’ Idàlio  o di  Pafo  o di  Citèra 
A menar  vita  ignobile  e privata, 

Pur  che  sicura.  E tu,  come  a le  piace, 
Comanda  eh’  a l’Ausonia  il  gio^o  imposto 
Sin  da  Cartago,  si  che  piò  non  l’ osti 
In  alcun  tempo.  Or  che,  padre,  ne  giova 
Che  da  l’ Uccisioni  e dagl’  incendi 
De  la  lor  patria  e da  tant’ altri  rischi 
Sian  già  del  mare  e de  la  terra  usciti  ? 
[iI-56] 


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470  l’  ENEIDE.  [Dl- 

E clic  vai  clic  ila  tc  sia  lor  promessa, 

Da  lor  lauto  ricerca,  e già  trovala 

Questa  Troia  novella,  se  di  nuovo 

Convien  clic  caggia  ? Assai  meglio  sare! 

Che  fosscr  tra  le  ceneri  e nel  guasto, 

Dove  fu  1’  altra.  A Xanto,  a Simoenta 

Fa’, ti  prego,  signor,  che  si  radduca 

Questa  gente  infelice,  e che  ritorni 

A passar  d’ilio  i guai.  Giunone  odora 

Infuriata,  A che,  disse,  mi  tenti, 

Perch’io  rompa  il  silenzio,  e mostri  il  d 

C’  ho  portato  nel  cor  gran  tempo  osco: 

Qual  è mai  per  tua  fè  stalo  uomo  o dio 
• • 

di’ Enea  sforzasse  a cercar  briga,  e far 
Nemico  il  re  Latino?  Oh ’l  fato  addotto 
1/  ha  ne  l’Italia  ! Sì,  ma  da  le  furie 
C’  è spinto  di  Cassandra.  E chi  gli  ha  d 
Consiglio?  io  forse,  ch’abbandoni  i suo 
lo,  che  din  la  sua  vita  in  preda  a’ venti 
lo,  che  la  cura  e’I  carco  de  la  guerra 
Lasci  in  man  d’ un  fanciullo?  c che  soli 
I popoli  d’  Etruria,  c I’  altre  genti 
(.he  si  stavano  in  pace?  E quale  dio, 
Qual  mia  durezza  de’  lor  danni  è rea  ? 

' [57-73] 


[H5-138]  libro  x.  471 

Qui  che  rileva  o di  Giuuo  lo  sdegno, 

0 d’ Iri  il  ministero  ? Indegna  cosa  * . 
K certo  che  dagl’  Itali  s’ infesti  , 

Questa  Ina  nuova  Troia;  e degno  e giusto 
Sarà  che  Turno  non  si  stia  sicuro 
Ne  la  sua  patria  terra  ? uu  tal  nipote  - 
Di  Pilunno  eh’ è divo,  un  tonto  figlio 
Di  Venilia  eh’  è ninfa  ? E degna  cosa 
Ti  par  che  muova  Enea  la  guerra  a Lazio? 
Ch’assalga,  che  soggioghi,  che  deprede 
Le  terre  altrui  ? che  1’  altrui  donne  usurpi  ? 
Cli’  in  man  porti  la  pace,  e che  per  mare 
E per  terra  armi?  Tu  potrai  tuo  figlio 
• Scampar  dò’ Greci;  tu  riporre  in  vece 
Di  lui  la  nebbia  e ’l  vento;  tu  la  forma 
Cangiar  de  le  sue  navi  in  altrettante 
Ninfe  di  mare  ; ed  io  cosa  nefanda 
Farò,  se  porgo  a’Rutuli  un  aiuto, 

Per  minimo  uhc  sia?  Non  v’è  tuo  figlio 
Presente;  non  vi  sia:  non  sa  ; non  sappia. 
Sei  regina  di  Pafo,  d’Amutunta, 

Di  Citèra  é d’ Idólio:  e che  vai  dunque 
Provocando  con  l’ armi  una  contrada 
Non  tua,  pregna  di  guerre?  e stuzzicando 
[73-87] 


s. 


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472  l’ eneide.  [139-162 

Si  bellicosa  gente?  Ed  io  son  quella, 
lo,  clic  1’  afllittc  lor  fortune  agogno 
Di  porre  al  fondo?  0 perchè  non  più  tosto 
Chi  de’ Greci  a le  man  gli  pose  in  prima? 
Chi  prima  fu  cagion  eh’ a guerra  addusse 
L’  Europa  e l’Asia?  chi  commise  il  furto 
Che  fu  de  la  rottura  il  primo  seme? 

Io  condussi  l’adultero  pastore 
A l’ impresa  di  Sparta  ? Io  fui  eh’  a l’ armi, 

10  ch’a  l’amor  l’accesi?  Allora  il  tempo 
Fu  d’aver  téma  e gelosia  de’ tuoi, 

Non  or  che  le  querele  e le  rampogne 
Che  ne  fai,  sono  ingiuste  c tarde  c vane. 

Così  Giuno  diccu;  quando  fremendo 
Gli  Dei  tutti  mostrar,  che  chi  con  questa 
Consentian,  chi  con  quella.  In  guisa  tale 
S’odono  i primi  venti  entro  una  selva 
Mormorar  lunge,  e non  veduti  ancora 
Porgere  a’ marinari  indicio  e téma 
Di  propinqua  tempesta.  Allor  del  cielo 

11  sommo,  eterno,  onnipotente  padre 
Riprese  a dire.  Al  suo  parlar  chetossi 
ha  celeste  magioh;  chetarsi  i venti, 
h l’aria  e 1’  onde  j e sola  infino  al  centro 

[87-103] 


[163-186]  libro  x.  473 

Tremò  la  terra.  Ei  disse:  Or  che  gli  Ausoni 
Confederar  co’ Teucri  ne  si  toglie, 

E voi  tra  voi  non  v’accordate,  udite 
Quel  ch’io  vi  dico,  e i miei  detti  avvertite. 

Quella  stessa  fortuna  e quella  speme, 
Qual  eh’ ella  sia,  ch’i  (Intuii  o i Troiani 
Oggi  da  lor  faransi,  io  vi  prometto 
Aver  per  rata,  e non  punto  inchinarmi 
Più  da  quei  che  da  questi  : e sia  l’ assedio 
De’  Teucri  o per  destino,  o per  errore, 

0 per  false  risposte.  E ciò  dico  anco 
De.VRutuli.  Il  successo  e buono  c rio  • • 

Eia  d’una  parte  e d’altra  qual  ciascuna 
Per  sé  lo  s’ordirà.  Giove  con  ambi 
Si  starà  parimente,  e’  1 fato  in  mezzo. 

Cosi  detto,  il  torrente  e la  vorago  v 
E la  squallida  ripa  e l’ atra  pece  . 
D’Acheronte  giurando,  abbassò ’l  ciglio, 

E tremar  fe  eoi  cenno  il  mondo  tutto. 

Finito  il  ragionar,  suso  levossi 

Del  seggio  d’oro  ; e gli  fèr  tutti  intorno 

Corona  e compagnia  fino  a l’albergo.* 

L’  ©esercito  de’  Rùtuli  stringendo 
L*  assedio  intanto,  fn  su  le  porte  c ’ntornu 
• [103-119] 


474 


L ENEIDE. 


[187- 

Facea  de  la  muraglia  incrudii  c stragi; 

E i Teucri  assediati,  entro  ai  ripari 

E sopra  ai  torrioni  a la  difesa 

Stavan,  miseri!  indarno;  e senza  sperm 

Di  fuga  un  raro  cerchio  avean  disteso 

Su  per  le  mura.  Era  de’ primi  laso 

I)’  Imbràsio  il  nglia,e’I  figlio  d’Icctóm 

Detto  Timète,  e '1  buon  Castore  insiemi 
« 

Col  vecchio  Tebro,  ed  ambi  dopo  questi 
Di  Sarpedontc  i frati:  e Chiaro,  ed  Emc 
Onor  di  Licia,  e di  Lirncsso  Aminone. 
Questi  con  un  gran  sasso  era  venuto 
Su  la  muraglia,  che ’l  maggior  catello 
Era  d’ un  monte;  ed  egli  era  non  punti 
.Minor  del  padre  Clizie  e di  Mcncslo 
Suo  famoso  fratello.  Altri  con  sassi, 
Altri  con  dardi,  echi  con  le  saette, 

E chi  col  foco  a guardia  erun  del  muro. 

In  mezzo  de  le  schiere  il  vago  lido, 
Gran  nipote  di  Dardano  e gran  cura 
De  la  bella  Ciprigna,  il  volto  e ’l  capo 
Ignudo,  risplendea  qual  chiara  gemma 
Che  in  òr  legata  altrui  raggi  dal  petto 
O da  la  fronte  ; o qual  da  dotta  mano 
[Hy-435] 


47 


[211*234]  i.tono  x. 

In  ebano  commesso,  o in  terebinto 
Candido  avorio  agii  occhi  s’ appresenta. 
Sovra  al  collo  di  latte  il  biondo -crine 
Avea  disteso,  e d’  oro  un  lento  nastro 
Gli  facea  sotto  e fregio  insieme  e nodo. 

ìsmaro,  e tu  fra  sì  fumosa  gente  * 

Con  P arco  saettar  ferite  e tosco 

Fosti  veduto,  generosa  pianta 

Del  Meonio  paese,  ove  fecondi 

Sono  i campi  di  biade,  e i (lumi  d’oro. 

Memmo  v’era  ancor  egli,  a cui  la  fuga 
Dianzi  di  Turno  avea  gloria  acquistata, 
Ond’era  fino  al  ciel  sublime  e chiaro. 
Eravi  Capi,  onde  poi  Capua  il  nome 
E P origine  ha  presa.  Avean  costoro 
Tra  lor  diviso  il  carico  e’1  periglio 
Di  si  dura  battaglia.  E ’n  questo  mentre 
Solcava  Enea  di  mezza  notte  il  mare. 

Egli,  poi  che  d’ Evandro  ebbe  lasciato 
L’umico  albergo  e che  nel  campo  giuuse 
De’  Toschi,  al  tosco  rege  appresentossi. 

E con  lui  ristringendosi,  il  suo  nome, 

11  suo  legnaggio,  la  sua  patria,  in  somma 
Chi  fosse,  che  chiedesse,  che  portasse, 
[136-150] 


*76  L' ENEIDE.  [235-258] 

Uli  espose;  e qual  iMezen/io  appoggio  avesse, 


E P orgoglio  di  Turno,  e P apparecchio 
E P incostanza  de  P umane  cose 
(ìli  pose  avanti.  A le  ragioni  aggiunse 
Essempi  e preci  sì,  eh’ immantinente 
Turconte  acconsentì.  Strinser  la  lega, 
Unir  le  forze  ed  .apprestar  le  genti 
In  un  momento.  Di  straniero  duce 
Provvisti  i Lidi,  e già  dal  fato  sciolti 
Salir  sovra  l’armata.  E. pria  di  tutti 
Uscio  d’  Enea  la  capitana  avanti. 

' Questa  uvea  sotto  al  suo  rostro  dipinti, 
Quai  sotto  ul  carro  de  la  madre  Idea, 

Due  che’l  legno  traean  frigii  leoni, 

E d’ Ida  gli  pende»  di  sopra  il  monte, 
Amaro  suo  disio,  dolce  ricordo 
Del  patrio  nido.  In  su  la  poppa  assiso 
Stava  il  duce  troiano;  e da  sinistra 
Avea  d’ Evandro  il  figlio,  che  tra  via 
L’ interrogava  or  del  viaggio  stesso 
L de  le  stelle,  ed  or  degli  altri  suoi 
O per  terra  o per  mar  passati  allunili. 

Apritemi  Elicona,  alme  sorelle, 

E cantate  con  me  che  gente  e quanta 
[150-164] 


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[259--282J  ubro'Xv  477 

D’ Et  rari  a.  Enea  seguisse,  e di  che  parte, 

E con  quaF-arini,  e come  ij  mar.sQlcassc. 

Màssico  il  pVinfto  in  su  la  Tifare  imposto 
Avea'di  mille  gioVini  un  drappello-,  < - . 
Che  di  Chiusi  e.di  Cosa  orati -Verniti 
Con  Pasco  in  liiano  e con  saette  a’ fianchi.’ 
Appresso  a 4uj,  seguendo,  il  torvo  Abantc 
Sotto  Pufségna'dÈl  doralo  Apollo  . 
Seicento  li’  imbarcò  di  Poputoi#ia, 

Trecento  d’Elba,  in  cui  ferriguar-vena. 
Abbonda  si, «he  n’-erano  ancor  essi 
Dal  capo  ai  piè  tutti  di  ferro  armali.' 

Astia  il-terzo,  sacerdote  "'e  maga  * * 

Che  di  "fibre  e di  fulmini  e-d’-ucccgli 
E di  stelletterà  ipterprete  e’ndovino) 

Mille  ne  coiukicea,ch’jiu’  oiuiitmnzn 
Faccan  tutta  di  picche;  e tutti  a Pisa  / 

Erari  soggetti,  u hi  novella  Pisa, 

Che,  già-fìglia  d’Alfeo,  d’A**no  ora  é sposa. 
Asture,  ardito  cav alierò  n bella,  ... 

E con  ■feetì’  armiAii  color  diveree, 

Vico' dopo  questi  con  trecento  oppresso 
Di  vari  lochi,  mq  d’ urn  solo  amore  • 

Accesi  a segurtavlb.^Bran  mandati 
Caro. — 3i.  [l64-4$4] 


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478  l’  f.xeide.  [2S$-3ft(>] 

* 

Da  Cerile  c dai  campi  di  .Mignone,  *•  . 

Dai  Pirgi  arftichre  da  l’ apèrte  spiagge» 

De  la  Hon  jscduUfera  Gravlsciil 
Di  *e  non  tacerò,  {Hgeo 'gentile, 

Di  Cup^  o dicendo,  ancor  pii  e poche  . - 
Fosstr  .itf  genti  sue.  Questi  di  Cigno-' 

Fra  figlinolo, ‘onde  no  l^elmo  avea 
l)c  le  sue  penne  un  candido  cimiero 
lij  memoria  del  padre,  e de  la  nuova.'».^  . 
Forma  in  eh’ei  si  cangiò,  tua  eolpn,  Amore. 
Che  de  l’ainor  di-  Faeton  fé  acceso. 

Come  si -dice,  mentre  che  .piangendo  - 

Stafa  la’Tnorte-Sua,  mentre  eh’ a I’ ombra 

• • - # , 

De  le  pioppo,  che  pria-gl Cernii  sorelle, 
Sfogava  con  Hi?  musa  il  suo  «dolore  ; 

Fatto  cantandorgià  canuto  e vèglio 
In  auge!  si  converse,  ccon  la  voce 
E con  l’ali  da  terra  al  cieio  alzassi. 

I ^ 

11  suo  ligliojco’  supi  imi  tava  un  legno 
A cui  sotto  la  prora  e sopra  1’  onde 
Stava  un  centauro  minaccioso  e torvo, 

Che  con  le  braccia. c con  un  sasso  in  alto 
Sembrava  di  ferirle,  e via  correndo  . 

Co«  Pc*t°  le  facea  spumose  & bianche. 

[483-197] 


[307-330]  nano  x.  ^79 

Ocno  poscia  venia,  del  losco  fiume 
K di -flauto  indovini*  il  chiaro  figlio, 

(die  tef  rftia  patria,-  elesse  e che  del  ftame 
De  la  gran  madre  sua  Rlàntuùi  disse;' 
Mnmua  d’alto  I eguaglio  illustre  è cicca, 

R 1,0,1  <f' un  sangue.  Tre  le  goni,*  sono^ 

K de  le  tre  ciascuna  n quattro  impero". 

Di  cmjì  tutte  ella  è capo,  e tutte  insieme.  • 
Sor.  con  lo  forze  de  P Eléur.V unite, 7. 

Quinci  0e  Ttu- conira  Mezeu/io  armati 
Cinquecento  altri  j e .Mincio,  un  figlio  altero 
Del  gran  Jlenàco,  fu  che  gli  condusse, 

Di  verdi  cantre  inghirlandato  il  fronte. 

Divh  il  sup'erb(HAÙIète  coh.un  legno 
Di  conio  traivi  il  mar,  solcando  in  guisa  • 
<<hc  spumante  U facea,  sonoro  e crespo. 
Premcà  le  spallq  d’ un  Tritone  i ioni  un  e ' 

Che  con  hi  cova  sua  cerulea, ‘conta  *•'  ‘ 

Tremar  si  flicea  l’acqua  c i liti  intorno. 

Dal  mezzo -in  su,  la  fronte  ispido  e’I  mento 
Sem^rh  d’ umana  forma  ; e-l  yentre  in  pesce 
Cli  si  -risiriifge,  c col.  fèrino  petto  * 
l' etnie  il  mar-fei  che  rumoreggia  e spuma. 

Da  quésti  eletti  eroi,  con  queste  genti 
[198:2 13] 


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I 


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1 


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K .! 

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•180  L*  EXEIDE. 

» Eran  r onde  tirrene  allòr  solcate 
In  sussidio  di  Troia.  E già  dal  ci 
Caduto  il  giorno,  era  de  V.^rta  ù 
La  vaga  luna,  quando  iMiigio  dii 
Or  al  timone  or  a la  vela  intento 
Co’ suoi  pensier  vegliava.  Ed  ecc 
Notando  gli  si  fa  di  ninfe  u.n  con 
Di  lui  prima  compagne,  e quelle 
Clic,  giri  sue  navi,  da  Cibelle  in  i; 
Furon  converse,  e Dee  fafle  del  i 
Xante  io- fiotta  ne  gian  per  l’on 
Quante  eran  navi  in  prima.  E <ji- 
Hiconosciuto  il  re,  danzando  m c 

Gli  si  strinsero  intorno.  Una  fra 

v**«  * * 

La  più  di  tutte  accorta  parlatrici 
Cimodocèa,  la  sua  nave  segutMidi 
Con  la  destra  a fa  poppa,  e con  I 
Tacita  remigando,  il  capo  e ’1  do 
Solo  a galla  tenendò,  d’ impròvv 
Così  gli  disse:  Enea,  Stirpe  divin 
Vegli  tu"  Veglia:  il  fune  allenta, 
Apri  a le  vele  tue.OeJTt  tua  clas 
Noi  fummo  i legni  e de  la  selva 
E siamo  off  ninfe.  1 Untoli  col  fu 
.[213.-231] 


I 


[355-378]  libro  x.  481  S 

N’itanno  e col  ferro  dipartite  e spiale 

• * * * 

Da’  tuoi  nostro  inai  grado.  G>r  te  cercando 
Siam  qui  venute.  Per  pietà  dì  nei 
La  Berecinzìu  Mqdre  in  questa  forma 
N’  ha  del  mar  fatte  abitatrici  c Dee. 

Mit’l  tuo  fanciullo  IulodiMnezzo  a Pormi 
Si  sta  cinto  di  fossa  e di,  muraglia 
Da’  feroci  Latini  assedialo.  - 

I tuoi* cavalli  e gli  Arcadi  e gli  Etrusci 
Unitamente  Iran  di  già  preso  iljoco 
Comandalo  da  te.  Turno  disegna 
Co’«uoi  d’ attraversarli,  e porsi  m mezzo  * 

Tra  ’l  campo  e loro.  Or  via  naviga,  approda  : 

Sorgi  tu  pria  che ’l  sole,  e sii  tu  ’r  primo 
Ad  ordinar  le  tue.  genita  battaglia. 

s * , 

Prendi  l’invitto  e luminoso  scudo  < 

Da  Volcai*  fabbricalo  e d’ òr  commesso  : 

Che  diman,  se  ori  credi,  alta  e famosa  \ 

Farai  tu  strage  de’ nemici  tuoi.  • 

Ciò  dissè^e  come  esperta,  al  legno  in  poppa 
Tal  diè  pinta  al  partir,  ch&'più  veloce 
Corse  che  dardo  o strai  che  T vento  adegui. 

Dietro  gli  altri  affretlàr  sì  che  stupore 
ebbe  d’Anchise  il  figlio.  E rincorato 
[■232-250] 


I 


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m 


L BNEIDE. 


Da  sì  felice  annunzio,  ài  cielo  ora 
l)ivolanlenle.si,rivolscr  e disse;- . 
Alma  Dea  de  gli  Dei  gran  gctiitric 
Di  Diiuiimo  regina;  chedi  torri.  • 
Vai  coronata  e’n-su  leoni  assisa, 
Te  per  mia. duce  a questa  pugna  i 
Tu  rendi  questo  augurio  e questo 
Ti  priego,  ai  Frigi*  tuoi  propizio  e 
Queslo:Sol  disse:  e luminoso  ini 
Si  fece  il  mondo.  Ei  primamente  i 
Clic  ratto  al  segno  silo  ciascun  ne 
.di’  ognun  s’  armasse,  ognuno  a la 
Si  disponesse.  É già  venuto  a visti 
De’  Uutuli  e de’ Teucri,  ulto  levos 
In  su  la  poppa  ; s*  imbracciò  lo  se 
E lo  vibrò  si  ch’ambedue  viaggiati 
Empiè  di  luce  e di  baleni  i campi 
Di  su  le  muru  la  dar darti  a gente 
Gioiosa  infmo  al  ciel  le  grida  alz 
E sopraggiunta  la  speranza  a l’ir 
A trar  di  nuovo  e saettar  si  diero 
Con  un  rumor.,  qual  sotto  l’ atre  i 


iScl  dar  segno  di  nembi.c  nel  fug 


l'an  le  strinìonie  gru  sebiamazzo 
[251-266} 


I 


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unno  x. 


{403-426] 


4S3 


Méntri  ciò  Turnd  e gii  altri  ausoni  duci’ 
Stavan  maravigliando,  ecco  a la  rivi  * 

Si  fa  piètid’  armi  e di  navif[  il  irfare. 

Eneo  di  Cima  al  capa  e de  la  cresta 
Del^fin  elmo  sparge!»  lampi  e scintille  ' 

D’ addentò  Ramina  ; e gran  krstri  e gran  fochi 
Raggiava  de  lo.  scudo  il  colmo-e  l’oro, 
Come  ne  la  seréna  timida  notte,  . 

La  lugubre  e mortifera  cometa  '*  • . À’ 

Sembra  che  sangue  avvonli;  0-’!  sirio  cane, 
Quando  nascendo  a^  miseri  "montali  * . * 

Ardore  e sete  c pestilenza  apporta,  - *. 

E colTunéjiU)  luipe'ibciel'contrista. 

■* 

* Noti  men  per  questo  haTornooj’direespenje 
D’occopar  prima  il  lito,  e da  la  terra 
Ributtare  i nemici.  Egli,  animando 
E riprendendo  la  suà  gente,  avanti  '*■  . 
Si  spinge  a tutti,  e/gritfà:  Ecco  adempito 
Vostro  maggior  disio.  Più  non  vi  sono 
Le  mura  inmeìtò;  in  voL,  ne  le.  man  vostre 
La  pugna  e.Marté  e la  vittoria  è pqsfa". 

Or  qui  de  la  stia  donna,  de1  suoi  figli,  . 

De  la  sua  cash  si  rammenti  ognuno: 

» s 4 • . * f 

Ognun  davanti  si  propónga?  i fatti 
•[2&7-28I] 


*•/ 


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484 


l emeide. 


F/ le  lodi  de’ |>adri.  Andiain  noi  pi 
A rincontrargli,  infili  che  Tonde  < 
Ce  gli  rende  del  mar  non  ferini  i 
Via,  ch’agli  ardijti  è la  fortuna  ar 
Detto  eosì,  va  divisando  come 
Parte  lor  centra  ne  conduca,  e pi 
A T assedio  ne  lasci.  Intanto  Enea 
Per  disbar.cane  i.suoi,  le  scalee  i 
Avea  già  presti. -E  di'  lor  molti  at 
Al  ritorno  de’ flutti  con  un  salto 
Si  lanciarono  in. secco;  e ehi  eo’  i 
Chi  con  Io  travi  ne  T arena  uscir 
Tarconte,  poi  eh’  ebbe'Ia  rfva  t 
Den  adocchiata,  non  là  dove  il  va 
Disperava  del  tutto,  o dove  T orni 
Mormorando  frange^,  ma  dove  cl 
E senza  intoppo  avea  corso  e ricc 
Voltò  le  prore;  e,  V-ia,  disse,  coni 
Via,  gente  eletta,  ite  con  tutti  i re 
tutta  forjta,  c sì  piagete  i lego 
si*  faciali  da  lor  canale  e sta 
Dividete  co’  rostri  e con  le  prore 
uesla  nemica  terra;  in  questa. t< 
gittate  una  voltale  che  che  si; 

■29G1 


■[451-474]  libro'  x.  485 

Segua  poi  del  navile.  X questo  firegio 
Non  euro  del  suo  danno*:  afferri!  e*"pèra. 

Al  detto  di  Tarconte  alto  in  su’  remi  • * 
Levàrsi  ; é sì  co’  rostri  a’  liti  urtare, 
Ch’empièrdi  spuma  il  mar,  di  sabbiai  campi; 
E i legni  tutti  ne  1’  asciutto  infissi 
Fermarsi  interi.  Ma  non  già',  Tarconte, 

Il  legno  tuo,  che  d’  una  ascosa  falda 
Ebbe  di  sassb  in  approdando  intoppo  ; 

Dal  cui  dorso  inchinato,  e-dpl  mareggio 
Lungamente  battuto, ’alfin  del  tutto 
Aperto  e sconquassato,  in  mezzo  a Fonde 
Le  genti  espose;  e ’4  p9so  e l’ imbarazzo 
De  F armi,  e gli  armamenti  infranti  e sparsi 
Del  rotto  legno,  e ’1  flutto  che  redi-va, 

i • 

Le  tennero  impedite  c risospinte. 

Turno  le  schiere  sue  rapidamente* . 

Al  mar  condusse,  e tutte  in  ordinanza. 

Su  *1  Irto,  incontra  a*  Teucri  le  dispose. 
Dieron  le  trombe  il  9egno.  H troiftn, duce 
Fu  che  prima  assali  lejorme  agresti, 

E si  fe  con  la  strage  de’  Latini 
E con Ta  morte  di  -Tcrone  in  prima 
Augurio  a la  vittoria.  Era  Terone* 
[297-312] 


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486  l’e.ieide. 

Un  di  corpo  maggio!*  degli  ulti* 
E lauto  ebbe  d’  ardir  clic  da  sè 
Incontr’  Enea  si  mòsse.  Enea  cc 

. • 7*  * 

Tal  an  colpo  gli  trasse, -clje  lo  • 

Benché  Terra  tu,  o la  corazza  e ’ 
^ • ***  -* 

Forògli  insieme,  Indi' avjrenloss 

Che  da  l’ aperte  viscere  fu  tratt 

De  la  giù  morta  madre,  epargo 

Preservato  dal  ferro,  U le  fu. sai 

I 

Febo,  padre  di  luce  ; ed  or  mor 
Vittima  eaddcM  Marte.  Oceise  a 
Fisso  feroce,  è Già  di  corpo  ititi 
Ch’ambi  di  mazze  armali  ivan 
De’  suoi  Teucri  atterrando.  EJo 
!Nè  d’  Èrcole  aver  l’ormi  uè  le  L 
D’  erculea  forzarne  die  «già  Mei 
Lor  padre  in  compagnia  d’  Erc< 
Allorché  de  la  terra  a .soffrir  c 
I duri  affanni.  A Faro  ini  dardo 
Mentre  gridando  e millantando 
Gli  si  facea.  Col  pi  Mobili  bocca  a 
Sì  che  la  chiuse  e 1’  acchetò  pei 
jE  tu,  Cidon,  per  le  sue.  mani *i 
Misero!  giaceresti  a Gli  zio  appi 
[^{2-325} 


487 


[499-522]  univo  x.  . 

Tuo  novo  amóre,  ir ‘cui  de’  primi, fiori  v 

Eran  fe  guance  colorite  a pena;  « ' 

Nè  più  stalo  saresti  esca  agli  amori  - > 

De’  suoi  simili,  onde  maf  sempre  ardevi  ; 

-Se  non  che  fie*  fratelli  ebbc-irna  Sellici:» 

Subitamente  a dosso.  Eraó.  eOstorcr 
• • % 

Sette  figli  di  Forco,  e. sette  dardi  -,  • - • i<*. 
Gli  avventarefi»  un.  tempo.  Altri  de’  qyjili 
Da  l’  elmo  e da  lo  scudo  risospinliN  * . 
Altri  furon  da  Venete  sbàttuti , 

Si,  eh’  o vani,  o Iegg4eri.il  corpo  a pena 
i Leec’àr  passando,  hi  questui  Enea -rivolto) 
Dammi,  disse,  àd  Acute,  degl’  intrisi  • 

Nel  sangue'  greco*  e SOttc^Hiò  provali  ; 

E non  fià  colpo;in  fallcu  Una  grand’asta 
Gli  pòrse  Acato  in  prima,  èli  ,ei-lu  trasse 
Sì,  che  volando  nedo  scudo  aggiunse  . 

Di  Mèone,é  Ip  piastra"ond’  efU-gin'tu-  . . 

E la  corazza  é ’l  petto  gli’ trafissp.  * . - 
Alcanor  suo  f^a'tello  pel  càdefe»\  ' “•  • 

Mentre  le  braccia-ai  Jergo-gli  puntella,, 
b’  asta  nel  trapassare,  il  sup  tenore  «.* 
Continuando,  insanguinatale  calda’  ** , 

La  destra  gli  confisse  ; e.da  le  spalle  ' 
[326-341] 


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488 


l’  eni-ide. 
Pendè  del  frate^infin  che  i’  un 
li  1’  altro  moribondo  a terra  si 
Giacquero  entrambi.  Numitori 
Da  questo  sconficcandola  e da 
La  no  io  Ila  incontro  Enea.  Di  fe 
Non  gli  successe,  ma  del  grani 
-Graffiò  la  coscia  lievemente,  e 
Chiuso,  il  Sabino,  addito,*;  p 
Qui  si  mostrò  con  una  |iiccu  il 
E Driope  investì  nel  primo  ini 
Glie  n’  appuntò-  nel  {jorgozziih 
Tanto,  che  la  parola  c ’l  fiato 
In  uii  gli  tòlse.  Ed  ei  cadde  bc 
E per  bocca  gittò  di  sangue  un 
Cacciossi  avanti,  e tre  di  Trac 
De  la  gente  di  Borea,  c tre  de 
I)’  Mante,  alunni  il’  Ismaru  e i 
In  variate  guise  a terra  Stese. 
Venne  a rincontro  Alèso,  e dej 
Un’ordinanza.  Dr  Nettuno  fi  fi 
iMessàpo  i suoi  cavalli  avanti  i 
Ed  or  questi  sforzandosi,  ed  c 
Di  cacciare  i neqaici,  in  su  1’  e 
v Si  combattea  d’ Italia.  È quai 
[341-350] 


489 


[54'7-5?Ó]  tipRO  X; 

' % 

S’  azzuffano  a le  volte  avversi,  e vpaYi 
Di  contesa  e di  forzìHn'afùa  i Venti, 

Che  nè  lor,-nè  le  nugole,  uè  ’l  mare 
Ceder  si  vede,  e lungamente  incerta 
Sì  la  miséhia  travaglia,  ch’ogni  cosa 

I)’ ogni  parte  tumultua  e contrasta;  , 

• * 

Tale  appunto*  de’  Rutulie  de’ Teucri  " 

Ei  a la  pugna,  e sì  fiera  e si  stretta, 

Che  giunte  £}  vedean  l’ armi  con  l’ armi,  , 
E le  man  con  le'manire  i piè  co*  piedi. 

D’  altra  parte  ove  rapido  e torrènte 
Avea  ’l  fiume  travolti  arbori  e sassi,  , 
Da  loco  malagevole  impediti 
Gli_arCadi  cavalieri  a pii;  Smonterò. 

E ne’  pedestri  Basalti  ancor  non  usi,- 

Da’  Latini  incalzati,  avean  le  terga 

Già  .volte  a Lazio,  *quando  (quel  che-s’  usa 

In  si  duri  partitila  l<Jr  rivolto 

Pallnnte,  orèon  pregili  ere,  or  con  rampogne, 

Ah  compagni,  ah  fralelfi>ìva  gridando, 

Dove  fuggite?- Per  bnòr ìli  vei, 

Per  la ‘thè moria  di  tant’  altri  vostri  * 
Egregi  fatti,  per*!’  egregia  fama,  - 
Per  le  vittorie  dèi  gran  duce  Evandro* 
[356-310] 


490  U,  ENEIDE. 

t . 

E per  tó’  sftomc  .etié  di  me  conc 
A la  paterni  lode  cmulà.à'vete, 
Non  ponete  iie’ piè,  vilsirà  fidali 
Col*  ferro  aprir  la  stiuidn  n'é-co 
Per  mezzi»  di  color- elfo  livelle 
Che  più  folti  n’jncalzano- e jiìù 
Per  là  copiatala  Fatta  patria  it 
Che  voi  meco  n’ì)ndiajte*E  di  h 
lecite  sia  dia:  soh,-t*om ini  ance 
Come  stani  noi •p'e.  noi  cam’*esSi 

* • • t _ 

Il  cor,  le  mairi  e-F  armi.  E dove 
Vi  salverete®  Non  vedete  il  mai 

9 * - 

Che  v*  è davanti,  e clte  la  ter^ra 
Al  fuggir,  vostro  ? p se  per  Pon 
Fuggiste, ;ariìn  dove  n’  andrgteJ 
E,  così  detto, «in  mèzzo* de?  p 
E de’ pili  formidabili  nemici 
Anzi  a lutti  avventosSi.  E,  Lago 
Per  sua  disavventura  gli  s’opp 
, Stava  còstui  chinato*  e per  fer 
Divelto  avea  di  ■tei'p'a  idi  grarr 
Quando  (o  sopraggiunse,  e uel 
1 ra  costa  e cositi  il  suo  dardo 
Si  clie  tirando  e dimenando  a 
(-371*384]  • 


[595-6 1 LtBrfo  x>  491 

Ne  lo  ritrasse.  Isbon,  ili  Lago  am.ieoj 
Menti*’  egli'in  piò  s’occupa,  ehb$  speranza 
Di  vendicarlo,  e’ncontra  gli  si  mosse,. 

Ma- non  gli  rwiipì:  chè  mentre  incauto, 

Dal  dolor  trasportato  e- da  lò  sde£np 
Del  suo  morto  compagno*,  infuriava,  . * **• 
“Ne  la  spada  ìlei  jgióvine  inftlzbssi  *’  > * 

Da  l’un  de’ Stanchi:  onde  trafitto  e smunto 
Ne  fu  di  sangue  il  coiy  d’ira  il  polmone. 
Po9cia  Stmwrlo  oceisej  o’ccise  appresso 
Anehòmólo.  Costui  fu  de  F antica* 

Stirpe  di-Rctò, .incèsi  doso  amante  ' 

Di  sua  matrigna.  E voi,  bornie  je  Timbro,  ' ; 
Figli-di. p'Uuco,  ambi  d’ tm  parto  nati, 

Per  le  sue  man  cadeste.  Etan  costoro  • . 

. . . , > 

Sì  l’un  del  tutto  a'  l’alfro  somigliante,-/ 
Che  del  padre  indistinti  e da  ta,  madre 
FaceamloK gt'ato  erronee  dolce  inganno. 

Sòl  or  Fallante  (af>U  troppo  duramente) 

Vi  fe  diversi  cb’  a te’l  capo  netto. 

Timbro,  recise;  » te^  Laridp,  in  tcrru  , 
Mamjò  Jla  destra.iE  questa. anche  guizzando 
Te  per  suo  riebnobbe,  e con. lodila  < . 
Strinse  il  tuo  ferro,  0 ’l  bi*a«t;ieò  più  vette*- 
[3 8 4 9.6] 


492  L’  CiYEIDE. 

* I # 

Gli  Arcadi  da’ conforti  c da  le 
• • 

Accesi  di  Pullulile,  e per  dolor 

lì  per  vergogna  di  furor  s’  an 

Comlr’a’  nimici.  Seguita  Pallai 

Ed  a Relèo  ch’era  fuggendo  .il 

Sopra  una  biga,  nel  passargli 

Trasse  d’  un’asta;  e tanfo  Ilo 

Ebbe  a la  morte  sua,  eli’  ad  II 

Era  qircl  colpo  in  | minora.  Ma  f 

Venne  di  me*/zo,  e ricevello  in 

D’  altri  colpi  che  dietro  minac 

Gli  venian  Teucro  e Tiro,  i di 

Che  gli  erap  sópra.  Traboccò  < 

Mezzo  U’a  vivo,  e-inorto*  e cale 

De’ Rullili  ballò  l’amica ..terra. 

Come  il  pastai*  ne’dolci  esti 

A lo  spirar  «vénti  <il>  foco  aci 

In  qualche  selva;  che  diversan 
Pi.  ‘ - • . 

Lo  sparge  in  prima;  e con  div 

Subito  di  Volcan  ne  va  lascila 
Ciò  eh’, è di  mezzo  divorando  il 
Ch  un  srii  diventa;  ed  éi  slassi 
nel  fatto  al  toro,  e diveder  gio 
ha  vincitrice  fiamma,  e l’arso 
[397-409] 


[643-666]  libro  x.  493 

Così  ’l  valor  degli  Arcadi  ristretto 
Per  soccorrer  Fallante  insieme  unissi. 

Ma  ’l  bellicoso  Alèso  incontro  a loro 
Si  ristrinse  ancor  ei  con. Tarmi  sue, 

E Lad.óne  e Deinòdoco  e Pereto 
Occise  in  prima.  Indi  a Strimonio  un  colpo 
Trasse  di  spada  clie.la  destra  mano, 

Mentre  con  un  pugnai  gli  era  a la  gola, 

Gli  recise  di  netto.  E si  d’uri  sasso 
Ferì  Toaute  in  volto,  elle  gl’ infranse 

Il  teschio  tutto,  e ne  schizzàr  col  sangue 

• 

L’  ossa  e ’l  cervello.  Era  d’Alèào  il  padre 
Mago  e ’ndovino  ; e del  suo  figlio  il  fato 
Avea  previsto;  onde  gran  tempo  ascoso 
In  una  selva  il  tenne.  E non  per  questo 
Franse  il  destino;  chè  già  vèglio  a pena 
Chiusi  ebbe  gli  occhi,  che  le  Parche  addosso 
Gli  ilier  di  mano:  onde  a morir  devoto 
Fu  per  Tarmi  d’ Evandro.  Incontro  a lui 
Mosse  Pollante  in  cotui  guisa  orando  : 

Dà,  padre  Tebro,  a questo  (tordo  iiidruzo, 
Fortuna  e strada  ; orni’  io  nel  petto  il  pianti 
Del  duro  Alèéo:  e ’l  dardd  e le  sue  spoglie, 
A te  fian  poscia  in -questa  quercia  appese. 
Caro.  — 32.  [4ÌG-4231 


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* *. 


. * ' * 

A9i  x L’  ENEIDE. 

Udillo  il  Tebro;  e mentre  Aiòso,.' 
Porgendo  ad  Imaon,  lo  scudo  stei 
Per  coprir -lui,  sè  stesso  discover* 
Al  colpo  di  Pollante,  e morto  cadi 
Lauso  clic  de  la  pugpa  era  gra 


Visto  al  cader  d’ un  si  degno  cani 


r % 


Caduta  la  contesa  e l’ardimento 
De  le  schiere  latine,  egli  in  sua  v 
Tosto  avanti  si  pinsc  e rinfranco! 
E prima  di  sua  mano  Abanle  anc 
Ch’era  di  quella  zuffa  un  duro  in 
E de’  nemici  il  più  saldo  sostegno 
Or  qui  strage  si  fa  d’Arcadi  ins 
E de’ Toschi  e di  voi,  Troiani,  intì 
Ancor  de’ Greci.  É qui  d’ambe  le 
Tutti  con  tutti  ad  affrontarsi  vani 
Pari  le  forze  e pari  i capitani 
Son  d’ambi  i lati  ;-e  quinci  e quin 
Si  ristringono  in  guisa  che  gli  est 
l annó  ancor  calca  e ’mpedimenlo 
Da  questa  parte  sta  Pattante,  e 
Da  quella,  i suoi-ciascuno  inanim 
Spingendo  e combattendo.  E I’  un 
Non  è molto  da  Ppltro  nè  d’ etate 
1.424-434] 


495 


[694*744]  libro  x. 

Nè  di  bellezza;  e parimente  it  fato 
A ciascuno  Ita  di  lor  tolto  il  ritorno  • 

Ne  la  sua  patria.  E non  però  ira  loro 
S* affrontar  mai;  cliè  M regnator  celeste 
RiserbaVa  la  morte  d’ ambedue 
A nemici  maggiori.  In  questo  mezzo 
La  ninfa  che  di  Turno  era  sorellar 
11  suo  "frate  avverlisce,  che  soccorso 
Procuri  a Lauso.  Ond’  ei  tosto  col  carro 
Le  schiere'attra versando,  a’  suoi  compagni 
Giunto  che  fu,  Via,  disse,  or  non  è tempo 
Che  voi  più  combattiate,  lo  sol  ne  vado 
Contrù  Pollante;  a me  solo  è dovuta 
La  morte  sua  ; così  ’l  suo  padre  stesso 
V’interveqisse,  e spettator  ne  fosse. 

Detto  ch’egli  ebbe,  incontinente  i suoi, 
Siccome  imposto  ave»,  del  campo  uscirò. 
Pallante,  visti  « Rutuli  ritrarsi, 

E lui  sentendo  che  con  tanto  orgoglio 
Lor  comandava  ; poscia  che’!  conobbe, 

Lo  squadrò  tutto,  e.stupido  fermossi 
A veder  si  gran  corpo.  Indi  feroce 
Gli  òcchi  intorno  girando,  ai  detti  suoi 
Così  rispose:  Oggi,  o d’  opime  spoglie 
[435*449] 


496  l’  ENEIDE. 

0 ili  morte  onorata  il  pregio  ae 
K ’l  padre  mio  (lai  è il’  animo  ii 
Incontr’  ogni  fortuna,  o buona  ( 
('.he  sia  la  mia)  ne  porrà ’l  core 
Via,  che  il’  altro  è mestier  che  i 
li,  ciò  detto,  si  mosse  c fiero  in 
l'resentosài  del  campo.  Un  giel 
li  per  le  vene  agli  Arcadi  ne  co 
li  Turno  dalla  biga  con  un  salti 
Lauciossi  a terra:  eli’  assalirlo 
Prese  consiglio.  E qual  fiero  lec 
Glie,  vneduto  nel  pian  da  lunge  i 
Con  le  corna  a battaglia  esserci 
Dal  monte  si  dirupa  e rogge  e ' 
Tal  fu  di  Turno  la  sembianza  a 
Nel  girli  incontro.  Il  giovine,  cl 
Avea  di  forze,  s’avvisò  di  temp 
Prender  vantaggio^  e di  provar 
S’aver  ponesse  in  alcun  modo  £ 
Almcn  fortuna;  e già  eli’ a tiro 
S’eran  vicini,  al  ciel  riyolto  di: 
Ercole,  se  ti  fu  del  padre  mio 
- L’  ospizio  accetto,  c la  sua  men 
Allor  clic  peregrin  seco  albergi 
^ , [450-460] 


unno  x. 


497 


[739-762] 

Dammi,  ti  priego,  a tanta  impresa  aita, 

Si  cl»e  Turno  egli  stesso  in  chiuder  gli  orchi 
Veggio  c senta,  Vnorendof  eh’  a me -tocca 
Vincere  e spogliar  Ini  d'armi  e di  vita. 

Udiilo  Alcide,  e per  pietà  che  n’  ebbe 
Nel  suo  cor  se  ne  dolse  “e  lacrimonne, 
Quantunque  indarno.  E Giove  per  conforto 
Del  figlio  suo  cosi  seco  ne  disse: 

Destinato  a ciascuno  è’I  giorno  suo  ; 

E breve  in  tutti  e lubrica  c fugace 
E non  mai  reparabile  sèn  vola 
L’ umana  vita.  Sol  per  fama  è dato 
Agli  uomini,  che  siati  vivaci  e chiari 
Più  lungamente.  Ma  virtute  è quella 
Che  gli  fa  tali.  E non  per  questo  alcuno 
È che  non  muoia.  E quanti  ne  morirò 
Sotto  il  grand’  Ilio,  ch’eran  nati  in  terra 
Di  voi  celesti  ? E Sarpcdontc  è morto 
Ch’era  mio  figlio,  e Turno  anco  morrà; 

E gin  de  la  sua  vita  è giunto  al  fine. 

Così  disse,  e da’ rotali  confini 
Torse  la  vista.  Allor  Pollante  trasse 
Con  gran  forza  il  suo  dardo,  e 'I  brando  strinse 
Incontro  a Turno.  Investi ’l  dardo  a punto 
[461-476] 


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49S  l’  kseide. 

Eù’ve’l  braceial  su  l’omero  s’ i 
E Ira  ’l  suo  groppo  e 1’  orlo  de 
Come  strisciando,  di  sì  vasto  c< 
Lievemente  afferrò* la  pelle'a  p 
Turno,  poi  che  ’l  nodoso  e b 
Suo  frassino  brandito  e bilanci 
Ebbe  più  volte,  Or  prova  tu,  g 
Se  ’l  mio  va  dritto,  e se  colpis< 
Più  del  tuo  ferro:  e trasse.  An 
Per  l’aura,  e con  la  punta  a pu 
Si  piantò  de  lo  scudo.  E tante 
Di  metallo  e d’acciaro,  e tante 
Ond’èra  cinto,  e la  corazza  e ’l 
Passògli  insieme.  Il  giovine  fer 
Tosto  fuor  si  cavò  di  corpo  il  I 
Ma  non  gli  valse,  che  con  esso 
E la  vita  n’  uscio.  Cadde  b.occoi 
la  su  la  piaga,  e tal  diè  d’arm 
Clic,  ancor  morendo,  la  nemica 
Trepida  ne  divenne  e sanguino 
■ Turno  sopra  il  cadavero  fer 
Alteramente,  e disse  : Arcadi,  i 
E per  me  riportate  al  vostro  E 
qual  di  rivedere  ha  meriti 
[477-492] 


Vi 


LIBRO-  X. 


409 


[787-810] 

Il  suo  Pallante,  tal  glie  ne  rimando; 

E gli  fo  grazia,  che  d’  essequie  ancora 
E di  sepolcro  e di  qualiiltro  fregio 
Che  conforto  gli  sia,  l’orni  e Sonori; 
Ch’assai  ben  caro  infino  a qui  gli  còsta 
L’amicizia  d’Enea.  Cosi  dicendo,. 

Col  manco  piè  calcò -l’ estinto  corpo; 

E d'oro  un  cinto  ne  rapì  di  pondo, 

D’  artifìcio  e di  pregio,  ove  pei*  mano 
Era  del  buon  Eurizio  istoriala 
La  fiera  notte  e i sanguinosi  letti 
Di  quell' empie  fanciulle,  in  grembo  a cui 
Fui*  già  tanti  in  un  tempo  e frati  e sposi 
Sotto  fè. d’imeneo  giovini  ancisi. 

Di  questa  spoglia  altero  e baldanzoso 
Vassene  or  Turno.  0 cieche  umane  menti, 
Come  siete  de’  fati  e del  futuro 
Poco  avvedute  ! E come  oltra  ogni  modo 
Ne’ felici  successi  insuperbite!  , 

Tempo  a Turno  verrà  ch’ogni  gran  cosa 
Ricompreria  di  non  aver  pur  tocco 
Pallante;  e le  sue  spoglie  e’1  dì  che  l’cbbc 
In  odio  gli  cadranno.  Il  morto  corpo 
Nel  suo  scudo  composto,  i suoi  compagni 
[492-505] 


500  L'  ENEIDE. 

Levàr  dal  campo,  e con  solcnm 
E con  molti  lamenti  e molto  pi 
Lo  riportaro  al  padre.  01>  (|ual 
Tornasti  al  padre  tuo  gloria  e 
rii’  unii  .stessa  giornata,  di’  a h 
Ti  diede,  a lui  ti  tolse.  Oli  pur 
Lasciasti  pria  di  Tuoi  nemici  es 
Corse  la  fama,  anzi  il  verace 
A l’ orecchie  d’  Enea  d’  un  dam 
E d*  un  tanto  periglio,  che  già 
Era  il  suo  campo  in  fugo.  Incoi 
Si  fa  col  ferro  una  spianata  ini 
Poscia  .s’ apre  una  via.  di  te  ce 
Turno,  c ’1  tuo  rintuzzar  cresci 
Per  la  vittoria  di  Pollante  occi: 
Pollante,  Evandro' e P accoglier 
E le  lor  mense,  ove  con  tanto  a 
Forcstier  fu  raccolto,  e la  conti 


Già  tra  loro  amistà  davanti  agl 


Si  vedea  sempre.  E per  onore  i 
De  Y amico,  e per  vittima  al  gr 
Molti  giovini  avea  già  destinati 
\ ivi  sacrificar  sopra  al  suo  rog 
E di  già  ne  facea  quattro  d*  Ufc 
[506-517] 


[83o-858J  muro  % 5q| 

Addur  legati,  e quattro  di  Sulmonì».  % 

E tra  via  combattendo,  incentr' a Mago 
t irò  d’  un’asta,  a cui  sotto  chi n ossi * 

V aslul0  a tempo  si  che  sopra  ai  capo 
Gli  trapassò  divincofandor  il  colpo; 

E ratto  risorgendo,  umilemente 

Gli  abbracciò  le  ginocchia,  e cosi  disse: 

Per  tuo  Padre  e tuo  figlio,  Enea,  ti  prego, 

A mio  padre,  a mio  figlio  mi  conserva. 

Hi  gran  legnnggio  io  sono;  gran  tesori 
Tengo  d’argento  sotterrati  e d’oro 
h»  massa  e’n  conio,  ha  vittoria  vostra 
Solo  in  me  non  consiste.  Una  sol’ alma 
hi  così  grave  e grande  affai-  che  monta  1 
Rispose  Enea  : Le  tue  conserve  d’  oro 
E ^argento  conserva  a’  figli  tuoi. 

Questi  mercati  ha  Turno  primamente 
Tolti  fra  noi,  poi  c’ha  Pacante  occiso: 

E«l  al  mio  padre  ed  al  mio  figlio  in  grado 
Eia  la  tua  morte.  Ciò  dicendo,  a l’elmo 
La  man  gli  stese:  e poiché  gli  ebbe  il  collo 
Chinato  al  colpo,  insino  a I’  else  il  ferro 
Noia  gola  gl’ immerse.  Indi  non  lunge 
Emònide  incontrando,  un  sacerdote 
[518-537^ 


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l’  ENEIDE. 


502 

Di  Febo  t di  Diana,  il  fronte 
Di  sacra  benda,  c lutto  riluci 
Di  vesti  e d'armi,  addosso  gl 
Fogge  Emcmide,  e cade.  Elie 
Lo  sacrifica  a 1*  ombra  e d’  01 
Poscia  de  1’  armi,  che’!  mesi 
Portò  più  eli’ a difesa,  il  buo 
Lo  spoglia,  e per  trofeo  le  ap 
A te,  gran  Marte.  Ecco  di  no 
Gècolo,  di  Vulcan  l’ardente  I 
E ’l  Ma rso  Ombron  ne  la^jja It 
E rimettendo  le  lor  genti  ini 
Spingonsi  avanti.  Enea  da  1’ 
Infuriava.  Ad  Ansare  avventi 
E ’l  manco  braccio  con  la  sp 
Gittògli  e de  lo  scudo  il  cere 
Gran  cose  avea  costui  cianci; 
E conceputc  ; e d’ adempirle 
S’era  promesso.  Avea  forse  i 
Riposti  i suoi  pensieri,  es’a 
Lunga  vita  e felice.  E pur  qi 
Poscia  Tórquito  ardente, 
Fulgenti  e ricche,  incontro  ( 
Era  costui  di  Fauno  montai) 
J.537-551] 


[883-006]  libro  x.  503 

E ile  la  niniìi  Driope  creato, 

Giovine  fiero.  Enea  parossi  avanti 
A la  sua  furia,  e spinse  I’  asta  in  guisa 
Che  lo  scudo  impedigli  e la  coruzza.  ' 
Allora  indarno  il  misero  a pregarlo 
Si  diede.  E mentre  a dir  molto  s’ adulino, 
Per  lo  suo.scampo,  ei-con  un  colpo  a terra 
Gittògli  il  capo;  e travolgendo  il  tronco 
Tiepido  ancor,  sopra  gli  stette  e disse  : 

Qui  con  la  tua  bravura  te  ne  stai, 
Tremendo  e formidabile  guerriero. 

Nè  di  terra  tua  madre  li  ricuopra,  - 
Nè  di  tomba  l’onori.  Ai  lupi,  ai  corvi 
Ti  lascio,  o che  la  piena  in  alcun  fosso 
Ti  tragga,  o che  nel  (iume,  o che  nel  mare 
Ai  famelici  pesci  esca  ti  mandi. 

Indi  muove  in  un  tempo  incontro  a bica, 
E segue  Antèo,  che  ne  le  prime  schiere 
Eran  di  Turno.  Assaglié  il  forte  Numa, 

Fere  il  biondo  Camerte.  Era  Carncrte 
Figlia  a Volscenle,  generoso  germe 
Del  magnanimo  padre,  e de’  più  ricchi 
D’Ausonia  tutta:  in  quel  tempo  rtJggea 
ha  taciturna  Amicla.  In  quella  guisa 
[551-5(55] 


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504  l’  e.neide. 

Che  si  dice  Egeon  con  centi 
E cento  mani,  da  cinquunti 
Fiamme  spirando  e da  cinq 


Esser  già  stato  col-gran  Gi 


Quando  contro  i suoi  folgo: 
Con  altrettante  spade  ed  al 
Scudi  lonaya  e folgorava  ai 
In  quella  stessa  Enea  per  ti 
Poi  cip  una  volta  il  suo  feri 
(lontra  tutti  vincendo  infur 
Ecco  Nifèo  «u  «piatirò  corri 
Si  vede  avanti:  e contra  gl 
Si  ruìnoso,  e lai  fa  lyr  freni 
Téma  e spavento,  che  i desi 
Iati  dal  carro  traboccano,  e 
Sèn  vanno  e vóli  impervers 
Lucago  intanto  c Ligeri,  dii 
Con  due  giunti  cavalli  ambi 
Gli  si  fan  sopra.  Ligeri  a h 
Sedea  per  guida,  Lùcago  ro 
La  spada  a cerco.  Enea,  noi 
Ea  tracotanza,  a la  già  mos: 
Piantossi  a'vanti;  e Ligeri  g 
Enea,  tu  non  sei  già  con  Di 


[5G5-58I] 


1931-954]  uail0  x.  ' 

Né  cm,  Achille  e questa  volt»  „ f).0I1,c. 

•V  son  questl  i cavalli  e’I  corro  loro,’ 

1 LazjQ  « questo  e non  de’ Fi-ini 
Qui  finir  Ucouvieulaaat  ; 8 

Queste  va,, e ,„i, .acce 

- olBava-  il  folle.  Enea  d’-ullro  risposta  ' 

^on  gli  ilid  che  de  l’asta  F 

Spinge  P uno  i destriere , T r™'' 

Si  s.a  ehiuato  e eol  p è m J 

Di  ferir  lui,  la  sua  lancia  a |„  SJ“° 

I ato°  S°r°  d‘  W€a80’  6 ,,el  fnanco 

E‘ 1 1 “ C°,Se  ° 
t giù  dal  carro  moribondo  il  trasse 

fiufi  ancor  egli  mPt, uggiolio  e disse;  . 

A ,e  ne  paventosi  nè  restii 

Sou  gw,  1-Óoago,  siatii  lu0i  cavalli. 

la  d°.t“  stresu  ““  si  fiel  salto  l„,i  preso 

,^0  • ‘lì0  Carro-  E>  ciò  dotto,  ai  destrieri 

I piglio.  Il  suo  frale  uscito  iuta, ito 
•Il  carro  stesso,  umile  e disarmato' 
stendea  le  palme  in  tal  guisa  pregando-  . 

«oli,  per  lo  tao  valore  e per  coloro 

Clic  t,  fer  tale,  abbi  di  me,  signore, 
l 'em,  che  supplicando  in  don  ti  cbiegaio  , 
[5SI-Ó9S] 


506  ' L*  ENEIDE. 

Questa  misera  vita.  E sentii 
La  sua  preghiera,  a lui  risp 
Tu  non  hai  già  così  dianzi  ; 
Muori  ; e morendo  il  tuo  fri 
E con  queste  parole  il  ferrc 
E gli  aprì *1  petto,  e l’alma 
Mentre  così  per  la  campa 
Strage  facendo,  c di'.torreni 
E di  tempesta  infuriando  Se 
Ascanio  e la  troiana  gioven 
Indarno, entra  a le  mura  as 
Saltano  in  campo.  Ed  a Giu 
Così  Giove  favelli»  : 0 mia  d 
Sorella  e sposa,  ecco  testò  s 
Com’ha  la  tua  credenza  e ’l 
Verace  incontro,  e come  Cil 
Sostenta  i Teucri  suoi.  Vedi 
Non  sort  nè  valorosi  nè-  guc 
E i cor  non  hanno  ai  lor  pe 
A cui  Giunon  tutta  rimessa, 
Caro  consorte,  a che  mi  str 
Quando  è pur  troppo  jl  mi» 
E pur  troppo  lem’  io  le  tue 
Ma  se  qual  era  c qual  esser 
[598-6I3J 


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507 


[979-1002]  tl„0  ■„ 

Fosse  orteco  il  peler  de  Cornar  mio, 

1 eco  che  tanto  puoi,  da  te  negato 

FosnsemJata^,l *"?•"’  " mio  Turno 

' esse  da  la  batlagha  o da  la  morte 

er  me  sottratto  e conservato  al  vecchio 

Dauno  suo  padre.  Or  péra,  e col  suo  sangue 

D W6  è PÌ°’ 18  «"•ngo» 

De  suol  nemici.  E pur  anch’egli  ò nato 

Dal  nostro  sangue  • e nm-  dìi 

Padrp  di  . • , . ’ P‘n  PlIun"°  6 quarte 

cu  i ?da  ,UÌ  pui*  >«»-gamen!o 
Gl,  aitar  ^"en-ate  e ( tempii  tuoi 

hon  de  suo,  molti  doni  ornati  e carchi. 

Cu,  del  cel  hrevementc  il  ?ran  motore. 
Cosi ir,  spose:  Se  indugiar  la  mone, 

c * è g,à  presente,  e prolungarci  giorni 
Al  già  caduco  giovine  faggina 

Per  alcun  tempo,  e tu  con  questo  inteso 
Locccth,  va’  tu  stessa,  e do  la  pugna 
Soli, allo  c dal  destino.  A tuo  contento 
F'n  qu,  mi  lece.  Ma  se  in  ciò  presumi 

W piu  di  sua  vita,  o,de  la  guerra, 

Che  del  tutto  si  mute  o si  distorni, 
lavai,  lo  speri.  A cui  Ghino  piangendo 
Soggiunse:  E clic  saria,  se  quei  ci,’  in  voce 
[Gl  4-628] 


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àOS  l’  ehseidk. 

,'l'i  gravi  a darmi,  almen  n 
Mi  concedessi?  E questa  vi 
Si  stabilisse?  già  eh’  indej 
Morte  gli  s’  avvicina,  o eli 
Mi  gabbo.  Tu  clic  puoi,Si{. 
La  mia  paura  e i tuoi  peni 
Poscia  che  così  disse,  in 
Dal  ci.el  disoese,  e con  un 
E nubi  intorno,  occulta  in 
Sopra  terra  calossi.  Ivi  di 
Di  colori  e di  vento  una  fi 
Formò  (cosa  mirabile  a ve 
In  sembianza  d’  Enea:  d’f 
La  corazza,  il  cimiero  e I’ 
(ìli  finse  intorno,  e gli  diè 
Propri  di  lui,  ma  vani,  e 
E senza  niente;  in  quella 


Che  si  dice  di  notte  ir  va*. 


L’  ombre  ile’  morti,  « che 
Son  da’  sogni  delusi  e da 
Questa  mentita  imago  i 
Lieta  insultando,  a Turno 
Lo  provoca  e lo  sfida.  E 1 
Le  si  spinge  e V affronta: 
[tì28-645 


[1027-1050]  libro  ;t.  503 

• 

Il  suo  dardo  le  avvento,  al  eni  Stridore 
Volg’  ella  il  tergo  e fugge,  Ed  ei  sospinto 
Oo  la  vana  credenza,  c da  la  folle 
Sua  speme  insuperbito,  la  persegue 
Con  la  spada  impugnata,  E dove,  e dove, 
Dicendo,.  Enea,  ien -fuggi  ? ove  abbandoni 
La  tu^  sposa  novella?  Io  di  mia  mano 
De  la  terra  fatale  or  or  C investo, 

Che  tanto  per  lo  in'ar  cercando  andavi. 

E gridando  U incalzale  non  s’-avvede-  . 

Clic"  quel*  ohe  segue  e di  ferir  agogna, 

Non  è che  nebbia  «he  dai  vento  è spinta.  * 
Era  per*sorte  jn  su  la  riva  un  sasso 
Di  molo  ili  guisa;  ed  u>»  navilc  a canto 
Gli  era  legato,  che  la  scala  e ’I  ponte 
Avea  sir’l  I i tro,  ondejie  fu  pur  dianzi 
Osmio,  ilo'e  di  Chiusi,  in  terra  esposto. 

In  questo  legno,  di  fuggir  mosii'audoj 
iticov rossi  d’ Enea  la  fìnta  imago, 

E vi  s’ascose.  A cui  dietro  correndo 
Turno  senza  dimora  infurialo 
Il  ponte  ascese.  Era  a I#  prora  a pe.na, 

Glie  Giunon  ruppe  il  fune, £ diede  al  legno 
Per  lo  travolto  /nare  impelò  e fuga. 

Cibo.  — 33.  [616-660] 


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510  l’  ENEIDE.  [1051-1074] 

Intanto  Enea,  di  Turno  ricercando, 

A battaglia  il  chiamava.  Ed  or  di  questo 
Ed  or  di  quello  e di  molti  anco  insieme 
Facea  strage  e scompiglio  ; e la  sua  larva, 
Poiché  di  più  celarsi  uopo  non  ebbe, 

Fuor  de  la  nave  uscendo  alto  levossi, 

E con  l’atra  sua  nube  unissi  e sparve. 

Turno,  così  schernito,  e già  nel  mezzo 
Del  mar  sospinto,  indietro  rimirando, 

Come  del  fatto  ignaro,  e del  suo  scampo 
Sconoscente  e superbo,  al  ciel  gridando - 
Alzò  le  palme,  e disse:  Ab  dunque  io  sono 
D’  un  tanto  scorno,  onnipotente  padre, 

Da  te  degno  tenuto'?  a tanta  pena 
M’hai  riservato?  Ove  son  io  rapito? 

Onde  mi  parto?  Chi  così  mi  caccia? 

Chi  mi  rimena?  e lia  eli’ un’  altra  volta 

« 

Io  ritorni  a Laureatole  eh’  io  riveggia 
L’  oste  più  con  quest’ occhi?  E che  diranno 
I miei  seguaci,  c quei  che  m’  han  per  capo 
Di  questa  guerra,  che  da  me  son  lutti 
(Ahi  vitupòro!)  abbandonati  a morte? 

E già  rotti  gli  veggio,  e-già  gli  sento 
(iridar  cadendo.  0 me  lasso!  che  faccio  ? 

• L«G  1-675] 


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511 


[1075-1098]  libro  x.  ^ 

Qual  è del  jnar  la  piu  profonda  terra 
Che  mi  s’  apra  e m’  ingoi?  A voi  piuttosto, 
Venti,  incresca  di  me.  Voi  questo  legno 
Fiaccate  in  qualche  scoglio,  in  qualche  rupe, 
Cir  io  stesso  lo  vi  chieggio;  o ne  le  Sirli 
Mi  seppellite,  ove  mai  più  non  giunga 
Rutulo  che  mi  veggia,  o mi  rinfacci 
Questa  vergogna  e quest’  infamia,  ond  io 
Sono  a me  consapevole  e nimico. 

Così  dicendo,  un  tanto  disonore 
In  sè  sdegnando,  e di  sè  stesso  fuori, 
Strani,  diversi  e torbidi  pensieri 
Si  volgea  per  la  mente  e con  la  spada 
Passarsi  il  petto,  o traboccarsi  in  mezzo, 
Si  com’ero,  del  mure,  e far,  notando, 
Pruova  o di  ricondursi  ond’ era  tolto, 

0 d’  affogarsi.  E l’  una  e 1 altra  via 
Tentò  tre  volte;  e tre  volte  la  Dea, 

Di  lui  mossa  a pietà,  ne  lo  distolse. 

Dal  turbine  c dal  mar  cacciato  intanto 
Si  scorse  il  legno,  che  del  padre  Dauno 
A 4’  antica  mugion  per  forza  il  trasse. 

Mezenzio  in  questo  mentre  che  da  l’ ira 
Era  spinto  di  Giove,  ardente  c fiero 
[675-689] 


512  l’  eneide.  [4099-1122] 

Entrò  nc  la  battaglia;  c^i  Teucri  assalse 
Che  già  M cani[)o  tcucan  superbi  c Iteli-. 

Da  I'  altro  canto  le  tirrene?schicte  * . 

Mossero  iucontro'a  lui.  Conira,  lui  solo 
S’unir  tutti  de’ Toschi  e gli  odi  i e l’ armi; 
Ed  egli,-  a tutti  opposto,  al  peserò- scoglio 
Sembrava,  clic  nel  mar  si  sporga,  e i fluiti , 
E i venti  minacciar  si  senta  intorno, 

E non  punto  si  crolli.  Ognun  eh’ a Vanti 
0 l’ardir  gli  màndava  o la  fortuna 
A’  piè  si  distendea.  Nel  primo  incontro 
Ebror  di  Dolicào,  Làlago  e Palmo 
Tolse  di  mezzo.  Ebro  passò  fuor  fuori 
Con  un  colpo  di  lancia  : il  volto  c '1  teschio, 
Un  gran  macigno  a Làtago  avventando, 
Infranse  tutto,  ambi  i garretti  a Palmo 
Ch’ avanti  gli  fuggfa,  tronchi  di  netto, 

Lasciò  che  rampicando  a morir  lunge 
A suo  bell'agio  andasse  [ma  de  l’armi 
Spogliollo  in  prima,  e lu  corazza  in  collo 
E 1 elmo  in  lesta  al  suo  Lauso  ne  pose. 
Occise  dopo  questi  il  frigio  Evantej 
Poscia  Mimante  ch’era  pari  a Pari 
Di  nascimento,  c d’amor  seco  unito. 

[6  DO- 702] 


[H  23-1 J 46] . libro  x.  513 

D’  Amico  nacque,  e ne  la  stessa  nollc  * . 
Tèónaia  sua  madre  in  luce  il  diede, 
Che'diè  Paride  ai  mondo  Eeuba  pregna 
Di  fatai  fiamma.  E pur  l’un  d’essi  occiso 
' Fu -ne  la  patria  e l’ altro  sconosciuto 
Qui  cadde.  Era  a veder  Mezenzio  in  campo 
Qual  orrido,  sannuto,  irlo  cignale 
In  mezzo  a’ cani  allor  che  da’  phieli 
Di  Vèsolo,  o*da’  boschi  o da’  pantani 
Di  Laureato  è cacciato,  ove  moli’ anni 
Si  sia  difeso;  eh’ a le  reti  aggiunto 
Si  ferma;  arruffa  gli  omeri,  e fremisce 
Co’  denti  in  guiso  che  non  è chi  presso 
Osi  affrontarlo,  ma  co’ dardi  solo,  • 

E con  le  grida  a inno  salva  d’intorno 
(ìli  fan  tempesta.  Cosi  conira  a lui  * 

Non  s’arrischiando  le  nemiche  squadre 
Stringere  i ferri,  le. minacce  e l’armi 
Gli  avvenlavan  da  lunge;  ed  ei  fremendo 
Stava  intrepido  e saldo,  e con  lo  scudo 
Shattea  de  1’  aste  il  tempestoso  nembo. 

Di  Còrito  venuto  a questa  guerra 
Fra  un- greco  bandito,  Acron  chiamato, 
Novello  sposo  che,  non  giunto  ancora 
[703-720] 


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5U 


L ENEIDE. 


[il  47- 14 70] 


Con  In  sua  donna,  a le  sue  nozze  il  folle 
Avea  Tarmi  anteposte.  E in  quella  mischia 
IV  ostrp  e d’  òr  riguardevole  e di  penne, 
Sponsali  arnesi  e doni,  ovunque  andava 
Per  le  schiere  facea  strage  e baruffa. 
Mezcnzio  il  vide;  e qual  digiuno  c fiero 
Leon  da  fame  stimolato,  errando 
Si  sta  talor  sotto  la  mandra,  e rugge  ; 

Se  poi  fugace  damma,  o di  ramose 
Corna  gli  si  discopre  un  cervo  avanti, 
S’allegra,  apre  le  canne,  arruffa  il  dorso,- 
Si  scaglia,  ancide  e sbrana, e M ceffo  e f ugne 
D’atro  sangue  s’ intride  ; in  tal  sembiante 
Per  mezzo  de  lo  stuol  Mezenzio  altero 
S’avventa.  Acron  per  terra  al  primo  incontro 
Ne  va  rovescio;  e Tarmi  e ’1  petto  infranto, 
Sangue  versando,  e calcitrando,  spira. 

Morto  Acronc,  ecco  Oròde,  che  davanti 
Gli  si  lolle.  Ei  lo  segue;  e non  degnando 
Ferirlo  in  fuga,  o che  fuggendo  occulto 
Gli  fosse  il  feritor,  lo  giunge  e ’l  passa, 
L’incontra,  lo  provoca,  a corpo  a corpo 
Con  lui  s’azzuffa,  che  di  forze  e d’armi 
Più  valea  che  di  furto.  Alfin  l’atterra, 


[720-735] 


[1171-1194]  libro  x.  5 1 5 

l 

E 1*  asta  e’1  piè  sopra  gl’ imprime  e dice  : 
Ecco,  Oròde  è caduto.  Una  gran  parte 
Giace  de  la  battaglia.  A questa  voce 
Lieti  alzaro  i compagni  al  ciel  le  grida: 

Ed  ci  mentre  spirava,  Oh,  disse  a lui. 

Qual  che  tu  sii,  non  Ila  senza  vendetta 
La  morte  mia:  nè  lungamente  altero 
N’  andrai:  chè  dietro  a me  nel  campo  stesso 
Cader  convientirA  cui  Mezenzio  un  riso 
Tratto  con  ira,  Or  sii  tu  morto  intanto, 
Rispose,  e quel  che  può  Giove  disponga 
Poscia  di  me.  Così  dicendo  il  tèlo 
Gli  divelse  dal  corpo,  ed  ci  le  luci 
Chiuse  al  gran  buio  ed  al  perpetuo  sonno. 

Cèdico  occise  Alcàto  ; Socratóre 
Occise  Idaspe  ; a due  la  vita  tolse 
Rapo,  a Partènio  ed  al  gagliardo  Orsone; 
Messàpo  anch’egli  a due  la  morte  diede: 

A Clònio  da  cavallo,  mi  Ericate, 

Ch’era  pedone,  a piede.  Agi  di  Licia 
Movendo  incontro  a lui,  fu  da  Valero 
Valoroso,  e de’ suoi  degno  campione, 

A terra  steso  ; Atron  da  Sàlio  anciso; 

E Sàlio  da  Nealce,  che  di  dardo 
[73C-754] 


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516  l’  EftEiDE.  [1195-Ì2IS] 

Era  gran  feritore  e.  grande  arciero. 

D’ambe  le  parti  erano  Morte  c Marte 
Del  pari  ; e parimente  i vincitori 
E i vinti- ora  cadendo,  ora  incalzando, - 
Seguian  la  zuffa;  nè  viltà*  nè  fuga 
Nè  di  qua,  nè' di  là  vedeasi  ancora..* 

I,’  ira,  la  pertinacia  e le  fatiche 
Erano  e quinci  u quindi  ardenti  e vane. 

E di  questi  e,di  quelli  aVean  gli  Dei, 

* 

Cdie  dal  ciel  gli  vèdean,  pietà  e cordoglio. 

Stava  di  qua  Cipr  igna  e di  là  Giuno 

A rimirarli;  e pallida  framezzo  -, 

Di  nlolte  mila  infuriando  andava 
♦ 

Ea  nequitosa  Erinni.  Una  grand'  asta  • 

Prese  Mezenzio  un’altra  volta  in  mano 
E turbato  squassandola,  del  campo 
Piantoci  in  mezzo,  ad  Orlon  simile 
Oliando  co’ piè  calca,  di  Nèreo  i fluiti, 

f 

E sega  Tonde,  con  le  spalle  sopra  * 

A Tonde  tutte;  o qual  da’  monti  a l’aura 
Si  spicca  annoso  ceri  o,  e ’l  capo  asconde 
lidi  a Ip  nubi.  In  tal- sembianza  armato 

Stava  Mezenzio.  Enea  tosto  clie’l  vede 

> 

Patto  incontro  gli  muove.  Ed  egli  immoto 
[754-770] 


unno  x. 


517 


| ili  9- «42  J 

Di  coraggio  e'di  corpo  mi  aspettarlo 
Sta  quaTpilastro  in  sè  fondato  e saldo. 
Poscia  eh’ a tiro  d’asta  Avvicinato  , 

Gli  fa  d’ avanti,  O mia  destra,  o mio  dàrdo, 
Disse,  che  dii  mi  siete,  il  vostro  nume 
A questo  colpo  imploro:  ed  a te,  Lauso, 

Già  di  questo  ladroir  le  spoglie  e Pórmi 
Per  mio  trofeo  consacro,  li,'  cosi  detto, 
Trasse.  Stridendo  ondò  per  1’  aura  il  tèlo; 
•Ma  giunto,  e -da  lo  scudo  in  altra  parte 
Sbattutoci  lontan  percosse  Autore 

Fra  le  costole  c ’l  fianco,  Anton  d’ Alcide 

' » , 

Onorato  compagno.  Era  venuto 

D’Argo  ad  Evandro:  e qui  cadde  il  meschino 

D’ altrui  ferita.  Nel  cader  le  bici  ^ 

Al  ciel  rivoHe,  e d’Argo  il  dolce  nome 
Sospirando,  le  chiuse.  Enea  con  l’asta 
Ren  tosto  a lui  rispose.  E lo  suo  scudo 
Percosse  anch’egli,  el’  interzate  piastre 
Di  ferro  e le  tre  etioia  e le  tre  fa  hi  e 
Di  tela*  ond’era  cinto,  inflno  al  vivo 
Gli  passò  de  la  coscia.  Ivi  fermossi, 

Chè  più  forza  non  ebbe.  Ma  ben  tosto 

-N 

Ricovrò  con  la  spada,  e (iero  e lieto, 
[771-78GJ 


518  l’ Eneide.  [1243-1266] 

Visto  già  del  nemico  il  sangue  in  terra 
E ’l  terror  ne  la  fronte,  a lui  si  strinse. 

Lauso,  che  in  tanto  rischio  il  caro  padre 
Si  vide  avanti,  amor,  téma  e dolore 
Se  ne  sentì,  ne  sospirò,  ne  pianse. 

E qui,  giovine  illustre,  il  caso  indegno 
De  la  tua  morte,  e ’l  tuo  zelo  e’1  tuo  fatto 
Pion  tacerò;  se  pur  tanta  pielate 
Fia  chi  creda  de’ posteri,  e dHin  figlio 
D’un  empio  padre.  Il  padre  a si  grgn  colpo 
Si  trasse  indietro,  che  di  già  ferito, 

Benché  non  gravemente,  c da  l’intrico 
De  l’asta  imbarazzato,  era  a la  pugna 
Fatto  inutile  e tardo.  Or  mentre  cede, 

Mentre  che  de  lo  scudo  il  dardo  ostile 
Di  sferrar  s’  argomenta,  il  buon  garzone 
Succede  ne  la  pugna,  e del  già  mosso 
Braccio  e del  brando  che  stridente,  e grave 
Calava  per  ferirlo,  il  mortai  colpo 
Ricevè  con  lo  scudo  e Io  sostenne. 

E pereti’ agio  a ritrarsi  il  padre  avesse 
Riparato  dal  figlio,  i suoi  compagni 
Secondàr  con  le  grida;  e con  un  nembo 
I)  anni,  che  gli  avventàr  tulli  in  un  tempo, 
[787-801] 


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519 


[1267-4290]  unno  x. 

Lo  ributterò.  Enea  via  più  feroce 
Infuriando  sotto  al  gran  pavese 
Si  tenea  ricoverto.  E qual,  cadendo 
Grandine  a nembi,  il  vialor  talora, 

Ch’  in  sicuro  a l’albergo  è già  ridotto, 

Ogni  agricola  vede,  ogni  aratore 
Fuggir  da  la  campagna  ; o qual  d’  un  greppo 
D’  una  ripa,  o d’un  antro  il.  zappatore, 
Piovendo,  si  fa  schermo,  e’I  sole  aspetta 
Per  compir  l’opra;  in  quella  stessa  guisa, 
Tempestato  da  L’  armi  Enea  la  nube 
Sostenea  de  la  pugna;  e Lauso  intanto 
Minacciando  garria  : Dove  ne  vai, 
Mescbinello,  a la  morte?  A che  pur  osi 
Più  ehe  non  puoi  ? La  tua  pietà  t’ inganna, 
E sci  giovine  e soro.  Eì  non  per  questo, 
Folle,  meuo  insultava  : onde  più  crebbe 
L’ ira  del  teucro  duce.  E già  la  Parca, 

Vota  la  rócca  e non  pieno  anco  il  fuso, 

Il  suo  nitido  filo  avea  reciso. 

Trasse  Enea  de  la  spada,  e ne  lo  scudo, 

Che  liev’era  e non  pari  a tanta  forza, 

Lo  colpi,  lo  passò,  passògli  insieme 
La  veste  che  di  seta  e d’ òr  contesta 
[802-818] 


520 


l’emeioe.  [12D  [ -43  H] 

(ìli  uvea  la -stessa  madre;  e lui  per  inezzo 
Trafisse,  c moribondo  a terra  il  trasse. 

Ma  poscia  clic  di  sangue  e di  pallore 
Lo  vide  asperso  e della  morte  in  preda, 

Ne  grillerebbe  e ne  pianse;  e di  paterna 
Pietà  quasi  un  imago  avanti  agli  occhi 
Vedtfl*  gli  pane,  e’ntcnerito  il  core, 

Slese  la  destra  e sol levol lo,  e disse  : 
Miserabil  fanciullo!  e quale  aita, 

•Quale  il  pietoso  Enen  può  farli  onore 
Degno  de  le  tue  lodi  e del  presagio 
Clic  il’  hai  dato  di  te  1 L’  armi  che  tanto 
Ti  son  piaciute,  a te  lascio,  e M tuo  corpo 
A la  cura  de’  tuoi,  se  di  ciò  cura 
Ila  pur  1’  empio  tuo  padre,  acciò  di  tomba 
E d’ ossequio  l’  onori.  E tu,  mesebino, 

Poi  che  dal  grande  Enea  morte  ricevi, 

Di  morir  ti  consola.  Indi  assecura, 

Sollecita,  riprende,  c de  l’indugio  . 

Garrisce  i suoi  compagni  ; e.di  sua  mano 
L’  alza,  il  sostiene,  il  terge  e de  la  gora 
Del  suo  sangue  lo  traggo,  ove  rovescio 
(■iacea  languido  il  volto  c lordo  il  crine, 

Che  di  rose  eran  prima  e d’ostro  e d’-oro. 

[8 19-S32J 


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[1315-1338}  libro  x.  '*  521 

• Stava  dei  Tebro  in  sii  la  riva  intanto. 

Lo  sfortunato  padre,  e la  ferita 
Già  lavata  ne  1’ onde,  afflitto  e stanco 
S’  era  con  la  persona  appo  d’-un  tronco 
Per  posarsi  appoggiato  ; e l’elmo  arante 
Da’ rami -gli  pendea.  L’armi  più  gravi 
Sii  ’l  verde  prato  avcan  posa  con  lui. 
Stavagli  intórno  de’ più  scelti  un  cerchio 
E de’  più  (idi.  Ed  egli  anelo  ed  egro, 

Chino  il  collo  al  troncone  e ’l  mento  al  petto, 
Molto  di  Lauso  interrogava,  e molti 
Gli  mandava  òr  con  preci  or  con  precetti, 
Ch’ai  mesto  pudr$  ornai  si  ritraesse. 

Ma  già  vinto,  già  morto  e già  disteso 
Sopra  al  sua  scudo,  a braccia  riportalo 
Da’ suoi  con  molto  pianto  era  11  meschino. 

Udì  Mezcnzio  il  pianto,  c di  lontano  . 
(Come  del  mal  sovente  è I’  uom  presago) 
Morto  il  figlio  conobbe.  Onde  di  polve 
Sparso  il  canuto  crine,  ambe  le  mani 
Al  ciel  alzando,  al  suo  corpo  accostossi  : 

Ab  mio  figlio,  dicendo,  ah  come  tanto 
Fui  di  vivere  ingordo,  che  soffrissi  : 
Te,  di  me  nato,  andar  per  me  di  morte 
[833-817] 


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522 


L’  EHEIDE. 


[1^.39-1362] 

A si  gran  rischio,  a tal  nemica  destra 
Succedendo  in  mia  vece?  Adunque  io  salvo 
Son  per  le  tue  ferite?  Adunque  io  vivo 
Per  la  tua  morte?  0 miserabil  vita, 

0 sconsolato  essiglio  ! Or  questo  è ’l  colpo 
. Ch’ai  cor  m’è giunto.  Ed  io,  mio  liglio,  io  sono 
C’ho  macchiato  il  tuo  nome,  c’ho  sommerso 
La  tua  fortuna  e’I  mio  stalo  felice 
Co’ demeriti  mici.  Dal  mio  furore 
Son  dal  seggio  deposto,  lo  son  che  debbo 
Ogni  grave  supplizio  ed  ogni  morte 
A la  mia  patria,  al  grand’  odio  de’  miei. 

E pur  son  vivo,  e gli  uon\ini  non  fuggo? 

E non  fuggo  la  luce?  Ah  fuggirolla 
Pur  una  volta.  E,  così  detto,  alzossi 
Su  la  ferita  coscia.  E benché  tardo 
Per  la  piaga  ne  fosse  e per  1’  angoscia, 

Non  per  questo  avvilito,  un  suo  cavallo  % 
Ch’era  quanto  diletto  e quanta  speme 
Avea  ne  l’armi,  e quel  che  in  ogni  guerra 
Salvo  mai  sempre  e vineitor  lo  rese, 

Addur  si  fece.  E poi  che  addolorato 
Sci  vide  avanti,  in  tal  guisa  gli  disse: 
flebo,  noi  siam  fin  qui  vissuti  assai 
[S47-S6 1] 


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523 


[13G3-1383]  libro  x. 

Se  pur  assai  di  vita  ha  mortai  cosa. 

Oggi  è quel  dì  che  o vincitori  il  capo 
Riporterei!!  d’  Enea  con  quelle  spoglie 
Che  son  de  Parimi  del  mio  figlio  infette, 
E che  tu  del  mio  duolo  e de  la  morte 
Di  lui  vendicato!'  meco  sarai  ; 

0 che  meco,  se  vano  è ’I  poter  nostro, 
Finirai  parimente  i giorni  tuoi; 

Chè  la  tua  fè,  cred’  io,  la  tua  fortezza 
Sdegnoso  ti  farà  d’  esser  soggetto 
A’ miei  nemici,  e di  servire  altrui. 

Così  dicendo,  il  consueto  dorso 
Per  sè  medesmo  il  buon  Rebo  gli  offerse. 
Ed  ci  l’elmo  ripreso,  il  cui  cimiero 
Era  pur  di  cavallo  un’irta  coda, 

Suvvi,  come  potè  commodumente, 

Vi  s’adagiò.  Poscia  d’acuti  strali 
Ambe  cardie  le  mani,  infra  le  schiere 
hanciossi.  Amor,  vergogna,  insania  c lutto 
E dolore  e furore  e conscienza 
Del  suo  stesso  valore  accolti  in  uno 

1 Tutte  l’edizioni  hanno  armi,  ma  stmdo  ai  tetto 
sicuramente  apparisce  che  dovrebbe  dire  sanguk. 
Il  lettore  giudichi  di  questi  osservazione. 

Ediz.  Passigli. 

[864-872] 


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52i  l’  eneìde.  [I384-J407] 


fili  arseroil  core  e gli  avvampato  il  volto. 

Qui  tre  volte  a gran  voce* Enea  sfidando 
Chiamò;  che  tosto  uilillo,  c baldanzoso, 

Così  piaccia  al  gran  Padre,  gli  rispose, 

Cosi  f inspiri  Apollo.  Or  vien  pur  via, 
Soggiunse.  E ratto  incontro  gli  si  mosse. 

Ed  egli:  Ali  dispietato!  a che  minacci, 

Già  che  morto  ò ’i  mio  figlio?  In  ciò  potevi 
Darmi  tu  morte.  Or  nè  h morte  io  temo,> 
Nè  gli  tuoi' Dei.  Non  più  spaventi.  Io  vengo 
Di  morir  desioso;. e questi  doni 
Ti  porlo  in  prima.  E’I  primo  dardo  trasse: 
Poi  l’altro  e l’altro  appresso  ; c via  traendo 
Gli  discorrea  .d*  intorno.  Ai  colpi  tutti 


Resse  il  doralo  scudor  E già  tre  volte 
1/ Un  girato  il  cavallo,  e l’altro  il  bosco 
Avca  de’  datali  nel  suo  scudo  infissi, 
Quando  il  figlio  d Anchise,  impaziente 
Di  tanto  indugio  c di  sferrar  tant  aste, 
VisloM  suo  disvantaggio,  a molte  cose 
Andò  pensando.  Alfiu  di  guàrdia  uscito 
Addosso  gli  si  spinse,  e trasse  il  tèlo, 

Si  che  del  corridore  il  teschio  infisse  - 
In  mezzo  de  la  fronte.  Inalberossi 


[872-S92] 


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525 


[1408-1 43 i]  tiBRo  x. 

A r quel  colpo  11  feroce,  e calci  a l’aura 
Traendo,  scalpitando,  c '1  collo  e ’1  tèlo 
Scotendo,  s’ intricò  : càddtf  con  l’ asta, 

Con  l'arnvi,  col  campione  a capo  chino 
Tutti  in  un  mucchio.  Andàr  le  grida  alcielo 
De’  Latini  e de’  Teucri.  E tòsto  Enea 
Cor  bratrdo  ignudo  gli  fu  sopra  e disso: . ' 
Or  do*!  éu quel  sì  fièro  e sì  tfomendo 
Mezenzfo  ? Ov’ò  la  sua  tanta  bravura*? 

E’I  Tosco  a lui,  poiché  l’ afflitte  luci  v 
Al  ciel  rivolse,  e seco 'si  ristrinse: 

Crudele,  a’cbe  m?  insulti  ? A'  me  di  biasmo 
Non  è oh.’  fo  muoia  { nè  per  vmeeiyteco 
Venni  a battàglia.  11  mio  Lauso  moreddo 
Fe  con  te  patto  che  morissi  anch’io. 

Solo  ti  prègo  (se  disgrazia  alcuna  '? 
Son  «legni  i vinti)  cheM  mip’corpojasèl 
Coprir  di  tèrra.  Io  so  gli  odii  immortali 
Che. mi  portano  i miei.  D,»l  furor  loro 
Ti  supplico  a sottrarmi,  e col  mio  figlio 
Consentir  che  mi  giaccia.  E,  ciò  dicendo, 

La  gota  per.  sé  stesso  al  ferro  offerse  ; 

E cdn  nn  fiume  che  di  sa'ngué'sparse 
Sopra  1’  armi  vòrSò’Y'anima*  e-M  fiato. 
Caro.—  34.  ' [892-908] 


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526  *-•  ' [I*t8] 

• ; • • " ' . * 

" DELL'  ENEIDE  ‘ \ 

. Libro  Undeci.^o/ 

5 .•  - * 

«V 

Passò  la  notte  intanto,  e già  dal  mare 
Sorgea  P-  Aurora.  Enea, quantunque  il  tempo, 
I,’  officio  eia  pietà  più  lo  stringesse 
A seppellire  i suoi,  quantunque  offeso'  * 

Da  tante  mòrti  il  cor  funesto  avesse;  / 
Tosto  che  ’l  sole  apparve,  ii»  voto  sciolse 
De  la  vittoria.  E sovra  un  picciol  celle 
Tronfia  de’rami  iina  gran  quercia.cresse  : 

De  1’  armi  la  Éinvolse,  e de  le  spòglie 
1/ adornò  di  Mezenzio  e per  trofeo  . _ , 

A te,  gran  Marte,  dedkolla.  In  cima 
L’ elfno  vi  pose,  e’h  su  l’elmo  il  cimiero, 
Ancorali  polve  e d’atro  sangue  asperso-  • 

E’  aste  d’ intorno^  attraversate  e rotte 
Stavan  quai. secchi  rami; e M tronco  in  mezzo 
, Sostenea  la  corazza  che  smagliata 

E da  dodici  colpi  era  tratta.  • <■ 

Dal  manco  lato  gli  pcndea  lo  scudo  : 

- [1-403  * 


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527 


[19-42]  LIBRO  XI. 

Al  destr’ omero  il  brando  era  attaccalo,,, 

Che’l  fodro  uvea  d’ avorio  e V else  d’  oro, 

- » * ' * - 

Indi  4 suoi  dopi  e le  sue  genti  accolte, 

Che  liete  gli  gridar  vittoria  intorno, - 
In  colai  guisa  r confortar  si  died^:- 

Compagni, il  più-s’è  fatto.  A qualche  resta 
Nulla  terri eie.  Ecco  Mezenzio  è morto 
Per  le  mie  mani,  e queste  che  vedete, 

L'  opime  spoglie  e le. primizie  sono 
DqI  superbo  tiranno.  Ora  a le  mura 
Ce  u’  andrena  di  Latino.  Ognuno  a Partili 
S|  accinga  : ognun  s’ affidi,  e si'prometta  . 
Guerra  e vittoria.  In  punto  vi  mettete, 

Chè  quando  dagli  augurii  ne  s’ aceenne 
Di  muover  campo,  e che  mestici’  ne  sia 
D?  inalberai’  P insegne,  indugio  alcuno 
Non  e*  impedisca,  o *1  dubio  o la  paura 
Non  ci  ritardi.  In  questo  mezzo  a*  morti 
Diam  sepoltura,  e quel  che  lor  dovuto 
« È sol  dopo  la  -morte,  eterno  onore. 

Itene  adunque,  e quell’  ànime  chiare  , 

Che  ti’hau  col  proprio  sangue  e con  ia  vita 
Questa  patria  acquistata  e tjtfcsto  impero, 

- I)’  ultimi  doni  ornale.  E -primamente 

[11-26] 


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528  j/  emeide.  [43-66J 

Al  mesto  Evandro  il  Piglio  si  rimandi, 

Che,  di  'verta  maturo  c d’  anni-acerbo. 

Così  n’ha  morte  indegnamente  estinto.  • 

Ciò- detto,  lagrimando  il'passo*  volse- 
Vèr  la  mangione;  iPili  Pollante  il  corpo 
Dal  vecchierello  Aqète  era  guardato. 

Era  costiti  già  del  parrasio  Evandrg 
Donzello  d’  armi  ; e' poscia  per  compagno. 

Fu  (ma  non  già  con  si  lieta  fortuna) 

Dato  al  suo  caro  alunno.  Avea  coi!  lui 
D’Arcadi  sudi  vassalli  e di  Trbiani  ' . • *■ 

Una  g+an  turili.  Scapigliatele  meste 
Le  doitn'e  d’ìlio,  compera  usanza, 

Gli  piangevano  intorno  ; e non  fu  prima 
Enea  comparso,  die  le  strida  e i pianti 
94  rinovaro.  il  batter  de  le  mani, 

Il  suon  de’ petti,  e de  l’albergo  i mùgghi 
IN’ andar  fino  a le  stélle.  Ei  poi  clic  vide  * 

Il  suo  corpo  disteso,  e ’l  bianeo  volto, 

E I’  aperta  ferita  che  nel  petto  - . 

Di  man  di  Turno  avea  larga  e profonda, 
Cagri mando  proruppe»  0 miserando 
Fairciullo,  e che  hi i vai.  s’  amica  e destra 
Mi  si  mostra  fortuna  ? E che  ih’, ha  dato, 
[26-43] 


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[G7-90],  LIBRO  XJ.  09 

* - ' 

Se  te  m’  ha  tolto  ? Or  che  vincendo  ho  fatto.? 

Che  regnando  faj*ò,  se  tu  non' godi  . -, 

De  la  vittojria  mia,  nè  del  mia  regno? 

Ah  ! non  fee'io  queste  promesse  al loju 

Ai  buon  Evandro,  eh’  a I’  acquisto -venni 

Di  quqtfUMinpéi‘0.  E ben  temette  il  saggio* 

E benone  ricordò  chè  duro  intoppo; 

E d’ aspra  genteyavremmo.  E forse  ancora 

Il  meschino  or  fa  voti  e preci  e doni 

Per  la  nostra  salutò,  e' Vanamente 

Vittoria  s’ impromette.  E pg]  con  vana 

Pompa  gli  riportiam  questo. infelice 

Giovine  di 'già  morto,  e di  già  nulla 

Più  tenuto  a’celesif.'Ahi  sconsolale 

Padrei  vedrai  tu  jdunque  una' si  cruda  . 

Morte  del  figlio  tuo  ? Questo-eit orno, 

Questo  trionfo,  oim^l  d’  ambi  aspettarvi? 

E da  uve  questa  fede  ?'0h- pur,  Evandro,  . 

Noi  vedrai-già  di  vergognosi  piaghe 

Ferito* iT  tergo  ;'è  non  gli  arai  tu  stesso 

(Se  con  infamila  te  vivo  tornisse} 

A desiar  la  morie.  Ahi  quanto- manca 

Al  sossidio  d’Ilpliu,  e quanto  perdi, 

Mio  figlio  kdol  E,  posto  ai  pianto  fine, 

[41-59] 


à30 


l’-eneide. 


[91-114] 


« é * 

Ordine  diè  che  ’l  miserubil  corpo 
Via  si  togliesse;  e del  suo  campo  tutto 
Scelse  di  mille  una  pregiat-a  schiera 
('.he  scorta  gli  facesse  e pompa  intorno, 
K d’ Evandro  a le  lagrime  assistesse, 

K le  sue  gli  mostrasse;  a tanto  lutto 
Assai  dehil  conforto,  è pur-flovuto 
Al  suo  misero  padre.  Altri  al  suo  corpo, 
Altri  a la  bara  intenti  avean  di  quercia, 
D’arbulo  e di  tali  altri  agresti  rami 
Fatto  un  farètra  di  virgulti  intesto, 
lì  di  (rondi  coperto,  ove  altamente 
Del  giovinetto  il  delicato  busto 
Composto  si  gtacea  qual  di  viola, 

0 di  giacinto  un  languidetto  fiore 
Còlto  per  man  di  vergine,  e serbato  . 
Tra  le  sue  st_esse  foglie  plldr  che  scemo 
Non  è del  lutto  il  suo  natio  colore, 

Nò  la  sua  forma;  c pur  da  la  sua- madre 
Putito  di  cibo  o di  vigor  non  ave. 

Enea  due  preziose  vèsti  intanto 
F’  una  d’  òr  fino  e l’altra  di  scarlatto. 
Addursi  fece;  ambe  ornamenti  e doni 
De  la  sidonia  Dido,  c da  lei  stessa 
[89-74] 


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[ifcMSS]  LIBRO  XU  Olii 

Con-"doJce  studio  e con  irfi-rabil  arte 

f . 1 m • 

Ricamate  e distante:  E 1*  urta  indosso 
Gli  pose,  e l'  altra  wi  capo,  ultimo  onore 
Con  che  dolente  I?  dorata  chiòma  ‘ ; 
Àtlor  velògli,.ch’era  additta  al  foco. 

De  le  prede -oltre  a ciò  di  LaiirentO1- 
Gli  fa  gran  parte.  Fagli  in  ordinanza 
Spiegar  V armi,  i cavalli  e l’ altre  Spoglie 
Tolte  a’  nimici.  Gli  fa  gir  legati 
Con  le  man  dietro  i destinati  a mofte 
Per  ouoranza  del  funereo  vogo. 

Portar  gii  fa  d’ avanti  a’  duci  loro 
L’  armi  ai  tronchi  sospese,  e i nomi  scritti 
Degli  occisi  c de’  y ititi,  li  secchio  Acete 
Che,  si  cpm’  era  afflitto  e d’anni  grave, 

Gli  era  appresso  condotto,  or  con  le  pugna 
Si  battea  ’l  petto,  cd  ór  con  P ugna  il  volto 
Si  latfersfva,  e Ira  ig  polve  e’I  fango 
Si  volgea  tutto,  Ivano  i carri  aspersi 
Del  sangue  de’  Latini,  iva,  lugubre, 

E d’  ornamenti  ignudo  Eto,  il  più  fido 
Suo  cavai  da  battaglia,  che  gemendo 
■ In  guisa  umana  e fagiitnando  andava. 
Seguian  le  meste  squadre  i Teucri, i Toschi 
[75-92] 


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r*  J£  gli  Archili, "con  1’  armi  e con  l’ insegne. 

Rivolte  a terra.  Or  poi  -eh’ oUrcpassalii 
. . Con  quest’ordine  (a  la  pompa  tutta, 

tue»  ferflaossi,  e verso  il  morto  amico  . • . 
0 . Ad  alla  voce  sospirando-disse;,  ' . 

• Noi  qui  nei-' ad  altre  lagrime  chiamati 

Dal  medesimo  fato-,  altre  battaglie 
Imprenderemo.  E tu,  magno  Fallante, 

Vattene., in  pace,  e cbn  eterna  gloria 
Godi  eterno  riposo.  Indi  partendo 
Vèr  Falle  mura, al  campo  si  ritrasse. 

Eran  Ocl  eainpo  già  co’ raini  avàuti 
J.  Di  pacifera  oliva  ajnbasciadori 

De  la  città  latina  a lui  venuti, 

Che  tregua  a’vivie  Sepollucaa’  morti 

« t 

v Fregando,  gli  mostràr  che  più  co’. vinti 

Nè  co’  mqrti  è contrasto,  e che  Latino 
Gli  era  d’  ospizio  amico,  e .che  chiamato 
^ L’ avea-genero  in  prima.  Il  buon  Troiano  • 

A le  giuste  preghiere,  ai  lor  quesiti,  - ^ 

• . Che  di  grazia' eVan  degni,  incontinente 

Grazioso  mostrosji;  e da  vantaggio  I 

i Costlor  disse  :'E  qual  indegna  sorte.  m-  '•  . 

Conira  me,  miei  Latini,  in  tanta  guerrìr-  - 
[93-108] 


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533 


[163-186]  libico  xi. 

Così  v’  intrica  ? chè  pur  vostro  amico 
San  qiiTycnuto;  nè  venuto  ancora 

Vi  sarei,  se  da’ fati  e dagli  Bei*. 

/ * * 

Mandato  io  non  vi  fossi.  E non  pur  paca,  , 
Siccome  vói  chiedete, To  vi  concedo 

7 . j t 

Per  color  che  sou  morti,  ma  codivi  v 
Ve  T offro,  e la  vi^hieguo.  E*  la  mia  guerra  -• 
.Non  è con  voi  : tpa  ’l  vostro  Ve  s’è  tolto 
Da  1’  amicizia  mia  ; s’.è  confidato 
Più  ne  l’armi  di  Turno,  c ^Turilo  ancora 

• I 

Meglio  e più  giustamente  in  ciò  farebbe, 

•S’a  questa  guerra  sol- con  suo  periglio 
Ponesse  fine.  E poiché  si  dispose  fc 
Di  cacciarmi  d’  Italia,  rtsuo  dovere 
Fora  stato  che  meco,  e con  quest’ armi 
Diffidila  1’  avesse.  E saria  visso 
Cui  la  sua  propria  deslra  e Dio  concesso- 
Più  vita  avesse  i "Vostri  cittadini 

Non  sarian  morti.  On  poiché  nlorti  sono, 

Io  me  ne  dolgo,  e voi  gli  seppellite. 

Resterò  al#dir  <F Enea  stupidi  e cheti 
1 latini  oratori,  e l’ un  con  V altro 
Si  guardarono  ifl  volto.  Indi  il  più  vecchio,  . 
I>rance  nomato,  a. cui  turno  fu  sempre 
[109-1-23] 


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534  l*  eixeide.  [187-210] 

Per  sua  natura  e per  sua  colpa  ifl  fra, 

Rotto  il  silenzio  in  tal  guisa  rispose: 

0 di  fama  e più  d’  arme  eccelso  e grande 
Troiand  Eroe,  qual  mai  fia  nostra  lode 
Cfie’l  tuo  gran  mer.to  agguagli?E  dicho-prima 
Ti  loderemo?  ch’io  non  veggio  quale 
In  te  maggior  si  mostri,  o la  giustizia, 

<)  la  gloria  de  Panili.  A questa  tanta 
Grazia,  che  tu  ne  fai,  grati  saremo: 
Rapporto  ne  faremo  ; è s’  al  consiglio 
Nostro  sfortuna  umica,  amico  ancora 
Ti  ha  Latino.  E cerchisi  d’altronde 
Turno  altra  lega.  A noi  co’ sassi  in  collo 
Gioverà  di  trovarne  a fondar  vosco 
Questa  vostra  fatai  novella  Troia. 

. Poi  che  Drance  ebbe  detto,  ai  detti  suoi 
Tutti  gli  altri  fremendo  acconsentirò, 

E per  dddici.  di  commerzio  c pace 
Imi  tra  1’  un  oste  e l’altro.  E senza  offesa^ 
Entrambi  si  mischiaro,  e per  gli  monti 
h per  le  selve  a lor  diletto  andaro. 

Allor  sonare  accétte,  e strider  carri 
Per  tutto  udissi.  In  ogni  parte  a terra 
Ne  giro  i corri  c gli  «orni  c gli  alti  pini 
[133-430] 


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1 


[2H ;**J1 

K gli  odorati  cedri  ai  funebre-  usa  - 
Svelti,  squarciati  e tronchi  E W i,  f 

^IlanleaPallantèo.^ 

>tea  pria  le  sue  prove,  e vincitore  r . 
L avea  gridato,  or  d’.ogoi  parte  grida 

Che  -morto  si  rinorf’ì  in  ’ 

I a ri!,.,  , . P a’  CIO  commossa  . . 

, “ r“''  ,UUi>’  vcdovHe  aspetto 
!><  funeste  facell.e,  e d’atri  panni 
^ vtde  pteua  j c vèr  le  porte  ognuno  . 

P "lco"lr<>-  Si  vede»  di  lumi  • 

E Ji  geni,  una  fila  «Ite  le  strade 

. . camp.  lunga  pompa  attraversava. 

Pii  'B'  C.8  ' ' tUl  suo  corpo  intanto  * 

tangendo  ne  veniali  da  V altra  parte 

E eoa  p, ante- incontrarsi.  Indi  rivolti  ’ 

r“lV  'a  ci"4-  "co  pria  far  giunti. 

Clic  di  pianti  di  donne  e d’ululati 
Risonar  tl-pgii- intorno  il  cielo  udissi..' 

Re  forza,  ne  consiglio,  ne  decoro, 
o eh  Evandro  tenesse.  Usci  nel  mezzo 
, ' lnt,a  «enlci  c la  funèrea  bara 
panando,  addosso  al  figlio  'in  abbandono 
; fe  Ò’ 1 cRRracctd,  stretto  lo  tenne 
l-coga  fiatale  da  I’  angoscia  oppresso 
[137-150] 


536 


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53fr  ( l’  p.keide.  [235-258] 

Pria  lacrimando,  e sospirando  tacque.  ' * 
Poscia  (astraila  al  grap  dolore  aperta  ' 
Così  proruppe;  Oinió  Pallente,  e queste* 
Fùr  le  promesse  tue,  quando  partendo 
Il  tuo  padre  lasciasti  ? In  questa  guisa 
D’ esser  guardingo  e cauto  ini  dicesti  “ * 
Ne!  perigli  di  Marte?  Ah!  ben  sapeva, 

Ben  sapev’  io  quanto  ne  l’armkprime 
Fosse,  in  cor  generoso,  ardente ’e  dolce 
Il  desio  de  la. gloria  e de  F onorev 
Primizie  infauste,  infausti  fondameli  H- 
De  la  tua  gioventù  ! Vane  preghiera 
Voti  miei  non  accetti  c non  intesi 
Da  niun  dio!  Santissima  Consorte, 

Che  morendo  fuggisti  un  dolor  tale, 

Quanto  sei  tu  di  tua  (porte  felice  ! 

Quanto  infelice  e misero  son  io, 

Che  vecchio  e padre  al  mio  diletto  figlio 
Sopravivendo,  i miei  fati  e i miei  giorni 
Prolungo  a mio  tormento  f Ah  foss’  io  stesso 
Uscito  co’ Troiani  a questa  guerra  ! 

Ch'  io  sarei  morto;  e questa  pompa  avrfeblie 
Me  così  riportalo,  e non, Pallente. 

Nò  per  questo  di  voi,  nè  de  la  lega, 

[150-164] 


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[259-282]  «lirico  xi.  . 537 

Nè  de  T ospizio  vostro  to  mi. camma  reo, 

' I 

Troiani' amici..  E Ca  a la  mia  vecchiezza  ~ 
Questa' sorte  dovuta.  E se  davea  . , 

Cader  òlio  figlio,  perciiè  tanta  strage  - 
Io  vedessi.de’ Volaci,  e perchè  Lazio 
Fosse  a’  Teucri  soggetto,  jn  pace  io  soffro 
Che  sia  caduto..^  più  compito  onore 
Non  onèsti  da  me,  Pallante  mio, 

Di  questo  che ’l  pietoso c maglio  Enea  . 

E i suoi  magni  Troiani  e i Toschi  duci 
E tutte  insiemi  le  toscane  genti  f 
V Iran  procurato.  Con  sì  gran  trofei  . 

Del  tuo  valor  sì  chiara  mostra  han. fatto, 

E de’ vinti  da  te.  Nè  fòra  meno  - 

Tra  questi  il  tuo  gran  tronco,  s’ a te  fosse, 

r 

Turno,  st&to  d’età  pari  il  mio  figlio,  t ! 

E par  de  là  persona  e de  le  forze  . 

Che  ne  dan  gli  anni.  Ma  che  più  trattengo 
Quest’  armi. a’ Teucri  ? Andate, edu  miffcparte 
Kiferite.ad  Enea,. che  qqel  ch’io  vivo>  . 
Dopo  Pallante,  è sol  perchè  l’invitta 
Sua  destra,  come  vede,  affiglio  mio 
Ed  a me  deve  Turno.  E questo  solo 
Gli  manca  pei*  eolmar-la  sua  fortuna 
[164-179] 


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~v 


538  l’  eneide.  [283-306] 

E ’l  suo  gran  merlo  ;,chè  p.er  mio  conlenio 
Noi  curo;  e contentezza  altra  non  deggip 
Sperare  io  più,  clic  di  portare  io  stesso 
Questa  novella  di  Fallante  a Fì)inbra. 

Avet»  l'Aurora  col  suo  lun>e  intanto 

% 

Il  giorno  e T opre  e le  fatiche  insieme 
Ricondotte  a’ mortali.  Il  padre  Enea 
E ’l  buon  Tareonte,  ambi,  in  su’!  curvo  lito 
I cadaveri  addotti,  a’ suoi  ciascuno, 

Com’era  l’uso,  un’alta  pira  eresse, 

* * 

La  compost;  c I iircese.  E mentre  il  foco  x 
Ili  fumo  e di  caligine  coverto 
Tenea  IVaere  intorno,  in  ordinanza 
Tre  volte,  armatila  pie  la  circondaro, 

E tre  volte  a cavallo,  in  mesta  guisa 
Ululando,  piangendo,  e 1’  armi  e’I  suolo. 

Di  lagrime  Spargendo.' Inlino  al  cielo  ' ' 
PenelrAr  de  le  genti  e de  le  tube 
I dolorosi  accenti.  Altri  gridando. 

, i **■  • 

Le  pire  intorno,  elmi,  corazze  e dardi 
E ben  guarnite  spade  e freni  e ruote 
Avventaron  nel  foco,  e de’ nemici 
Armi  d’ogni  maniera,  arnesi  e spoglie  ; 
Altri  i lor  propri  doni,  e degli  occisi 
[1SO-Ì95] 


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LIBRO  XI. 


539 


[307-330} 

Medeémi  vi  gittàr  1* aste  infelici, 

E gl’infelici  scudi,  and’ essi  invano 
S’eran  difesi.  A le  cataste  intorno 
Mólti  gran  buoi,  molti' seiosi  porti, 

Molte  fui*  pecorelle  occise  ed  arse. 

A. si  mestospèttacold  in  sul  lito 
Stavan  nitri  piangendo,  altri  osservando 
Ciascuno  i suoi  più  cari,  infin  che  ’l  foco 
Oli  consumasse.  E questi  l’  ossa;  e quelli 
Le  ceneri  accogliendo,  il  giorno  tutto  * * 
In  sì  pietoso  officio  trapasserò: 

Nè  se  ne  tolser  finché,  spenti  i fochi,  •- 
Non  «’  acceser  le  stelle.  In  altra  parte 
I miseri  Latini  aheorpi  loro 
Per  catasteHnfinite.  Altri  sotterra 
Ne  seppellito  ; altri  a le  ville  intorno, 

Ed  allrPa  la  città  ne  trasportare. 

E quei  che  senza  numero  confusi  - ' 
Giacca#  nebeampo,  senza  onore  a mucciii 

Furon  combusti;  onde  i villaggi  insieme 

* 

E le  campagne  di  funesti  incendi 
Lucean  pet  tutto.  E tre  luci,  e tre  notti 
Dìn  àr  gli  afflitti  amici  e i dolorosi 
Parenti  a ricercar  le  liepid’  osso,,  j 
* [196-212] 


5 40 


l’  ENEIDE.  [33  I «354,] 

* X 

E ne  l’urne  riporle  e ne’ sepolcri. 

Ma  la  confusion'c  e ’l  pianto  eJl  duolo 
Eran  ne  la  città  penja  più  inu  le, 

E ne  la  reggia  al  re  Latino  avanti..  • 

Qui  le  madre,  le  nuore,  le  sorelle 
E i miseri  pupilli,  che  de’  padri,  . 

De’ figli,  de’ mariti  e de’fralelli 
Erano  in  questa  guerra  orbi  rimasi, 

La  guerra  abboni  ina  vano  e le  nozze 
Detestinoli  di  Turno.  EL  (la  sè*«tesso,  , 
Dicendo,  èi  che  d’italia  al  regno -aspira, 

E le  grandezze  e i primi  onori  agogna-. 

Con  P armi  e col  suo  sangue  le  s’acquisti, 

E non  col  nostro.  In  èiò  Drancc  aggravando 
Vie  più  le  cose,  corne  a Turno  inCesto, 
Attestando  dicca  che  sol  con  Turno 
Volea  briga  il  Troiano,  e che  sol  esso 
'Era  a pugna  con  lui  cerco  e chiamato. 

Altri  d’  altro  parere,  altre  ragioni 
Diccanper  Turno;  e ’l  gran  nome  d’Aniala 
E’I  suo  favore  e'di.liii  stesso  il  merlo 
Con  la  fama  de’ suoi  tanti  trofèi  * * 
Sostencan  la  sua  causa.  Ed  ecco,  intanto  * 
Clic  così  si  tumultua  e si  travaglia, 
[213-225] 

. « 


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LIBRO  XI. 


541 


[355-378] 

Mesti  sopravvenir  gl'  imbasciadori 
Ch*  in  Arpi  a Diomede  avean  mandali; 

E riportar,  die  le  fatiche  c i passi 
Avean  perduti  : che  nè  dono  alcuno, - 
Nè  promesse,  nè  preci,  nè  ragioni 
Furon  bastanti  ad  impetrar  soccórso 
Nè  da  lui  nè  da' suoi.  Ch’era  d’altronde 
Di  mestiero  a- Latini  avere  altr’armi, 

0 trattar  co' nemici  accordo  e pace. 

Gran  cordoglio  sentitine,  c gran  raiumurco 
Ne  fece  il  re  Latino.  E ben  conobbe 
Che  manifestamente  Enea  da'  fati 
Era  portato  ; e via  più  manifesta 
Si  vcdea  degli  Dei  l’ira  davanti 
In  lauta  che  de’ suoi  negli  occhi  uveu 
Strage  recente.  Il  gran  consiglio  adunque, 

E de’  suoi  primi,  ne  la  regia  corte 
Chiamar  si  fece.  In  un  momento  piene 
Ne  fur  le  strade;  e di  già  tutti  accolti 
Ne  la  gran  sala,  il  re,  di  grado  e d’  anni 
H primo,  a tutti  in  mezzo,  in  non  sereno  . 
Sembiante  comandò  che  primamente 

1 Legati  che  d’Arpi  eran  tornati, 

Fossero  uditi;  ed  a lor  vólto  disse: 

Ciro.  — 35.  [226-240] 


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5 42 


l’  eìieide.  [379-402] 

Esponete  per  ordine  il  seguito 
De  la  vostra  imbasciata,  e la  risposta 
Clic  ritratta  n’  avete-  A tal  precetto 
Tacquero  tutti;  e Vènolo  sorgendo,  * 
Cosi  pria  cominciò:  Noi  dopo  molli  ,* 
Superati  pericoli  e fatiche, 

Egregi  cittadini,  al  campo  argivo 
Ne  la  Puglia  arrivammo;  c Diomede 
Vedemmo  aitine;  c quell’ invitta  destra 
Toccammo,  ond’è’l  grand’ Il  io  arso  c distrutto. 
In  lapfgia  il  trovammo  a le  radici 
Del  gran  monte  Gargano,  ove  fondava. 

Già  vincitore,  Argiripa,  una  terra 
Che  dal  patrio  Argirippo  ha  nominata. 
Intromessi  clic  fummo,  il  presentammo; 

Gl i.es ponemmo  la  patria,  il  nome  e ’!  fatto 
De  la  nostra  imbasciata,  e la  cagione 
Onde  a lui  venivamo.  Il  tutto  udito,  • 

Cosi  benignamente  ne  rispose: 

0 fortunale  genti,  o di  Saturno 
Felice  regno,  o degli  antichi  Ausoni 
Famosa  terra!  E quale  iniqua  sorte 
Da  la  vostra  quiete  or  vi  sottragge? 

Qual  consiglio,  qual  forza  vi  costringe 
[240-254] 


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- 7^' 


5-  * 


[403-426]  libro  xi.  543 

Di  nemicarvi  e guerreggiar  con  genio 
Che  non  v’è  noia  ? Noi  quanti  già  furarne^ 
Col  ferro  a violar  di  Troia  i campi 
(Non  parlo  degli  strazi  e de  le  stragi 
Di  quei  che  vi  rimasero,  chè  pieni 
Ne  sono  i fossi  e i lìurni  ; ma  quanti  anco 
N’uscimmo  con  fa  vita),  in  ogni  parte 
Siam  poi  giti  del  mondo  tapinando, 

Con  nefandi  supplicii,  e con  atroci 
.Morti  pagando  il  fio,  come  d’ un  grave 
E seelerato  eccesso.  E non  ch’altrui, 
Priamo  stesso  a pietà  mosso  avrebbe 
Il  fiero,  che  di  noi  s’  c fatto  scempio. 

Di  Palla  il  sa  la  sfortunata  stella; 

Sallo  il  vendicato!’  Calar  co  monte 
E gli  Euboici  scogli  : il  .san  di  Pròteo 
Le  longinquc  colonne,  insino  a dove,' 

Dopo  quella  milizia,  andò  ramingo 
L’  un  de’  figli  d’Atrèo.  D’  Etna  i ciclopi 
Ne  vide  Ulisse.  Il  suo  regno  a’  suoi  servi 
Ne  lasciò  Pirro.  Idomenèo  caccialo 
Ne  fu  dal  patrio  seggio.  Esso  re  stesso, 
Condottici*  degli  Argivi,  il  piede  a pena  • 
Nel  suo  regno  ripose,  clic  del  regno* 


*!3B5sfi 


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544 


l’  ejeide. 


[427-450] 


Del  letto  e de  la  vita  anco  privato 
Fu  da  la  scelerata  sua  consorte. 

Nò  gli  giovò  che  doma  l’Asia  e spento 
1/  uno  adultero  avesse;  che  de  l’altro 
Scherno  c preda  ripose.  A me  l’ invidia 
Ha  degli  Dei  di  più  veder  disdetto 
La  mia  bella  città  di  Calidóna, 

E la  mia  cara  e desiata  donna. 

* 

Nè  di  ciò  sazii,  orribili  spaventi 
NI i danno  ancora.  E pur  dianzi  in  augelli 
Conversi  i miei  compagni  (o  miseranda 
Lor  pena  !)  van  per  l’aura  e per  gli  scogli 
Di  lagninosi  accenti  il  cielo  empiendo. 
Questi  sono  i profitti  e le  speranze 
Ch’io  fin  qui  ne  ritraggo,  da  che,  folle! 
Stringer  contro  a’ celesti  il  ferro  osai, 

E che  di  Citerèa  la  dèstra  offesi. 

Or  eli’  io  di  nuovo  una  tal  pugna  imprenda 
Testò  con  voi?  no,  no,  ch’io  co’ Troiani, 
Dopo  Troia  espugnala,  altra  cagione 
Non  fio  di  guerra  ; e de’  passati  mali 
Volenticr  mi  dimentico,  e dolore 
Ancor  nc  sento.  E,  quanto  a’ doni,  andate, 
Riportateli  vosco,  e ’l  magno  Enea 
[267-282] 


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LIBRO  XI. 


[454-474] 


45 


Ne  presentate.  E.  solo  a me  credete 
Del  valor  suo,  che  fui  con  esso  a fronte 
Con  Tarmi  in  mano;  e so  di  scudo  e d’asta 
Qual  mi  rese  buou  conto,  e quanto  vaglia. 
Se  due  tali  altri  avea  la  terra  Idèa, 

D’ Ida  fòra  piuttosto  ita  la  gente 
Ai  danni  de  la  Grecia;  e’1  troiai)  fato 
Piangerebb’ella.  Enea  sol  con  Ettorre 
Fu  la  cagion  che  tanto  s’ indugiasse 
La  ruina  di  Troia,  c che  diece  anni 
Durammo  a conquistarla.  Ambedue  questi 
Eran  di  cor, di  forze  e d’arme  uguali, 

Ma  ben  fu  di  pielate  Enea  maggiore. 

10  vi  consiglio  che,  comunque  sia, 

Lega  seco,  amicizia  e pace  aggiate, 

E T incontro  fuggiate  e Tarmi  sue. 

Questa  è la  sua  risposta;  e quinci  avete, 
Ottimo  re,  qual  sia  di  questa  guerra 

11  suo  parere  e’1  nostro.  A pena  uditi 
Furo  i Legati,  che  bisbiglio  e fremilo 
Infra  i turbati  Ausoni  udissi,  in  guisa 
Che  di  rapido  fiume  un  chiuso  gorgo 
Mormora  allor  che  fra  gli  opposti  sassi 
S’apre  la  strada,  er gorgogliando  cade, 

[282-298] 


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546  l’  ENEIDE.  [475-49  8] 

li  frange  c rugghia,  e le  vicine  ripe 
/Se  risonan  d’intórno.  Or  poiché  un  poco 
Hestò  ’1  tumulto,  e gli  animi  acquetarsi, 
fili  Dei  prima  invocando,  un’altra  volta 
Il  re  da  1’  alto  seggio  a dir  riprese: 

Latini  miei,  lo  mio  parere  e ’l  meglio 
Sarebbe  stato,  che  d’un  tanto  affare 
Si  fosse  prima  consultato,  e fermo 
Il  nostro  avviso;  e non  chiamar  consiglio, 
Quando  il  nimico  in  su  le  porte  avemo. 

Una  importuna  e perigliosa  guerra 
S’  è,  cittadini,  impresa,  e per  nimica 
Tolta  una  gente,  che  dalvciel  discesa, 

Da’ celesti  e da’  fati  è qui  manda'ta.; 

Feroce,  insuperabile,  indefessa, 

Ne  1’  armi  invitta,  che  nè  vinta  ancora 
Cessa  dal  ferro.  Se  speranza  alcuna 
Negli  esterni  soccorsi  e ne  l’aita 
Aveste  degli  Etòli,  ora  del  tutto 
La  deponete;  e sia  speme  a sé  stesso 
Ciascun  per  sé.  Ma  noi  per  noi,  che  speme 
E che  possanza  avemo?  Ecco  davanti 
Agli  ocelli  vostri,  e fra  le  vostre  mani 
Vedete  la  strettezza  e la  mina 
[299-311] 


5 i 7 


[499-522J  libro  xi. 

In  che  noi  siamo.  Nè  però  ne’ncolpo 
Alcun  di  voi.  Tutto ’l  valor  s’ è mostro 
Che  mostrar  si  polca;  con  tutto ’l  corpo,  “ 
E con  quanto  ha  di  forza  il  nostro  regno 
S’  è combattuto.  Or  quale  in  tanto  dubbio 
Sia  la  mia  mente,  udite.  È bel  mio  stalo 
Vicino  al  Tebro  un  territorio  antico, 

Clic  in  vèr  l’occaso  per  lunghezza  attinge 
Fin  dove  de’  Sicani  era  il  confine. 

Dagli.  Rululi  è cólto  e dagli  Aurunci, 

Che  i duri  colli  c i piu  deserti  paschi 
Ne  tengon  da  l’un  canto:  » questo  aggiungo 
Quella  piaggia  di  pini  e quella  costa 
De  la  montagna  ; e tutto. è mio  disegno 
Che  si  ceda  a’  Troiani  e eh’  amicizia', 
Accordo  e patti  e lega  e leggi  eguali” 
Abbiam  con  essi  ; e qui,  s’  a qui  fermarsi 
Sono  o da’ fati  o dal  desire  indotti, 

Ferminsi  ; e i loro  alberghi  e le  lor  mura 
Fondino  a lor  diletto.  E s’ altra  parte» 
Cercano  ed  altre  genti  (se  pur  ponno 
Tórsi  da  noi) quando  di  venti  navi, 

O di  più  sovvenir  ne  gli  bisogni, 

Su  la  stessa  marina  apparecchiata 
[311-327] 


548  l’ Eneide.  [523-546] 

È la  materia.  Essi  ile’ legni  il  modo, 

E M numero  diranno  ; e noi  le  selve, 
ha  maestranza,  i ferramenti,  e tutto 
Elie  fia  lor  di  mestiero  appresteremo. 

Con  questa  olTerta  io  manderei  de’ primi 
De  la  nostra  città  cento  oratori 
Co’  rami  .de  la  pace,  col  mandato 
Di  contrattarla,  co’ presenti  appresso 
D’avorio  e d’  oro,  e col  seggio  e col  manto 
Del  nostro  regno.  Consultate  or  voi, 

Ed  a I’ afflitte  e mal  condotte  cose 
D’aita  provvedete  e di  soccorso. 

Sursc  allor  Drance,  quei  che  già  s’è  detto 
Avversario  di  Turno.  Era  costui 
Del  regno  de’ Latini  un  de’  più  ricchi 
E de’ più  riputati  cittadini  : 

Di  fazion,  di  seguito  e di  lingua 
Possente  assai;  ne  le  cqnsulte  avuto 
Di  qualche  stima;  nel  mestici*  ile  l’armi 
Codardo,  anzi  clic  no.  La  sua  chiarezza 
Iv’l  suo  fasto  venia  da  la  sua  madre 
(.li’ era  d’alto  legnaggio.  Il  padre  a pena 
Era  noto  a le  genti.  Or  questo  infesto 
A la  gloria  di  Turno,  asperso  il  core 
[328-342] 


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LIBRO  XI. 


549 


[547-570] 

D’ amarezza  e <i’  invidia,  in  questa  guisa 
li  suo  fatto  aggravando,  e l’ ire  altrui 
Irritando,  parlò:  Chiaro,  evidente 
E necessario,  ottimo  re,  n’è  tanto 
Quel  che  tu  ne  consigli,  che  bisogno 
D’altro  non  ha  che  di  commune  assenso. 
Ognun  vede,  ognun  sa  quel  che  conviene  • 
In  sì  dura  fortuna;  e nullo  ardisce 
Pur  d’aprir  bocca.  Libertnte  almeno 
Di  parlar  ne  si  dia.  Scemi  una  volta 
Tanta  sua  tracotanza  e tanto  orgoglio 
Chi  co’ suoi  male  avventurosi  auspici, 

Co’ sinistri  suoi  modi  (io  pur  dirollo, 
Benché  d’armi  e di  morte  mi  minacci)  ✓ 
N’  ha  qui  condotti,  c per  cui  tanti  duci, 
Tanta  gente  è perita,  e tutta  in  pianto 
Questa  cittade  e questo  regno  è vólto  : 
Mentre  ne  la  sua  furia,  o ne  la  fuga 
Confidando  piuttosto,  il  troian  campo 
Ha  d’assalire  osato,  e fin  nel  Ciclo 
Posto  ha  con  I’  armi  sue  tema  e scompiglio. 
Solo  un  dono,  signor,  fra  tanti  doni 
Che  si  mandano  a’  Teucri,  un  sol  n’aggiungi  ; 
Nè  consentir  che  violenza  altrui 
[342-354J 


5 50 


l’  enei  de.  [574-594] 
Tel  proibisca.  Dà’,  buon  padre,  ancora 
Questa  Uni 'figlia  a genero  sì  degno, 

E con  sì  degno  maritaggio  eterna 
Ea’ questa  pace.  E se  M terrore  è tanto 
Cile  s’  ha  di  lui,  da  lui  stesso  impetriamo 
Grazia  e licenza  che  la  patria  sua, 

Chc’l  suo  re  prevaler  si  possa  almeno 
Del  suo  sangue  a suo  modo.  E tu  cagione, 
Tu  di  tonfa  mina  autore  e capo, 

À che  pur  tante  volte  a tanti  strazi, 

A tanti  rischi,  a manifesta  morte 
Questi  tuoi  meschinelli  ci  tt  ad  mi 
Esponi  indarno  ? E qual  .è  ne  la  guerra 
Più  salute  o speranza  ? A te  noi  tutti 
Pace,  Turno,  chiedemo,  e de  la  pace  . 

Quel  eh’  è sol  fermo  e ’nviolabil  pegno. 

Ed  io  prima  di  tutti,  io  cui  tu  fingi 
Che  nimico  ti  sia  (uè  tal  mi  curo 
Che  tu  mi  tenga)  a supplicar  li  veglio 
Umilemente.  Abbi  pietà  de’  tuoi  ; - 
Pon  giù  la  stizza;  e poi  che  sci  cacciato, 
Nattene.  Assai  di  strage,  assai  di  morti 
S è visto:  assai  ne  son  le  genti  afflitte, 
\edo\i  i tetti  e desolati  i campi; 

[351-367] 


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LIBRO  XI. 


[596-618] 


55 1 


Ma  se  1’  onor  ti  muove,  e se  concepì 

Di  te  tanto  in  te  stesso,  e tanto  agogni  . 

O la  donna,  o la  dote,  a che  non  osi 

Contea  a chi  te  ne  priva?  A Turno  adunque 

llegno  col  nostro  sangue  e regia  moglie 

Procureremo  : e noi  vili  alme,  e Turba 

Non  sepolta  e non  pianta,  a’ cani  in  preda 

Giaeeremo  in  su’ campi?  Or  tu,  tu  stèsso, 

Se  tanto  hai  d’  ardimento  c di  valore 

Dal  paterno  legnaggio,  a lui  rispondi, 

A lui  ti  volgi,  che  ti  sfida  e chiama*  ' 

Turno  eli’  impetuoso  e’ violente 

Era  da  sè,  questo  parlare  udito, 

Alto  un  gemito  trasse,  e d’ira 'acceso 

Così  proruppe:  Usanza  tua  fu  sempre, 

Drancé,  allor  ché  di  mani  è più  bisogno, 

Oprar  la  lingua;  essere  in  corte  il  primo, 

L’ultimo  in  campo.  Ma  non  più  parole 

In  questo  loco,  chè  già  pieno  troppo 

Ne T bai;  pur  troppo  grandi  c troppo  gonfie 

L’  av veuti,  è senza  rischio  or  eli’ i nemici 

Son  lunge,  e buone  fòsse  e buone  mura 
, ■ • 

Ci  son  di  mezzo,  e non  c’inonda  il  sangue. 

Apri  qui  bocca  al  solito,  e riittuona 

[368-383] 


) 


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552 


l’  eneidc.  [6  i 9-642] 

Con  la  facondia  tua.  Tu,  clic  sei  D rance, 

Me,  che  son  Turno,  imbelle  c vile  appella  ; 
Tu  la  cui  dianzi  sanguinosa  destra 
Pieni  i campi  di  morti,  e pieni  i colli 
Ha  di  trofei.  Ma  clic  non  pruovi  ancora 
Questa  tua  gran  virtù?  Forse  ch’avemo 
A cercar  de’  nemici  ? Ecco  d’ intorno 
Ci  sono,  e hi  su  le  porte.  Andrein  lor  contra  ? 
Che  badi?  Ov’è  la  tua  tanta  prodezza? 
Sempre  è nel  vento,  sempre  è ne  la  fuga 
De  la  lingua  c de’ piè?  Tu  mi  rinfacci 
Ch’io  sia  cacciato?  Tu,  vituperoso, 

Di  dirlo  osasti?  e chi  meritamente 
Sarà  clic  ’l  dica?  Oh!  non  s’è  visto  il  Tebro 
Fatto  gonlio  da  me  del  frigio  sangue? 

Non  s’è  vista  la  casa  e ’l  seme  tutto 
Spento  d’ Evandro,  c gli  Arcadi  spogliati 
D’  armi  e di  vita?  Io  non  fui  già  da  Pandaro 
Cacciato,  nè  da  Bizia,  nè  da  mille 
Che  in  imi  dì  vincitore  a morte  io  diedi, 
Circondato  ila  loro  e cinto  e chiuso 
Da  le  lor  mura.  Nulla  è ne  la  guerra 
Più  salute  o speranza.  Al  teucro  duce, 

A te,  folle,  al  tuo  capo,  a le  tue  cose 
[383-400] 


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LIBRO  XI. 


[643-666] 


553 


Fa’questo  annunzio.  E non  tutto  in  soqquadro 
Por  con  tanta  paura,  e tanta  stimu 
Clic  fui  de  la  prodezza  e de  te  forze 
D’una  gente, -che  già  due  volte  è vinta; 

E non  .tanto  avvilir  da  l’ altro  canto 

L’armi  del  re-Latino.  Ai  Mirmidóni 

* 

Son  ora,  al  gran  Diomede,  al  grande  Achilie 
I Teucri  formidabili  c tremendi; 

E dal  mar  se  ne  torna  per  paura 
1/  Àufido  indietro.  E forse  che  non  .(|nge 
Temer  di  me,  perchè  il  mio  fallo  aggravi  1 
Malvagia  astuzia  ! Ma  non  più  per  nulla 
Vo’clte  ne  tema.  Un'anima  si  vile 
Non  li  torrà  la  mia  destra  già  mai. 

Slicsi  pur  teco,  e nel  tuo  petto  alloggi, 

Di  lei  ben  degno  albergo.  Or  a te  veguo, 
Gran  padre,  e M tuo  parer  discorro,  e dico: 
Se  tu  più  non  t’affidi,  c più  non  credi 
Ne  T armi  tue;  s*  abbandonati  affatto 
Siam  d’ ogni  parte;  se  una  volta  rotti, 

Siam  per  sempre  perduti  ; e se  fortuna, 
Variando  le  veci,  unqua  non  cangia, 

Signor,  pace  imploriamo  ; e V armi  in  terra 
Gittando,  a giunte  mani  accordo  e venia 
[400-414] 


/ 


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554 


L’  E.tEIDE. 


[667-G00] 

Impelriam  dai  nemici.  Ancorché,  quandd  : 
Oh!  del  nostro  valor  punto  rn  noi  fosse. 
Sopra  tutti  felice,  riposato, 

E glorioso  spi  ri  lo  sarebbe 

Chi,  per  ciò  non  veder,  morto  si  fosse. 

Ma  se  le  nostrc,forze  ancor  son  verdi, 

Là  nostra  gioventù  florida,  intatta, 

Disposta  e pronta  a l’armi,  e per  sossidio 

I popoli  d’Italia  e le  cittadi 

Son  con  noi  tutte;  e s’ a’ nemici  ancora 
Sanguinosa,  dannosa  e poco  lieta 
È questa  gloria;  ed  bau  de’ morti,  aneli’ essi 
La  parte  loro;  c la  tempesta  c pari  . 
D’ambe  le  parli;  a che  nel  primo  intoppo 
Con  tanto  scorno,  a noi  stessi  mancando, 
Dittarne  a terra?  A che  tremare  avanti 
Che  la  tromba  si  senta?  A la  giornata 

II  tempo  stesso,  il  variar  de’ casi; 

L’ industria,  le  vicende,  il  moto  e ’l  giuoco 
Potria  de  la  fortuna  in  molle  guise, 

Come  suol  I’  altre  cose,  ancor  le  nostre,  • 
Cangiando,  risarcire,  c porre  in  saldo. 

Non  avrem  Diomede  in  nostro  aiuto: 

Avrem  Messa po;  avremo  il  fortunato 
[4U-429] 


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555 


% 

[091-714]  LIBRO  XI. 

Tolunnro;  avrem  tant’  altri  incliti  duci 
Di  (ani' altre  città.  Nòdi  ruen  gloria, 

INè  di  minor  vertù  saranno  i nostri 
Di  Laurcnto  e di  Lazio.  Avrem  Camilla. 

La, gran  volsca  virago,  che  n’addusse 
Di  cavalieri  e di  caterve  armate 
Si  bella  gente.  E se  me  solo  appella 
Il  nemico  a battaglia,  e se  v’aggrada 
Gite  sol  io  gli  risponda  ed  io  sol  osto 
Al  ben  commune,  io  solamente  assumo 
Sopra  me  questa  impresa.  E già  non  credo 
Che  le  mie  man  sì  la  vittoria  abborra, 

Che  per  tanta, -eh'  io  u’  aggia,  e speme  e gioia 
Accettar  non  ladeggia.  And  tògli  incontro 
Con  I’  animo,  se  fosse  anco  maggiore 
Del  magno  Achille,  c come  Adi ille  aneli’ egli 
L’armi  di  Mongibello  indosso  avesse, 
lo  Turno,  io  che  non  punto  a qual  si  fosse 
Mai  degli  antichi  di  valor  non  cedo, 

Questa  mia  vita  stessa  a voi,  Latini, 

Kd  a Latin,  mio  suocero  consacro 
Solennemente.  Enea  me  solo  invita. 
L’accetto,  il  bramo  e ’l  prego, anzi  che  Drance, 
S’ ira  è questa  di  Dio,  con  la  sua  morto 
[429.443] 


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556  l’  enbide.  [715-738] 

La  purghi,  o che  la  gloria  me  ne  tolga, 

S’  è pur  gloria  e vertute.  In  colai  guisa 
Consultando  i Latini,  avean  tra  loro 
Dispareri  e tenzoni.  Usciti  a campo 
Erano  i Teucri  intanto.  Ed  ecco  un  messo 
Venir  volando,  che  la  reggia  tutta 
E tutta  la  città  pose  in  tumulto, 
Annunziando  che  dal  tosco  fiume 
Già  mosso  de’ Troiani  e de’ Tirreni 
Se  ne  venia  l’ esserci to  in  battaglia 
In  vèr  Lamento;  e che  di  genti  e d’armi 
Si  vedean  piene  le  campagne  c i colli. 

Gli  animi  incontinente  si  turbaro; 
Sgomenlossene  il  volgo  ; ai  valorosi 
S’  accescr  V ire.  Trepidando  ognuno 
Discorre!!  per  le  strade  ; arme  fremea 
La  gioventù;  dolenti  e lagninosi 
1 padri  discordando,  e chi  per  Turno 
Sentendo  echi  per  Drance,  avean  tia  lo  io 
Vari  bisbigli.  E tutto  il  corpo  insieme 
Pacca  de  la  città  tale  un  trambusto, 

E tal  ne  l’aura  unitamente  un  suono, 

Qual  è se  spaventata  esce  d’un  bosco 
Torma  di  roclii  augelli,  o qual  talora 
[444-457] 


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[739.-762]  libro  xi. 

i * 

Da  te  pìscose  rive ‘di  Padusa 
Van  pel*  gli  stagni  schiamazzando  a schiere 

4 *■* 

Turbati  L cigni.  In  tale  occasione 
Gridava  Turno:  Or  questo  è,  Padri, il  tempo 
Di  sedere  a consiglio:  or  consigliate 

Agiatamente  Raggiate  sopra  tutto  ’ 

% 

Cura  a la  paéc  or  eh;  i nemici  armati 
Ne  stìn  già  sopra.  E,  cosi  detto  a pena, 

Saltò  fuor  de  la  reggia;  e vólto  a torno, 
Arma,  disse,. in,  Vòluso,  i tuoi  VolsCi, 

E tu,  Messàpo,  i ruttili  cavalli. 

Tu,  Catiilo,  e*. tu,  Cora,  uscite  a campo: 

Va’  tu  con  la  ttla  gente  a la  muraglia 
Incontinente;  e tu  dispènsa  i tuoi 
Fra  le  porte  e |e -torri.  Ite  voi  meco,  ' . 
Che  rimanetele  ciascuno  armi  i suoi. 

• e ' ^ . 

Per  .tutta  la  città  si  va  scorrendo 
A le  mura.  A l’ insegne,  ai  capitani  * 

Ognun  s’  adjjuce.  I padri  irresoluti  . 

Se  n’ cscon- dal  consiglio.  II  re  turbato 
Si  ritira,  e si  pente  che  non  aggia 
Per  sè,  senza  consulta,  il  frigio  duce 
Per  amico  e per  genero  accettato. 

Dansi  tifiti  a -munire,  a cavar  fosse, 

Cibo.—  36.  [457-473] 


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558 


l’  eneidf.. 


[7G3-78G] 

Tutti  a somministrar  chi  sassi  e travi, 

E chi  dardi  c chi  strali.  E già  la  roca 
Tromba  nc  va  per  la  città  squillando 
De  la  battaglia  il  sanguinoso  accento, 
he  matrone,  i fanciulli,  i vecchi,  ognuno 
D’  ogni  età,  d’ogui  sesso,  e d’ogni  grado 
A 1’  ultimo  periglio,  al  gran  bisogno 
Corrono  a la  muraglia.  E d’altra  parte 
Da  gran  corteo  di  donne  accompagnata 
Con  doni  e preci  di  Minerva  al  tempio 
Va  la  regina,  ed  ha  Lavinia  seco, 
ha  vergine  sua  figlia,  onde  venuta 
Era  tanta  ruina;  e di  ciò  mesta, 

Porta  i begli  occhi  lagninosi  e chini. 
Seguon  le  madri  e d’odorati  incensi 
Vaporando  il  delubro  in  ilebil  voce 
Pregano  in  su  la  soglia:  Armipotente 
Tritonia,  tu  clic  puoi,  la  possa  e I’  armi 
Frangi  al  frigio  ladrone,  c di  tua  mano 
Aneiso  in  su  la  porta  ne  lo  stendi. 

Esso  re  Turno  da  la  furia  spinto 
Ricorre  a Farmi;  e di  squamoso  acciaio 
h d òr  già  tutto  orribile  e splendente, 

Cinto  di  brando,  e sol  del  capo  ignudo 
[473-489] 


[787-810]  libro  xi.  559 

Lieto  mostrossi,  e di  speranza  altiero 
Di  vedere  il  nemico.  E ’n  qucHa’guisa 
Da  la  ròeca  seendea  clic  da’  presepi 
Sciolto  destriero  esce  ruzzando  in  campo,  ' 
O eh’  amor  di  giumeute,  o che  vaghezza 
Di  verde  prato,  o pur  desio  lo  tragga 
Del  nolo  Gunie  ; che  sbuffando  freme, 

E ringhia  e drizza  il  collo  e squassa  il  crine. 

A l’ uscir  de  la  porta  ecco  davanti 
Gli  si  fa  co’ suoi  volsci  cavalieri 
La  vergine  Camilla;  e si  coni’  era 
Non  men  gentil  che  valorosa  c bella. 

Tosto  che  l’incontrò,  con  tutti  i suoi 
Dismontò  da  cavallo,  e vèr  lui  disse: 

Turn.o,  se  degnamente  uom  forte  ardisce, 
lo  mi  rincoro,  e ti  prometto  io  sola 
Di  gire  ai  cavalicr  toscani  incontro. 

Lascia  me  col  mio  stuolo  assalir  prima 
La  troiana  oste,  e che  primiera  io  tragga- 
Di  questa  pugna  e de’  suoi  rischi  un  saggio. 
E tu  qui  co’ pedoni  a piè  rimanti 
A guardia  de  la  terra.  A tal  proposta 
Turno  ne  la  terribile  virago 
Gli  occhi  Usando; 0 de  l’Italia,  disse, 
[489-508] 


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aGO  l’ ENEIDE.  [81 1 - 83 

Ornamento  c sostegno,  e di  che  lode, 

E di  che  premiò  al  tuo  gran  merlo  eguale 
Ristorar  ti  poss’io?  Ma  (poiché  cosa 
Non  è che  la  pareggi)  abbi,  famosa 
(ìuerriera,  ih  grado  eh’  io  con  te  comporta 
Questa  fatica.  Enea,  come  dal  grido 
Avcmo  e da’le  spic.lin  qui  ritratto. 

Spinte  ha  le  schiero  de’ cavalli  avanti 
Per  batter  la  campagna;  ed  egli  altronde 
Presa  la  via  del  monte,  peralpcstro 
Sentiero  a la  città  di  sopra  al  giogo 
Vien  con  P altre  sue  genti.  Il  mio  disegno 
È fargli  agguato,  c'collocarmi  appresso 
Là *ve  sopra  la  foce  il  doppio  bosco 
Dei  curvo  monte  ambe  le  strade  pccoglie. 
Tu,  ratinali,  i tuoi  con  gli  altri  tutti 
Nostri  cavalli,  i suoi  nel  piano  assagli 
A spiegate  bandiere;  Il  fior  Messàpo 
Sarà  con  le:  saranyi  de’ Latini, 

Vi  snran  di  Coràce  e di  Calillo 
Le  squadre  tutte;  e tu  con  essi  il  carco 
Prendi  di  comandarle.  Indi  cssorlnudo 
Parimente  Messàpo  o gli  altri  duci 
. A la  lo»’  fazione,  egli  a la  sua' 

[50S-521] 


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50  I 


[835-858]  libro  ii. 

Tostamente  si  volse.  È tra  due  branche 
Del  monte  una  vallea  clic  d’ambi  i lati 
Ha  folte  selve,  e luoghi  occulti  e chiusi,, 

A F insidie  de  Farmi  accomfoodati. 

Ha  ne  Fimo  una  semita  per  mezzo 
Angusta,  malagevole  e scontorta  • 

Che  (Fogli*  intorno  è da  le  ripe  offesa. 

In  cima  in  su  l’uscita  é tra  le  selve 
Ascosa  una  pianura,  con  ridotti 
Acconci  a ritirarsi,  ed  opportuni 
A spingersi  o dal  destro  o dal  sinistro 
Lato,  che  si  rincontri  o che  s’aspetti 
Nemica  gente,  o pur  che  di  gran  sojbsì 
Sì  tempesti  di  sopra.  A questo  loco,  . 

Di  cui  ben  era  pratico,  in  agguato 
Turno  si  pose,  e i suoi  jiimici  attese. 

Diana  intanto  timorosa  e mesta 
Favellando  con  Opi,  una  del  coro  - 
De  le  sue  ninfe,  in  tal  guisa  le  disse: 

Vedi  u che  perigliosa  e mortai  guerra 
A morir  se  ne  va  la  mia  Camilla, 

Ne  le  nostr’  armi  ammaestrata  invano. 

E pur  m’è  cara,  e sovr’ogni  altra  io  l’amo. 
Nè  questo  è nuovo  o repentino  amore. 
[521-538] 


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5G2  l’  eneide.  [859-882] 

Fili  da  le  fasce  è mia.  Metallo,  il  padre 

Di  lei  fu  per  invidia  e per  soverchia 

« 

Potenza  da  Priverno  antica  terra 
Da’  suoi  stessi  cacciato;  e da  l’insulto, 

Che  gli  fece  il  suo  popolo,  fuggendo, 

Nel  suo  misero  essiglio  ebbe  in  compagna 
Questa  sola  bambina,  che  mutato 
Di  Casmilla  sua  madre  il  nome  in  parte, 

Fu  Camilla  nomala.  Andava  il  padre 
Con  essa  in  braccio  per  gli  monti  errando 
E per  le  selve,  e de’  nemici  Volsci 
Sempre  d’intorno  avea  P. insidie  e l’armi. 
Ecco  un  giorno  assalilo  con  la  caccia 
Dietro,  fuggendo  a l’Amasèno  arriva. 

Per  pioggia  questo  liume  era  cresciuto, 

E rapido  spumando  infìno  al  sommo 
Se  ne  già  de  le  ripe  ondoso  e gonlìo  ; 

Tal  che,  per  tema  de  l’amato  peso 
Non  s’  arrischiando  di  passarlo  a nuoto, 
Fermossi  ; c poi  che  a lutto  ebbe  pensato, 
Con  un  subito  avviso  entro  una  scorza 
Di  selvatico  stiverò  rinchiuse 
ha  pargoletta  figlia.  E poscia  in  mezzo 
D un  suo  nodoso,  inarsicciato  e sodo 
[539-553] 


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[883-906]  Liono  xi.  563 

Tèlo,  eh’  avea  per  avventura  in  mano, 
Legolla  acconciamente  ; c V usta  e lei 
Con  la  sua  destra  poderosa  in  allo 
Librando,  a l’aura  si  rivolse,  e disse: 

Alma  Latonia  virgo,  abitatrice 
De  le  selve  e de’  monti,  io  padre  stesso 
Questa  mia  sfortunata  fìglioletta 
Per  ministra  ti  dedico  e per  serva. 

Ecco  eh’  a te  devota,  a V armi  tue 
Accommandata,  dal  nimico  in  prima 
Sol  per  te  la  sottraggo.  In  te  sperando 
A l'aura  la  commetto  ; e tu  per  tua 
Prendila,  te  ne  prego,  e tua  sia  sempre. 

Ciò  detto,  il  braccio  in  dietro  ritraendo, 
Oltre  il  (lume  lanciotto:  e’I  fiume  e’i  vento 
E’I  dardo  ne  fer  suono  c fischio  e rombo. 
Mètabo,  da  la  turba  sopraggiuuto 
De’ suoi  nemici,  a nuoto  aliìii  gettassi 
E salvo  a l’altra  riva  si  condusse.- 
Ivi  d’  un  verde  cespo,  ove  piantato 
Avea  Trivia  il  suo  dono,  il  dardo  e lei 
Divelse,  e via  fuggissi;  e più  mai  poscia 
Non  fu  da  tetti,  o da  cittadi  accolto  : 

Oliò  per  natia  fierezza  a legge  altrui 
[554-568] 


l’  EIVEIDfc. 


5G1  l’ ESEiDfe.  [907-930] 

Non  si  fora  iniqua  adii  il  lo.  Il  tempo  tulio 
De  la  sua  vita  di  pastore  in  guisa, 

Menò  per  monti  sol  ilari  i ed  ermi; 

E per  grotte  e per  dumi  e per  orrende 
Selve  c tane  di  fere  ebbe  ricetto 
Con  la  fanciulla,  a cui  fu  cibo  un  tempo 
Ferino  latte,  e balia  una  d’  armento 
Ancor  non  doma  e pavida  giumenta.  ' 

Me  le  tenere  labbra  il  padre  stesso 
De  la  fera  premea  torride  mamme. 

Nè  pria  tenne  de’  piè  salde  le  piante, 

Clic  d’arco,  di  faretra  e di  nodosi 
Dardi  le  mani  e gli  omeri  gravolle. 

Non  d’òr  le  chiome,  o di  monile  il  collo, : 
Nè  men  di  lunga  o di  fregiata  gonna 
La  ricove'rse  ; ma  di  tigre  un  cuoio 
Le  facea  veste  intorno,  e cuffia  in  capo. 

Il  fanciullesco  suo  primo  diletto 
KM  primo  studio  fu  lanciar  ili  palo, 

E trae  d’  arco  e di  fromba;.  e’n  fin  d’ allora 
Facea  strage  di  gru,  d’oche  e di  cigni. 

Molte  la  desiar  tirrene  madri 
Per  nuora  indarno.  Ed  ella  di  me  sola 
Contenta,  intemerata  e pura  e casta 
[56S-ÓS3] 


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50  5 


[93-1  >954]  mbro  xi. 

La  sua  verginità,  l’amor  de  l’  armi 
Sol  ebbe  in  cale:  Or  mio  fòra  disio 
Che  di  quésta  milizia  e de  la  pugna, 

Che  presa  ha  co’ Troiani  e co’ Tirreni,  * 
Fosse  digiuna;  per  sì  cara  io  l’  aggio, 

E tale  or  mi  saria  grata  compagna. 

Ma  poi  che  acerbo  fato  la  persegue, 

Scendi,  ninfa,  dal  cielo,  e nel  paese 
Va’ de’ Latini.  Ivi  al  conilitto  assisti, 

Che  per  Lazio  e per  lei  mal  s’apparecchia. 
Prendi  quest’arco  e prendi  questa  mia 
Stessa  faretra,  e di  qui  traggi  il  tèlo  • 

Per  vendicarmi  di  qualunque  ardito 
Sarà  di  violar  quest’  a me  sacra 
E devota  virago  ; Italo,  o Teucro 
Che  sia.- Poscia  io  verrò  di  nube  involta 
A provveder  che’l  tniserabil  corpo 
Non  sia  il’  armi  spogliato,  ee.be  raccolto 
Sia  ne  la  patria,  e seppellito  e pianto. 

Così  dicendo,  entro  un  sonoro  nembo, 

Da’ mortali  occhi  -non  veduta,  a terra 
Lievemente  calossi.  I teucri  intanto 
E i toschi  duci  le  lor  genti  avanti 
Spingendo,  a la-città  s’ avvicinerò. 

[584-59y] 


l’  ENEIDE. 


5G<> 


[955-978] 


Piena  d’armi,  d’ insegne,  di  cavalli 
E di  schierati  fanti  c di  squadroni 
Si  vedca  la  campagna.  Eran  per  tolto 
Gualdanc,  giramenti,  scorribande 
Di  cavalieri:  in  secche  selve  i colli 
Parean  conversi  : ardea  la  terra  e’I  ciclo 
Di  ferrigni  splendori , e «1*  ogni  parte 
S’  udian  fremer  cavalli,  e squillar  trombe. 

Incontro  a lor  da  1’  altra  parte  uscirò 
Il  fitfr  Messàpo,  i cavalier  latini, 

Corace  col  suo  frate,  e di  Camilla 
La  bellicosa  banda.  Era  il  concorso 
Tuttavia  de  le  genti,  e de’ cavalli 
Il  fremito  maggiore.  E già  la  massa 
distretta,  e già  vicine  ambe  le  parti 
A tiro  d’  asta,  a fronte  si  fermare 
1,’  una  de  l’altra;  e con  le  lance  in  resta, 
Con  saette  e con  dardi  incominciare 
Primamente  da  lunge  a salutarsi. 

Poi  di  sùbite  grida  udito  un  tuono 
Al  ciel  levossi;  e due  contrarii  nembi 


Da  la  terra  sorgendo,  armi  fioccalo 
Di  neve  in  guisa,  e coprir  d’  ombra  il  sole. 
A I fi ii  »la  ciascun  lato  i destrier  punti 
[599-G10] 


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[,>79- 1 002]  irono,  xl.  507 

And&r  tulli  con  tulli  a rincontrarsi. 

Era  Tirreno  al  fiero  Aconte  opposto 
Ne  la  battaglia;  e questi  primamente 
S’  urtaro,  e per  la  furia  e per  la  forza 
De  r urto,  ambe  le  lance,  ambi  i cavalli, 

Ed  ambi  i corpi  infranti,  stramazzati, 

L’  un  da  l’altro  disgiunti,  quai  percossi 
Da  fulmine  o da  macchine  avventati, 
Caddero  a terra.  E)  pria  ne  l’aura  Aconte 
Lasciò  la  vita.  Conturbate  e sparse 
Le  schiere  de’ Latini,  incontinente 
Con  le  targhe  rivòlte  a tutta  briglia 
Vèr  le  mura  spronando  in  fuga  audaro. 

Gli  seguirò  i Troiani;  e prima  Asila  - 
Gti  nssalse  e gli  cacciò  fin  su  le  porle. 

Qui  fermi  e rincorati  alzan  le  grida, 

Voi  goti  le  teste  e si  rifan  lor  sopra, 
Ch’eran  lor  contra.  Cosi  quando  questi, 

E quando  quelli  or  cacciano,  or  cacciati 
Tornano;  in  quella  guisa  eh’ a vicenda 
Il  mare  or  d'alto  a riva  i flutti  increspa, 

E ne  l’ultima  arena  ondeggia  e spuma; 

Or  da  la  riva  indietro  se  ne  torna, 

E le  stess’onde,  e la  commossa  ghiai  a 
[614-628] 


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568 


l’  emetde. 


[1003-1026] 
Sorbendo  c voltolando,  si  ritraggo. 

Due  volle  i Toschi  i Ruttili  incalzavo 
Fino  a le  mura;  e i Rululi  due  volle 
Risospinsero  i Toschi.  Al  terzo  assalto 
Mischiarsi  ambe  le  schiere,  c F un  con  l’ altro 
Vennero  a zuffa.  Allor  le  grida  e i muggiti 
Si  sentir  de’ cadenti  : allór  si  vide 
Il  pian  tutto  di  sangue,  e tutto  d’armi 
K d’  uomini  coverto  e di  cavalli 
Feriti  e morti.  Orstloco  a rincontro 
f)i  Rèmolo  trovossi  ;e  non  osando 
Di  star  seco  a le  mani,  al  suo  cavallo 
Trasse  del  dardo,  e’n  su  l’orecchio  il  colse. 
Del  colpo  impaziente  e per  sè  (iero 
Si  scosse,  s’avventò,  col  petto  in  alto 
E con  le  zampe  il  corridoi*  levossi, 

E’n  su  l’arena  il  cavalier  distese. 

Catillo  loia  e’1  grande  Erminio  uccise; 
Erminio,  che  di  corpo  e d’armi  c d’animo 
Era  de’  più  robusti,  de’  più  chiari 
E de’  più  riguardervoli  guerrieri 
De’ Toschi  tutti.  Avea  la  chioma  stessa 
Per  sua  celata  ; avea  gli  omeri  ignudi 
Di  ferro  al  ferro  esposti,  e di  ferite 
[628-6441 


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LIBRO  W. 


Ò69 


[1027-1050] 

Ampio  bersaglio.  In  su  I* aperte  spalle 
Catillo  il  colse;  e tremolando  il  tèlo 
Passògli  il  petto,  e raddoppiògli  il  duolo. 
Per  tutto  si  fa  sangue;  in  ogni  parte 
Si  tragge,  si  ferisce,  si  stramazza: 

E chi  cede  e chi  segue.  In  varie  guise 
Ne  van  tutti  a morir  morte  onorata. 

In  mézzo  a tanta  occisìone,  ignuda 
Da  I’  un  de’  lati  infuriando  essulta 
ha  vergine  Camilla  ; ed  or  di  dardo 
Fulminando,  or  di  lancia,  or  di  secure 
Non  mai  stanca  percuote.  E qual  Diana 
Di  sonora  faretra  e d’  arco  aurato  - 
Gli  omeri  onusta,  aucor  che  si  ritragga,. 
Saettando,  ferite  e morti  avventa.  . 

D’ intorno  ha  per  compagne  e per  guerriere 
D’archr,  di  mazze  e di  bipenni  armate, 
Tulla,  Tarpèa,  Carina, 'cri  altre  illustri 
Italiche  donzelle,  a suo  decoro 
Scelte  da  lei  per  sue  degne  ministre 
Ne  la  pace  e nel’ anni.  Iti  tal  sembianza 
Tcrmodoonte  il  bellicoso  stuolo  • 

De  I’AmazOni  sue  vide  in  battaglia 
Attorneggiarc  Ippolita,  o col  carro 
[G44-66I] 


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570 


l’-exeide.  [1051-1074] 

Oir  di  Pentesilèu  le  schiere  aprendo 

Con  feminei  ululali.  Or  chi  fu  prima. 

Chi  poi,  cruda  virago,  e quali  e quanti 

Quei  di’  abbattesti,  e che  di  vita  spenti 

Mandasti  a l’Orco?  Eumcnio  primamente 

Di  Clizie  il  figlio,  da  costei  trafitto 

Fu  d’un  colpo  di  lancia  in  mezzo  al  petto. 

Cadde  il  meschino,  e fe  di  sangue  un  rivo, 

* 

Sopra  cui  voltolandosi,  c mordendo 
Il  sanguigno  terreo,  di  vita  uscio. 

Indi  va  sopra  a Li l'i  e sopra  a Pègaso 
Quasi  in  un  tempo,  a l’un  mentre,  inciampando 
Il  suo  destriero,  il  fren  raccoglie;  a l’altro 
Mentre  a lui,  che  trabocca,  il  braccio  stende 
Per  sostenerlo  : onde  in  un  gruppo  entrambi 
Precipitare.  A cui  d’ Ippòta  il  figlio 
Amastro  aggiunse, evia  seguendo,  Arpàlico, 

E Tèreo  e Cromi  c Demofonle  uccise. 

Quanti  dardi  lanciò,  tanti  Troiani 
Cittò  per  terra.  Ornilo,  un  cacciatore, 

Oli  già  davanti,  e stranamente  armato 
Cavalcava  di  Puglia  un  gran  destriero  : 

Per  sua  corazza  uvea  d’ ispido  toro 
I u duro  tergo;  per  celata  un  teschio 
[662-680] 


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[1075-1098]  libro  xi.  òli 

Di  lupo,  die  dal  capo  inaino  al  mento 
Sbarrava  le  mascelle,  e digrignando. 
Giostrava  i denti.  In  man  portava,  ad  uso 
Di  contadini,  un  nodoroso  palo 
Di  grave  ronca  armatò.  Egli  net  meìzo 
Degli  altri  suoi  con  le  due  teste  andava 
Sovrano  a tutti,  e le  ferine  orecchie  -, 
Ergeu  di  cresta  c di  pennacchi  in  vece. 
Camilla  il  giunse,  lo  fermò,  P occise 
Senza  contrasto:  già  che  volta  in  fuga 
Era  la  schiera  sua.  Sovra  al  suo  corpo 
Disse  rimproverando  : E che  pensasti. 
Tosco  insolente?  Di  venire  a caccia 
In  qualehé  selva,  e seguir  damme  imbelli? 
Venuto  sei  là’ve  una  dama  armata 
Col  ferro  amaramente  vi  rintuzza 
l.a  superbia  e la  lingua.  Oh  pur  non  poco 
Ti  Ita  di  vapto,  referendo  a P ombre 
Oc’  tuoi:  Per  man’fui  di  Camilla  ucciso. 

Indi  Orsiloco  assalse,  c Bute  appresso, 
Due  corpi  der  maggiori  e de’ più  forti 
Del  troian  oste.  A Buie  un  colpo  trasse 
Che  ’l  giunse  ove  tra  l’ elmo  e la  corazza 
Si  scopre  il  collo,  onde  lo  scudo  appeso 
[681-693] 


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.l7,  l’  et, de.  [1099-IH» 

Sla  da  sinistra.  Orsiloco,  ruggendo 
E gridando,  gabbò;  ch’ai  giro  interno 
S’ attenne  e strinse  ; e !ò  ’ve  era  seguila, 
Seguitò  lui.  Gli  fu  sopra  in.ùn  tempo 

\ colpi  di  secare,  e 1’ armi  e l’ ossa 

(Ili  pestò  sì  clic  per  suo  scampo  a prieg  n 
Si  volse.  M-fine  un  tal  sopra  ia  lesta 
Ne  gli  piantò,  che  le  cervella  infrante 
Oli  schizzàr  da  la  fronte  e da  le  tempie. 

D’ Attuo  «lontanar  de  l’ Appennino 
Il  bellicoso  figlio  a l>  improviso 
Fu  da  lei  colto:  un  Ligure  scaltrito, 

Che  per  ordire  inganni  (in  fin  che  fato 
Oliel  concedè)  non  degli  estremi  avuto 
Era  tra’ suoi.  Costui  nel  primo  incontro 
sbigottito  fermossi.  E poiché  vide 
Non. poter  con  la  fuga  a lei  sottrarsi, 

Che  gli  era  sopra,  a la  malizia  usala 
Ricorrendo,  Oh!  gran  prova,  adir  conimela, 
Sarà  la  tua,  se  ben  femina  sei,  , 

Di  sfidar  me,  quando  un  cavai  t’  amili 
Si  fugace  e sì  forte.  Or  al  vantaggio 
Rinunzia  de  la  fuga  e meco  a piede 
Prendi  zuffa  del  pari  ; c poi  vedrassi 
[093-708] 


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11123-4146]  unno  xi.  * 573 

A cui  questa  ventosa  tua  bravura 
Onore  acquisti.  A colai  dir  Camilla 
Di  furia,  di  dolor,  di  sdegno  ardendo 
Ratto  dismonta;  c ’l  corridoi*  deposlo 
In  man  de  la  compagna,  a piè  si  pianta; 
Stringe  la  spada,  imbracciasi  lo  scudo, 

E con  pari  armi  intrepida  l’ attende. 

Il  giovine,  che  vinto  si  credette  . 

Aver  con  quello  avviso,  incontinente 
La  groppa ,le  mostrò  del  suo  cavallo, 

E via  spronando  a tutta  briglia  il  pinsc. 
Ligure  vano,  vano  orgoglio  in  prima 
Ti  mosse  ; or  vana  astuzia  e vana  fuga 
Sarà  la  jua;  che  1’  arte  del  fallace 
Tuo  padre,  c di  tua  patria,  a far  non  basta 
Che  vivo  da  le  mau  mi  ti  ritolga. 

Disse  la  virgo,  e qual  da  cocca  strale 
Dietro  gli  si  spiccò:  ratto  raggiunse, 
Passollo,  attraversollo,  al  fren  di  piglio 
Diedegli  ; lo  feri,  l’aucise  alfine. 

Cosi  d’un  alto  sasso  agevolmente 
Sparvier  grifagno  al  timido  colombo 
S’ avventa,  e lo  ghermisce  jonde  in  un  tempo 
Sangue  e piuma  dal  ciel  ncviga  e piove. 
Caco.  — 37.  [703-724] 


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ó74 


L*  ENEIDE. 


» . 


[.li 47 - 1 ITO] 


In  questa,  de’ mortali  e de’ celesti 
li’  eterno  reg notar,  che  pur  talvolta 
Alcun  de’ raggi  suoi  vèr  noi  rivolge, 

Non  con  lieve  disdegno  o picciol’  ira 
Mosse  Tarcontc  a sovvenir  le  schiere 
De’ suoi  eli’ erano  in  volta.  Egli  per  mezzo 
Va  de  l’occisìoni  e de  le  mischie, 

Or  il  destricr  con  tra  i nemici  urtando. 


Or  le  sue  squadre  inanimando,  insieme 
he  ristringe,  lè  instiga,  le  garrisce, 

E per  nome  ciascun  chiamando,  Ah,  disse. 
Tirreni,  e che  timore  e che  spavento 
È’I  vostro?  che  viltà,  che  codardia 
V’ha  presi?  e quando  mai  fia  che  vi  punga 
0 dolore,  o vergogna  ? Adunque  in  fuga  * 
(lite  per  una  femina  ? una  femina 
Vi  disperge  e v’  ancide?  A che  di  ferro 
Invan  così  le  destre  c i petti  armate  ? 

De  le  donne  temete?  E pur  di  loro 
Si  timidi  di  notte,  nè  sì  fiacchi 
Negli  assalti  di  Venere  non  siete, 

Nè  quando  a suon  di  pifferi  intimati 
\ i sono  i baccanali.  Or  via,  campioni 
Da  letti  c da  bottiglie,  a nozze,  a pasti, 
[725-739] 


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[M 7-1- 1194]  libro  Xi.-  575 

A sacrifici i,  ullor  che  ne  le  sacre 
Foreste  è da  l’aruspice  intonato 
Che  la  vittima  è grassa,  itene  lutti 
Seco  a goder  del  saginato  bue 
A piena  pancia;  chè  nuli’ altro  amore, 

Nuli’  altro  studio  è ’l  vostro.  ciò  dicendo, 
Ne  va  come  devoto  a morte  aneli’  egli. 

Con  Vènolo  s’affronta  ; e sì  com'  era 
Turbato,  I’  aggavigna,  c fuor  lo  tragge 
Del  suo  cavallo.  Alto  levossi  un  grido 
Tal,  che  lutti  a veder  le  ciglia  alzavo 
I Latini  e i Tirreni.  Iva  Tarconte.  . 

Per  la  campagna  con  la  pretta  in  grembo 
Del  nimico  e de  l’ armi  e ’n  mezzo  al  corso 
Svelge  da  l’asta  sua  medesma  il  ferro, 

E cerca  ov’  è di  piastra  il  corpo  ignudo 
Pei*  darli  morte.  E mientre  ne  la  gola 
Tenta  ferirlo,  ei  con  le  braccia  iiralto 
Si  scherma,  regge  il  colpo,  e da  la  forza 
Quanto  può  con  la  forza  si  districa. 

Come  ne  1’  aria  insieme  avviticchiati 
Si  son  visti  talor  1’  aquila  e’I  serpe 
Pugnar  volando,  e P una  aver  con  1’  ugne 
E col  becco  ghermito  e morso  1’  altro  ; 
[739-752] 


♦ 


* 


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u’  e.nf.ide. 


[1 105-1218] 

E rullio  co’ suoi  girie  co’ suoi  nodi 
Farle  vincigli  a’piè,  volumi  a l’ali; 

E questo  con  la  testa  alto  fischiando, 

E quella  schiamazzando  e dibattendo, 
Ambedue  voltolarsi,  ambedue  stretti 
Far  di  squame  c di  piume  un  sol  viluppo; 
Così  l'arconte  per  lo  cqmpo  a volo, 

Vincitor  de  le  schiere  di  Tiburte, 

t 

Vènolo  sen  portava.  E questo  essempio 
Del  suo  duce  seguendo,  e del  successo 
Assecurata,  la  meonia  torma 
Tutta  contr’  a’  Latini  impeto  fece. 

Tra  questi  Armile,  un  che  di  già  dovuto 
Era  al  suo  fato,  con  un  dardo  in  mano 
Camilla  astutamente  insidiando, 

Si  diede  a seguitarla,  a circuirla  ; 

A cercar  destra  e commoda  fortuna 
. Di  darle  morte.  Ovunque  ella,  o per  mezzo 
Fcndea  le  schiere,  o vincitrice  indietro 
Si  ritraea,  l’era  vicino  Armile; 

E tutti  i moti  suoi,  tutte  le  vie 
Osservando,  atteudea  che  netto  il  colpo 
Cli  riuscisse,  e da  fellone  intanto 
A\ea  I asta  a ferir  librata  e pronta. 
[753-7G7] 


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[1219-1242]  i.iono  xi.  577 

Giva  per  avventura  a )ei  davanti 
Cloro,  un  giovine  ideo,  che  sacerdote 
Era  gin  di  Cibelle.  I Frigi  tutti 

Non  avcan  chi  di  lui  fosse  ne  Farmi 

» 

Più  riccamente  adorno.  Un  suo  corsiero 
Per  lo  campo  spingea.  di  spuma  asperso, 
Cinto  di  barde  e d’acciariue  lame 
Come  di  scaglie,  e di  leggiadre  piume 
Leggiadramente  intestc.  Un  arco  d’ oro 
Gli  pendea  da  le  spalle,  una  faretra 
A la  cretese.  In  testa,  in  gambe,  in  fiosso, 
D’armi  e d’arnesi  in  barbara  sembianza, 

Di  peregrina  purpura  e di  seta,. 

Di  bisso,  di  teletta  e d’ostro  e d’oro 
Tutto  coverto,  tutto  ricamato, 

Tutto  trinciato;  e saettando  andava. 

Costui  veduto,  ogni  altra  impresa  indietro 
Lasciando,  a lui  si  volse  o per  vaghezza 
Di  consecrar  le  sue  bell’ armi  al  tempio, 

0 pur  che  di  sì  vago  ostile  arnese 
Di  gir  pomposa  cacciatrice  amasse. 

Basta  che  per  le  schiere  incauta,  ardente, 

E come  donna  vogliolosa  e fólle 
De  l’amor  de  la  preda  e de  le  spoglie 
[768-782] 


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578 


l’.eseim:. 


i 


[1243-1266] 
Contro  a Ini  se  ne  giva  ; nllor  ch’Arunte, 
Dopo  mollo  appostarla,  nlfin  le  trasse, 

In  tal  guisa  pregando:  0 di  Soralte 
Sommo  custode  Apollo,  a cqi  devoti 
Noi  fummo  in  prima,  a cui  di' sacri  pini 
ISutrimo  il  foco,  e per  cui  nudi  e scalzi 
Tra  le  fiamme  saltando  e per  le  brage 
Securamente  e senza  offesa  andiamo, 
Dammi,  che  tutto  puoi,  padre  benigno, 

Clic  questa  infamia*  per  mia  man  si  tolga 
De  Tarmi  nostre.  Io  di  costei  non  bramo 
Armi,  spoglie  o trofeo,  fili  altri  miei  fatti 
Mi  sian  di  lode,  c pur  clic  questo  mostro 
Caggia  spento  da  me,  ne  la  mia  patria 
Senza  più  gloria  andrò,  di  questa  guerra 
Pago  e contento.  Udì  Febo  del  voto 
Parte,  c parte  per  l’aura  ne  disperse. 

IJdi  clic  morta  da  quel  colpo  fosse 
La  vergine  Camilla;  c non  udlo 
Di  lui,  eli’  ci  vivo  in  patria  ne  tornasse; 
Clic  ciò  per  l’aura  ne  porlaro  i venti. 

Tosto  clic  da  le  man  P asta  ronzando 
(ìli  uscio,  fui*  gli  occhi  e gli  animi  e le  grida 
De’  Voi  sci  tutti  a la  regina  intenti. 

[782-801] 


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5 


[1267-1290]  libro  xi. 

Etl  ella  nò  del  tèlo,  nè  de  l’aura 
Moto  o fischio  sentì;  nè  vide  il  colpo,  \ 
Mentre  giù  discendea,  finché  non  giunse, 
fiiunsele  appunto  ove  divelta  e nuda 
Era  la  poppa;  e del  virgineo  sangue,  * 
Non  già  di  latte,  sitibonda  scese 
Si  che  ’l  petto  l’aprì.  Le  sue  compagne 
Le  fui*  trepide  intorno;  e già  che  morta 
Cadea,  la  sostentaro.  Armile  in  fuga 
Ratto  si  volge,  di  puura  insieme 
Turbato  e di  letizia;  chè  ne  l’asta 
Più  non  confida,  e più  di  star  non  osa 
Incontro  a lei.  Qual  affamato  lupo 
Ch’ occiso  de  l’armento  un  gran  giovenco 
0 lo  stesso  pastore,  in  sè  confuso 
Di  tanta  audacia,  anzi  che  da’  villaggi 
Gli  si  levin  le  grida,  infra  le  gambe 
Si  rimette  la  coda,  e ratto  a’  monti 
Fuggendo,  si  rinselva:  in  colai  guisa 
Arunte,  dopo’l  tratto,  impaurito^ 

Solo  a salvarsi  inteso,  in  mezzo  a farmi 
Si  mischiò  tra  le  schiere.  Ella  morendo 
Di  sua  man  fuor  del  petto  il  crudo  ferro 
Tentò  svclgersi  indarno;  chè  la  punta 
[801-816] 


ófcO  i,’  iìseiok.  [1291-13141 

* 

S’  ei  a altamente  no  le  coste  infissa  : 

Onde  languendo  abbandonossi,  c fredda 
Giacque  supina  ; e gli  ocelli,  che  pur  dianzi 
Scintillavano  ardoi:,  grazia  e fierezza, 

Si  fcr  torbidi  c gravi.  Il  volto,  in  prima 
Di  rose  e d’  ostro,  di  pali  or  di  morte 
Tulio  si  tinse.  In  tal  guisa  spirando, 

Acca  a sè  chiama,  una  tra  1’ altre  sue 
La  più  fida  di  tutte  c 4a  più  cara  ; 

E dice:  Acca,  sorella,  i giorni  miei 
Som  qui  finiti:  questa  acerba  piaga 
M’ adduce  a morte,  e già  nero  mi  sembra 
Tutto  che  veggio.  Or  vola,  e da  mia  parte 
Di’ per  ultimo  a Turno,  che  succeda 
A questa  pugna  e la  città  soccorra: 

E tu  rimanti  in  pace.  A pena  detto 
Ebbe  così,  clic  abbandonando  il  freno 
E l’arme  c sè  medesma,  a capo  chino 
Traboccò  da  cavallo.  Allora  il  freddo 
L’occupò  de  la  morte  a poco  a poco 
Le  membra  tulle.  E dechinato  il  collo 
Sopra  un  verde  cespuglio,  alfin  di  vita 
Sdegnosamente  sospirando  uscio. 

Camilla  estinta,  per  lo  campo  un  grido 
[817-832] 


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[1315-1338]  LIBRO  XI.  »8l 

Levossi  clic  u’  andò  fino  a le  stelle,  ■ 

E surse  al  cader  suo  zuffa  maggiore  ; 

Citò  i Teucri  e i Toschi  e gli  Arcadi  in  un  ternfio 
Pinsero  avanti.  Opi,  ministra  intanto 
Di  Trivio,  che  nel  monte  era  discesa 
Vicino  a la  battaglia,  indi  il  conflitto 
Stava  mirando  intrepida  e sicura,* 

E visto  di  lontan  tra  molte  genti 
Nascer  nuovo  tumulto  e nuove  grida, 

Poscia  in  mezzo  dj  lor  caduta  e morta 
La  vergine  Camilla,  Ali,  sospirando 
Disse,  virgo  infelice!  troppo,  troppo 
Crude!  supplizio  bai  de  l’ardir  sofferto, 
Sed’  irritar  I’  armi  troiane  osasti. 

E di  che  prò  t’ è stato  a viver  nosco 
Solinga  vita,  armar  de  P armi  nostre, 
Gradire  i boschi  e venerar  Diana? 

Ma  te  non  laseerà  la  tua  regina 
Giacer  disonorata  in  questa  fine 
De  la  tua  vita  \ e la  tua  morte  oscura 
Non  sarà  tra  le  genti  ; e non  diressi 
Che  non  è ehi  di  te  vendetta  faccia  ; 

Clic  chiunque  di  ferro  avrà  ferito 
Il  corpo  tuo,  sarà  meritamente 
[832-848] 


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. 


5S2  t’  f^f.ide.  [1339-4362] 

Di  ferro  anciso.  Era  a Dcrccnno,  antico 
He  de’  Lamenti,  un  gran  sepolcro  eretto, 

Cui  sopra  era  «li  terra  un  monte  imposto 
E d’  elei  annosi  e folli  un  bosco  opaco. 

Qui  la  veloce  Dea  dal  ciel  caìossi 
Al  primo  volo  ; e di  qui  visto  Arunte 
Splender  ne  l’armi,  c gir  di  sua  follia 
Superbo  e gonfio,  Ove  ue  vai  ! diss  ella. 

Qui  convicn  cbe  ti4  fermi,  e qui  morendo 
De  la  morta  Camilla  il  premio  avrai 
Degno  di  te,  se  di  perir  sei  degno 
De  I’  armi  di  Diana.  E,  ciò  dicendo, 

La  buona  arciera  del  turcasso  aurato 
Trasse  un  acuto  strale,  e l’arco  tese, 

E tirò  sì  eh’ ambe  le  corna  estreme 
Vennero  al  mezzo,  ed  ambe  parimente 
Le  mani,  una  tirala  e 1’  altra  spinta, 

Quella  toccò  la  poppa  c questa  il  ferro. 
L’arco,  l’aura,  lo  strai  sonare  udio, 

E ferir  e morir  sentissi  Arunte 
Tutto  in  un  tempo.  I suoi  quasi  in  oblio 
Così  come  spirava,  in  mezzo  al  campo 
Lo  lasciar  fra  la  polve  in  abbandono: 

Ed  Opi  al  eicl  tornando  a volo  alzossi. 
[S49-867] 


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T 

A. 


LIBRO  XI. 


[1363-1386] 


5 yò 


Caduta  lei,  la  schiera  di  CamMla 
Primieramente  in  fuga  si  rivolse: 

Indi  turbarsi  i Rutulr,  e dier  volta. 

Diè  volta  il  fiero  Atina;  e i duci  tutti. 

E tutte  fur  le  insegne  abbandonate. 

Cerca  ognun  di  salvarsi,  e vèr  le  mura 
INe  vanno  a"  tutta  briglia,  e più  nel  campo 
Alcun  non  è clic  di  far  lesta  ardisca 
Contro  la  strage  e contro  In  ruina*  * 
Che  fanno  i Teucri.  Se  ne  van  con  gli  archi 
Scarichi  in  su  le  terga  e spenzolonf; 

E più  che  di  galoppo  in  vèr  Laurento  * 
Battono  il  campo,  e fan  nubi  di  polve. 

Le  madri  da’ balconi  e da’ torrazzi, 

Percossi  i petti,  alzano  al  ciel  le  grida 
Con  femineo  ululato.  E quei  che  primi 
Giunti  trovàr  le  porte  ancor  non  chiuse. 
Mischiati  co’ nemici,  ove  più  salvi  % 

Si  credean,  ne  l’entrata  e fra  le  mura 
De  la  stessa  lor  patria,  anzi  agli  alberghi 
Lor  propri  e da’  nemici  e da  la  morte 
E tir  sopraggiunti.  Incoiai  guisa  in  prima 
Stette  la  porta  agli  avversari  aperta. 

Poi  chiusa  escluse  ispoi,  che  fuori  in  preda 
* [868-884] 


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Ó84 


l’  k.neidi:. 


[Io87-i4i0j 
Restando  dc’.ncmici.  ai  ior  più  cari, 

CÌic  morir  gli  vedcan,  perchè  sT aprisse 
Supplicavano  indarno.  E qui  ira  quelli 
Che  u’  erano  a difesa,  e quei  eli’ a forza, 


Anzi  a furia,  a ruma  incóntro  a loro 


S’  avventava!!  ne  l’armi,  orrenda  strage 


Si  fece  e miseranda.  E degli  esclusi 


Altri  in  cospeltO'degli  stessi  padri, 

E de  le  madri  che  dogliose  grida 
Ne  facean  da  le  torri  e da  le  mura, 

Da  l’ impeto  cacciati  o da  la  calca 
Precipitar  ne’ fossi,  e giù  da’ ponti 
Cadder  sospinti  ; ed  altri  ne  la  fuga 
Da’ sfrenati  cavalli  e da  la  cieca 
Lor  furia  trasportati,  a dar  di  cozzo. 

Gir  ne  le  chiuse  porte.  In  su’  ripari 
Ancor  le  donne  (che  le  donne  ancora 
Il  vero  de  la  patria  amore  infiamma), 
Come  giunte  a l’estremo,  allor  che  morta 
Videi*  Camilla,  il  fcminil  timore 
Volgono  in  sicurezza;  e sassi  e dardi 
Lanciando,  c con  aguzzi  inarsicciati 
Pali  il  ferro  imitando,  osano  aneli’ elle 
Per  la  difesa  delle  patrie  mura 
[885-895] 


Ut*' 


^ ' 


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[1411-1434]  unno  *i.  -585 

Gir  le  prime  a morir  morie  onorata. 

A Turno  intanto  ne  le  selve  arriva 
Acca,  la  già  spedita  messaggera 
Con  l’amara  novella;  un  gran  tumulto 
Portando,  che  l’cssercito  è sconfitto, 

.Morta  Camilla,  annichilati  i Volsci. 

f 

E i Teucri  d’ogni  cosa  impadroniti 
Stanno  in  campagna  col  favor  che  porta 
Seco  de  la  vittoria  il  corso  e’I  nome; 
Spingonsi  avanti;  e già  pianto  e paura 
Assalgon  la  città.  D’ ira,  di  sdegno,  ' 

E di  furore  il  giovine  infiammalo, 

(Chè  tale  era  il  voler  empio  di  Giove) 

Da  l’ insidie  si  toglie,  esce  de’  boschi 
Ov’era  ascoso,  e giù  scende  da’ colli. 
Smarriti  non  gli  avea  di  vista  a pena, 

A pena  era  nel  piano,  allor  di’ Enea 
Prese  ilei  monte;  e là  V era  l’agguato, 
Trovando  aperto,  senz’offesa  aneli’  egli 
Superò  ’l  giogo,  e de  la  selva  uscio. 

Cosi  con  passi  frettolosi  entrambi 
Con  tutte  le  lor  genti,  c 1’  un  da  I’  altro 
Poco  lontani  a la  città  sèn  vanno. 

E ’nsiememente  da  I’  un  canto  Enea 


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58G 


L ENEIDE 


[1435-1445] 


Vide  di  polverio  fumare  i campi, 

E di  Laurealo  sventolar  P insegne; 
Turno  da  P altro  Enea  scoperse,  udendo 
L’  annitrir  de’ cavalli  e M calpestio 
Crescer  di  mano  in  mano.  Eran  vicini 
Si,  che  venuto  a zuffa  ed  a battaglia 
Si  fora  anco  quel  dì,  se  non  clic  Febo, 
Fatto  vermiglio,  i suoi  stanchi  destrieri 
Stava  già  per  tuffar  ne  P onde  ibere. 
Onde  avanti  a le  mura  ambi  accampati 
Di  trincee  si  munirò  e di  ripari. 


[908-915] 


X 


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c_l 


[M8] 


587 


DELL’  ENEIDE 

• » 

Libro  Duodecimo. 

Turno,  poscia  che  vede  afflitti  e domi 
Già  due  volte  i Latini,  e non  pur  scemi 
Di  forze,  ma  di  speme  e di  baldanza, 

Da  lui  farsi  rubclli,  e che  a lui  solo 
Ognun  rivolto  in  tanto  affare  attende 
Le  pruove,  le  promesse  e i vanti  suoi, 
Furioso,  implacabile,  inquieto 
Arde,  s’ inanimisce,  e si  rinfranca 
Prima  in  sè  stesso.  Qual  mossila  fera 
CIP  allor  d’ insanguinar  gli  urtigli  e il  ceffo 
Disponsi,  allor  s’  adira,  allor  si  scaglia 
Vèr  chi  la  caccia,  che  da  lui  si  sente 
Gravemente  ferita;  c già  godendo 
De  la  vendetta,  sanguinosa  e fiera 
Con  le  iube  s’  arruffa,  c con  le  rampe 
Frange  l’ infisso  tèlo  e graffia  e rugge;  . 
Così  la  violenza  era  di  Turno 
Accesa,  impetuosa  e furibonda; 

[1-9] 


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Il  IÌI10  XII. 


[19-42J 


óSS 


H 


E così  conturbato  appresentossi 
Al  re  davanti,  e disse:  Indugio,  o scusa 
Più  non  fa  Turno;  c più  non  ponilo  i Teucri* 
Da  quel  eh’ è patteggialo  e stabilito, 

Se  non  se  per  viltà,  ritrarsi  ornai. 

Eccomi  in  campo:  ecco  parato  e pronto 
Sono  al  duello.  Or  fa’,  padre,  die  ’l  patto 
Sia  fermo  e rato  e sacro;  e i sacrifìci 
E ’l  giuramento  appresta.  Oggi,  Signore, 

» Sii  certo  o eli’  io  con  le  mie  mani  a morte 
Ouesto  de  1’  Asia  fuggitivo  adduco, 

E ’l  difet  to  di  lutti  io  solo  ammendo  ; 

(Stiansi  pure  a vedere  i tuoi  Latini) 

0 eli’ ei  vincendo  liu  padrone  a voi, 

E marito  a Lavinia.  A cui  Latino 
Col  cor  seduto  in  tal  guisa  rispose: 

Giovine  valoroso,  al  tuo  valore, 

A la  ferocia  tua  che  tanto  eccede 
Ne  1’  armi,  io  diferisco.  E tu  dovrai 
Appagarli  di  me,  s’ io,  d’  ogni  cosa 
Temendo,  con  ragione  c con  maturo 
Consiglio  in  tutti  i casi  inveglio,  e curo 
Clic  I mio  stato  si  salvi  e la  tua  vita. 

A «lei  vecchio  Dauno  crede  e figlio, 
[10-22] 


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589 


[43-66]  libro  un. 

Seggio  e regno  non  manca,  oltre  a le  terre 
Di  cui  tu  fatto  hai  da  te  stesso  acquisto 
Per  forza  d’armi.  Oro,  favori  e gradi 
Da  Latino  avrai  sempre;  e maritaggi 
E donne  d’alto  affai*  son  per  io  Lazio, 

E per  le  terre  di  Laurento  assai. 

.Ma  soffri  eh’  io  ti  parli,  e senti,  e nota 
Poscia  quel  eli’  io  dirò;  che  dirò  vero,  • 

Ben  che  noia  li  sia.  Fatai  divieto 
Mi  proibiva,  e gli  uomini  e gli  Dei 
M’ avean  vaticinando  in  molte  guise* 
Denunziato,  che  mia  figlia  a nullo 
lo4mari tassi  di  color  che  chiesta 
Me  1’  avean  prima.  E pur  dall’  amor  vinto  \ 
Che  ti  port’  io,  dal  parentado  astretto 
C’  ho  con  la  casa  tua,  mosso  dal  pianto 
E da  le  preci  de  la  donna  mia, 

Dandola  a te  mi  sono  al  fato  opposto; 

Ho  rotto  fede  al  genero;  ho  con  lui 
Presa  non  giusta  e non  sicura  guerra. 

Da  indi  in  qua  tu  stesso,  tu  che  primo 
Soffri  tante  fatiche  e tanti  affanni,  » 

Hai  veduto  in  che  rischi;  in  che  travagli 
Siam  noi  caduti;  chè  due  volte  rotti 
Icaro. — 38.  * {22-34] 


4 


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J 

f»9t)  l’eìteide.  [fi7-90j 

Iti  due  sì  gran  battaglie,  in  questo  cerchio 
Nesiam  rinchiusi  a sostentare  a pena 
La  speranza  il’  Italia.  11  Tebro  è calilo 
Del  nostro  sangue.  I campi  son  già  bianchi 
Di*  le  nostr’  ossa.  Ed  io,  folle,  a che  torno 
Tante  fiale  al  precipizio  mio? 

Chi  così  ila  me  stesso  mi  sottragge? 

Se,  Turno  estinto,  io  nel  mio  regno  (leggio 
I Troiani  accettar,  che  non  gli  accetto 
Or  eli’  egli  è vivo  e salvo?  e che  non  pongo 
Fine  a la  guerra,  a la  ruina  espressa  - 
Del  mio  regno  e ile’ miei?  Clic  ne  diranno 

I hululi  parenti?  Che  dilanile 
Italia  tutta,  quando  a morte  io  lasci 
(Voglh»  Dio  che  non  sia)  gir  unclie  tanto 
Ama  la  parentela  c ’l  sangue  inio? 

Rimira  de  la  guerra  come  vana 

Sia  la  fortuna.  Abbi  pietà  del  vecchio 
Danno  tuo  padre,  che  da  te  lontano 
In  Anlèa  se  ne  sta  mesto  e dolente.. 

Turno,  a questo  parlar  nulla  si  mosse 
De  la  ferocia  sua:  crebbe  più  tosto 

II  suo  lucore  ; c lo  rimedio  stesso 

Mi  aggravò  ’l  mule.  Ei,eome  pria  poleo 
[34-47] 

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* V 


591 


[91-114]  LIBRO  XII. 

Formar  parola,  in  tal  guisa  rispose  : 

Nulla  per  conto  mio  di  me  ti  caglia, 
Signor  benigno:  anzi,  ti  prego,  in  grado 
Prendi  eh’  io  per  la  lode  e per  l’  onore 
Patteggi  con  la  morte.  Ed  aneli’  io,  padre, 
Ho  le  mie  mani  ; ed  anco  il  ferro  mio 
Ha  taglio  e punta,  e fa  ferita  e sangue. 

Non  sempre  avrà,  ered’io,  la  madre  a canto 
Clie  di  nube  lo  cuopra  e lo  trafugga 
Come  vii  femineila,  e di  van’  ombre 
Seco  s’ inveiva.  E,  ciò  detto,  si  tacque. 

Ma  la  regina,  de  l’audace  impresa 
Del  genero  dolente  e spaventata, 
Piangendo,  e per  angoscia  a morte  giunta, 
Co  ttuiea,  lo  pregava,  e gli  dice»? 

Turno,  per  queste  lagrime,  per  quanto 
T’ è,  se  pur  t’è,  dè  l’ infelice  Amata 
V onor,  l’amore  e la  salute  in  pregio; 

(tiià  che  tu  sola  speme,  e sol  riposo 
Sci  de  la  mia  vecchiezza:  a te  s' appoggia. 
In  tc  si  fonda  di  bulino  il  regno, 

E la  sua  dignitade,  e la  sua  casa 
Clic  mina  minaccia)  in  don  ti  dileggio, 
Astienti  di  venir  co’ Teucri  a l’arme; 

[47-GOJ 


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592 


* -lLe.XEIDE.  [ I I 5 - ;l  3 8] 

Che  qualunque  ne  segua  avverso  caso 
Sopra  mé  cade:  eh’  io  teco  di  vita 
Uscirò  pria  che  mai  suocera  0 serva 

I 

10  mi  vèggia  d’  Enea.  Queste  parplc 
De  la  madre  sentì  Lavinia  virgo, 

Hi  rugiadose  lagrime  e d’un  foco 

Di  vergineo  rossor  .le  guance  asperse, 

« * 

Qual  fora  se  di  purpura  macchiato 
Fosse  un  candido  avorio,  o che  di, rose 
Si  spargessero  i gigli.  In  lei  mirando 

11  giovine,  d’umoiMion  men  che  d’ira 
Acceso,  a l«j  regina  brevemente 

Cosi  rispose:  Ah,  madre  mia,  li  prego,.» 

In  così  perigliosa  c dora  impresa 
Non  mi  far  col  tuo  pianto  e col. tuo  duolo 
Sinistro  annunzio.  Chè  s’ a Turno  è dato 
Che  muoia,  in  suo  poter  più  non  è posto 
Che  di  morire  indugi.  Indi  a 1’  araldq 
Rivolto,  Va’,  gli  disse  e da  mia  parte 
Quest’  ingrata. c spiacevole' imbasciata 
Porla  al  frigio  tiranno,  clic  dimane 
I osto  che  Ha  la  rubiconda  Aurora 
A 1’  oriente  apparsa,  i Teucri  suoi 
C.ontr’a  Rullili  addur  più  non  s’alfauni. 

LG  1-78*1 


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LIBITO  XI!.- 


139-162] 


ó93 


Stiensi  farmi,  de’ Ruttili 'e  de’ Teucri 
Per  mio  conio  in  riposo.  Chè  tra  noi 
Gol  nostro  sangue'a  dittimi*  la  guerra, 

E di  Lavinia  le  bramate  nozze 

In  su  quel  campo  a procurar  ci  avemo. 

Detto  così,  vèr  lamagion  e’  invia 
Rapidamente;  addursi  fece  avaftti 
I suoi  cavalli,  e Te  fattezze  e ’i  fremito 
Notando,  se  ne  gode,  e ne  concepe 
Speme  e vittoria  ; chè  di  ny.za  usciti 
Eran  già  d^Orizia,  da  cui  Pi  fu  uno* 

Ebbe  giumente  e corridori  in  dono, 

Che  di  candor  la  neve,  e di  prestezza 

* f 

Superavano  il  vento.  Aveàn  d’ intorno 
I valletti  e gli  aurigi  clic  palpando. 
Forbendo  e vezzeggiando,  in  varie  guise 
Gli  facean  lieti,  baldanzosi  e fieri. 

Fatte  poscia  venir  1’  armi',  si  vesfe 
La  sua  corazza  d’oricalco  e d’oro, 

E dentro  vi  s’  adatta  e vi  si  vibra 
Con  la  persona.  Imbracciasi  Io  scudo,  * 
Pruovasi  l’elmd;  e la  vermiglia  cresta 
Squassandoci  brando  impugna, il  Hdobrando 
Da  lo  stesso  Volcano  al  padre  Dauno 
[78-90] 


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l’  ENTI  DI'. 


5!)  4 


[IG3-18G] 


Tempralo  in  Mongibello  a tulle  pruove. 
Alfine  un’asta  poderosa  c grave, 

Cli’ appo  un’  alla  colonna  era  appoggiata 
In  mezzo  de  la  casa,  in  man  si  pianta, 
Spoglio  d’ Attore  Aurunco.  E poiché  l’ebbe 
Brandita  e scossa,  Asta,  gridando  disse, 

CU’ a le  mie  fazioni  iniqua  non  fosti 
Chiamala  indarno,  ora  al  maggior  bisogno 
Da  le  soccorso  imploro.  Il  grande  Attóre 
Armasti  in  prima,  or  sei  di  Turno  in  inano. 
Dammi  clie’l  corpo  atterri,  c la  corazza 
Dischiodi,  c’1  petto  laceri  c trapassi 
Di  questo  frigio  effeminato  eunuco; 

Dammi  che  ’1  profumato,  inanellato, 

Col  ferro  attorcigliato  zazzeviuo 
Gli  scompigli  una  volta,  e ne  la  polve 
Lo  travolga  e nel  sangue.  In  cotal  guisa 
Dicendo,  infuriava,  ardea  nel  volto, 
Scintillava  negli  occhi,  orribilmente 
Erculea,  qual  mugghia  il  toroallor  clic  irato 
Si  prepara  a battaglia,  e l’ira  in  cima 
Si  reca  de  le  corna:  indi  I’ arruola 
A qualche  tronco,  e ’l  tronco  c l’aura  in  prima 
f erendo,  alto  co’  piè  sparge  1’  arena, 

[9 1 -106] 


1 


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[187-210]  unno  xii.  ó05 

E «lei  futuro  assalto  i colpi  impara. 

Da’!’ altro  canto  Enea,  non  men  feroce 
Ne  T armi  eli  suà  piatire,  ai  liero  marie 
S’inanima  e s’accinge',  e ilei  partito 
Che  gli  era  per  compor  la  guerra  offerto, 
Si  rallegra,  l’accetta;  e i suoi  compagni 
E’I  suo  figlio  assicura,  or  di  sè  stesso 
La  franchezza  mostrando,  or  le  venture 
De’ fati  rammentando  o le  promesse. 

Indi  con  la  risposta  al  re  Latino  • 

Manda  chi  la  disfida  e ’l  patto  accetti, 

E del  patto. i capitoli  c le  leggi 
Stabilisca  e confermi.  Era  de' monti 
In  su  la  cima  a pena  il  sole  apparso 
De  l’altro  giorno,  allor  eh’  i suoi  destrieri 
Sorgon  da  Tonde,  e con  le  nari  in  alto 
Fiamme  anelando, il  mondo empion  di  luce; 
Quando  nel  campo  i Ruttili  discesi 
E i Teucri  insieme,  sotto  l’alte  mura 
Fabricàr  lo  steccato,  a cui  nel  mezzo 
1 fochi  e l’ are  di  gramigna  asperse 
Furo  agli  Dei  d’ambe  le  parti  eretti 

Communemente  ; e d’ ambi  i sacerdoti 

« 

Di  bianco  lino  involti,  e di  verbena 
[103- 1 19] 


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o 96 


l’  ENEIDE. 


[21  1-23  i] 

Cimi  le  tempie,  andavo  altri  con  l’acqua, 
Altri -con  le  Taccile  intorno  accese. 

Poscia  ecco  degli  Ausoni  da  l’un  canto 
A piene  porte  I’  ordinate  schiere 
Uscir  da  la  città  di  picche  annate; 

Da  1’  altro  de’ Troiani  e de’  Tirreni 
Gir  l’cssercito  tutto  in  varie  guise 
IV  abiti  c d’ armi  ; e questi  incontro  a quelli 
Non  altramente  eh’  a battaglia  instrntti. 

Fra  mezzo  a tante  mila  i condottieri 

% 

Ciascun  da  la  sua  parte  si  vedea. 

Gir  d’oro  e d’  ostro  alteramente  adorni. 

E*1  gran  Memmo  con  questi  e’I  forte  Asila, 
E Messàpo  con  quelli,  de’ cavalli 
Il  domatore  e di  Nettuno  il  figlio. 

Poscia  che,  dato  il  segno,  ebbe  ciascuno 
Chi  di  qua  chi  di  là  preso  il  suo  loco, 
Piantàr  le  lance,  dechinàr  gli  scudi. 

Le  donne,  i vecchi,  i putti,  e ’l  volgo  inerme 
Di  veder  desiosi,  altri  in  su’  tetti, 

Altri  in  su’ rivellini  e’n  su  le  torri 
Stavan  mirando.  E non  dal  campo  lungo 
Sedca  Giuno  in  un  colle,  Albano  or  detto, 
Ch’allor  nè  d’Alba  il  nome  avea,  nò’l  pregio, 
[120-135] 


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LIBRO  Xli. 


597 


[2*5-258] 

Nè  i sacri  Ile  i i.  In  questo  monte  assisa 
Vedea  de’  Uhi  re nli  e de*  Troiani 
L’accolte  genti,  e di  Latino  il  seggio. 

Ivi  la  Dea  di  Turno  a la  sirocchia, 

Che  Dea  de’ laghi  era  e de’ fiumi  anch’ella, 
(Privilegio  che  Giove  allor  le  diede 
Che  de  la  pudicizia  il  lior  le  tolse) 

Disse  cosi  : Ninfa,  de’  fiumi  onore, 

Sovr’  ogni  ninfa  a me  gioconda  e cara, 

Tu  sai  come  te  sola  ho  preferita 
A tutte  l’ altre  che  di  Giove,  in  Lazio, 

L’ ingrato  letto  Ifan  di  salire  osato: 

E come  volenlier  del  cielo  a parte 
Meco  t'ho  posta.  Aspolta  i tuoi  dolori, 

Perchè  di  me  dolerti  uuquu  non  possa. 
Finché  di  Lazio  la  fortuna  e ’l  fato 
Me  l’han  concesso,  io  prontamente  c Turno  - 
E la  tua  terra  e i tuoi  sempre  ho  difeso. 

Or  veggio  questo  gioviue  a duello 
Con  disegual  destino  esser  chiamato: 

Veggio  il  dì  de  la  Parca  e la  nemica 
Forza  che  gli  è vicina.  Io  questo  accordo. 
Questa  pugna  veder  cogli  occhi  miei 
Per  me  non  posso.  Tu,  se  cosa  ardisci 
[155-152] 


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-X 


/ 


Ó;)8  l’  ENEIDE.  [259-«282] 

In  prò  del  tuo  germano,  ora  è mcstiero 
Clic  lu  l’adopri;  c puoi  farlo,  econvienti. 
Tallo:  e chi  sa  clic ’l  misero  non  cangi 
Ancor  fortuna?  A pena  avea  ciò  detto, 

Che  Iulurna  gemendo  e lagrimando 
Tre  volle  e quattro-il  petto  si  percosse. 

Acuì  Giuno  soggiunse:  E’ non  è tempo 
Di  stare  in  pianti.  Affretta;  e dada  morte 
Scampa,  se  scampar  puossi,  il  tuo  fratello, 

0 turbando  Y accordo,  o suscitando 
Nuova  cagion  di  mischia  e di  tumulto. 


Io  son  elio  te  l’ impongo,  c te  n’  affido; 

Con  questo  la  lasciò  sospesa  e mesta, 

E d’amara  puntura  il  cor  trafitta. 

Ecco  vengono  al  campo  i regi  intanto;  . 
Latino  il  primo,  aito  in  un  curro  assiso, 
Clic  da  quattro  suoi  nitidi  corsieri, 

Di  gran  macchina  in  guisa,  era  tirato, 

E,  di  dodici  raggi  il  fronte  adorno, 

Del  Sole,  avo  di  lui,  sembianza  avea. 

Turno  traean  due  candidi  destrieri, 

Con  duo  suoi  dardi  in  mano  agili  e forti. 
Enea,  de  la  romana  stirpe  autore, 

Con  I’  armi  sue  celesti  e con  lo  scudo 


[ló2-  Iti 7] 


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69  9 


[283-306]  libro  xu. 

Che  dianzi  da  le  stelle  era  venuto, 

Uscio  da  I’  altro  cantò,  e seco  a pari 
Ascanio,  il  figlio  suo,  de  la  gran  i}omu 
La  seconda  speranza.  A inatto  a mano 
Il  sacerdote  in  pura  veste  involto 
Anzi  agli  accesi  altari  il  nuovo  parto 
IV  una  setosa  porca,  ed  una  agnello 
Ancor  non  tosa  al  sacrificiomddusse  ; 

E vólti  a P oriente,  in  atto  umile 
S’ incltinàr  tutti  e vino  e farro  e sale 
Sparser  d’ambe  le  parti  ; nmbe  col  ferro, 

Si  coiti’  era  uso,  a le  devote  beh  e 
Segnàr  le  tempie.  Allor  il  padre  Enea 
Strinse  la  spada,  e,  gli  occhi  al  ciel  rivolti 
Cosi  disse  pregando  : Io  questo  sole 
Per  testimone  invoco  e questa  terra, 

Per  cui  tanti  ho  fin  qui  sofferti  affabili; 
Invoco  te,  celeste,  onnipotente, 

Eterno  padre,  e te,  saturnia  Giuno, 

Già  vèr  me  più  benigna,  e ben  ti  prego 
Che  mi  sii  tale,  c te  gran  Marte  invoco, 
Cli’a  l’armi  imperi;  e voi  fonti,  e voi  fiumi 
E voi  tutti  del  mar,  tutti  del  cielo 
Numi  possenti;  e vi  prometto  e giuro 
[167-183] 


* 


600  l’ ENEIDE.  [307-330] 

Clic  sé  Turno  per  sorte  è vincitore 
Hi  questa  pugna,  j|  successo!-  dèi  vinto 
-Gli  cederà  y.cli’ala  città  d’Evandro 
Si  ritrarrà;  che  mai  poscia  ribelle 
Non  gli  sarà;  che  guerra  o lite  o sturbo 
Alcun  altro  più  mai  non  gli  farà. 

Ma  se  più  tosto,  come  io  prego,  e come 
Spero  che  mi  succeda,  al  nostro  marie 
ha  dovuta  vittoria- non  si  froda  ; 
lo  non  vo’ già  che  gl'itali  soggetti 
Siano  a’  miei  Teucri,  nè  d’Italia,  io  solo 
Tener  l’impero;  io  vo’eh’  ambi  del  pari 
Questi  popoli  invitti  aggian  tra  loro 
Governo  e leggi  eguali,  e pace  eterna. 

A me  basta  eli’ io  dia  ricetto  e culto  - 
A miei  numi,  a’ miei  Teucri,  e sia  Latino 
Suocero  mio,  del  suo  regno' e de  l’armi 
Signor,  rettore,  e donno.  Io  poscia  altrove 
Altre  mura  ergeromnii,  e de’  mici  stessi 
Fien  le  fatiche,  e di  Lavinia  il  nome. 

Go.sl  pria  disse  Enea  : così  Latino 
Seguitò  poi  con  gli  occhi  e con  la  destra 

C,el  rivo,to>  Ed  lo  giuro,  dicendo, 

Le  stesse  deità,  la  terra,  il  mare, 

[183-197] 


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601 


[331-354}  libro  xii. 

Le  stelle,  eli  Lalona  ambi  i gemelli, 

Di  Giulio  ambe  je  fronti,  il  chiuso  centro, 
lì  la  gran  possa  degl!  inferni  dii_  • 

Odami  di  là  su  1’  eterno  padre, 

Che  fulminando  stabilisce  e ferma 
Le  promesse  e gli  accordi.  I numi  tulli 
Chiamo  per  testimoni:  e tocco  l’ara, 

E tocco  il.  foco,  c questa  pace  approvo 
Dal  canto  mio.  Nè  mai,  che  che  si  sia 
Di  quesLa  pugna,  nè  per  forza  alcuna, 

Nè  per  tempo  sarà  ch’ella  si  rompa 
Di  voler  mio,  non  se  la  terra  in  aequa 
Si  dileguasse^  non  se  ’l  ciel  cndésse 
Ne  l’ imo  abisso  : così  come  ancora 
Questo  mio  scettro  (chè  lo  scettro  in  inano 
Avea  per  sorte)  più  nè  fronda  mai 
Nè  v-irgulto  farà,  poiché  reciso 
Dal  vivo  tronco,  o da  radice  svelto 
Mancò  di  madre,  e gfà  d’.arbofe  ch’era, 
Sfrondalo,  diramato. e secco  legno 
Di  già  venuto,  e d’  oricalco  adorno,  * 

E per  man  de  1’  artefice  Midollo 
In  questa  forma,  e per  quest’  uso  in  mano 
Dei  re  latini  è posto.  In  colai  guisa  i 

[197-212] 


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' GU2 


l’  eseide. 


[355*378] 

Fermati  i palli  e F ostie  in  mezzo  addotte, 
Tra  i più  famosi,  anzi  a l’accese  fiamme 
Le  svenar,  le  smembrili*,  le  sviscerare. 

E si  coin’  cran  palpitanti  e vive, 

0 

Le  fibre  ne  spiar,  le  diero  al  foco, 

!S’  empier  le  quadre  e ne  colmàr  gli  altari. 

Di  già  disvantaggioso  e diseguale 
Questo  duello  a’ Rululi  sembrava; 
b già  varii  bisbigli,  c varii  moli 
N’eran  tra  loro;  e coni’  più  sanamente 
Si  rimirava,  più  di  forze  impari 
Si  vedea  Turno;  ed  egli  stesso  indizio 
Ne  die,  che  lento  e tacito  c sospeso 
Entrò  nel  campo.  E come  uncor  di  pelo 
Avea  le  guance  lievemente  asperse, 

Orando  anzi  a Fallar  pallido  involto 

.M os t rossi,  e chino  il  fronte,  e-grave  il  ciglio. 

Tale  una  languidezza  rimirando, 

E tal  del  volgo  un  susurrare  udendo 
Diuturna,  sua  sorella,  infra  le  schiere 
(ìittossi,  e di  Camerte  il  volto  prese. 

D'alto  legnaggio,  di  valor  paterno,* 

E di  propria  viriate  era  Camerte 
fumoso  infra  la  gente.  E tal  sembrando, 
[212-227] 


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i.mno  xii. 


603 


[379-402] 

Già  degli  animi  accorta,  iva  Giuturna 
Rumor  diversi  e tai  voci  spargendo: 

Ahi  f che  vergogna,  che  follia,  che  fallo, 
Ruttili,  è’1  nostro,  cfie  per  tanti  e tali 
Sola  un’alma  s’ arrischi  ? Or  siam  noi  forse 
Di  numero  a’ nemici  inferiori, 

0 d’ardire  o di  forze?  Ecco  qui  tutti 
Accolti  i Teucri  e gli  Arcadi  e gli  Etrusci 
Che  sono  anco  per  fato  a Turno  infensi. 

A due  di  noi  contea  un  di  loro  a mischia 
Che  si  venisse,  di  soverchio  ancora 
Fòrano  i nostri.  Ei  che  per  noi  combatte,'' 
Ne  sarà  fra  gli  Dei,  cui  s’ è devoto, 

In  ciel  riposto  ; e qui  tra  noi  famoso 
Viveri  sempre.  Ma  di  noi  che  fia, 

(di’ or  ce  ne  stiam  sì  neghittosi  a bada  ? 
ha  patria  perderemo?  e da  stranieri, 

E da  superbi  in  scrvilute  addotti, 

Preda  e sclierno  d’  altrui  sempre  saremo? 

Da  questo  dir  la  gioventù  commossa 
Via  più  s’accende,  e’I  mormorio  serpendo 
Piu  cresce  per  le  squadre.  Onde  i Latini 
E gli  stessi  Laurenti,  che  pur  dianzi 
Di  pace  cran  sì  vaghi  c «li  quiete 
[227-211] 


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GO-t  l’  eneide.  [403-426] 

Pensici'  cangiando  e voglie,  or  Parme  tulli 
Gridano,  lutti  pregali  che  P accorilo 
Sia  per  non  fatto;  e tutti  li’an  de  P iniqua 
Sorte  di  Turno  ira,  pietade  e sdegno. 

in  questa,  ecco  apparir  ne  Paria  un  mostro 
Per  opra  di'Giuturna,  onde  turbali 
E dal  primo  proposito  distolti 
Pur  da  vantaggio  de’  Latini  i cuori. 

Videsi  per  lo  lito  e per  lo  cielo 
Di  rogio  asperso  un  di  palustri  augelli 
Impaurilo  c strepitoso  stuolo. 

Dietro  un’aquila  avea,  eli’ a ulano  a inaiio 
Giuntolo  de  lo  stagno  in  su  la  riva, 

.Un  cigno  ne  ghermì  eli’ era  di  lutti 
Il  .maggiore  e’1  più  bello.  A colai  vista 
Gli  occhi  e gli  animi  alzùr  P itale  squadre; 

E gli  angoscile  pur  dianzi  erano  in  fuga, 
(.Mirabile  a vedere!),  in  un  momento 
Stridendo  si  rivolsero,  e ristretti 
In  densa  nube,  orni’ era  il  eiel  velato, 

J.a  nimica  assalirò.  E sì  d’intorno 
La  cinser,  P aggirar,  P attraversaro,' 

(.IP  a cielo  aperto,  u’ dianzi  erano  in  fuga, 
Le  fcr  gabbia,  ritegno  e forza,  al  (ine 
[242-255] 


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[427-450]  libro  xii.  505 

Che,  gravata  dal  peso  e' stretta  e vinta, 

De  la  lena  mancasse  e de  la  preda. 

H cigno  dibattendosi,  da  Pugne 
Sovra  1’  onde  gli  cadde;  ed  ellaf  scarca, 

Da  la  turba  fuggendo  al  cielo  alzossi. 

I Rutuli  a tal  vista  con  le  grida*. 

Salutàr  pria  P augurio;  indi  a la  pugna 
Si  preparat  o. -E  fa  Toltrnnio  il  primo, 

CIP  augure,  incontro  al  patto  anzi  a le  schiere 
Si  spinse  armato,  e disse:Or  questo  è,  questo 
CIP  it>  destava  ; e questo  è quel  cip  io  cerco 
Ho  nV  miei  voti.  Accetto  e riconosco  . 

Il  favor  degli  Dei.  Me,  me  seguile,. 

Rutuli  miei.  Con  me  P armi  prendete 
Contro  al  malvagio  che  di  strana  parte  • 
Venuto  con  la  guerra  a spaventarci, 

Ha  voi  per  vili  augelli',  e i vostri  lidL 
Così  scorre  e depreda.  Ma  ritolto 
-Questo  cigno  gli  fia  ; di  nuovo  al  mare 
In  fuga  se  iP  andrà.  Voi  combattendo 
In  guisa  de  la  pria  fugace  torma, 
Ristringetevi  insieme,  e riponete 
Il  vostro  re,  che  v’è  rapilo,  in  salvo. 

Detto  cosi,  spinse  il  destriero,  e trasse 
Caro.—  39.  [255-266] 


1 

806  L’tNEidE.  [451-474] 

Conti*’  a’  nimici.  Andò  stridendo  e (fritto 
L’aura  secando  il  fulminalo  dardo; 

E ’nsiémc  udissi  col  suo  rombo  un  grido, - 
Che  insino  al  cicl,  de’  Rutuli,  sentissi. 

Insieme  scompigliossi  il  eampojutto, 

Turbarsi  i petti,  ed  infiammarsi  i cuòri. 

L’asta  volando  giunse  ove  a rincontro 
Nove  fratelli  eran  per  sorte  accolti, 

Che  tutti  d’  una  sola  etrusca  moglie  ♦ 

Da  1’ arcadio  Gilippo  eran  creali. 

Un  di  lor  ne  colpì  là’ve  per  mezzo  4 . 

Il  cimo  s’ aitraversa,  e con  la  fibbia 
S’  afferra  al  fianco.  Ivi  tra  costa  c costa 
Penetrando  altamente,  lo  trafisse, 

E morto  in  su  l’arena  lo  distese. 

Questi,  il  più  riguardevole  ne  l’armi 
Era  degli  altri,  e’1  più  bello  c ’l  più  forte. 

E gli  altri  come  lutti  eran  feroci, 

* Dal  dolore  infiammati,  incontinente  ^ 

Chi  la  spada  impugnò,  chi  prese  il  dardo  ; 

E contea  il  feritor  tutti  in  un  tempo, 

Come  ciechi,  avventarsi.  Incontro  a loro 
Si  inosser  de’ Laurenti  e de' Latini 
Le  genti  a schiere,  e d’altro  lato  a schiere 
[26G-2S0] 


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LIDUO  XII. 


607 


[47ò*i9S] 


Spinsero  i Teucri  e gli  Arcadi  e gliEtrusci.  • 
Così  d’  arme  e di  sangue  uguale  ardore 
Stlrse  d’  ambe  le  parli  ; e l’ are  e’I  foco 
Ch’eran  di  mezzo  c l’ ostie  e le  polene 
N’  atodàr  sossopra;  e tal  di  ferri  e d’aste 
Denso  levossi  e procelloso  un  nembo,  • 

Che’l  sol  se  n*  oscurò,  sangue  ne  piovve. 
Grida  c fugge  Latino,  e i numi  offesi 
Se  ne  riporla,  e detestando  abborre  • 

Il  violato  accordo.  Armasi  intanto 
Il  campo  tutto;,  e chi  frena  i destrieri, 

Chi’l  carro  appresta;  e giù  con  Piaste  basse, 

E con  le  spade  ad  investir  si  vanno. 

Messa  po  desioso  che  l’accordo 
Si  disturbasse,  incontro  al  tosco  Aulestc 
Che,  come  re,  di  regai  fregi  adorno 
E d’  ostro,  al  sacrifìcio  era  assistente, 

Spinse  il  cavallo  c spaventollo  in  guisa 
die  mentre  si  ritragge  infra  gli  altari 
Ch’  avea  da  tergo,  urtando,  si  travolse. 
Messùpo  con  la  lancia  incontinente 
Gli  si  fe  sopra,  e sì  com’era  in  atto 
Di  supplicarlo,  il  petto  gli  trafisse.  . 

Così  ben  va,  dicendo:  or  a’  gran  numi 
.[28  f -296] 


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608  i/  ENEIDE.  [199-5-22] 

Porco  più  grato  e miglior  ostia  cadi. 

Cadde  il  meschino,  e fu,  spirante  e calcio, 
Sovraggiunto  dagl’itali  e spoglialo. 

Diò  Gorinèo  per  un  gran  lizzo  a I’  ara 
Di  piglio;  e sì  com'era* ardente  e grave, 

Ad  Èbuso  ch’incontro  gli  venia, 

Nel  volto  il  fulminò.  Schizzonne  insieme 
Il  foco  e’I'sangue;  e di  baleno  in  guisa 
Un  lampo  ne  la  barba  gli  rifulse 
Che  diè  d’arsiccio  odore,  indi  gli  corse 
Sopra  senza  ritegno;  e qual  trovollo 
Da  la  percossa  abbarbagliato  e ferino, 
L’afferrò  per  la  chioma,  a terra  il  trasse, 
Col  ginocchio  lo  strinse,  è col  tralìere 
Gli  passò ’l  fianco.  Pedalino  ad  Also 
Pastor,  che  fra  le  schiere  infuriava, 

S’ affilò -dietro;  e già  col  brando  ignudo 
Gli  soprastava,  àllor  ch’Also  rivolto 
La  gravosa  bipenne  ond’.era  armato, 

Gli  piantò  ne  la  fronte  e 'usino  al  incuto 
Il  teschio  gli  spartì,  l’armi  gli  sparse 
lotte  di  sangue:  ond’ei  cadde,  e le  luci 
Lhiuse  al  gran  buio  ed  al  perpetuo  solino. 

Luca  senz’elmo  in  lesta,  infra  le  genti 
[296-310] 


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% 


[523-546]  libro  xii.  609 

* 

La  disarmata  destra  alto  levando, 

E discorrendo,  e richiamando  i suoi» 

Dove,  dove,  ne  gite?  che  tumulto, 

Dicca,  che  furia, -che  discordia  è questa 
Così  repente  ? Oh  rattenete  1’  ire  ; 

Oh  non  rompete.  Il  pa^to  è stabilito; 
L’accordo  è fatto.  Solo  a me  concesso 
È ch’io  combatta.  A me  sol  ne  lasciate 
La  cura  e’I  carco.  Io,  non  temete,  io  solo 
Il  patto  vi  ratifico  e vi  fermo 
Con  questa  sola  destra;  e Turno  a morte 
Di  già  mi  si  promette,  e mi  si  deve 
Da  questi  sacrifici.  In  questa  guisa 
Gridava  il  teucro  duce  ;'ed'ecco  intanto 
Venir  d’ alto  stridendo  una  saetta  ; 

Moti  si  sa  da  qual  mano,  o da  qual  arco 
Si  dipartisse.  0 caso,  o dio  che  fosse 
Che  tanta  lode  a’  Rutuli  pressasse, 

L’  onor.se  ue  celò,  nè  inai  s’ intese 
Chi  del  ferito  Enea  vanto  si  desse. 

Turno,  poiché  dal  campo  Enea  fu  tratto, 
E turbar  vide  i suoi,  di  nuova'  speme 
S’accese,  e gridò  l’armi,  e sopra  al  carro 
D’ un. salto  si  lanciò, spinse  i cavalli  * 
[310-326] 


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Gin 


l’  EKEIDE. 


[547-570] 

Infra’ nemici,  c molti  a morte  (Henne, 

Molli  ne  sgominò,  molli  n’  infranse, 
li  con  P aste,  fuggendo,  ne  percosse. 

Qual  è de  P Ebro  in  su  la  fredda  riva 
Il  sanguinoso  Marte,  allor  ch’entrando 
Ne  la  battaglia,  o con  lo  scudo  intuoua, 

0 fulmina  con  P asta,  e i suoi  cavalli 
Da  la  furia  e da  lui  cacciati  e spinti 
Ne  van  co’  vcnli  a gara,  urtando  i vivi, 
li  calpestando  i morti  ; c fan  col  suono 
De’  piè  fino  agli  estremi  suoi  confini 
Tremar  la  Tracia  tutta,  e van  con  essi 
Lo  spavento,  il  timor,  P insidie  e P ire, 

Del  bellicoso  iddio  seguaci  eterni; 

In  cosi  fiera  e spaventosa  vista 
Se  ne  già  Turno,  la  campagna  aprendo, 
Uccidendo,  insultando,  e di  nemici 
Miserabil  mina  e strage  e strazio 
Or  con  P armi  facendo,  or  co’ destrieri 
Ohe  sudanti,  fumanti  e polverosi, 

Spargean  di  sangue  e di  sanguigna  arcua 
Con  le  zampe  e con  Pugne  un  nembo  intorno. 
Stèndo,  ne  P entrar,  Tinnirò  e Polo 
Condusse  a morte;  i due  primi  da  presso, 
[327-342] 


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UDRÒ  XII. 


61  i 


[571-594] 

L’ultimo  da  lontano.  E da  lunge  anco 
Glaqco  percosse  e Lado;  i due  famosi 
Figli  d’Imbréso,  ne  la  Licia  nati, 

Da  lui  stesso  nutriti,  e parimente 
A cavalcare  e guerreggiare  instrutti. 

Da  l’altra  parte  Eumède,  il  chiaro  gernie 
De'l’  antico  Doldne.  Il  nome  avea 
Costui  de  l’ avo,  e l’ ardimento  e i fati  i 
Segiria  del  padre,  che  de’ Greci  iJ  campo 
Spiare  osando,  osò  d’Achille  ancora 
In  premio  de  1’  ardir  chiedere  il  carro. 

Ma  d’  altro  che, di  carro  premiollo 
11  tìglio  di  Tidèo;  nè  però  deguo 
D’ un  tanto  guiderdone  unqua  si  tenne. 
Turno,  poscia  che*!  vide  (eh è da  lunge 
Lo  scòrse)  con  un  dardo  il  giunse  in  prima: 
Indi  a terra  gittossi:  e qual  trovollo 
Di  già  caduto  e moribundo,  il  piede 
Sopr’ul -collo  gl’ impresse,  e ne  la  strozza 
Lo  suo  stesso  pugnai  cacciògli,  e disse: 
Troiano,  ecco  l’ Italia, -ecco  i suoi  campi, 
Che  tanto  desiasti  : or  gli  misura 
Costì  giacendo.  E questo  si  guadagna 
Chi  contra  a Turno  ardisce;  e ’n  questa  guisa 
[342-361] 


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612  L?  ENEIDE.  [Ó95-6 i 8) 

SI  fondan  le  ci tlà.  Dietro  a costui 
Buie,  e di  mano  in  man.Darète  e Cloro 
E.Sibari  e Tersflocxt  e-Tinaete,  . 

Lanciando,  uccise.  Ria  Tijnetc  in  terra 
Ferì,  che  per  sinistro  o per  diletto 
I)’  un  suo  restio  cavallo  era  caduto. 

Qual  sopra  al  grande  Egèo  sonando  scorre 
Il  tracio  Bora,  che  le  nubi  c i Uniti 
Si  sgombra  avanti;  e questi  aj  lidi,  e quelle 
A l’orizzonte  in  fuga  se  ne  vanno  ; 

Tal  per  lo  caulpo,  ovunque  si  rivolge, 

Fa  Turno  sgominar  Farmi  e le  schiere; 

E tal  seco  no  va  furia  e spavento, 

Che  (manco  al  cimier  morte  minaccia. 

Fegèo,  tanta  fierezza^  tanto  orgoglio 
Non  soflercndo,  al  concitato  carro 
Pa rossj  avanti  ; e lievemente  un  salto 
Spiccando,  con  la  destra  al  fren  s’  appese 
Del  sinistro  corsiero.  E sì  com’era  ^ 

Da  la  fuga  rapito  e da  la  forza 
Di  tulli  insieme,  insiememente  a tutti 
(Dal  scntier  divertendoli  e dal  corso) 

I* acea  storpio  e disturbo.  JEd  ecco  al  fianco 
Che  ila  la  destra  parte  era  scoperto, 

^ ..  [361-374] 

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LIBRO  XII. 


613 


[619-642] 

Cotnl  sentissi  de  la  lancia  un  colpo, 

Che  la 'corazza,  ancor  ciré  doppia  o forte, 
Straccióni,  e’n  fino  al  vivo  lo  trafisse, 

Ma  di  lieve  puntura.  Ond^ei  rivolto, 
(imbracciato  lo  scudo  e stretto  il  brando, 
Confra  gli  s’  affilava,  e per  soccorso 
Grillava  intanto.  Ma  le  ruote  e l’asse 
Ch’orano  in  moto,  urtandolo,  a rpvescio 
Gittàrlo»:  e Turno  immantinente  adtlosso 
Sagliendoli,  infra  V elmo  e la  gorziera 
II  collo  gli  ricise,  e dal  suo  busto 
Tronco  il  capo  lasciòlli  in  su  I’  arena. 

Mentre  così  vincendo  e d’  ogni  parte 
Con  tanta  strage  il  campo  trascorrendo  * 
Se  ne  va  Turno  ; Enea  dal  fido  Acatè,  • 

Da  Memrno  e dal  suo  figlio  accompagnato, 
(Come  da  la  saetta  era  ferito) 

Sovr’  un’  asta  appoggiato  a lento  passo 
....Vergo  gli  alloggiamenti  si  ritragge. , 

Ivi  contro  a lo  strai,  contro  a sè  stesso 
S’ inaspra  e frange  il  tèlo,  di  sua  inano 
Ripesca  11  ferro,  e poi  che  indarno  il  tenta, 
Comanda  che  la  piaga  gli  s’ allarghi 
Con  altro,  ferro,  e d’  ogn’  intorno  s’  apra,. 

[375-389]  * 


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l’  eseide. 


fili 


[G43-G66] 


Sì  clic  tosto  dal  corpo  gli  si  svelga, 

E tosto  a la  battaglia  se  ne  torni. 

Comparso  intanto  era  a la  cura  Ili  pi 
IV  làso  il  figlio,  sovr’  ogn’  altro  amato 
Da  Febo.  E Febo  stesso,  allor  ch’acceso 
Era  da  I’  amor  suo,  la  cetra  e l’arco 
E ’l  vaticinio,  e qual  «le  Farli  sue 
Più  l’  aggradasse,  a sua  scelta  gli  offerse. 

Ei  che  del  vecchio  infermo  e già  caduco 
Suo  padre  la  salute  c gli  anni  amava, 
Saper  de  F erbe  la  possanza,  c F uso 
Di  medicare  elesse,  e senza  lingua 
E senza  lode  e del  futuro  ignaro 
Mostrarsi,  in  pria,  che  non  ritorre  a morte 
Chi  li  diè  vita.  A la  sua  lancia  Enea 
Stava  appoggiato,  e fieramente  acceso 
Fremendo,  avea  di  giovani  un  gran  cerchio 
Col  figlio  intorno,  al  cui  tenero  pianto 
Punto  non  si  movea.  Sbracciato  intanto 
E con  la  veste  a la*  cintura  avvolti. 

Qual  de’  medici  è F uso,  il  vecchio  lupi 
C.li  era  d’  intorno^  e con  diverse  pruovc 
Di  man,  di  ferri,  di  liquori  e d’  erbe 
Invali  s’affaticava,  invano  ogn’ opra, 
[390-403] 


i 


LIBRO  XII. 


Gin 


[G67-G90] 

Ogn’  arie,  ogni  rimedio,  e i preghi  c i voti 
Al  suo  maestro  Apollo  eran  tentati. 

De  la  battaglia  rinforzava  intanto 
Lo  scompiglio  e l’  orrore;  e già  ’l{»eriglio 
S’  avvicinava;  già  di  polve  il  cielo, 

Di  cavalieri  il  campo  era  coverto;  . 

Oliò  fin  dentro  a’  ripari  c fra  le  tende 
Ne  cadevano  i dardi  ; e gii)  da  presso 
S’ udian  de’  combattenti  e de’  caduti 
I lamenti  e le  grida.  Il  caso  indegno 
D’ Enea  suo  figlio,  c ’l  suo  stesso  dolore 
In  sè  'Ciprigna  e nel  suo  cor  sentendo, 
Ratto  v’accorse,  e fin  di  Creta  addusse 
Di  dittamo  un  cespuglio,  clic  recente 
Di  sua  man  còlto,  era  di  verde  il  gambo, 

Di  tenero  le  foglie,  e d’ ostro  i fiori 
Tutto  consperso  e rugiadoso  ancora. 

Quest’  erba  per  natura  ai  capri  è nota, 

F dajor  cerca  allor  che  ’l  tergo  o ’I  fianco 
Ne  vanofciardo  o di  saetta  infissi. 

Con  questa  Citerea  pei*  entro  un  nembo 
Ne  venne  ascosa,  e col  salubre  sugo 
D’ambrosia  e d’  odorata  panacea 
Mischiolla,  e poscia  i tiepidi  liquori 
[403-41 TJ 


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G 16 


l’^ejceioe. 


[691-714], 

CI»’  eran  già  presti  in  tal  guisa  ne,  sparse 
Clic  mini  se  avvide.  E n’  ebbe  a pena 
Ixi  piaga  infusa,  che  1’  angoscia  e ’1  duolo 
Cessò  repente:  il  sangue  d’vgni  parte 
De  la  ferita  in  fondo  si  raccolse, 

E seguendo  la  mano,  il  ferro  stesso  • 

Come  da  sè  n’ uscio.  Spedito  e forte, 

E nel  pristino  suo  vigor  ridotta  ' 

Enea  dritto  levossi.  liipi  il  primo, 

A che,  disse,  badale V c perchè  l’arme 
Tosto  non  gli  adducete?  Indi  a lui  volto, 
Contea  a’  nemici  in  tal  guisa  iuOamnaollo  : 
Enea,  non  è,  non  è per  possa  umana 
0 per  umano  av.viso  o per  mia  cura 
Questo  avvenuto.  Un  dio,  certo  un  gran  dio 
A gran  cose  ti  serba..  In  questo  mezzo 
Ei,  già  di  pugna  desioso,  entrambi 
S’ avea  gli  stinchi  di  dorata  piastra, 

Il  dorso  di 'lorica,  e la  sinistra  

Di  scudo  armala.  E ‘già  l’asta  squassando, 

D’  indugio  impaziente  in  su  la  soglia 
Tanto  sol  de  la  tenda  si  ritenne, 

Che,  si  coni’  eini  di  luti’ armi  involto, 

Il  caro  luto  caramente  accolse, 

. [il 8*433] 


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[715-738]  unno  xir.  (il7 

E con  le  labbia  a pena  entro  l'elmetto 
Baciollo,  e disse:  .Figlio  mio,  da  me  / . 

Ea  sofferenza  e la  virili  te  impara  j < 

La  fortuna  dagli  altri.  Io  quel  cbe  posso. 
Or  con  qdesta  mia  destra  ti  difendo: 

Onoi , grandezza  e signoria  t’  acquisto 
Col  sangue  mio.  Tu  poi,  quandoruaturi 
Fian  gli  antri  tuoi,  fa’  cbe  d’ Enea  tuo  padre 
E d’Ettore  tiro  zio  si  ti  rammenti, 

Clic  ti  siamlefitticlie  e i gesti  loro 
A gloria  ed  a vertute  essempi  e sproni. 

Detto  cosi,  fuòr  de  le  porte  useendo 
Brandi  la  lancia,  c tutti. in  Un  drappello 
Ristrinse  i suoi.  Memmo  ed  Anjèo  eon-esso, 
E quanti  altri  del  vallo  erano  in  prima 
Lasciati  a guardia,  il  vallo  abbandonando, 
Dietro  gli*sr invierò.  Alior  di  polve  . 

Levossi  un  nembose -d’ogn*  intorno  scosso 
Abj^dmtar  de’  piè  tremò  la  terra. . 

Turno  disopra  un  argine  mirando, 

Questa  gente  venir  si  vide  incontro. 

Viderla,  e ne  temerò  e* ne  tremerò 
Gli  Ausonii  lutti.  Udinne  il  suoi!  da  lunge 
bituma  in  primate  per  timore  indietro 
[434-449] 


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618  l’  eneide.  [73D-762J 

Se  ne  ritrasse.  Enea  volando,  al  campo 
Spinse  lo  stuol,  che  polveroso  e scuro 
Tal  se  n’  andò  qual  d’alto  mare  a terra 
Squarcialo  nembo,  quando,  ohimè!  clic  segno 
E che  spavento,  e che  ruina  apporta 
Ai  miseri  coloni  ! e quanta  strage 
Agli  alberi,  a le  biade,  a la  vendemmia 
Se  ne  prepara!  e qual  se  n’  ode  intanto 
Sonar  procella,  e venir  vento  a riva  ! 

Colai  conira  a’ nemici  il  teucro  duce 
Co’  suoi,  come  in  un  gruppo  insieme  uniti, 
Entrò  ne  la  battaglia.  Al  primo  incontro 
Osil  i,  Archezio,  Ufente  ed  Epulone 
Ne  gir  per  terra.  Acale  c Gemino  e Già 
E Timbrèo  gli  aflVonturo:  e ciascun  d’  essi 
Atterrò  ’l  suo.  Cadde  Tolunuio  appresso, 

L’  augure  che  primiero  il  dardo  trasse 
Nel  turbar  de  l’accordo.  Al  suo  cadere 
Tutto  in  un  tempo  empiessi  il  ciel  di  grida*  w , 
La  campagna  di  polve;  e vólti  in  fuga 
Se  ne  giro  i Lalini.  Enea  sdegnando 
E di  seguire  e d’ incontrar  qual  fosse 
Pedone  o cavalier,  che  o lungo  o presso 
Hi  provocarlo  e di  ferirlo  osasse, 

[449-466] 


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[763-786]  libro  xii.  6 

Sol  di  Turno  cercando  iva  per  ei\iro 
Quella  densa  caligine,  e '1  suo  nome 
Solamente  gridando,  a la  battaglia 
Lo_disfidava.  Impaurita  e mesta 
Oi  ciò  luturna,  la  virago  ardita,  , 

Tosto  di  Turno  ai  cano  appropihquossi,  * 
E giù  Metisco  il  suo  fedele  auriga 
Subito  trabocconne.  Ed  ella  in  vece 
E ’n  sembianza  di  lui,  luì  stesso  al  corpo, 
A I armi,  a lu  favella,  ad  ogni  molo 
Rassomigliando,  in  seggio  vi  si  pose, 

E ne  prese  le  redine,  e lo'  resse. 

Qual  ne  va  negra  rondine  aliando 
Per  le  case  de’  ricchi,  allor  che  piume 
E ruscelletti  al  cominciato  nido 
Quinci  e quindi  raunn,  o picciol’esea 
A’  suoi  loquaci  pargoletti  adduce  ; 

Che  sotto  ai  porticali  e sopra  Tacque, 
atrii  volando  c per  le  sale  ' 

^r  altooHbasso  si  travoivc  e gira; 

Colai  bituma  il  campo  attraversando 
Per  ogni  parte  si  spingea  col  carro 
E co’  destrieri  infra  i nemici  a volo, 
Sovente  a loco  a loco  il  suo  fratello 
[466-479] 

* 


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620  . l’ereide.  [787-810] 

Vijicilor /dimostrando,  e non  soffrendo  - 
Che  punto dimorasse,  o eli’  a rincontro, 

0 pur  vicino  al  gran  Teucro  nc  gisse. 

Enea  da  I’  gltro  tante  incontro  a lui 
Volgendo,  rivolgendo,  e fra  le  schiere, 

Così  coip’  eran  dissipate  e sparse,  • .• 
Indarno  ricercandolo,  il  chiamava 
Ad  alta  voce.  E mai  gli  occhi  non  torse 
Ov’ ei  si  fussc,  e dietro  non  gli  mosse, 
Ch’ella  co’ suoi  corsieri  in  più  diversa 
E più  lontana  parte  non  fuggisse. 

Or  clic  farà,  ch’ogni  pensiero,  ogni  opra, 
Ogni  disegno  gli  rjlesce  invano? 

E i pensici’  son  diversi?  Ecco  Messàpo, 

Che  per  lo  campo  discorrendo  intanto 
0’ improviso  rincontra.  E sì  eom’  era 
D’  una  coppia  di  dardi  a la  leggiera 
Ne  la  sinistra  armato,  un  ne  gli  trasse 
Dritto  sì  che  feria;  se  non  eli’  Enea 
(ìli  fece  schermo,  e rannicchialo  e stretto 
Chinossi  alquanto.  E pur  ne  l’.elmo  il  colse 
E ’l  cimier  ne  divelse.  Irato  surse; 

E poiché  da’  nemici  atlorneggioto 
Si  vide,  e che  i cavalli  eran  di  Turno 
[479-495] 


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LIBRO  XII. 


621 


[811-834] 
l)i  già  sparili,  a Giove,  ai  sacri  altari 
Del  violato  accordo  e de  l’ insidie 
Molto  si  protestò:  poscia  tra  loro 
Gittossi  impetuoso,  e strazio  e strage 
Prosperamente,  ovunque  si  rivolse. 

Ne  fece  a tutto  corso;  e senza  freno 
Si  diede  a l’ira  ed  a la  furia  in  preda. 

Or  qual  nume  sarà  di’ a dir  m’aiti 
Le  tante  oceisioni  e sì  diverse 
Clic  di  duci  e di  schiere  c di  falangi 
Fcccr  quei  giorno,  Enea  da  l’ una  parte, 
Turno  da  l’altra?  Ah,  Giove!  si  crudele, 

Si  sanguinosa  guerra  infra  due  genti  . 

Che  saran  poscia  eternamente  in  pace? 

Enea  Sucrone,  un  de’  più  forti  Ausoni 
Occise  in  prima,  e primamente  i Teucri 
Fermò,  ch’eran  da  ini  rivolli  in  fuga. 

L’ incontrò,  to  ferì,  senza  dimora 
Morto  a terra  il  gitlò  ; eli’  in  un  de’ fianchi 
Con  la  spada  lo  colse,  e ne  le  coste 
E ne  la  vita  stessa  ne  gl*  immerse. 

Turno  a piè  dismontato,  Amico  in  terra. 
Clie  da  cavallo  era  caduto,  infìsse: 

E seco  il  frate  suo  Diòro  estinse. 

Caro. — -40.  [495*510] 


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V 


L.’ ENEIDE.  [835-8-Ó8] 

L’un  di  lancia  ferì,  l’ altro  di  brando; 

E d’ambi  i capi  dai  lor  tronchi  avulsi 
Sì  coni’ eran  di  polvere  e di  sangue 
Stillanti  e lordi,  per  le  chionrc  appesi 
Anzi  al  carro  si  pose.  E via  seguemlo 
Quegli  Talone-e  Tonai  e Cctègo 
Tre  feroci  Latini  ad  un  assalto" 

Si  stese  avanti,  e ’l  mesto  Onitc  appresso 
Figlio  di  Pcritia,  gloria  di  Tebe. 

E tre  dal  canto  suo  questi  n’ancise 
db’ eran  fratelli  de  la  Licia  usciti 
E de’  campi  d’ Apòllo;  a cui  per  quarto 
Monéte  aggiunse.  Ab  come  il  fato  indarno 
Si  fugge!  infin  d’Arcadia  fu  costui 
Qui  condotto^  morire.  E’irsp  la  riva 
Era  nato  di  Lerna,  ove  pescando, 

Da  I’  armi)  da  le  corti  e da  palagi 
Si  tcnca  luogc;  e solo  il  suo  tugurio 
Avea  per  reggia,  c per  signore  il  padre, 
Povero  agricaltor  de’ campi  altrui. 

Come  due  fuochi  in  due  diverse  parti 
I)’  un  secco  bosco  accesi  ardon  sonando 
Le  querce  e i lauri;  o due  rapidi  e gonli 
Torrenti  che  nel  mar  dagli  alti  monti 
[510.5:»:$] 


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G23 


[S59-882]  libro  xii. 

Precipitando,  se  no  va  ciascuno 
Il  suo  camino  aprendo,  e ciò  che  truova 
Si  caccia  avanti  c rumoreggia  e spuma; 
Così  per  la  campagna,  ambi  fremendo, 

Le  schiere  sgominando,  e questi  e quelli 
Atterrando  ne  gian,  da  l'uno  parte 
Enea,  Turno  da  l’altra.  Or  sì  che  d’ira, 
Or  si  che  di  furor  si  bolle  e scoppia-, 

E con  tutte  le  forze  a ferir  vassi  ; 

Chè  V esser  vinto,  e non  la  morte  è morte, 
b qui  Murrino  (un  che. superbo  c gonfio. 
Od  nome  e de  l’  origine  vantando 
Se  ne  già  degli  antichi- avi  e bisavi 
Latini  règi)  fu  d’un  balzo  a terra  - 
Da  la  furia  d*  Euea'spinto  e travolto; 

Si  che  di  lui.  del  carro  e de  le  ruote 
la  Ito  un  vi  luppoli  suoi  stessi  cavalli, 

Il  signore  obliando,  incrudelirsi, 

E sotto  al  giogo  e sotto  ai  calci  accollo 
L’ infranser,  lo  pigiàr,  Io  strascinat  o, 
h I anciseTo  aitine.  Ilo,  cjie  fiero 
E minaccioso  avanti  gli  si  fece 
Seguì  Turno  a ferir  di  dardo,  in  guisa 
Che  de  I’  elmetto- (a  dorata  piastra 
{52.fc.53Gj 


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l’  ESEIDE. 


G2V 


[SS3-906] 


E le  tempie  c’I  celebro  gli  trafisse. 

Nè  tu,  Creleo,  ili  man  di  Turno  uscisti, 

Perchè  de’  più  robusti  e de’  più  forti 

Fosti  de’ Greci.  Nè  di  man  d’  Enea 

Scampar  Capente  i suoi  numi  invocati  : 

« 

Clic  nel  petto  ferillo,  e non  gli  valse 
Lo  scudo  che  di  bronzo  era  coverto. 

E tu  die  centra  a tante  argive  schiere 

E centra  al  domator  di  Troia  Achille, 

% 

Eolo,  non  cadesti,  in  quest i campi 
Fosti,  qual  gran  colosso,  a terra  steso. 

Ma  chef  Quest’era  il  fin  de’ giorni  tuoi: 
Qui  cader  t’era  dato.  Àppo  Lirnesso 
Altamente  nascesti  : appo  Laureino 
Umil  sepolcro  avesti.  Ernn  già  tutti 
Quinci  i Latini  e quindi  i Teucri  a fronte, 
E tra  lor  mescolati  Asila  e Mommo, 

E Scrosto  e Messa po,  e le  falangi 
Degli  Arcadi  c de’  Toschi,  ognun  per  sè, 

E tutti  insieme  con  estrema  possa, 

Con  estremo  valor  senza  riposo 
Faccan  mortale  e sanguinosa  mischia. 

Qui  nel  pensiero  al  travagliato  tìglio 
Pose  Ciprigna  di  voltar  le  schiere 
[.*>36-555] 


4 


[907-930]  libro  xu.  625 

Subitamente  a le  nimiche  mura, 

E con  quel  nuovo,  inopinato  avviso 
Assalir,  disturbare,  e l’oste  insieme 
E la  città  por  de’ Latini  in  forse. 

E sì  come,  di  Turno  investigando, 

Volgea  le  luci  in  questa  parte  e’n  quella, 
Vide  Laureato  elle  non  toeco  ancora 
Slava  da  tanta  guerra  immune  e scevro. 

E da  l’occasion  subitamente 
Preso  consiglio,  a sè  Memmo,  Seresto 
E Sergesto  chiamando,  indi  vicino 
Sovr’  un  colle  si  trasse,  ove  de’  Teucri 
A inano  a man  si  raunàr  le  schiere. 

E sì  come  raccolti,  armati  c stretti 
S’  éraii  già  ferini,  in  mezzo  allo  levossi 
E così  disse:  Udite,  c senza  indugio 
Fate  quel  eh’  io  dirò.  Giové  è con  noi. 

E perchè  sì  repente  io  mi  risolva 
A questa  impresa,  non  però  di  voi 
Alcun  sia  che  men  pronto  vi  si  mostri. 

Oggi  o che  ire  Latino  al  nostro  impero 
Converrà  eh’  obbedisca  e freno  accetti  ; 

0 che  questa  città,  seme  e cagione 
Di  questa  guerra,  e questo  reguo  tutto 
[555-668] 


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626  l’  enf.ide.  [931-954] 

A foco,  a ferro  ed  a mina  andranno. 

E che  deggio  aspetlar?  Clic  non  più  Turno 
Fugga,  sì  come  fa,  la  pugna  mia  ? 

E che  vinto  una  volta,  si  contenti 
Di  combattere  un’  altra  ? Il  capo  e ’l  fine, 
Ciltadin  miei,  di  questa  guerra  ò ques|o. 
Via,  col  foco  a le  mura  e con  le  fiamme 

ì\c  vcndicliiam  del  violato  accordo. 

« 

Avea  ciò  detto,  quando  ognuno  a gara 
E tutti  insieme  inanimati  c stretti 
Di  conio  in  guisa,  qual  intera  massa. 
Appressar  la  città.  Vi  furon  preste 
Le  scale  e’I  foco.  Altri  assalir  le  porle, 

E questi  e quelli  occisero  e caccialo, 

Come  pria  s’ abbatterò.  Altri  lanciando  * 
Oppugnar  la  muraglia  ; onde  levossi 
Di  terra  un  nembo  che  fece  ombra  al  sole. 


Enea  sotto  a le  mura  attorneggiato 


Da’ primi  suoi,  la  destra  alto  e la  voce 
Levando,  or  con  Latino  or  con  gli  Dei 
Si  protestava;  clic  due  volte  a l’armi 
Era  forzato  c che  due  volte  il  patto 
Oli  si  turbava.  I cittadini  intanto 
l’ acean  tumulto.  E chi  volea  che  dentro 
[569-Ò84-] 


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LIBRO  XII. 


627 


Si  chiamassero  i Teucri  c che  le  porle 
Fossero  aperte,  il  re  fin  su  le* mura 
A ciò  traendo;  e chi  l’ armi  gridando 
S’apprestava  a difesa.  Era  a vederli 
Qual  è di  pecchie  entro  una  cava  rupe 
Accolto  sciamo  allo'r  che  dal  pastoi  e 
D’  amaro  fumo  è la  caverna  offesa  ; 

Che  trepide,  confuse  e d’ira  accese, 

Per  l’ incerate  fabriche  travolte, 
Discorrendo  e ronzando  se  ne  vanno: 

Al  cui  stridor  l’jiflumigala  grotta 
Mormora,  e tetro  odore  a I’  aur'a  esala. 

• r 

In  questo  tempo  un  infortunio  orrendo 
Timor,  confusione  e duolo  accrebbe 


Agli  afilitti  Latini,  e pose  in  pianto 
Il  popol  tutto:  e fu  che  la  reina,  , 
Visto  da  lungo  incontro  a.  la  eitlade 
Venire  i Teucri-,  c già  le  faci  e l’  armi 
Volar  per  entro,  e. più  nulla  sentendo 
0 vedendo  de’ Rutuli  o di  Turno,  . 
Onde  aita  o speranza  le  venisse, 

'Si  credè  la  meschina  che  già  l’oste 
Fosse  sconfitto,  e,  ’l  genero  caduto, 
Ogni  cosa  in  mina.  E presa  è vinta 
[584-599] 


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628 


l’  eseide. 


[979-1002] 


Da  subito  dolore,  alto  gridando: 

Ali!  ch’io  la  colpa,  disse,  io  la  cagione, 

10  l’origine  son  di  tanto  male. 

11  dopo  molto  affliggersi  c dolersi, 

Già  furiosa  e di  morir  disposta 

Il  petto  aprissi,  e la  purpurea  vesta 
Si  squarciò,  si  percosse,  e dell’  infame 
Nodo  il  collo  s’avvinse,  e strangolassi. 

Udito  il  caso,  la  diletta  liglia 
1 biondi  crini  e le  rosate  guance 
Prima  si  lacerò,  poscia  la  turba 
V’accorse  de  lo  donde,  e di  tumulto 
Di  piatirti,  di  stridori  e d’ululati 
La  reggia  tutta  e la  ciltade  empiessi. 

Ognun  si  sgomentò.  Latino,  afflitto 
De  la  morte  (l’Amata  e del  periglio 
Del  regno  tutto,  lanìossi  il  mutilo, 

Bruttassi  il  bianco  e venerabil  crine 
D’immonda  polve;  amaramente  pianse 
Clic  per  suocero  dianzi  e per  amico 
Non  si  confederò  col  frigio  duce. 

Tu  rno,  che  in  questo  mezzo  combattendo 
Bimaso  era  del  campo  in  su  l’estremo 
Incontro  a pochi,  e quelli  anco  dispersi, 
[599-015] 


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LIBRO  XII. 


[1003-1026]  x 


G2U 


Già  scemo  di  vigore,  e trasportato 
Da’  suoi  cavalli,  che  ritrosi  e stanchi 
Ogtior  più  se  n’ andavano  e lontani, 

Io  sò  confuso  e dubio  se  ne  stava. 

Quando  ecco  di  Laureato  ode  le  grida 
Con  un  terror  clic,  non  compreso  ancora, 
Gli  uvea  da  quella  parte  il  vento  addotto. 
Porse  l’ orecchie,  e M mormorio  sentendo 
De  la  città,  che  tuttavia  più  chiaro 
Di  tumulto  sembrava  e di  travaglio, 

Oh,  disse,  che  seni’ io  ? che  novitate 
E che  rumore  e che  trambusto  è questo 
Che  di  dentro  mi  fere  ? E,  quasi  uscito 
Di  sè,  mirando  ed  ascoltando  stette. 

Cui  la  sorella  (come  già  conversa 
Era  in  Metisco,  e come  i suoi  cavalli 
Stava  reggendo)  si  rivolse,  e disse: 

Di  qua,  Turno,  di  qua.  Quinci  la  strada 
Nc  s’  apre  a la  vittoria.  Altri  a difesa 
Saran  de  la  città.  Se  d’altra  parte 
Enea  de’  tuoi  fu  strage,  e tu  da  questa 
Distruggi  i suoi  ; che  non  men  gloria  aremo. 
E più  sangue  faremo.  E Turno  a lei  : 

0 mia  sorella  ! (chè  mia  suora  certo 
[615-632] 


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l’  ENEIDE. 


6 30  l’  ENEIDE.  , [1027-1050] 

Sci  tu)  ben  ti  conobbi’infin  da  l’ora 
Clic  turbast  i I’ accordo,  e che  poi  meco 
Ne  la  battaglia  entrasti.  Or,  benché  Dea, 
Indarno  mi  t’ascondi.  E chi  dal  cielo 
Cosi  qua  giù  ti  manda  a soffrir  meco 
Tante  fatiche?  A veder  forse  a morte 
C.ir  tuo  fratello?  E che,  misero!  deggio 
Far  altro  mai?  qual  mi  si  mostra  altronde 
0 salute  o speranza?  Io  stesso  ho  visto 
Con  gli  occhi  miei,  lo  mio  nome  chiamando, 
Cadere  il  gran  Murrino.  E chi  mi  resta 
Di  lui  più  fido  e più  caro  compagno  ? 

E ’l  magnanimo  Ufente  anco  è perito, 

Credo,  per  non  veder  le  mie  vergogne; 

E’I  corpo  c l’armi  sue,  lasso!  in  potere 
Son  de’ nemici.  E soffrirò  (chè  questo 
Sol  ci  mancava)  di  vedermi  avanti 
Aprir  le  mura,  e ruinare  i tetti 
De  la  nostra  città?  Nè  fia  che  Drance 
Menta  de  la  mia  fuga?  E fia  che  Turno 
Volga  le  spalle,  e quella  terra  il  vegga? 

Si  gran  male  è morire?  Inferni  dii, 
Accoglietemi  voi,  poiché  i superni 
Mi  sono  infesti.  A voi  di  questa  colpa 
[632-64S] 


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LIBRO  XII. 


631 


[IOói-1074] 

Scenderò  spirto  intemerato  e santo, 

E non  sarò  de’ miei  grand’ avi  indegno. 

Ciò  disse  a pena;  ed  ecco  a tutta  briglia 
Venir  per  mezzo  a le  nemiche  schiere 
Un  cavai ier  che  Sage  era  nomato. 

Di  spuma  e di  sudore  il  suo  cavallo, 

E di  sangue  era  sparso.  In  volto  infìssa 
Portava  mia  saétta,  e con  gran  furia 
Turno  chiamando  e ricercando  andava. 

Poscia  che  ’l  vide,  In  te,  disse,  è riposta 
Ogni  speranza;  abbi  pietà  de’ tuoi. 

Enea  va  come  un  folgore  atterrando 
Tutto  ciò  che  davanti  gli  si  para  ; 

Eie  mura  e le  torri  e’I  regno  tutto 
Di  ruinar  minaccia;  e già  le  faci 
Volano  ai  tetti.  A le  gli  occhi  rivolti 
Son  de’, Latini.  E già  Latino  stesso 
Vacilla,  c fra  due  stassi  a qual  di  voi 
S’  attenga,  e di  cui  suocero  s’appelli. 

La  regina  che  solo  era  sostegno 
De  In  tua  parte,  di  sua  propria  mano, 

Per  timore  c per  odio  de  la  vita, 

S’è  strangolala.  Solamente* Alma 
E Messàpo  a difesa  de  le  porte 
[648-6  6 i] 


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G32  L*  ENEIDE.  [l07f>--i09S]  ìj 

Fini  lesta;  ma  gli  vanno  i Teucri  a schiere 
Con  Inni’ aste  a rincontro  e tante  spade 
Serrati  insieme,  quante  a pena  in  campo 
Non  son  le  biade.  E tu  per  questa  vota 
E deserta  campagna  il  carro  indarno 
Spingendo  e volteggiando  te  ne  stai1? 

Turno  «la  tante  orribili  novellò 
Sopraggiunto  in  un  tempo  e spaventalo, 

Si  smagò,  s’  ammutì,  col  viso  a terra 
Chinassi.  Amor,  vergogna,  insania  e lutto 
E dolore  e furore  e coscienza 
Del  suo  stesso  valore  accolli  in  uno, 

(ìli  arsero  il  core  e gli  avvamperò  il  volto. 

Ma  poscia  che  gli  fu  la  nebbia  c l’ombra 
De  la  mente  sparita,  e che  la  luce 
Gli  si  scopri  de  la  ragione  in  parte: 

Cosi  eom’  era  ancor  turbato  e fero, 

Di  sopra  al  carro  a la  città  rivolse 

L’  ardente  vista.  Ed  ceco  in  su  le  mura  ( 

Vede  che  una  gran  fiamma  al  cielo  ondeggia, 

(ìli  assiti,  i ponti  c le  bertesche  ardendo 
D’uno  torre  eh’  a guardia  era  da  lui 
De  la  muraglia  in  su  le  ruote  eretta. 

E disse  : Già,  sorella,  già  son  vinto 
[G62-U7Ò] 


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LIBRO  XII. 


[1099-1122] 


634 


Da!  mio  destino.  A che  piti  in’  aitraversi? 
Via  dove  la  fortuna  e Dio  ne  chiama! 
Fermo  son  di  venir- col  Teucro  a 1’  armi, 

E soffrir  de  la  pugna  e de  la  morte 
Ogni  acerbezza,  anzi  che  tu  mi  vegga 
De  la  gloria  de’  miei,  sorella,  indegno. 

Or  al  fato  mi  lascia  : c sostien  eh’  io 
Disfoghi  infuriando  il  mio  furore. 

Così  dicendo,  fuor  del  carro  a terra 
Gittossi  incontinente,  e la  sirocchia 
Lasciando  afflitta,  via  per  mezzo  a l’armi 
E per  mezzo  a’  nemici  a correr  diessi. 

Qual  di  cima  d’  un  monte  in  precipizi* 
Rotolando  si  volge  un  sasso  alpestro, 

Che  dal  vento  o dagli  anni  oda  la  pioggia 
Divelto,  per  le  piaggio  a scosse,  a balzi 
Vada  senza  ritegno,  e de  le  selve 
E degli  armenti  e de’  pastori  insieme 
Meni  guasto,  ruina  e strage  avanti; 

Tal  per  l’opposte  e sbaragliate  schiere 
Se  ne  già  Turno.  E giunto  ove  in  cospetto 
De  la  città  di  molto  sangue  il  campo 
Era  già  sparso,  e pien  di  dardi  il  ciclo  ; 
Alzò  la  mano,  e con  gran  voce  disse: 
[675*692] 


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034  l’  eneide.  [ 1 123-4 146] 

Stale,  Rullili,  a dietro;  e voi,  Latini 
Toglietevi  da  l’ armi.  Ogni  fortuna, 

Qua4  eli’  ella  sia  di  questa  pugna,  è mia. 

A me  la  colpa,  a me  si  dee  la  pena 
Del  violalo  accordo:  a me  per  tutti 
Pugnar  debitamente  si  conviene. 

A questo  dir  di  mezzo  ognun  si  tolse, 

Ognun  si  ritirò.  Di  Turno  il  nome 
Enea  sentendo,  il  cominciato  assalto 
Dismise  e da  le  mura  e da  le  torri 
E da  tutte  l’imprese  si  ritrasse. 

Per  letizia  esultò,  (eVribilmenle 
Fremè, 'si  rassettò,  si  vibrò  tutto 
Nc  Farmi,  e’n  sò  medesmo  si  raccolse; 
Quanto  il  grand’Alo,  o ’l  grand’  Èriec  a l’aura 
!Non  sorge  a pena, o’I  gran  padre  Appennino, 
Allo r die  d’  elei  la  fronzuta  chioma 
Per  vento  gli  si  crolla,  c che  di  neve 
Gioioso  alteramente  s’ incappella.  i 

I Rullili,  i Latini,  i Teucri  e tutti 
O eh’ a la  guardia  o ch’ a l’offesa  in  prima 
l’osser  de  la  muraglia,  ognuno  a gara  , 

L’armi  deposte,  a rimirar  si  diero. 

Latino  esso  re  stesso  spettatore 
[693-707] 

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I 


[I  1 4^T -»4  i'70]  libro  xii.  635 

Ne  fu  con  meraviglia  eh’ anzi  a lui 
Altri  due  re  sì  'grandi,  e di  due  parti 
Del  mondo  sì  diverse  e sì  remote, 

Fosser  de  l’armi  al  paragon  venuti. 

Eglino,  poiché  largo  e sgombro  il  campo 
Ebber  davanti,  non  si  fur  da  lungo 
Veduti  a pena,  che  correndo  entrambi 
Mosser  P un  centra  l’altro.  I dardi  in  prima 
S’ awenlàr  di  lontano,  indi  s'  urtaro; 

E ’i  tonar  degli  scudi  e’I  suon  degli  clini 
Fe  la  terra  tremare,  e I’  aura  ai  colpi 
Fischiò  de’  brandi.  La  fortuna  insieme 
Si  mischiò  col  valore.  In  colai  guisa. 

Sopra  al  gran  Sila  o del  Taburuo  in  cima, 
D’umore  accesi,  con  le  fronti  avverse 
Van  due  tori  animosi  a rincontrarsi  ; 

Che  pavidi  in  disparte  se  ne  stanno 
I lor  maestri,  s’  ammutisce  e guarda 
La  torma  tutta,  e le  giuvenche  intanto 
Stan  dubic  a cui  di  lor  marito  c donno 
Sia  de  l’armento  a divenir  concesso; 

Ed  essi  urtando,  con  le  corna  intanto 
Si  dan  ferule,  che  le  spalle  e i fianchi 
Ne  grondali  sangue,  e ne  rimugghia  il  bosco. 
[708-7*22] 


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I 


6 36  l’exeide.  [1171-1194] 

Tal  del  troiano  e de  l’ausonio  duce 
lira  la  pugna,  c lai  de  le  percosse 
E degli  scudi  il  suono.  A questo  assalto 
Il  gran  Giove  nel  ciel  librate  e pari 
Tenne  le  sue  bilance,  e d’  ambi  il  fato 
Contrapesando,  attese  a qual  di  loro 
Desse  la  sua  fatica  c ’l  suo  valore 
De  la  vittoria  o de  la  morte  il  eroMo. 

Qui  Turno  a tempo,  che  sicuro  e destro 
Gli  parve,  alto  levossi,  e con  la  spada 
Di  tutta  forza  a 1’  avversario  trasse, 

E ne  l’elmo  il  ferì.  Gridaro  i Teucri, 
Trepidare)  i Latini,  e sgomentarsi 
Tutte  d’  ambe  gli  csscrcili  le  schiere. 

Ma  la  perfida  spada  in  mezzo  al  colpo 
Si  ruppe,  e ’n  sul  fervore  abbandonollo, 

Si,  che  la  fuga  in  sua  vece  gli  valse: 

Clf  a fuggir  dicssi,  tosto  che  la  destra 
Disarmata  si  vide,  c clic  da  l’.else 
L’arme  conobbe  che  la  sua  non  era. 

E fama  che  da  I’  impeto  accecato, 

Allor  che  prima  a la  battaglia  uscendo 
Giunse  I limo  i cavalli  c ’l  carro  ascese, 
l'er  la  confusione  e per  la  fretta 
{723-7-36] 


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LIBRO  XII. 


637 


[!  L95-12i§] 

Lasciato  il  patrio  brando,  a -quel,  di  piglio 
Diè  per  disavventura,' che  davanti  _ 

Gli  s?  abbattè  dèi  suo  Metisco  in  prima.  * 

E questo,  fin  ette  dissipati  e l'otti 
N*  andaro  j-^Teucri,  assai  fedele  e saldo* 
Lungamente  gli. resse.  Ma  venuto 
Con  Tarmi  di  Vulcano  a paragone  > 

(Come  quel  che  di  diano  tèa  costrutto 
Di  mortai  fubro)  mal  temprato  e frale, 

Qual  di  ghiaccio,  si  franse  e ne  la  sabbia 
Ne  rifulsero  1 pezzi1.  E*così'  Turno 
Fuggendo, orquinci  or  quindi  per  Io.campo, 
Qual  forsennato,  indarno  s’aggirava, 

D’  ogni  parte  rinchiuso;  che  da  T una 
Lo  serravano  i Frigi  e la  palude,  • 

9 

E ’l  fosso  e la  muraglia -era  da  T al  tra.  - 
E non  men  eh’  ei  fuggisse,  iT  teucro  dqce 
(Come  che  da  la  piaga  ancor  tardato 
Fosse  de  la  saettale  le  ginocchia 
Si  sentisse  ancor  fiacche)  il  seguitava* 
L’ardente  vogliale  la  speranza  eguale 
A la  tenia  di  lui,  sì  lo  spingea, 

Che  giù  già  gli  era  sopra,  e già  ’l  feria. 

Così  cervo  fugace  o da  le  ripe 
Caro.—  41.  [737-749] 


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1 


638  l'eneidb.  [1219-1242]  j 

Chiuso  d’  un  alto  fiume,  o circondato 
Da  le  vermiglie  abbominate  penne, 

Se  da  veltro  è cacciato  o da  molosso 
Che  correndo  c latrando  lo  persegua, 

Di  qua  di  lui,  di  là  del  precipizio 
Temendo  e degli  strali  e degli  agguati, 

Fogge,  rifugge,  si  travolve  c torna 
Per  mille  vie;  ne  dal  feroco  alano 
È però  meno  atteso men  seguito, 

Che  mai  non  V abbandona  ; e già  gli  è presso 
A bocca  aperta,  e già  par  elle  1’  aggiunga, 

E M prendale  ’1  tenga,  e come  se  ’1  tenesse, 
Schiattisce,  e’I  vento  morde, ei  denti  incioeca. 

Allor  le  grida  alzàrsi,  a cui  le  rupi 
De’ monti  e i laghi  intorno  rispondendo, 

L’  aria  e ’1  ciel  tutto  di  tumulto  empierò. 
Mentre  così  l’uggia  Turno  gridando 
E rampognando  i suoi,  del  proprio  nome 
Ciascun  chiamava,  e ’l  suo  brando  chiedea. 

Enea  da  1’ altra  parte,  minacciando 
A tutti  unitamente  ed  a qualunche 
Di  sovvenirlo  e d’  appressarlo  osasse, 

Che  faria  de  le  genti  occis'ione 
Senza  pietà,  eh’  a sacco,  a ferro,  a foco 
[749-761] 


LIBRO  XII. 


639 


[1243-1266] 

Metteriala  cittade.e  ’l  regno  tutto, 

Si  com’era  ferito,  il  seguitava. 

Cinque  volte  girando-il  campo  tutto, 

E cinque  rigirando,  e molte  e molle 
Di  qua,  di  là  correndo,  imperversare: 
Chè.non  per  gioco,  non  per  lieve  acquisto 
D’  onor,  ma  per  l’ imperio,  per  lo  sangue, 
Per  la  vita  di  Turno  era  il  contrasto. 

Per  sorte  in  questo  loco  anticamente 
Era  a Fauno  sacrato  un  olenstro  . < 
D’  amare  foglie,  venerabil  legno 
A’  naviganti  che  dal  mare  usciti 
A salvamento,  al  tronco,  ai  rami  suoi 
Lasciavano  i lor  voti  e le  lor  vesti 
A questo  dio  de’.Laùrenti  appese: 

Non  ebbero  i Troiani  a questo  sacro 
Più  eh’  agli  altri  profaiii  arbori  o sterpi 
Alcun  riguardo;  onde  con  gli  altri  tutti 
Lo  distirpàr,  pereliè  netto  e spedito 
Restasse  il  campo  al  marziale  incontro. 

De  1’  oleastro  in  loco  era  caduta 
L’ usta  d’  Enea  : qui  l’ impeto  la  trasse; 
Qui  si  teuea  tra  le  sue  barbe  infissa. 

E qui  per  ricovrarla  il  tèucro  duce 
[762-774] 


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640 


l’  e .tei  de. 


[1267-1290] 

Chinossi,  e per  far  pruova  se  con  essa 
Lanciando  lo  fermasse  almen  da  lunge, 

Poi  ch'appressar  correndo  noi  potea. 

Allorper  téma  in  sè  Turno  confuso, 

Abbi,  Fauno,  di  me  cura  e -pielate, 

Disse  pregando,  e tu,  benigna  terra, 

Sii  del  suo  ferro  a mio  scampo  tenace,  . 

Se  i vostri  sucrificii  e i vostri  onori 
Io  mai  sempre  curai,  che  pur  da’  Frigi 
Son  così  vilipesi  e profanati. 

Ciò  disse,  e non  fu  ’l  detto  e M volo  in  vano  : 
Ch’  Enea  molta  fatica  e mollo  indugio 
.Mise  intorno  al  suo  tèlo,  nè  con  forza 
Nè  con  industria  alcuna  ebbe  possanza 
Mai  di  sferrarlo.  Or  mentre  vi  s’ affanna 
E vi  studia  e vi  suda,  ecco  Iulurna 
Un’altra  volta  né" lo  stesso  auriga 
Mutata  gli  si  mostra,  e la  sua  spada 
Al  fratello  appresenta.  È d’  altra  parte 
Venere,  disdegnando  che  la  ninfa 
Cotanto  osasse,  incontanente  aneli’  ella 
Accorse  al  tiglio,  e l’  asta  gli  divelse. 

Cosi  d’  arme,  di  speme  e d’  ardimento 
Ambidue  rinforzati,  e l’un  del  brando, 
[774-789J 


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[1291-Ì314]  librò'  xw.  64 i 

1/  altro  de  l’asta  altero,  un’  altra  volta 
A vittoria  anelando's’ azzufferò. 

Stava  Giuno  a mirar  .questa  battaglia 
Sovr’  un  nembo  dorato,  allor  che  Giove* 
Così  le  disse:  E che  faremo  alfine, 

Donna?  E che  far  ci  resta?  lo.so  che. sai, 

É tu  P affernji,  che  da’  fati  Enea  - 
Si  deve  al  cielo,  e che  tra  noi  s’aspetta. 
Ch’agogni  più?  Che  macchini,  e.che speli? 
A che  tra  queste'nubi  or  ti  ravvolgi  ? 
Convenevol  ti  sembra  e degna  cosa 
Che  mortai  ferro  a violar  presuma 
Un  che  Ha  divo?  E ti  par  degno  e giusto 
Ch’  a Turno  in  man  la  spada  si>ipouga 
Quando  egli  stesso  la  si  tolse  e ruppe? 

E 1’  aVria  senza  te  Juiurna  osato? 

Non  che  potuto,  ah  ! crescer  forza  a’  vinti? 
Togliti  giù  da  questa- impresa  ornai, 
Togliti;  e me,  che  te  ne  prego,  ascolta  : 

Nè  soffrir  che  ’l. dolor,  ch’entro  ti  rode, 
Cangiando  if  dolce  tuo  sereno  aspetto, 

Sì  ti  conturbile  sì  spesso  cagione  v - 
Mi  sia  d’amaritudine  e di  noia. 

Quest’ è l’ultima  fine.  Assai  per  mare, 
[789-S03] 


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642 


L’  ENEIDE. 


[1315-4338] 

Assai  per  terra  hai  tu  (in  qui  potuto 
A vessare  i Troiani,  a muover  guerra 
Cosi  nefanda,  a scompigliar  la  casa  — 

Del  re  Latino,  e ’ntorbidar  le  nozze, 

Sì  come  hai  fatto.  Or  più  tentar  non  lece; 
Ed  io  lei  vieto.  E qui  Giove  si  tacque. 

Abbassò  M volto,  ed  umilmente  a lui 
Così  Giuno  rispose:  fo,  perchè  noto 
M’  è,  signor  mio,  questo  tuo  gran  volere, 
Ancor  contra  mia  voglia  abbandonata 
Ilo  1’  aita  di  Turno,  e qui  da  terra 
Mi  son  levata.  Che  se  ciò  non  fosse, 

.Me  così  solitaria,  non  vedresti, 

Coni’ or  mi  vedi;  in  queste  nubi  ascosa, 

E disposta  a soffrir  tutto  eh’  io  soffro 
Degno  e non  degno;  ma  di  damme  cinta 
Mi  rimescolerei  per  la  battaglia 
A danno  de’ Troiani.  Io,  solo  in  questo, 

Tel  confesso,  a Iuturna  ho  persuaso 
CI»’  aVsuo  misero  frate  in  si  grand’  uopo 
Non  manchi  di  soccorso,  e ch’ogni  cosa 
Tenti  per  la  salute  e per  lo  scampo 
De  la  sua  vita.  E non  però  le  tlissi 
Giammai  clic.  I’  arco  e le  saette  oprasse 
[803-815] 


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643 


[4339-1362]  libro  xii. 

Incontr’  Enea.  Tel  giuro  per  la  fonte 
Di  Stige,  quel  eli’ a noi  celesti  numi 
Solo  è nume  implacabile  e tremendo. 

Ora  per  obbedirti,  e perchè  stanca 
Di  questa  guerra  e fastidita  io  sono. 

Cedo  e più  non  contendo.  E sol  di  questo 
Desio  che  mi  compiaccia  (e  questo  al  fato 
Non  è soggetto),  che  per  mio  contento, 
Per  onor  de’ Latini,  pei*  grandezza 
E maestà  de’  tuoi,  quando  la  pace, . 
L’accordo  e’1  maritaggio  fia  conchiuso 
(Clie  sia  felicemente),  il  nome  antico 
Di  Lazio  e de  le  sue  native  genti 
L’  abito  e la  favella  pon  si  mute; 

Nè  mai  Teucri  si  chiamino  o Troiani. 
Sempre  Lazio  sia  Lazio,  c sempre.  Albani 
Siati  d’Alba  i regi,  e ia  romana  stirpe 
D’ italica  virtù  possente  e chiara. 

Poiché  Troia  perì,  lascia  che  péra 
Anco  il  suo  nome.  A ciò  Giove  sorrise, 

E cosi  le  rispose:  Ah!  sei  pur  nata 
Ancor  tu  di  Saturno,  e mia  sorella. 

E consenti  die  l’ira  eP  acerbezza 
Così  ti  vinca?  or,  come  follemente 
- • [316-832] 


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644 


L*  ENEIDE.  [1363-  f 386] 
le  concopeste,  il  cor  le  ne  disgombra 
Ornai  del  lutto.  E lutto  io  li  concedo  * 

Elie  tu  domandi,  e vinto  mi  ti  rendo. 

La  favella,  il  costume  e ’I  nome  loro 
Ritengami  gli  Ausoni,  e solo  i corpi 
Abbian  con  essi  f Teucri  uniti  e misti.  - 
D’ ambedue  questi  popoli  i costumi, 

I rili,  i sacrifìci i in  uno  accolti, 

Lna  gente  farò  eh’  ad  una  voce 
Latini  si  diranno.  E quei  che  d’ ambi 
Nasceran  poi,  sovr’a  I’  umana  gente 
Si  vedran  di  possanza  e di  pietade 
birne  a’ celesti  eguali;  e non  mai  tanto 
Sarai  tu  cólta  e riverita  altrove.  ’ 

Di  ciò  Giuno  appagossi,  e lieta  e mite, 

.Già  verso  i Teucri,  al  ciel  fece  ritorno. 

Giove  poscia  luturna  da  l’aita  . .* 

Distor  pensò  di  suo  fratello,  e’I  fece 
In  questa  guisa.  Due  le  pesti  sono, 

Clic  son  Dire  chiamate,  al  mondo  uscite 
Gon  Megera  ad  un  parto,  a lei  sorelle, 

Gighe  a la  Notte,  e di  Cocito  alunne, 

Che  d’aspi  han  parimente  irte  le  chiome 
L di  ventose  bucce  i dorsi  alati. 

1832-84*1 


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[1387-1440]  libro  xn.  645 

Queste  di  Giove  al  tribunale  intorno, 

E de  la  sua  gran  reggia  anzi  a la  soglia 
Si  presentano  allor  che  pena  e pèsti 
E morti  a noi  mortali,  e guerre  a’ luoghi 
Che  ne  son  meritevoli  apparecchia. 

Una  di  loro, a terra  immantinente 
Spinse  il  padre  celeste,  onde  Iuturna 
De  la  fraterna  morte  augurio  avesse. 

Mosse  la  Dira,  e di  tempesta  iu  guisa 
Ch’  impetuosamente  trascorresse, 

Volò  come  saetta  che  da  Parto, 

0 da  Cidone  avvelenala  uscisse 
E non  vista,  ronzando  e 1’  ombre  aprendo, 
Ferita  immedicabile  portasse. 

Giunta  là  ’ve  di  Turno  e de’  Troiani 
Vide  le  schiere,  in  forma  si  ristrinse 
Subitamente  di- minore  augello, 

Ed  in  quel  si  cangiò  che  da’ sepolcri 
E dogli  antichi  e solitari  alberghi 
Funesto  canta,  e sol  di  notte  vola. 

Tal  divenuta,  a Turno  s’ apprcsenta, 

Gli  ulula,  gli  svolazza,  gli  s’aggira 
Molte  volte  d’ intorno;  e fin  con  l’ali 
Lo  scudo  gli  percuote,  e gii  fa  vento. 

[849-866] 


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646 


L’  ENEIDE. 


[1411-1434] 

Stupì,  si  raggricciò,  muto  divenne 
Turno  per  la  paura.  E la  sorella 
Tosto  che  lo  stridor  sentitine  e l’ali, 

Le  chiome  si  stracciò,  grafTìossi  il  volto, 

E con  le  pugna  il  petto  si  percosse. 

Or  che,  dicendo,  ornai,  Turno,  più  puote 
Per  te  la  tua  germana?  E che  più  resta 
A far  per  lo  tuo  scampo,  o per  l’ indugio 
De  la  tua  morte?  E come  a cotal  mostro 
Oppor  mi  posso  io  più  ? Già  già  mi  tolgo 

. i * 

Di  qui  lontano.  A clic  più  spaventarmi? 
Assai  di  tema,  sventurato  augello, 

Nel  tuo  venir  mi  désti.  E ben  conosco 
Ai  segni  del  tuo  canto  e del  tuo  volo 
Quel  che  m’ ajiporti.  E non  punto  in’  inganna 
Il  severo  precetto  e ’l  voler  empio 
Del  superbo  tonante.  E questo  ò ’l  pregio 
De  la  verginità  che  m’ha  rapita? 

E perchè  vita  mi  concesse  eterna? 

Perchè ’l  morir  mi  tolse?  Acciò  morendo 
Non  finissi  il  mio  duolo?  acciò  compagna 
Gii'  non  potessi  al  misero  fratello? 

Immortai  io?  Che  vaimi  ? E che  mi  puote 
Ne  I immortalità  parer  soave 
[867-SS2] 


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LIBRO  XII. 


[1 435-1458] 


647 


Senza  il  mio  Turno?  Oh  qual  mi  s’apre  terra 
Che  seco  mi  riceva  e mi  rinchiugga 
Tra  I’  ombre  inferne;  e non  più  ninfa  e Dea 
Ma  sia  mortale  e morta?  E cosi  detto. 
Grama  e dolente,  di  ceruleo  ammanto 
Il  capo  si  coverse.  Indi  correndo 
Nel  suo  fiume  gittossi,  ove  s’immerse 
Infimo  al  fondo,  e ne  mundò  gemendo 
In  vece  di  sospir  gorgogli  a l’aura. 

Intanto  il  suo  gran  tèlo  Enea  vibrando 
Col  nemico  s’azzuiTu,  e fieramente 
Lo  rampogna  e gii  dice:  Or  qualpiù,  Turno, 
Farai  tu  mora,  o sotterfugio,  o schermo? 
Con  l’armi,  con  le  man,  Turno,  e da  presso, 
Non  co’ piè  si  combatte  e di  loutano. 

Ma  fuggi  pur,  diléguati,  trasmutati, 

Unisci  le  tue  forze  e’1  tuo  valore, 

Vola  per  l’ aria,  appiattati  sotterra, 

Quanto  puoi  t’  argomenta,  e quanto  sai, 

Ghè  pur  giuntovi  sei.  Turno  squassando 
Il  capo,  Ah,  gli  rispose,  che  per  fiero 
Che  mi  ti  mostri,  io  de  la  tua  fierezza, 
Orgoglioso  campion,  punto  non  temo, 

Nè  di  te:  degli  Dei  temo  e di  Giove, 
[883-895] 


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648  l’  eneide.  [1459-1182] 

Che  nimici  mi  sono  e meco  irati. 

Nulla  più  disse;  ma  rivolto,  appresso 
Si  vide  un  sasso,  un  sasso  antico  e grande 
Ch’  ivi  a sorte  per  limite  era  posto 
A spartir  campi  e tór  lite  a’  vicini. 

Era  sì  smisurato  e di  tal  peso, 

Che  dodici  di  quei  ch’oggi  produce 
Il  sccol  nostro,  e de’ più  forti  ancora, 

Non  l’avrebber  di  terra  alzato  a pena. 
Turno  diègli  di  piglio,  e con  esso  alto 
Correndo  se  ne  già  verso  il  nemico, 

Senza  veder  nò  come  indi  il  togliesse, 

Nè  come  lo  levasse,  nè  se  gisse, 

Nè  se  corresse.  Disnervate  e fiacche 
Gli  vacillar  le  gambe,  e freddo  e stretto 
Gli  si  le ’l  sangue.  Il  sasso  andò  per  l’aura, 
Sì  che  ’l  colpo  non  giunse,  e non  percosse. 

Come  di  notte,  allor  chc’l  sonno  chiude 
I languid’ occhi  a l’affannata  gente, 

Ne  sembra  alcuna  volta  essere  al  corso 
Ardenti  in  prima,  c poi  freddi  in  sul  mezzo, 
.Manchiam  di  Iena  sì  ch’i  piè,  la  lingua, 
ha  voce,  ogni  potenza  ne  si  toglie 
Quasi  in  un  tempo;  cosi  Turno  invano 
[895-913] 


T 


[>483-1506]  libro  xu.  649 

Tutte  ilei  suo  valor  le  forze  oprava 
Da  la  Dira  impedito.  Allora  io  dubbio 
Fu  di  sè  stesso,  e molti  per  la  mente 
Gli  andato  e vari  e torbidi  pensieri. 

Torse  gli  occhi  a’ suoi  Rutuli,  e le  mura 
Mirò  de  la  città  : poscia  sospeso 
Fermossi,  e pauroso  ; e sopra  il  tèlo 
Vistosi  del  gran  Teucro  orror  ne  prese, 

Non  più  sapendo  o dove  per  suo  scampo 
Si  ricovrasse,  o quel  che  per  suo  schermo, 

0 per  offesa  del  nemico  oprasse. 

Mentre  così  confuso  e forsennato 
Si  sta,  la  fatai  asta  Enea  vibrando, 

Apposta  ove  colpisca,  e con  la  forza 
Del  corpo  tutto  gli  l’avventa  e fere. 
Machina  con  tant’  impeto  non  pinse 
Mai  sasso  e mai  non  fu  squarciata  nube 
Che  sì  tonasse.  Andò  di  turbo  in  guisu 
Stridendo,  e con  la  morte  in  su  la  punta 
Furiosa  passò  di  sette  doppi 
Lo  rinforzato  scudo;  e la  corazza 
Aprendo,  ne  la  coscia  gli  s’infisse. 

Diè  del  ginocchio  a questo  colpo  in  terra 
Turno  ferito.  I Rutuli  gridaro; 

[913-928]  * 


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(550 


L*  ENEIDE. 


[1507-1530] 

E tal  surse  fra  lor  tumulto  e pianto, 

Che  M monte  tutto  e le  foreste  intorno 
Ne  rintonaro.  Allor  gli  occhi  e la  destra 
Alzando  in  atto  umilmente  rimesso, 

E supplicante:  Io,  disse,  ho  meritato 
Questa  fortuna;  e tu  segui  la  tua; 

Chè  nè  vita,  nè  vènia  ti  dimando. 

Ma  se  pietà  de’  padri  il  cor  ti  tange, 

(Chè  ancor  tu  padre  avesti,  e padre  sei) 

Del  mio  vecchio  parente  or  ti  sovvenga. 

E se  morto  mi  vuoi,  morto  eh’  io  sia 
Rendi  il  mio  corpo  a’ miei.  Tu  vincitore, 

Ed  io  son  vinto.  E già  gli  Ausoni  tutti 
Mi  ti  veggiono  a’  piè,  che  supplicando 
Mercè  ti  chieggio  c già  Lavinia  è tua  ; 

A che  più  contro  un  morto  odio  e tenzone1? 

Enea  ferocemente  altero  e torvo 
Stette  ne  l’arme,  e vólti  gli  occhi  a torno, 
Frenò  la  destra;  e con  l’ indugio  ognora 
Più  mite,  al  suo  pregar  si  raddolciva; 
Quando  di  cima  all’omero  il  fermaglio 
Del  cinto  infortunato  di  Pallante 
Negli  occhi  gli  rifulse.  E ben  conobbe 
A le  note  sue  bolle  esser  quel  desso, 
[923-943] 


£U 


LIBRO  XII. 


651 


[1531-1548] 

Di  che  Turno  quel  dì  Pavea  spogliato, 

Che  gli  diè  morte;  e che  per  vanto  poscia 
Come  nemica  e gloriosa  spoglia 
Lo  portò  sempre  al  petto  attraversato. 
Tosto  che  ’l  vide,  amara  rimembranza 

Gli  fu  di  quel,  eh’  ei  n’  ebbe,  affanno  e doglia  ; 

• 

E d’ira  e di  furore  il  petto  acceso, 

E terribile  il  volto,  Ah,  disse,  adunque 
Tu  de  le  spoglie  d’  un  mio  tanto  amico 
Adorno,  oggi  di  man  presumi  uscirmi, 

Sì  che  non  muoia  ? Muori:  e questo  colpo 
Ti  dà  Pollante,  e da  Fallante  il  prendi. 

A lui,  per  mia  vendetta  e per  sua  vittima, 
Te,  la  tua  pena,  e ’l  tuo  sangue  consacro. 

E,  ciò  dicendo,  il  petto  gli  trafisse. 

Allor  da  mortai  gielo  il  corpo  appreso 
Abbandonossi ; c l’anima  di  vita 
Sdegnosamente  sospirando  uscio. 

[943-952] 

Fine. 


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BUbliotrca  Uiatuuuin, 


i/olunii  pubblicali. 

La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri. 
Le  R\me  di  Francesco  Petrarca. 

La  Gerusalemme  Liberata  di  T.  Tasso. 
Orlando  Furioso. di  Lodovico  Ariosto. 
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defedici,  Chi  arre»  a,  Vico,  Raffael- 
lo da  Montklupo,  Foscolo,  Balbo. 
Cronica  fiorentina^ di  Dino  Compagni. 
Satire  e Poesie  minori  di  V.  Alfieri. 

Le  Mie  Prigioni  dì  Silvio  Pbllico. 

La  Secchia  Rapita  e L'Oceano  di  A.  Tassoni. 
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Apologia  di  Annibal  Caro.  - 
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La  Fiammetta  di  Giovanni  Boccacci. 
Poesie  di  Francesco  Redi. 

Le  Poesìe  di  Giuseppe  Giusti. 

Della  Tirannide,  libri  due  di  V.  Alfieri 
^con  La  Catilinaria  e La  Giugurtma.  A 


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